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a cura di Vito Bianchi pagina a cura di Giuseppe Losapio
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aria Pia Pontrelli, L’Archivio dell’Arciconfraternita di San Giuseppe di Bari. Introduzione storica e inventario, Edipuglia, Bari 2005, € 18,00.
Pubblicare dei documenti è di per sé complesso, vista la presenza di tanti elementi interni ed esterni che caratterizzano e sviluppano l’essenza stessa del diploma. Un vero e proprio lavoro epistemologico è quello del diplomatista, che descrive e scioglie quei nodi concettuali che depisterebbero qualsiasi occhio inesperto verso storie fantastiche e mai esistite: leggere un documento pubblico o privato, medievale o moderno, senza conoscere i giusti strumenti, è come farsi fare una tac da una persona qualunque. Eppure i documenti sono i pilastri fondanti del racconto storico, e da questi che si dipana quella matassa chiamata storia; anche se le edizioni dei diplomi sono quelle che trovano maggiore difficoltà sia nella pubblicazione che nell’incontro con il grande pubblico.
A questo problema ha voluto porre una risposta il Centro Studi Storici della Chiesa di Bari, diretta da Salvatore Palese, con una nutrita collana di testi pubblicati dalla casa editrice barese Edipuglia. Ultimo in ordine di uscita è L’Archivio dell’Arciconfraternita di San Giuseppe di Bari. Introduzione storica e inventario, di Maria Pia Pontrelli, un testo aderente ad una collaudata metodologia di pubblicazione dei documenti storici che ha il pregio, precisato anche nel sottotitolo, di introdurre alla storia della confraternita barese e della sua chiesa e di pubblicarne l’inventario.
«L’arciconfraternita di san Giuseppe – scrive Salvatore Palese nella Presentazione del libro – non è la più antica di quelle cittadine, né tra le più grandi dell’arcidiocesi barese, neppure la più popolosa dell’antico centro di Bari. È una delle tante che caratterizzano il panorama religioso e culturale dell’arcidiocesi della città». Ed è proprio questo il punto di forza della pubblicazione: raccontare la vita di una delle tante confraternite che hanno caratterizzato il panorama locale. La pubblicazione dei documenti, di queste istituzioni religiose, possono illustrare quelle pagine della quotidianità spesso poste in ombra dai grandi uomini o dagli eventi.
L’inventario dell’archivio illustra uno dei complessi documentari tra i più ricchi delle confraternite baresi dell’Ottocento e del Novecento. Ma Pontrelli non si sofferma soltanto sul lavoro di sistemazione documentaria: ne descrive anche la storia partendo da quella che era la cellula iniziale di questa esperienza di associazionismo religioso, la chiesa di S. Maria de Kiri Iohannaccio o dei Sannaci, risalente all’XI secolo. Il primo capitolo delinea le origini dell’edificio religioso, il primo documento è del 1071, indicante la presenza di un monastero dedicato a S. Maria dipendenza del monastero di S. Trinità di Bari. Con la costruzione della basilica di S. Nicola l’assetto urbano viene ridefinito: ogni quartiere è legato ad una famiglia importate, sia della nobiltà aristocratica che di quella mercantile, in questo modo la chiesa di S. Maria fa parte del giuspatronato della famiglia dei Kiri Joahannaccio o dei Sannaci. Per un certo periodo fu concessa dall’abate Elia ad uno dei marinai che partecipò alla traslazione delle ossa di S. Nicola.
Attraverso la lettura dei documenti di una chiesa patronale la storia cittadina si rispecchia, e si ottiene l’affresco di un sistema sociale organico: a inizio XII secolo, per “legalizzare” le numerose concessioni di chiese e di patrimoni ecclesiastici alle famiglie baresi, vengono redatti una serie di documenti di vendita falsi.
Nel XIII secolo la chiesa passa sotto il governo e la giurisdizione della cattedrale, sebbene di patronato gentilizio. Si ritrovano tracce documentarie della chiesa nel XVI secolo quando a possederla è il clero bitontino e non più le famiglie baresi: sarà infatti restaurata e riedificata nel 1583 ad opera dell’abate Nicolò de Ferrariis di Bitonto. La chiesa in quel periodo vive la “tridentinizzazione” del clero meridionale, e sul finire del XVI secolo e inizio del XVII, la neonata confraternita di S. Maria Sannacis prende il posto della famiglia degli Giannaci o Iannaci nella proprietà della chiesa, cambiando il nome alla confraternita e dedicandola a S. Giuseppe, santo particolarmente di moda nel Seicento; «gli avvenimenti dei primi anni del XVII secolo – scrive Pontrelli – dovevano aver suggerito ai confratelli fondatori del sodalizio di mutare l’intitolazione in quella di S. Giuseppe, sia per la diffusione del culto del santo come patrono della famiglia, dei falegnami, degli artigiani e di lavoratori in genere e come avvocato della buona morte, sia, infine, “per essere detto santo fondatore protettore di Sua Maestà Cattolica”».
La scelta del culto rispecchia il ceto sociale degli iscritti alla confraternita, in prevalenza appartenenti alla medio-bassa società barese: artigiani e semplici commercianti; solo in seguito si avrà la presenza di un nobile nella persona di Federico Dotula. Una delle caratteristiche delle associazioni religiose era quella dell’ascesa sociale; S. Giuseppe divenne in pochi anni una delle confraternite più importanti, e tra i suoi iscritti non si trovano più soltanto i ceti sociali più umili ma anche molti notai e aristocratici. Pontrelli continua nella sua introduzione storica fino ai nostri giorni, evidenziando gli elementi di lungo corso che hanno contraddistinto la vita delle confraternite religiose del Sud: ascesa sociale e la mutua solidarietà tra i confratelli, acquisto e manutenzione di beni immobili e degli arredi sacri e l’organizzazione delle festività del santo.
Gli altri capitoli che seguono sono dedicati alla documentazione fotografica a cura di Pasquale Susca e alla storia dell’archivio, nonché alle norme utilizzate per inventariarlo. In appendice al volume si possono trovare alcuni documenti non conservati nell’archivio dell’arciconfraternita e lo statuto dell’associazione edito a Bari nel 1936.
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5 Giuseppe Losapio
Volumi per recensioni a: Vito Bianchi, via del Calvario 1, 72015-Fasano (BR).