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     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo


  


Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. LE EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà


Hans Weiditz, Un alchimista, c. 1520.

           

Jan van der Straet (1523-1605), Distillazione, tardo 16.sec. - Pieter Brueghel il Vecchio (1525-1569), Un alchimista al lavoro, 1550 ca.

Nei secoli successivi altri insigni studiosi delle arti alchemiche, quali il filosofo catalano Raimondo Lullo (1232/38 – 1315/16), il celebre medico di Bonifacio VIII, autore dell’Ars Magna; Arnaldo da Villanova (1235/40 Genova 1311/12), anch’egli catalano, medico di Pietro III di Aragona e poi professore a Montpellier, autore di Sulla conservazione della giovinezza e del Compendium medicine pratice, e scopritore fra l’altro dell’alcool; l’alchimista inglese Giovanni Dastin (primi decenni del XIV secolo); il francese, francescano spirituale, Giovanni da Rupescissa (XIV secolo) (che introdusse nell'alchimia, modificandola in parte, una pratica già utilizzata nella farmacologia, la distillazione del vino): tutti si prodigarono nell’apportare modifiche per la produzione di quell'elixir che «può mantenere il nostro corpo libero dalla corruzione, guarirlo e conservarlo, curarne le malattie, ridonargli le forze, finché non giunga l'ultimo giorno secondo il tempo stabilito da Dio».

  

A sinistra, Raimondo Lullo: schema concettuale della prova logica dell’esistenza di Dio.

 

 

 

 

A destra, Raimondo Lullo: frontespizio

  

Giovanni da Rupescissa aveva inoltre insegnato a produrre un farmaco «divino», Cristus medicinarum, «sciogliendo il nostro sole nel nostro cielo», cioè lamine d'oro nel distillato di vino.

La lunga durata di questo, come di altri farmaci alchemici, arriverà fino e oltre alla riforma paracelsiana della farmacologia.

Paracelso (1493 – 1541), fisico svizzero, che polemizzava contro l'inefficacia dei farmaci della tradizione galenica, fece proprie infatti molte sostanze e tecniche dell'alchimia; tuttavia, nella sua ricerca di una nuova farmacopea efficace e mirata ai singoli agenti patogeni, rigettò l'aspetto più peculiare dell'elixir degli alchimisti medievali, che avevano sognato di produrre con esso il farmaco unico e universale, "gloria inestimabile e madre di tutte le medicine", capace di dare ai corpi terreni la perfezione incorruttibile dello spirito.

Sarà solo grazie a lui ed all’orientamento di ottenere rimedi sintetici di origine minerale e vegetale, che verranno fatti i primi passi della moderna chimica farmaceutica. Gli alchimisti erano considerati in quel tempo mezzi maghi e mezzi scienziati, solitamente chiusi nei loro laboratori strapieni di complicatiapparecchi (imbuti, mortai, filtri, alambicchi, ecc.). Essi si vantavano anche di saper preparare dei farmaci capaci di sanare le più gravi malattie.

Paracelso

        

Questa loro abilità era tenuta in grande considerazione dai medici dell'epoca. Infatti molti di essi ricorrevano agli alchimisti per avere consigli sui farmaci da prescrivere ai loro clienti

L’alchimia può essere considerata a pieno titolo come progenitrice della chimica moderna; essa studiava le interazioni fra le sostanze, la loro decomposizione, le loro caratteristiche: in essa la componente scientifica era fortemente mescolata a quella magica.

Schema dell’alchimia, secondo Ruggero Bacone

L’alchimia divenne un felice terreno di caccia per uomini senza scrupoli, ciarlatani e frodatori attirati da facili guadagni. I cristiani, in particolare, vedevano gli alchimisti come i possessori dei segreti pagani e demoniaci, per cui quando il Cristianesimo si impose sulle altre religioni, l'alchimia declinò.

Il laboratorio alchimistico conteneva bilancette e pesi per il dosaggio delle polveri medicamentose, flaconcini di vetro per pillole e unguenti, un grande torchio per spremere radici e pulire le cortecce, unitamente a grandi raccolte di erbe officinali e curative e di un bancone per la vendita al pubblico.

Contenitori di erbe comuni e rare, i cui nomi spiccano come promessa di guarigione: dalla cicoria al miele spiumato, dalla piantaggine all’erba fumaria. Provenivano da tutte le rinomate fabbriche italiane di quel tempo, da Faenza a Caltagirone, da Urbino a Montelupo.

Non era esagerato parlare di «un'industria della magia»!

 


Bibliografia

G. Cosmacini, L’arte lunga, Laterza Ed., Roma-Bari 2001, pp. 114-138.

A. Castiglioni, Storia della Medicina, A. Mondadori Ed., Milano 1936, pp. 263-266. 

H. Caprez, Il monachesimo medioevale, Rivista CIBA, VI (34), 1952, pp. 1127-1136. 

H. Caprez, Assistenza ai malati e medicina monastica fino al IX secolo, ivi, pp. 1138-1144. 

H. Caprez, L’attività medica dei Benedettini e dei Cistersensi, ivi, pp. 1145-1148.

R. Salvarani, Nonantola milleduecento anni dopo. Medioevo, Ed. De Agostini-Rizzoli, Milano 2003, VII, 7 (78), pp. 8-9.

W. Kaiser, Architettura romanica in Germania, Il Romanico, Ed. Koenemann, Milano 1999, p. 32.

G. Penso, La Medicina Medioevale, Ciba-Geigy Ed., 1991, pp. 27-30; 65-84.

   

  

 

©2004 Raimondo G. Russo

   


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