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MEDIOEVO E MEDICINA |
a cura di Raimondo G. Russo |
Premessa - 1. Alcuni cenni storici - 2. La medicina barbarica - 3. La CHIESA E LA MAgia - 4. La medicina e la chirurgia - 5. LE EPIDEMIE - 6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà |
4.2 LA
MEDICINA NELL'ALTO
MEDIOEVO
La
più comune base per la medicina medievale erano i trattati di Galeno, ma
sfortunatamente, nonostante la grande attenzione all'anatomia esterna
dell’uomo, non contribuivano molto ai processi che hanno
luogo all’interno del corpo.
Ad
esempio la loro grande carenza riguardava la circolazione sanguigna.
D’altra
parte alcune funzioni basilari, quale la respirazione, erano descritte
meglio che nelle teorie ampiamente diffuse di Platone.
Galeno
prese in considerazione, distinguendole, le
funzioni volontarie e le involontarie, e indicò la mancanza di sincronismo fra
il battito del polso e la respirazione, ma non tanto più di questo…
Le
condizioni
igieniche ed alimentari costituirono il primo
fondamentale fattore d’azione: la morbilità alta di quei secoli era dovuta ai
regimi alimentari poveri, basati quasi unicamente sul consumo di cereali e
legumi e alle condizioni igieniche pessime; non esistevano, infatti, sistemi di
fognatura efficiente, e l’igiene personale non era per nulla curata. Tutte
queste cause ebbero come effetto lo svilupparsi di infezioni, di epidemie, come
le pestilenze che decimarono la popolazione, e lo stabilizzarsi in forma cronica
di forme morbose.
Infatti,
in un’era in cui il genere umano stava attraversando un periodo critico, per le
continue pestilenze e gli sconvolgimenti bellici, la Chiesa e la religione
davano all’uomo una speranza a cui aggrapparsi, e questo determinò
l’espansione del campo d’azione dell’ambiente ecclesiastico anche in
materie profane come la scienza medica. Il fatto che il malato e le malattie
fossero all’ordine del giorno, portò l’uomo medievale a considerare il
morbo come una peculiarità dell’umanità, erede del peccato originale di
Adamo ed Eva.
Le
epidemie perciò diventano il flagello
con cui
Dio punisce
i suoi figli, e proprio per questo vengono viste come un valore positivo; ecco
che si profila quindi la pedagogia della
sofferenza che influenzerà le riflessioni religiose sulla malattia e le
stesse pratiche assistenziali, soprattutto nelle popolazioni cristiane.
Nasce
così anche il concetto di hospitalitas,
terzo fattore, che prevedeva
l’accoglienza, l’assistenza e l’ospitalità per i malati; di conseguenza
monaci e religiosi organizzarono, con il Concilio di Orléans (571), degli
ospizi lungo gli itinerari di pellegrinaggio, situati vicino a chiese e
monasteri.
A poco a poco si formò una rete ospitaliera che attraversava l’intera Europa, seguendo maggiormente gli itinerari dei pellegrinaggi, che erano già molto diffusi nel IV secolo. Lungo gli itineraria romani si snodavano le vie dei santi viaggi con mete Gerusalemme, Roma, Santiago in Galizia.
Lungo queste vie si sostituivano così ai vecchi xenodochi (xeno-dokèin, ospitare gli stranieri) i più nuovi hospitalia; gli edifici che erano adibiti a questi servizi erano dotati di un infirmarium, o infermeria con un cubiculum valde infirmorum, o sala di degenza per malati gravi, un giardino di piante medicinali, una stanza adibita a clisteri e salassi ed un ultimo locale dotato di armarium, che poteva essere o un armadio di libri, oppure una specie di proto-farmacia. |
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Il parto |
Il
concetto di infirmus (malato) era
considerato in stretto rapporto - e a volte sovrapposto - a quello di pauper; questi due termini venivano spesso pronunciati insieme, pauperes
infirmi, in modo da risultare uno l’attributo dell’altro.
Con tali termini veniva indicata una categoria composita, senza distinzione tra indigenza economica ed emergenza sanitaria, includendo anche storpi e vagabondi, ciechi, mendicanti, folli, pezzenti, vecchi e bambini. I pazienti degli hospitalia venivano curati ed assistiti dai monaci delle congreghe, che secondo la medicina monastica praticavano l’arte medica, ma allo stesso tempo provvedevano alla sua conservazione, attraverso la copiatura dei testi classici.
I
fratelli utilizzavano per le terapie
soprattutto le erbe, secondo la tradizione antica, a cui facevano già ricorso
gli Egiziani, che erano le stesse classificate nella Historia
plantarum da Teofrasto e coltivate ed impiegate dai Romani.
Come
testo di riferimento avevano il De
simplicium medicamentorum temperamentis et facultatibus di Galeno e il De
materia medica di Dioscoride.
La tradizione dell’uso delle erbe come medicinali, anche se accolta dai monaci, è di origine pagana, perché erano i contadini abitanti del pagus, o distretto rurale, a coltivare negli orti e nei campi quelle piante dalle prodigiose qualità; tutto questo costituiva la medicina semplice che molto spesso finiva per completare la medicina dei dotti.
Non
si limitavano però solo all’esercizio della medicina semplice, ma
impomatavano, massaggiavano e, essendo insigniti dei titoli tonsor
rasor et minutor, potevano radere, tonsurare, ma era anche abile nel minuere
sanguinem, cioè salassare nella giusta misura, estraendo con il sangue anche
il presunto peccato del malato, che era naturalmente la reale causa
dell’infermità.
Il
togliere sangue era una pratica empirica, ma essendo regolata da procedure
precisamente codificate secondo dottrina, elevava il salasso e la flebotomia ad
arti magistrali. Infine i monaci crocesegnavano, applicavano toccasana, lenivano
i dolori con gesti rituali ed elisir, facevano sorbire acquasanta e baciare le
reliquie dei santi, facendo sì che la
restitutio ad integrum della salute fisica coincidesse con la salvaguardia
di quella spirituale.
MANCANZA
DI MEDICI
Vi
erano all’epoca anche numerosi medici poco seri che giravano per le piazze e
proponevano rimedi violenti come, per esempio, la cauterizzazione con un ferro
rovente delle emorroidi.
Oltre a questi vi erano anche naturalmente medici seri che avevano studiato a Salerno o a Bologna, due rinomate università.
I
malati si rivolgevano di preferenza ai monaci e ai sacerdoti, che costituivano
la classe più colta dell'epoca. Naturalmente questi ecclesiastici, privi di una
seria preparazione medica, non erano in grado di trovare le cause delle malattie
e di curarle scientificamente. Il loro aiuto era soprattutto spirituale.
Bisogna
però dire che molti di essi curavano gli ammalati con erbe medicinali,
ottenendo spesso degli ottimi risultati.
Alcuni poi praticarono con successo anche degli interventi chirurgici.
La
pratica della medicina era comunque, e spesso, un’impresa pericolosa.
Prima
della nascita della scienza medica, l’uso delle piante medicinali
rappresentava l’unico metodo per curare varie malattie. Le virtù attribuite
ai rimedi naturali si basavano moltissimo sulle qualità simboliche che erano
loro assegnate, oltre che sulle reali proprietà. Il passaggio dal rimedio
medicinale che guarisce alla pianta tossica che avvelena corrisponde molto bene
alla strega.
Alcune piante molto velenose sono oggi usate per la preparazione di alcuni farmaci.
Nel
Medioevo i "dottori" per curare alcune malattie usavano dei vegetali.
Purtroppo alcune volte a causa dell’ignoranza dei medici i pazienti morivano
avvelenati.
Oltre
all’ignoranza dei medici la medicina erboristica si basava sulle tradizioni
popolari e sulle superstizioni. I "manuali" farmacologici
raccomandavano ad esempio di raccogliere le erbe medicinali in particolari
giorni dell’anno considerati magici.
Molte erbe usate all’ora sono però utilizzate anche come ingredienti di base nell’attuale medicina erboristica.
I
rimedi erano sì basati prevalentemente su pozioni
e decotti di erbe, ma anche su vermi di terra, urine
Da
alcuni scritti possiamo così essere stati edotti su alcune delle principali
cause di morte!
I
cataplasmi (crusca, acqua e senape) davano sollievo alle
articolazioni infiammate e aiutavano a curare le infezioni.
Le
purghe erano usate per espellere la malattia dal corpo.
Impasti
calmanti di erbe polverizzate e miele servivano a curare ulcere cutanee, mal di
gola e mal di stomaco.
L'uso di piante curative in molti
casi si mescolava con riti e formule magiche.
La LACHNUNGA (secolo XI): è un libro (oltre che una pianta) che contiene rimedi alle malattie e in particolare preghiere in latino da recitare sugli ingredienti, per difendersi da agenti invisibili e spiriti ostili, quali elfi, demoni e veleni.
Una
delle cause più frequenti di malattie erano infatti le
"mariolerie" degli elfi, esseri invisibili individuati dalla tradizione
cristiana come demoni. Erbe, piante, parti di animali e effluvi di questi sono
gli ingredienti classici delle pozioni.
Lachnunga |
Mandragora |
Fiori di pioppo |
MANDRAGORA: chiamata ancora oggi in Germania
Hexenkraut, "erba delle streghe",
la mandragora è una radice nera all'esterno e candida all'interno, con una vaga
forma umanoide che ha portato la fantasia antica e medievale a rappresentarla
come una sorta di omuncolo vegetale. Veniva usata per curare infezioni agli
occhi, ferite, morso di serpenti, mal d'orecchie, gotta e calvizie.
FIORI DI SALICE E PIOPPO: combattono l'impotenza.
QUERCIA
e VERBACIA: venivano utilizzate per numerosissime applicazioni.
CRANIO
DI UCCELLO: avvolto
in pelle di cervo cura le emicranie, cervello mescolato con unguento ed infilato
nel naso è efficace contro i dolori di testa.
RENI
e TESTICOLI ESSICATI:
polverizzati e somministrati col vino curano l'impotenza.
FECI
DI GATTO: efficaci
contro le calvizie o la febbre quartana
VERMI CON NODI GIALLI: triturati e mescolati alla birra servivano a curare l'itterizia; erano scelti con nodi gialli per combattere il giallo della pelle del malato.
I
salassi erano comunemente impiegati per
recuperare la salute e l’"umore"
del paziente, ed inoltre ogni intervento chirurgico, spesso praticato da un
barbiere e senza anestesia, era sicuramente critico.
I
medici ritenevano che un eccesso di sangue provocava malattie: di
conseguenza le sanguisughe erano usate per succhiare sangue ai pazienti.
Gli
unguenti erano molti e gli intrugli da prendere per bocca o da
applicare sul corpo erano molto numerosi. Ad esempio per curare i polmoni si
mangiavano ceci cotti nel latte di capra con burro e zucchero, mentre per curare
i tumori ghiandolari si facevano impacchi di fichi.
Di fronte alle malattia gravi in realtà però non vi erano rimedi efficaci: basti pensare alla lebbra e alla follia. In effetti, in quest’ultimo caso, spesso si confondevano i malati di mente con gli indemoniati, soprattutto nel caso degli epilettici, e si cercava di curare i malcapitati con lunghe sedute di esorcismo nella speranza di liberarli dai demoni loro persecutori.
Le
funzioni naturali, quali lo starnuto, erano considerate il modo migliore
per conservare la salute.
Quando
c’era un aumento di qualunque umore o liquido organico se ne poteva disporre
per il tramite di sudore, lacrime, feci o urine. Se questi sistemi naturali si interrompevano o guastavano, la malattia
poteva occorrere! I medici
medioevali favorivano la
prevenzione, l’esercizio, una buona dieta ed un sano ambiente.
Uno
dei mezzi diagnostici preferiti era l’uroscopia,
per cui il colore delle urine del paziente era esaminato per determinare il
trattamento.
Un altro aiuto diagnostico includeva tastare il polso e prendere campioni di sangue.
Uroscopia |
Tastare il polso |
Sebbene
le procedure mediche nel Medioevo siano generalmente considerata obsolete e
basate su erbe, preghiere, formule e incantamenti,
esistevano parimenti procedimenti chirurgici e cure simili alle procedure
moderne.
Originalmente i medici assistevano i loro pazienti recandosi a casa loro oppure il paziente poteva essere portato dal medico; questo non favorì il libero scambio di idee o di esperienze tra i medici e spesso i consigli sul trattamento di un paziente particolare erano ottenuti per lettera, inviando la lista dei sintomi ad un altro medico.
La diagnosi del paziente era solitamente incompleta.
Essa
consisteva nella ispezione di sangue, feci, urina e nell’esame del polso, ma
solo in rari casi tutti i precedenti erano inclusi.
Il
sangue era
esaminato per la viscosità, temperatura, scivolosità, sapore, schiumosità,
rapidità di coagulazione, e le caratteristiche degli strati in cui si separava.
Sangue,
feci e urine
misuravano l’equilibrio degli umori in un individuo.
La
diagnosi della malattia era ottenuta dal concetto del disequilibrio complessivo,
quale fosse un meccanismo esplicatorio fondamentale per comprendere le
manifestazioni cliniche.
L’osservazione,
comunque, consisteva principalmente nel considerare visivamente l’apparenza
esterna del paziente, nell’ascoltare la descrizione del paziente della
malattia, e nell’ispezione ed odore delle sue escrezioni.
L’osservazione
che includeva tutti i precedenti era cosa rara e più spesso un medico
prescriveva un trattamento solamente sulle richieste scritte di un collega o del
paziente stesso.
L’esame
del polso
non era per valutare e misurare il flusso ematico, non essendo i medici
medievali al corrente della circolazione, ma piuttosto per la forza degli
spasmi cardiaci.
I
libri di medicina erano
consultati per definire quale (e se) fosse necessario un salasso, se il paziente
dovesse riposare o esercitarsi e se fosse necessario un cambiamento della dieta,
o quale medicamento o erba dovesse essere somministrata.
è
interessante osservare che sebbene l’artrite ed i reumatismi fossero le
malattie più comuni, i libri delle erbe e medici prescrivevano soprattutto
rimedi per malanni relativi agli occhi.
I
rimedi a base di erbe,
le misture e la terapia delle
gemme erano usati spesso quale trattamento nell’Alto Medioevo. Ovviamente,
questo genere di trattamento aveva le sue limitazioni, poste dalla Chiesa
cattolica per prevenire il diffondersi delle eresie.
Altri
esempi di un trattamento comune per particolari disturbi consistevano nella
preparazione di polveri di giusquiamo e cicuta e di metterle sulle cosce
doloranti; pozioni a base di erbe per la cura dell’ittero; indurre il vomito e
i salassi per le paralisi e per disturbi addominali; masticare l’alloro;
inghiottirne il succo ed apporre le
foglie sull’ombelico.
©2004 Raimondo G. Russo