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Fratelli Limbourg, L'Inferno (da Les Trés Riches Heures de Duc du Berry, 1413-16, Museo Condé di Chantilly)
Bonvesin
da la Riva, il più antico poeta in volgare milanese, fu sicuramente
un personaggio di spicco della Milano del Duecento. Malgrado manchi la sicurezza nella datazione, sulla sua vita siamo relativamente ben informati; possiamo facilmente ricostruire i fatti che a lui si riferiscono attraverso alcuni documenti notarili (una decina circa), l’epitaffio, un tempo nel chiostro della chiesa di S. Francesco e distrutto nel 1698, ma riprodotto da trascrizioni settecentesche, e quanto egli stesso dice, o fa capire, nelle opere letterarie. Nacque
verosimilmente prima della metà del Duecento: nel secondo dei due
testamenti che possediamo,
datato 5 gennaio 1313, infatti, si definisce «sano
di mente ma vecchio
nel corpo e nello spirito»,
il che fa supporre che all’epoca avesse più di sessant’anni; nel De
magnalibus Mediolani, poi, descrivendo la campagna condotta da
Federico II contro Milano scrive
«a
memoria d’uomo»,
includendo tra questi, forse, anche se stesso. Con poco margine d’errore, la data di nascita sarebbe dunque da collocare fra il 1240 e il 1250. L’origine milanese è testimoniata dal cognome, de la Riva, che compare frequentemente nei documenti della città: non pare, però, che “de la Riva” sia da mettere in relazione con quella che ancora oggi si chiama Ripa di Porta Ticinese, a quel tempo situata fuori le mura e che sembra di troppo recente costruzione per essere già usata come distintiva nell’onomastica familiare.
Il convento degli Umiliati e lo stemma di Milano Egli
spesso si definisce «frate»
o «Fra»:
appartenne infatti al
terz’ordine degli Umiliati, congregazione che prevedeva la
possibilità di affiliazione al terz’ordine pur conservando
famiglia, case private e beni personali. Nel
primo verso del De
quinquaginta curialitatibus ad mensam, dice di essere di Legnano («Fra
Bonvesin dra Riva ke sta im
borgọ de Legnian»,
v. 1),
città in cui, probabilmente, insegnava e dove
sovvenzionò la costruzione dell’ospedale, in linea con gli
ideali pauperistici e
gli impegni assistenziali propugnati dal suo ordine. Fin dal 1290 i documenti lo definiscono «magister o doctor de grammatica» in Milano, dove doveva aver preso dimora prima di questa data, visto che il De Magnalibus, del 1288, richiese certamente una non breve preparazione in loco. A Milano contribuì alla costruzione dell’ospedale della Colombetta, vicino a S. Eustorgio, fornendo un prestito di duecento lire in cambio di un vitalizio annuo; stipulato questo contratto, acquistò, insieme alla moglie Bengedica, una casa in Porta Ticinese dove visse dal 1291 fino alla morte. Il 9 settembre 1296 si iscrisse ad un altro collegio di laici: l’ordine di S. Giovanni Gerosolimitano, a Porta Romana; e per tutta la vita intrattenne stretti rapporti con ordini religiosi, comunità ospedaliere e gruppi devoti. Bonvesin
fu, sopra tutto, un uomo di cultura, un intellettuale e maestro di scuola. Nel
De Magnalibus indicò, fra le tante prove della vitalità
sociale di Milano, la validità dell’istruzione: a Milano, malgrado
mancasse uno Studium universitario, all’epoca c’erano otto
maestri di grammatica tra i quali sicuramente è compreso Bonvesin. Dal
1303 al 1305 occupò la carica di Decano dell’Ospedale Nuovo
(possediamo l’atto che ne certifica l’incarico, datato 28 aprile
1303): i decani erano liberi cittadini, che si assumevano il compito
gravoso di vigilare sul trattamento dei poveri e delle rendite, e di
concorrere all’amministrazione dei pii istituti di carità; la
carica, da sempre assegnata ai cittadini laici, al tempo di Bonvesin,
era saldamente in mano agli Umiliati. Il
18 ottobre 1304 redasse il
primo testamento: rimasto vedovo, risposatosi con Floramonte, lasciò
i propri averi ai poveri di Milano, i libri, il corredo scolastico e
persino «tutti
i libri si scuola che possiedo»
alla Colombetta, in cambio
di un vitalizio per la moglie nel caso gli fosse sopravvissuta senza
risposarsi. Scarse
le notizie per gli anni che intercorrono fra il primo ed il secondo
testamento, datato 5 gennaio 1313: di nuovo vedovo, ribadisce il
lascito ai poveri e alla Colombetta, ma non fa menzione di testi o
corredo scolastico; e ciò fa presagire che dovesse essersi ritirato
dall’insegnamento. Un
documento emanato da Matteo Maria Visconti nel 1315 cita Bonvesin come
defunto. Fu sepolto nel chiostro della chiesa di S. Francesco, come
richiesto nel testamento del 1305. «Qui
giace/ fra Bonvesin da la Riva/ dell’ordine terziario degli
Umiliati/ che costruì l'ospedale
di Legnano/ che compose molte opere in volgare/ che per primo fece
suonare le campane col suono dell’Ave Maria. Si dica un’Ave Maria
per la sua anima.
Bonvesin
è scrittore bilingue che dimostra una certa dimestichezza
nell’impiego sia del volgare
che del latino. Tre sono i componimenti in latino che possediamo: il
già citato De magnalibus Mediolani, Il
De magnalibus Mediolani, scritto nel 1288, come ci dice
l’autore stesso, in prosa, contiene una vera e propria esaltazione della città attraverso l’enumerazione dei suoi
meriti e della sue caratteristiche. Alla tradizionale esaltazione
retorica della città si affiancava una più concreta dimostrazione
argomentativa, basata su un elenco di dati materiali ricavati
dall’osservazione e dall’indagine sul campo. Per dimostrare ciò
che in precedenza si sosteneva in base all’autorità degli antichi,
si invocava ora il conforto di elementi verificabili tratti dalla
realtà quotidiana, fatti di cui lo stesso Bonvesin è testimone. La
descrizione della città è avvalorata da
dati reali (il numero delle chiese, delle scuole, dei pozzi, la
grandezza della città,
etc.) che presuppongono un ampio lavoro di raccolta dati da parte di
Bonvesin; non mancano tuttavia rilevazioni meno oggettive (come la
descrizione fisica degli abitanti) e dal chiaro gusto medioevale (la
spiegazione dell’etimologia
di Milano); sono inoltre inseriti
abbondantemente anche accenni a fatti legati alla storia della città. Nell’ottica,
molto moderna, di Bovesin due sono i difetti di Milano: la mancanza di
un porto e la mancanza di concordia fra i cittadini. Ma il difetto è,
in realtà uno solo: i cittadini che finiscono per esaurire nella
nelle rivalità tutte le energie che potrebbero usare per migliorare
la città. Nel
De Magnalibus egli mostra tutta la consapevolezza di aver
vissuto una stagione unica e irripetibile («è
come un mondo a sé separato dall’altro»)
e rivendica la
superiorità di Milano su ogni altra città («non
è degna di essere chiamata seconda Roma, ma sarebbe in fondo doveroso
che la corte papale e le prerogative che le sono connesse venissero
trasferite qui da Roma)». Di diversa natura la Vita scolastica, testimone del legame con la scuola, forse l’opera più famosa di Bonvesin, che venne letta fino alla metà del Cinquecento: è un poema di carattere precettistico, rivolto agli allievi, in cui si descrivono «le cinque chiavi che aprono le porte della sapienza»: timor domini, honor magistri, assiduitas legendi, frequens interrogatio, memoria retinenda. La componente religiosa nella forma della critica verso gli eretici, attività propria degli ordini ortodossi e quindi degli umiliati è presente in tutta l’opera di Bonvesin e diventa preponderante in alcuni contrasti, come la Disputatio musce cum formica, in cui appare vigorosa, accanto ad indicazioni di retto comportamento, la critica agli eretici. I temi trattati, comuni agli altri débats (contrasti), riguardano: la necessità del lavoro contro il perder tempo; la ricerca del perdono da parte del peccatore; la critica verso i cattivi costumi e l’eresia . A questo proposito dice infatti la formica:
La
dimensione didattica e popolare e l’uso del doppio canale latino e
volgare sono ben testimoniati dai Disticha Catonis, testo
volgarizzato da Bonvesin: si noti come il nostro autore volgarizzi il
testo, amplificando il distico latino (viene tradotto con quattro
versi) e riproducendolo con termini più quotidiani (ad esempio la femina
diventa la femina maluezata) e comprensibile. Per
ciò che concerne la tematica della visione Bonvesin è autore del Libro
delle tre scritture, una visione oltramondana, in cui descrive
l’Inferno (scriptura nigra) e il Paradiso (scriptura
dorada): questo testo non prevede il Purgatorio, che d’altro
canto aveva avuto da poco investitura ontologica dal concilio e venne
descritto per la prima volta da Dante ,insolita è, al suo posto,
nella mediana scriptura rubra è inserita la storia della
passione. Le
tre parti nascono da una concezione unitaria, soprattutto le due
estreme (la nera e la dorata) che hanno molti elementi strutturali in
comune. Si tratta di una visione oltramondana, in cui Bonvesin
descrive l’Inferno e il Paradiso: le fonti sono sicuramente il De
Contemptu Mundi di Innocenzo III e Visioni dell'Inferno Bonvesin
dimostra abilità narrativa nel Volgare
delle elemosine in cui, raccontando quattro miracoli e tre
parabole, rievoca aneddoti dal Vecchio e Nuovo Testamento, e da
scritti apocrifi e agiografici, atti a dimostrare come il fare
elemosine sia necessario per ottenere la salvezza. Nelle
Lodi della Vergine Maria
è l’elemento mariano a
essere preponderante. Si tratta di cinque eventi miracolosi ( il
castellano, il pirata, Maria Egiziaca, il monaco liberato dai demoni,
e Frate Ave
Maria) che appartengono alla tradizione dei miracoli della Vergine e
esemplificano il costante aiuto dato dalla Vergine al peccatore
contrito. Ancora un miracolo costituisce il finale delle Rationes
quare Virgo tenetur diligere peccatores, opera attraverso Il
Vulgare de passione sancti
Iob e Nel De die iudicii, Bonvesin dimostra una certa originalità: il tema è quello comune del giudizio di Cristo dopo la fine del mondo, ma viene sviluppato con elementi nuovi.
A
rendere questo testo mosso e vibrante concorre anche l’inserimento
del contrasto tra padre e figlio, entrambi appartenenti alla schiera
dei dannati: dopo la condanna di Cristo, quando ormai sono trascinati
dai demoni, il figlio accusa il padre di essere causa della sua
dannazione avendogli dato un cattivo esempio. Legato al medesimo tema
escatologico, al quale il nostro sembra molto sensibile, è
anche il breve componimento del De
quindecim miraculis que debent apparere ante diem iudicii;
nel quale Bonvesin ci informa degli sconvolgimenti naturali che
riguarderanno la terra prima della fine del mondo. Bonvesin dunque si configura come uno degli esempi più emblematici di questi intellettuali del Duecento alle prese con una la nuova sfida della catechesi teologica e soprattutto morale, di un popolo sempre più suggestionato dai laici.
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©2007 Linda Cavadini