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Parte prima
Il processo ad una strega.
La
civiltà medievale, forse più di qualunque altra, ma anche la nostra
non mi pare immune, ha subito il fascino di tutto ciò che riguardava
il meraviglioso e lo stupefacente. I confini tra natura e
soprannaturale erano troppo labili. L’uomo e la natura, del resto,
erano la prima manifestazione di Dio, ma il meraviglioso poteva facilmente essere opera diabolica,
un’illusione prodotta da satana per ingannare l’uomo. Il demonio
poteva creare qualcosa di magico, che apparteneva al suo dominio,
attraverso i tramiti umani o i membri della sua vasta schiera di
demoni. Le meraviglie dovute alla magia, le meraviglie diaboliche, erano difficili da distinguere dai miracoli veri e propri e soprattutto dalle meraviglie naturali create da Dio o col consenso di Dio. Ecco perché dunque il termine magia si carica di due valenze diametralmente opposte: opera di satana e opera concessa da Dio, contatto tra la terra e il cielo. Questa idea è ben espressa da Pico della Mirandola che, parlando dell’alchimia, afferma: «La magia studia quel legame dell’universo che i greci chiamano simpatia, che approfondisce la comprensione dell’essenza delle cose e fa uscire dal grembo della terra occulti miracoli. Come il contadino unisce la vite all’olmo, così colui che coltiva l’arte magica, unisce la terra al cielo e mette in contatto il mondo inferiore con le forze del mondo superiore» (Pico della Mirandola). Nel Medioevo la realtà occulta del male non era messa in dubbio da nessuno; le streghe e il diavolo esistevano veramente, l’unica cosa da definire era se credessero, per inganno diabolico, di fare ciò che facevano o se lo facessero sul serio. Compiere il male era per gli uomini un atto volontario che rendeva lo stregone complice del Tentatore.
LA
MAGIA MEDIEVALE
La
magia è sia una teoria del mondo sia un insieme di formule operative.
Per il pensiero magico la realtà è sempre duplice, apparente e
reale. Esiste un mondo fatto di impulsi, influssi, repulsioni: il
mago conosce questi segreti e li utilizza in modo illimitato: quindi
la magia non può che prevedere un insieme di formule, indicazioni
operative rituali, pratiche per realizzare la volontà del mago. I
termini utilizzati per identificare gli operatori magici possono
essere illuminanti per capire la complessità del problema:
alchimista, mago, strega. Se il mago alchimista è colui che cerca di
interpretare la natura, sorta di medico filosofo scienziato e
naturalista,e ha, dunque, una accezione positiva, mago è anche
l’operatore dell’occulto e del maligno. I lemmi strega e lo
stregone hanno, invece, valenza solo negativa: sono sottoposti a
Satana, emissari del demonio, membri di una setta occulta che mira a
sovvertire l’ordine e l’armonia del mondo, garantite dalla Chiesa.
Nel Medioevo si stabilì la divisione della magia in due grandi rami
naturale e demonica o cerimoniale, ulteriormente divisa nel XVII sec.
in magia divina, teurgia e magia goetica. La magia divina chiedeva a
Dio la potenza, quella teurgica si affidava all’azione degli angeli
benefici, quella goetica era la più terribile, e prese il nome di
nera, perché si rivolgeva ai
demoni più potenti e crudeli. La
Chiesa
avrebbe guardato sempre con disprezzo l’arte magica al punto che già
nel concilio di Laodicea
del 366 d.C. si dice: «I
sacerdoti e tutti i membri del clero non devono dedicarsi agli
incantesimi, né alle scienze mediche, né all’astrologia». A lungo la Chiesa lottò contro una forma di
divinazione ben presente anche nel clero, la bibliomanzia
[1].
Secondo tale pratica era
possibile ottenere risposte consultando direttamente il testo:
l’indovino poneva la domanda, chiudeva gli occhi e apriva a caso il
libro indicandone un punto preciso col dito. Anche per questo motivo,
insieme alla paura di un’interpretazione personale e erticale del
testo sacro, nel XIII secolo Il divieto a praticare formule magiche o a
credere nel potere di piegare la natura è esteso anche ai laici: così
impone il concilio di Braga, circa due secoli dopo: «Chiunque
creda che il diavolo, poiché ha fatto certe cose nel mondo, possa
anche produrre il tuono, i fulmini, le tempeste e la siccità, come
insegna Priscilliano sia scomunicato»
(Concilio
di Braga,
563 d.C) Tuttavia nessuno sembra immune al fascino del
mistero, se anche un dottore della chiesa come Alberto Magno pare dà
credibilità all’impiego di formule e rituali nella vita quotidiana: «A
voler sapere se la donna giace con altri che con il marito, piglia
questa pietra detta Bellerites, la quale si trova in Libia ed in
Britannia ed è di più colori cioè nera e rossa e trovasi di colore
glauco tendente al pallido, cura gli idropici e quelli che buttano li
denti. Conferma e dice Avicenna che questa pietra tritata e lavata sarà
data ad alcuna donna da bere, se la donna non è vergine subito orinerà,
se la darà a vergine, non sarà quello»
(De virtutibus herbarum animalium et
lapidum). E lo stesso papa Bonifacio VIII, più tardi nel 1310, venne
accusato,
nel
processo postumo per eresia, di avere un proprio demone privato «Egli possiede un demone privato, dal quale accetta consigli su
tutto»
[3]. Bonifacio VIII. Secondo le accuse
sembra che il papa
possedesse anche altri due demoni, uno donatogli da una donna
italiana, un altro, più potente, da un ebreo ungherese. Inoltre
portava con sé uno spirito racchiuso in un anello-talismano che
portava al dito; molti cardinali avevano osservato che quel gioiello
sembrava riflettere a volte un uomo, a volte un animale. Dunque tutti, a
qualsiasi classe sociale appartenessero, subivano il fascino della
magia, ed erano spinti
dal
desiderio di potere piegare gli eventi e
di prevedere il futuro. Tuttavia, proprio perché si rivolgeva a
individui diversi, sono diversi i tipi di magia rituale praticata nel Medioevo.
L’ALCHIMIA L’alchimia ha una data di nascita: 11 febbraio 1144, data della traduzione del trattato di alchimia arabo Liber de composizione alchimiae, attribuito a un eremita cristiano di Alessandria, che raccolse nelle sue opere le conversazioni sull’alchimia tenute col principe Khalid ibn Yazid. Il termine alchimia deriva dall'arabo al-kimiya o al-khimiya (الكيمياء
o الخيمياء), che è
probabilmente composto dall'articolo al- e la parola greca khymeia (χυμεία)
che significa "fondere", "colare insieme",
"saldare", "allegare", ecc. (da khumatos,
"che è stato colato, un lingotto"). Secondo
un'altra etimologia la parola
deriva da Al Kemi, che significa "l'arte
egizia", dato che gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra
Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il mondo antico. Il
vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che
significa "succo per fare l'oro". I primi cultori di alchimia furono in maggior parte ecclesiastici; ma certo non tutti quelli che vennero chiamati alchimisti lo furono davvero. è innegabile che molti di quelli che si interessarono di alchimia appartennero a ordini religiosi importanti: erano francescani Frate Elia da Cortona e Ruggero Bacone, domenicani furono, invece, Vincenzo di Beauvais, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Per i domenicani l’alchimia era una teoria scientifica che descriveva
la genesi del reale, ma che consentiva continue verifiche della
dottrina. Per i francescani invece era un progetto che favoriva la
redenzione universale e la trasformazione spirituale: i metalli,
infatti, erano simboli della condizione umana di peccatori che doveva
essere purificata tramite il fuoco della fede. L’alchimia era considerata una scienza, era insegnata anche nelle
università. Alberto Magno, frate domenicano e grande filosofo,
Magister alla Sorbona dal 1245, soleva tenere conferenze
sull’alchimia all’aperto, in una pubblica piazza che porta ancora
oggi il suo nome, Se l’alchimia fu
coltivata in ogni centro culturale, tuttavia, fu spesso un’attività
da scrittoio, una trascrizione erudita di testi. Nel suo testo De
alchimia, Alberto Magno scrive: «L’alchimista sarà discreto e silenzioso; non rivelerà ad alcuno
risultati delle sue operazioni. Abiterà lontano dagli uomini, in una casa isolata nella quale disporrà
di una o di due camere, esclusivamente destinate alle sue operazioni. Sceglierà i tempi delle sue operazioni. Sarà paziente, assiduo e perseverante. Eseguirà, secondo le regole dell’arte, la triturazione, la
sublimazione, la fascinazione, la calcinazione, la soluzione,
la
coagulazione e la distillazione. Non utilizzerà vasi di vetro o di ceramica smaltata. Sarà abbastanza ricco da comprare quanto serve alle sue operazioni. Eviterà, infine, di avere alcun rapporto con principi e
signori». L’alchimista è
al servizio della scienza e della conoscenza, non è il mago di corte,
continua infatti Alberto Magno: «Se tu hai la sfortuna di introdurti presso i principi e re, essi non
cesseranno di domandarti: “Ebbene, maestro, come va l’opera?
Quando vedremo qualcosa di buono?”. E nella loro impazienza di
aspettare la fine, ti accuseranno di essere falso, imbroglione e ti
procureranno ogni sorta di amarezze».
L'alchimia in una miniatura e, a destra, il laboratorio dell'alchimista. Come si vede, l’alchimia non è, almeno nelle intenzioni degli autori,
in contrasto con il cristianesimo e con La persecuzione
divenne totale nel 1376 quando il directorium inquisitorum domenicano
considerò l’alchimia abominevole come la magia, la stregoneria e la
negromanzia.
LA
MAGIA RITUALE
Con il termine magia rituale si intendono le pratiche concrete della magia; tuttavia l’insieme è molto grande e comprende i due grandi sottoinsiemi quello positivo della magia naturale (teurgia e divina) e quello negativo della magia nera o geotia. La Magia rituale evoca forze e ed energie particolari e i Grimori rappresentavano le "istruzioni" per condurre le evocazioni magiche in tutta sicurezza. A seconda del tipo di forze evocate, si può fare una distinzione tra Teurgia per evocazioni di Magia Bianca (angelica) e Goetia per evocazioni di Magia Nera (diabolica). La magia naturale
chiedeva a Dio la potenza: il mago naturale era un adoratore di Dio,
grazie al quale agiva e di cui vedeva il riflesso nel creato. Essa
cercava negli angeli e in Dio la potenza per realizzare opere che non
fossero peccato; non voleva piegare Dio al suo volere ma essere da
aiutato nell’indagine della natura. Ecco che il
mago per preparare la sua veste invocava Dio: «O Padre creatore, anima delle stelle, somma sapienza, per tutte le tue potenze e virtù, degnati di santificare questa veste, preparata in tuo onore. Ti esorcizzo, veste per amore del Dio vero, per il Dio vivo ed eterno, che tutto creò dal nulla, e che nulla sia della mia opera impuro, ma ricco di virtù». Tutto il creato, in quanto emanazione di Dio, aveva in sé il potere di curare. In tal senso è emblematica la figura di Alberto Magno, morto nel 1280 e divenuto santo e dottore della chiesa nel 1931: era un intellettuale coltissimo eppure non aveva il minimo dubbio sulle occulte proprietà delle erbe, delle pietre e degli animali. In un libro, erroneamente a lui attribuito ma che ben rappresenta il
clima dell’epoca, è contenuto uno dei primi ricettari magici. Ecco
cosa suggerisce per pacificare le tempeste e passare ogni corrente del
fiume: «Piglia la pietra detta corallo ed è di due colori: rosso e bianco, ed
è esperimentato portato addosso restringe il sangue e scaccia la
stultizia e aumenta la sapienza e vale contro gli pericoli della
tempesta e del fiume». Anche il mago
teurgico poteva invocare demoni, ma l’evocazione avveniva in nome di
Dio e l’uomo si rimetteva al volere e desiderio divino: «Ti scongiuro, Acham, per l’immagine e la sembianza di nostro Signore che con la sua passione e morte ha riscattato il genere umano! Voglio, in nome della sua provvidenza che tu sia qui all’istante». Tutti i libri di magia sottolineano che in un’operazione magica non si hanno prospettive di successo a meno che il mago non adori Dio e non creda nella sua bontà. evocare un demone è possibile solo se concesso da chi li creò tutti.
LA MAGIA NERA Al centro della magia demoniaca c’è la fede nell’inarrestabile
potere delle parole: i demoni non dovevano essere adorati, ma dominati
e comandati. Il mago si erge al di sopra di Dio, chiede aiuto alle
potenze diaboliche per i propri interessi. I demoni sono solo
strumenti di potere. La magia nera è
contro la Chiesa, opposta ad essa, è rovesciamento della fede
cristiana. L’evocazione dei
morti, ad esempio, avviene durante la notte di Natale; nel suo rito
il magi china la testa verso terra e invoca i morti: «Risorgano i morti e vengano a me!». «Potenze infernali, voi che portate il turbamento in tutto l’universo,
lasciate la vostra cupa dimora e andate di là dallo Stige!». Uno dei testi base dell’evocazione demoniaca è attribuito a re Salomone: La chiave di re Salomone o Clavicula. Il libro comincia con un avvertimento ai possessori, perché non diffondano ciò che vi è contenuto a coloro che sono indegni. Poi ci sono gli elenchi delle influenze dei pianeti sui riti magici, le ore ed i giorni migliori per compiere opere di magia. Seguono istruzioni per la preparazione dei paramenti magici da usarsi durante la cerimonia (tunica, calzari, corona) e su come si fa il cerchio magico, indispensabile per proteggersi durante le evocazioni. Occorre che il mago si tuteli contro le possibili interferenze dei demoni recitando una speciale orazione. A questo punto il mago è pronto per la formula evocatoria; gli spiriti evocati avranno forme straordinarie ed impressionanti, ma il mago non si perderà d'animo ed esporrà loro la sua richiesta, dopo di che gli spiriti verranno congedati ed il mago potrà uscire senza pericolo dal cerchio. Per proteggersi e per convincere più prontamente gli spiriti, l'operatore fabbricherà dei Pentacoli, figure magiche che incutono terrore ai demoni e li convincono ad obbedire al mago. Gli spiriti da evocare sono diversi a seconda delle richieste; la Clavicula riporta formule che permettono di portare alla luce tesori nascosti, separare gli amanti, annientare i nemici, conquistare l'amore, fare carriera, compiere incantesimi, volare magicamente, rendersi invisibili e conoscere cose nascoste. Il mago, segnato il circolo magico come nella Clavicula, disegnerà in più un triangolo fuori dal circolo, con nomi magici; altre figure magiche vanno tracciate all'interno del cerchio. Quando il mago è pronto, pronuncia la formula di evocazione e lo spirito compare all'interno del triangolo. Il mago mostra allo spirito un pentacolo e gli comanda di fare qualcosa; alla fine congeda lo spirito. Va ricordato che il congedo è molto importante per evitare al mago danni gravissimi. Gli spiriti appaiono sempre, perché il mago conosce il segreto dei loro sigilli. Nei testi magici si elencano più di settantadue demoni che possono essere invocati, diciotto dei quali sono re, ventisei duchi, gli altri marchesi, presidenti e conti; quattro demoni hanno un titolo doppio. Bisogna fare molta attenzione ai titoli: la gerarchia infernale va seguita con scrupolo, perché i diavoli tengono moltissimo alle loro qualifiche. Negli atti del
processo a Bonifacio VIII, di cui si è già detto, si dice: «Il testimone vide il signor Benedetto uscire in un giardino adiacente al palazzo, disegnare un cerchio con la spada, mettersi al centro, tirar fuori un gallo, ucciderlo e gettare il sangue sul fuoco. Dalla miscela di sangue e fuoco uscì un gran fumo mentre il signor Benedetto leggeva un libro e evocava i demoni» (Dagli atti del processo postumo a Bonifacio VIII, 1310-1311). Il demone viene
evocato per conoscere il futuro o per fare del male agli altri,
attraverso un rituale preciso. Dopo l’elezione a papa di Celestino
V, ad esempio, secondo i testimoni del processo postumo, Bonifacio, in
collera, si chiuse nelle sue stanze. Mentre la stanza si riempiva di
fumo, i suoi servi lo sentirono gridare: «Perché mi hai
ingannato?», e una triplice voce rispose:
«Questa volta era
impossibile, il tuo papato deve venire da noi, tu non devi essere un
papa vero, legale. Arriverà presto». Seppure
si tratti di false accuse, in un processo schiettamente politico
(Filippo il Bello aveva bisogno che la bolla papale della sua
scomunica, emessa da Bonifacio, fosse revocata e il successore di
Bonifacio,
Clemente V, era un pupazzo nelle sue anni), illustrano bene
quanto fosse popolare la magia e soprattutto la geotia presso le
classi sociali più alte.
LA
MAGIA DELLA VITA
QUOTIDIANA Vi sono un paio di testi che descrivono il ruolo della magia
nella vita quotidiana: il manoscritto di Wolfsthurn (Tirolo) e un
manuale di magia nera conservato a Monaco (Baviera), entrambi del XV
secolo. Vi sono descritti
i gravi problemi che assillavano la vita della gente: malattie, le
calamità che colpivano i campi coltivati, i topi che infestavano le
cantine e le abitazioni, e sono riportate "ricette", rimedi
a malanni vari, modi per conciare le pelli, per fabbricare il sapone,
l'inchiostro...,
ricette per certi decotti che dovevano curare febbri o
malattie. Queste ricette contengono molti elementi di superstizione e
magia: sulle foglie che andavano nel decotto si scrivevano invocazioni
alla Trinità, a Dio, ai santi; una data invocazione o un dato
procedimento doveva essere ripetuto tre volte tre o sette volte sette
(ad una data ora, in certe posizioni, rivolti da una certa parte, indossando una certa cosa,...); per curare il mal di denti si
doveva porre una scritta sulla guancia che richiama Gesù, o Pace, o
Dio. Allo stesso modo per curare i dolori dovuti alle mestruazioni si
deve scrivere su un foglietto "per Lui, con Lui e in Lui" e
mettere tale foglietto nei capelli della donna. Per curare
l'epilessia, considerata malattia del demonio, si deve legare una
fettuccia di pelle di daino intorno al collo della persona colpita,
poi parole magiche ancora legate a Trinità, Dio, Spirito Santo,
quindi si brucia la fettuccia insieme al cadavere di un animale o
persona morta; in questo modo si brucia la malattia e la si relega nel
mondo dei morti. Vi sono anche delle vere e proprie formule strane
accoppiate ai soliti nomi della Trinità: una di queste formule
prevede il copiare sul corpo di un malato le seguenti lettere "P.N.B.C.P.X.A.O.P.I.L."
che non si sa proprio cosa vogliano dire. Altra formula, misto di
latino e greco completamente deformati, doveva essere sussurrata
all'orecchio del malato: «Amara Tonta Tyra post hos firabis ficaliri
Elypolis starras poly polyque lique linarras buccabor uel barton vel
Titram celi massis Metumbor o priczoni Jordan Ciriacus Valentinus». Vi è poi la cura
dell'invasato attraverso tre rami di ginepro bagnati tre volte (per
I richiami alla Trinità rendono tutte queste pratiche accette o
comunque non troppo perseguitate dalla Chiesa, anche se nelle prediche
è costante la condanna verso chi si affida alla magia e alla
superstizione, come ben si legge nelle prediche di Umberto de Romans «Alle donne povere, dei piccoli villaggi Il divieto non
colpisce solo le donne ma ogni cristiano, come afferma Tommaso d’Aquino: «Ai cristiani è vietato dedicarsi a osservazioni o incantesimi raccogliendo erbe chiamate medicinali, eccetto che sotto la salvaguardia del Simbolo divino e del pater noster» (Tommaso d’Aquino, Secunda secundae). Tuttavia il confine non è netto, lo stesso Tommaso ammette l’utilizzo
di erbe dietro la salvaguardia del simbolo divino, il che significava
segnare la croce sul decotto prima di prepararlo. Che la croce avesse
poteri miracolosi era vera fede e, al contempo, superstizione, come
appare in questo testo dell’alto medioevo: «Il segno della croce, tracciato in mezzo alla fronte, assicura la salute di tutto il bestiame. Quindi Dio è chiamato a giusto titolo il salvatore Onnipotente. La morte funesta si allontana dall’armento. Se vuoi pregare Dio, basta credere. è la fede la parole che aiuta» (Canto bucolico sulla morte dei buoi).
CHIESA E MAGIA: I
PRECETTI è
bene ora indagare sul progressivo irrigidirsi della
Chiesa nei
confronti della magia, vista prima come credenza e poi come esistenza,
come pratica che non solo metteva in dubbio il reale potere della Chiesa, ma che attentava alla salvezza umana.
E,
purtroppo, tutto ciò
che attenta alla salvezza delle anime venne passato per il fuoco. Cosa che
portò «Perciò nelle chiese a loro affidate i sacerdoti devono costantemente
predicare al popolo di Dio che queste cose sono completamente
false.[…] A chi, infatti, non è mai successo,di uscire da sé
durante il sonno o di
avere visioni notturne e di vedere dormendo cose che da sveglio non
aveva mai visto? Chi può essere tanto ottuso o sciocco da credere che
tutte queste cose che accadono nello spirito avvengano anche nel
corpo?»
(Canon episcopi,
X secolo) a dire quattrocento
anni dopo: «Stringono un patto con la morte e con l’inferno, fanno sacrifici ai
diavoli, li adorano, fabbricano e fanno fabbricare immagini, anelli o
specchi o ampolle e qualsiasi altra cosa per legare magicamente a sé
i diavoli, ad essi chiedono responsi. O quanto dolore! Un tale morbo
pestifero si diffonde per il mondo più ampiamente, contagia sempre più
gravemente il gregge di Cristo»
(Giovanni XXII,
Super illius specula,
1326). Il primo testo è tratto dal Canon
Episcopi, scritto da Reginone di Prum
nel X secolo. E che contiene un insieme di istruzioni che entrarono a far
parte del diritto canonico della Chiesa nel XII secolo. In quest’opera
si prendono in considerazione alcune pratiche e credenze: i sabba non
erano fatti reali, ma allucinazioni, incubi, senza alcun nesso con la
realtà. Le donne che
partecipano al sabba sono accusate di miscredenza e di indurre altri
nello stesso errore. Come si vede, l’atteggiamento verso le streghe
è colto: «Lo spirito malvagio spinge, con il permesso di Dio, la sua malizia a tal
punto che qualcuno crede
falsamente reale ed esteriore ciò che avviene in immaginazione
e per errore. è
così che dicono che che una Erodiade convoca delle
assemblee notturne dove si banchetta e i bambini sono sacrificati e
divorati. Chi sarà così cieco da non vedere che si tratta di una
pura illusione dei demoni? Non bisogna dimenticare che le persone che
arrivano a credere ciò sono delle povere donne o persone semplici e
credule»
(Jean de Salisbury, vescovo di Chartres,
1181). Ciò che prevale in
questi testi è l’atteggiamento degli uomini colti che guardano con
disprezzo le dicerie popolari. La credenza nelle striges e nelle
signore della notte, che si riunivano in congreghe notturne in cui si banchettava con bambini, era molto forte
nell’Europa rurale e l’elite colta le considerò per lungo tempo
illusioni di povere donnette credulone. Quando però anche l’intellighentia
cominciò a convincersi che tali attività non esistessero solo nei
sogni ma avessero un fondamento reale, le stesse donne credulone per
cui prima si prevedevano pene di lieve entità (40 giorni di
penitenza) finirono su tutti i roghi d’Europa. Il cambiamento di
mentalità è ben visibile nella bolla Super illius specula di
Giovanni XXII del «Stringono un patto con la morte e con l’inferno, fanno sacrifici ai diavoli, li adorano, fabbricano e fanno fabbricare immagini, anelli o specchi o ampolle e qualsiasi altra cosa per legare magicamente a sé i diavoli, ad essi chiedono responsi. O quanto dolore! Un tale morbo pestifero si diffonde per il mondo più ampiamente, contagia sempre più gravemente il gregge di Cristo» (Giovanni XXII, Super illius specula, 1326). Nella bolla del 1326, emanata per estirpare la stregoneria, le pene previste per i maghi e le streghe sono
identiche a quelle imposte agli eretici: la morte per impiccagione, il
rogo del cadavere e la confisca dei beni. Sempre lo stesso pontefice,
allora residente ad Avignone, non ha scrupoli a trascinare in giudizio
nel 1318 un gran numero di esponenti della corte papale, sotto
l'accusa di praticare riti magici, e a sottoporli a torture e nel
condannare al rogo. Nel 1317 il vescovo di Cahors, Hugues Geraud, era
stato arrestato per aver attentato alla persona del papa con veleni e
pozioni, venne interrogato da Giovanni XXII per sette volte e alla
fine crollò. Tuttavia tutta questa presa di posizione contro il
maleficium deve essere inquadrata in un’attività politica di
soppressione degli avversari, se è vero che anche il ghibellino
Matteo Visconti fu accusato dal papa di aver tentato di ucciderlo con
pupazzi di cera e di avere degli affari segreti col diavolo; lo stesso
fece coi capi ghibellini di Ancona, accusati di avere un demone
privato che li consigliava su ogni cosa in cambio dell’adorazione. I processi si risolsero con un niente di fatto, perché le commissioni di cardinali nominate dal papa per giudicare il vescovo di Cahors dimostrarono che tutte le prove provenivano da un testimone corrotto. Ma è sintomatico che l’accusa rivoltagli non fosse solo di eresia, ma anche di maleficia: a partire dal XVI secolo, l’inquisizione che fino ad allora aveva avuto l’obbligo di occuparsi solo di eretici, fu autorizzata e incoraggiata a procedere contro coloro che praticavano magia [4]. Nel 1329 l’inquisitore di Carcassone condannò un monaco al carcere a vita a pane e acqua per aver cercato di possedere donne con la magia, offrendo a Satana pupazzi di cera con la sua saliva e sangue di rospi. Il processo durò molti anni, nessuna prova concreta venne trovata e lo stesso imputato ritrattò la confessione. In questi processi, l’accusa principale era eresia anche se il
maleficium comincia ad acquistare sempre più spazio. è
il
passaggio intermedio verso la caccia la follia collettiva della caccia
alle streghe, dove non solo la magia era considerata vera e reale, ma
agli accusati veniva imputato di far parte a una setta di streghe
devota ed emissaria di Satana. Nel 1486 non si parla più solo di eresia o maleficium, ma nel Malleus
maleficarum, testo che divenne ben presto il manuale degli
inquisitori, compare anche il nome di strega: «Prescriviamo e ordiniamo, chiediamo sotto forma di ordine e ingiungiamo
quanto segue…Si conti fino a circa dodici giorni a partire da oggi
[…] affinché ci venga rivelato se qualcuno abbia saputo, visto
o sentito dell’esistenza di una persona eretica o di una strega, per diceria o per sospetto, in particolare se
si tratta di persone che pratichi cose tali da nuocere agli uomini,
alle bestie o ai frutti
della terra e che possa
nascondere un danno per lo
stato
[…]
se costui non obbedirà
[…]sappia che sarà trafitto dalla
spada della scomunica
[…]
Il giudice aggiungerà le pene temporali…
1 Un episodio che sa di bibliomanzia viene narrato da Sant'Agostino nelle Confessioni a proposito della sua conversione: mentre era raccolto in meditazione, gli parve di udire voci di bimbi che, giocando all'esterno, dicevano tolle, lege ("prendi e leggi"). A quel punto, avrebbe aperto a caso un libro che aveva con sé e gli occhi gli sarebbero caduti sulla frase di San Paolo: "Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri" (Lettera ai Romani 13, 13-14). La lettura di questa frase sarebbe stata decisiva per la sua decisione di convertirsi. Analogamente,
nella biografia di San Francesco scritta da San Bonaventura, si
tramanda che quando il suo primo seguace, Bernardo da Quintavalle
volle accostarsi ad una vita secondo 1. Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri. 2. Non portate niente durante il viaggio. 3. Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Questi tre passi sarebbero quindi stati alla base della regola di San Francesco. 2
Un’attività intensissima si ebbe
soprattutto tra il XVI e il XVII secolo, per frenare la riforma
protestante in Europa. La nuova inquisizione Romana, istituita da papa
Paolo III con la bolla “Licet ab initi” del 1542, aveva tra i suoi
compiti anche quello di controllare la produzione, la vendita e la
diffusione degli stampati: il primo indice dei libri proibiti fu
compilato nel 1558 sotto il pontificato di Paolo IV. Vi erano
elencate, tra l’altro, 45 edizioni proibite della Bibbia e del Nuovo
Testamento e i nomi di 61 stampatori responsabili della pubblicazione
di libri eretici. Persino il Concilio di Trento, pur pronunciandosi
apertamente sulla lettura della Bibbia, compose un catalogo di libri
di cui veniva proibita 3 Atti del processo postumo fatto istituire de Filippo il Bello contro Bonifacio VIII in quanto eretico, apostata e criminale. 4 Giovanni XXII, forse temendo il potere del tribunale, pose, poi, delle restrizioni all’inquisizione. |
©2007 Linda Cavadini