Sei in: Mondi medievali ® Medievalia ® Mondo magico


di Linda Cavadini

Parte prima

 

Il processo ad una strega.

    

La civiltà medievale, forse più di qualunque altra, ma anche la nostra non mi pare immune, ha subito il fascino di tutto ciò che riguardava il meraviglioso e lo stupefacente. I confini tra natura e soprannaturale erano troppo labili. L’uomo e la natura, del resto, erano la prima manifestazione di Dio, ma il meraviglioso poteva facilmente essere opera diabolica, un’illusione prodotta da satana per ingannare l’uomo. Il demonio poteva creare qualcosa di magico, che apparteneva al suo dominio, attraverso i tramiti umani o i membri della sua vasta schiera di demoni.

Le meraviglie dovute alla magia, le meraviglie diaboliche, erano difficili da distinguere dai miracoli veri e propri e soprattutto dalle meraviglie naturali create da Dio o col consenso di Dio. Ecco perché dunque il termine magia si carica di due valenze diametralmente opposte: opera di satana e opera concessa da Dio, contatto tra la terra e il cielo. Questa idea è ben espressa da Pico della Mirandola che, parlando dell’alchimia, afferma:

«La magia studia quel legame dell’universo che i greci chiamano simpatia, che approfondisce la comprensione dell’essenza delle cose e fa uscire dal grembo della terra occulti miracoli. Come il contadino unisce la vite all’olmo, così colui che coltiva l’arte magica, unisce la terra al cielo e mette in contatto il mondo inferiore con le forze del mondo superiore» (Pico della Mirandola).

Nel Medioevo la realtà occulta del male non era messa in dubbio da nessuno; le streghe e il diavolo esistevano veramente, l’unica cosa da definire era se credessero, per inganno diabolico, di fare ciò che facevano o se lo facessero sul serio. Compiere il male era per gli uomini un atto volontario che rendeva lo stregone complice del Tentatore.

   

LA MAGIA MEDIEVALE

La magia è sia una teoria del mondo sia un insieme di formule operative. Per il pensiero magico la realtà è sempre duplice, apparente e reale. Esiste un mondo fatto di impulsi, influssi, repulsioni:  il mago conosce questi segreti e li utilizza in modo illimitato: quindi la magia non può che prevedere un insieme di formule, indicazioni operative rituali, pratiche per realizzare la volontà del mago.

I termini utilizzati per identificare gli operatori magici possono essere illuminanti per capire la complessità del problema: alchimista, mago, strega. Se il mago alchimista è colui che cerca di interpretare la natura, sorta di medico filosofo scienziato e naturalista,e ha, dunque, una accezione positiva, mago è anche l’operatore dell’occulto e del maligno. I lemmi strega e lo stregone hanno, invece, valenza solo negativa: sono sottoposti a Satana, emissari del demonio, membri di una setta occulta che mira a sovvertire l’ordine e l’armonia del mondo, garantite dalla Chiesa.

Nel Medioevo si stabilì la divisione della magia in due grandi rami naturale e demonica o cerimoniale, ulteriormente divisa nel XVII sec. in magia divina, teurgia e magia goetica. La magia divina chiedeva a Dio la potenza, quella teurgica si affidava all’azione degli angeli benefici, quella goetica era la più terribile, e prese il nome di nera, perché si rivolgeva ai demoni più potenti e crudeli.

La Chiesa avrebbe guardato sempre con disprezzo l’arte magica al punto che già nel concilio di Laodicea del 366 d.C. si dice:

«I sacerdoti e tutti i membri del clero non devono dedicarsi agli incantesimi, né alle scienze mediche, né all’astrologia».

A lungo la Chiesa lottò contro una forma di divinazione ben presente anche nel clero, la bibliomanzia [1]. Secondo tale pratica era possibile ottenere risposte consultando direttamente il testo: l’indovino poneva la domanda, chiudeva gli occhi e apriva a caso il libro indicandone un punto preciso col dito. Anche per questo motivo, insieme alla paura di un’interpretazione personale e erticale del testo sacro, nel XIII secolo la Chiesa Cattolica con il Concilio di Tolosa (1229) decretò la proibizione per i laici di possedere copia della Bibbia. Nel 1234 il Concilio di Tarragona ordinò che tutte le versioni della Bibbia nelle lingue parlate venissero, entro otto giorni, consegnate ai vescovi per essere bruciate! Divieti simili furono emanati in tutta Europa da vescovi e da Concili provinciali fino al XVII secolo [2]

Il divieto a praticare formule magiche o a credere nel potere di piegare la natura è esteso anche ai laici: così impone il concilio di Braga, circa due secoli dopo:

«Chiunque creda che il diavolo, poiché ha fatto certe cose nel mondo, possa anche produrre il tuono, i fulmini, le tempeste e la siccità, come insegna Priscilliano sia scomunicato» (Concilio di Braga, 563 d.C).

Tuttavia nessuno sembra immune al fascino del mistero, se anche un dottore della chiesa come Alberto Magno pare dà credibilità all’impiego di formule e rituali nella vita quotidiana:

«A voler sapere se la donna giace con altri che con il marito, piglia questa pietra detta Bellerites, la quale si trova in Libia ed in Britannia ed è di più colori cioè nera e rossa e trovasi di colore glauco tendente al pallido, cura gli idropici e quelli che buttano li denti. Conferma e dice Avicenna che questa pietra tritata e lavata sarà data ad alcuna donna da bere, se la donna non è vergine subito orinerà, se la darà a vergine, non sarà quello» (De virtutibus herbarum animalium et lapidum).

E lo stesso papa Bonifacio VIII, più tardi nel 1310, venne accusato, nel processo postumo per eresia, di avere un proprio demone privato:

«Egli possiede un demone privato, dal quale accetta consigli su tutto» [3].

Bonifacio VIII.

Secondo le accuse sembra che il  papa possedesse anche altri due demoni, uno donatogli da una donna italiana, un altro, più potente, da un ebreo ungherese. Inoltre portava con sé uno spirito racchiuso in un anello-talismano che portava al dito; molti cardinali avevano osservato che quel gioiello sembrava riflettere a volte un uomo, a volte un animale.

Dunque tutti, a qualsiasi classe sociale appartenessero, subivano il fascino della magia, ed erano spinti dal desiderio di potere piegare gli eventi  e di prevedere il futuro. Tuttavia, proprio perché si rivolgeva a individui diversi, sono diversi i tipi di magia rituale praticata nel Medioevo.

   

L’ALCHIMIA

L’alchimia ha una data di nascita: 11 febbraio 1144, data della traduzione del trattato di alchimia arabo Liber de composizione alchimiae, attribuito a un eremita cristiano di Alessandria, che raccolse nelle sue opere le conversazioni sull’alchimia tenute col principe Khalid ibn Yazid.

Il termine alchimia deriva dall'arabo al-kimiya o al-khimiya (الكيمياء o الخيمياء), che è probabilmente composto dall'articolo al- e la parola greca khymeia (χυμεία) che significa "fondere", "colare insieme", "saldare", "allegare", ecc. (da khumatos, "che è stato colato, un lingotto"). Secondo un'altra etimologia la parola deriva da Al Kemi, che significa "l'arte egizia", dato che gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il mondo antico. Il vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa "succo per fare l'oro".

I primi cultori di alchimia furono in maggior parte ecclesiastici; ma  certo non tutti quelli che vennero chiamati alchimisti lo furono davvero. è innegabile che molti di quelli che si interessarono di alchimia appartennero a ordini religiosi importanti: erano francescani Frate Elia da Cortona e Ruggero Bacone, domenicani furono, invece, Vincenzo di Beauvais, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino.

Per i domenicani l’alchimia era una teoria scientifica che descriveva la genesi del reale, ma che consentiva continue verifiche della dottrina. Per i francescani invece era un progetto che favoriva la redenzione universale e la trasformazione spirituale: i metalli, infatti, erano simboli della condizione umana di peccatori che doveva essere purificata tramite il fuoco della fede.

L’alchimia era considerata una scienza, era insegnata anche nelle università. Alberto Magno, frate domenicano e grande filosofo, Magister alla Sorbona dal 1245, soleva tenere conferenze sull’alchimia all’aperto, in una pubblica piazza che porta ancora oggi il suo nome, la Place Maubert , poiché non c’era aula capace di contenere le folle enormi che prendevano letteralmente d’assalto le sue lezioni.

Se l’alchimia fu coltivata in ogni centro culturale, tuttavia, fu spesso un’attività da scrittoio, una trascrizione erudita di testi.

Nel suo testo De alchimia, Alberto Magno scrive:

«L’alchimista sarà discreto e silenzioso; non rivelerà ad alcuno risultati delle sue operazioni.

Abiterà lontano dagli uomini, in una casa isolata nella quale disporrà di una o di due camere, esclusivamente destinate alle sue operazioni.

Sceglierà i tempi delle sue operazioni.

Sarà paziente, assiduo e perseverante.

Eseguirà, secondo le regole dell’arte, la triturazione, la sublimazione, la fascinazione, la calcinazione, la soluzione, la coagulazione e la distillazione.

Non utilizzerà vasi di vetro o di ceramica smaltata.

Sarà abbastanza ricco da comprare quanto serve alle sue operazioni.

Eviterà, infine, di avere alcun rapporto con principi e signori».

L’alchimista è al servizio della scienza e della conoscenza, non è il mago di corte, continua infatti Alberto Magno:

«Se tu hai la sfortuna di introdurti presso i principi e re, essi non cesseranno di domandarti: “Ebbene, maestro, come va l’opera? Quando vedremo qualcosa di buono?”. E nella loro impazienza di aspettare la fine, ti accuseranno di essere falso, imbroglione e ti procureranno ogni sorta di amarezze».

L'alchimia in una miniatura e, a destra, il laboratorio dell'alchimista.

Come si vede, l’alchimia non è, almeno nelle intenzioni degli autori, in contrasto con il cristianesimo e con la Chiesa. In tutte le opere alchemiche scritte tra il XIII e il XV secolo la purezza spirituale è considerata l’unico modo per ottenere la grazia della trasformazione alchemica. Nei trattati d’alchimia il cristianesimo è il centro della creazione e della storia umana. Tutti i testi proclamano l’adesione all’autentico messaggio evangelico, il ritorno alla semplicità e spiritualità, la rinuncia al potere e alle ricchezze. Molti alchimisti, dunque, condannavano la corruzione della curia e profetizzavano la venuta dell’Anticristo come conseguenza della brama di potere della curia papale. Forse a seguito di questo la Chiesa cominciò a irrigidirsi verso l’alchimia nel 1272 il capitolo di Barbona proibì ai francescani di praticare l’alchimia; nel 1273 i domenicani di Postt ebbero il medesimo divieto, che tocco ai domenicani italiani nel 1313. Nel 1323 i domenicani parigini vietarono l’insegnamento dell’alchimia alla Sorbona, e ordinarono di bruciare pubblicamente testi eretici.

La persecuzione divenne totale nel 1376 quando il directorium inquisitorum domenicano considerò l’alchimia abominevole come la magia, la stregoneria e la negromanzia.

   

LA MAGIA RITUALE

Con il termine magia rituale si intendono le pratiche concrete della magia; tuttavia l’insieme è molto grande e comprende i due grandi sottoinsiemi quello positivo della magia naturale (teurgia e divina) e quello negativo della magia nera o geotia. La Magia rituale evoca forze e ed energie particolari e i Grimori rappresentavano le "istruzioni" per condurre le evocazioni magiche in tutta sicurezza. A seconda del tipo di forze evocate, si può fare una distinzione tra Teurgia per evocazioni di Magia Bianca (angelica) e Goetia per evocazioni di Magia Nera (diabolica).

La magia naturale chiedeva a Dio la potenza: il mago naturale era un adoratore di Dio, grazie al quale agiva e di cui vedeva il riflesso nel creato. Essa cercava negli angeli e in Dio la potenza per realizzare opere che non fossero peccato; non voleva piegare Dio al suo volere ma essere da aiutato nell’indagine della natura. Ecco che il mago per preparare la sua veste invocava Dio:

«O Padre creatore, anima delle stelle, somma sapienza, per tutte le tue potenze e virtù, degnati di santificare questa veste, preparata in tuo onore. Ti esorcizzo, veste per amore del Dio vero, per il Dio vivo ed eterno, che tutto creò dal nulla, e che nulla sia della mia opera impuro, ma ricco di virtù».

Tutto il creato, in quanto emanazione di Dio, aveva in sé il potere di curare. In tal senso è emblematica la figura di Alberto Magno, morto nel 1280 e divenuto santo e dottore della chiesa nel 1931: era un intellettuale coltissimo eppure non aveva il minimo dubbio sulle occulte proprietà delle erbe, delle pietre e degli animali.

In un libro, erroneamente a lui attribuito ma che ben rappresenta il clima dell’epoca, è contenuto uno dei primi ricettari magici. Ecco cosa suggerisce per pacificare le tempeste e passare ogni corrente del fiume:

«Piglia la pietra detta corallo ed è di due colori: rosso e bianco, ed è esperimentato portato addosso restringe il sangue e scaccia la stultizia e aumenta la sapienza e vale contro gli pericoli della tempesta e del fiume».  

Anche il mago teurgico poteva invocare demoni, ma l’evocazione avveniva in nome di Dio e l’uomo si rimetteva al volere e desiderio divino:

«Ti scongiuro, Acham, per l’immagine e la sembianza di nostro Signore che con la sua passione e morte ha riscattato il genere umano! Voglio, in nome della sua provvidenza che tu sia qui all’istante».

Tutti i libri di magia sottolineano che in un’operazione magica non si hanno prospettive di successo a meno che il mago non adori Dio e non creda nella sua bontà. evocare un demone è possibile solo se concesso da chi li creò tutti.

   

LA MAGIA NERA

Al centro della magia demoniaca c’è la fede nell’inarrestabile potere delle parole: i demoni non dovevano essere adorati, ma dominati e comandati. Il mago si erge al di sopra di Dio, chiede aiuto alle potenze diaboliche per i propri interessi. I demoni sono solo strumenti di potere.

La magia nera è contro la Chiesa, opposta ad essa, è rovesciamento della fede cristiana.

L’evocazione dei morti, ad esempio, avviene durante la notte di Natale; nel suo rito il magi china la testa verso terra e invoca i morti:

«Risorgano i morti e vengano a me!».

«Potenze infernali, voi che portate il turbamento in tutto l’universo, lasciate la vostra cupa dimora e andate di là dallo Stige!».

Uno dei testi base dell’evocazione demoniaca è attribuito a re Salomone: La chiave di re Salomone o Clavicula. Il libro comincia con un avvertimento ai possessori, perché non diffondano ciò che vi è contenuto a coloro che sono indegni. Poi ci sono gli elenchi delle influenze dei pianeti sui riti magici, le ore ed i giorni migliori per compiere opere di magia. Seguono istruzioni per la preparazione dei paramenti magici da usarsi durante la cerimonia (tunica, calzari, corona) e su come si fa il cerchio magico, indispensabile per proteggersi durante le evocazioni. Occorre che il mago si tuteli contro le possibili interferenze dei demoni recitando una speciale orazione.

A questo punto il mago è pronto per la formula evocatoria; gli spiriti evocati avranno forme straordinarie ed impressionanti, ma il mago non si perderà d'animo ed esporrà loro la sua richiesta, dopo di che gli spiriti verranno congedati ed il mago potrà uscire senza pericolo dal cerchio.

Per proteggersi e per convincere più prontamente gli spiriti, l'operatore fabbricherà dei Pentacoli, figure magiche che incutono terrore ai demoni e li convincono ad obbedire al mago. Gli spiriti da evocare sono diversi a seconda delle richieste; la Clavicula riporta formule che permettono di portare alla luce tesori nascosti, separare gli amanti, annientare i nemici, conquistare l'amore, fare carriera, compiere incantesimi, volare magicamente, rendersi invisibili e conoscere cose nascoste. Il mago, segnato il circolo magico come nella Clavicula, disegnerà in più un triangolo fuori dal circolo, con nomi magici; altre figure magiche vanno tracciate all'interno del cerchio. Quando il mago è pronto, pronuncia la formula di evocazione e lo spirito compare all'interno del triangolo. Il mago mostra allo spirito un pentacolo e gli comanda di fare qualcosa; alla fine congeda lo spirito. Va ricordato che il congedo è molto importante per evitare al mago danni gravissimi. Gli spiriti appaiono sempre, perché il mago conosce il segreto dei loro sigilli.

Nei testi magici si elencano più di settantadue demoni che possono essere invocati, diciotto dei quali sono re, ventisei duchi, gli altri marchesi, presidenti e conti; quattro demoni hanno un titolo doppio. Bisogna fare molta attenzione ai titoli: la gerarchia infernale va seguita con scrupolo, perché i diavoli tengono moltissimo alle loro qualifiche.

Negli atti del processo a Bonifacio VIII, di cui si è già detto, si dice:

«Il testimone vide il signor Benedetto uscire in un giardino adiacente al palazzo, disegnare un cerchio con la spada, mettersi al centro, tirar fuori un gallo, ucciderlo e gettare il sangue sul fuoco. Dalla miscela di sangue e fuoco uscì un gran fumo mentre il signor Benedetto leggeva un libro e evocava i demoni» (Dagli atti del processo postumo a Bonifacio VIII, 1310-1311).

Il demone viene evocato per conoscere il futuro o per fare del male agli altri, attraverso un rituale preciso. Dopo l’elezione a papa di Celestino V, ad esempio, secondo i testimoni del processo postumo, Bonifacio, in collera, si chiuse nelle sue stanze. Mentre la stanza si riempiva di fumo, i suoi servi lo sentirono gridare: «Perché mi hai ingannato?», e una triplice voce rispose: «Questa volta era impossibile, il tuo papato deve venire da noi, tu non devi essere un papa vero, legale. Arriverà presto».

Seppure si tratti di false accuse, in un processo schiettamente politico (Filippo il Bello aveva bisogno che la bolla papale della sua scomunica, emessa da Bonifacio, fosse revocata e il successore di Bonifacio, Clemente V, era un pupazzo nelle sue anni), illustrano bene quanto fosse popolare la magia e soprattutto la geotia presso le classi sociali più alte.

   

LA MAGIA DELLA VITA QUOTIDIANA

Vi sono un paio di testi che descrivono il ruolo della magia nella vita quotidiana: il manoscritto di Wolfsthurn (Tirolo) e un manuale di magia nera conservato a Monaco (Baviera), entrambi del XV secolo. Vi sono descritti i gravi problemi che assillavano la vita della gente: malattie, le calamità che colpivano i campi coltivati, i topi che infestavano le cantine e le abitazioni, e sono riportate "ricette", rimedi a malanni vari, modi per conciare le pelli, per fabbricare il sapone, l'inchiostro..., ricette per certi decotti che dovevano curare febbri o malattie. Queste ricette contengono molti elementi di superstizione e magia: sulle foglie che andavano nel decotto si scrivevano invocazioni alla Trinità, a Dio, ai santi; una data invocazione o un dato procedimento doveva essere ripetuto tre volte tre o sette volte sette (ad una data ora, in certe posizioni, rivolti da una certa parte, indossando una certa cosa,...); per curare il mal di denti si doveva porre una scritta sulla guancia che richiama Gesù, o Pace, o Dio. Allo stesso modo per curare i dolori dovuti alle mestruazioni si deve scrivere su un foglietto "per Lui, con Lui e in Lui" e mettere tale foglietto nei capelli della donna. Per curare l'epilessia, considerata malattia del demonio, si deve legare una fettuccia di pelle di daino intorno al collo della persona colpita, poi parole magiche ancora legate a Trinità, Dio, Spirito Santo, quindi si brucia la fettuccia insieme al cadavere di un animale o persona morta; in questo modo si brucia la malattia e la si relega nel mondo dei morti. Vi sono anche delle vere e proprie formule strane accoppiate ai soliti nomi della Trinità: una di queste formule prevede il copiare sul corpo di un malato le seguenti lettere "P.N.B.C.P.X.A.O.P.I.L." che non si sa proprio cosa vogliano dire. Altra formula, misto di latino e greco completamente deformati, doveva essere sussurrata all'orecchio del malato:

«Amara Tonta Tyra post hos firabis ficaliri Elypolis starras poly polyque lique linarras buccabor uel barton vel Titram celi massis Metumbor o priczoni Jordan Ciriacus Valentinus».

Vi è poi la cura dell'invasato attraverso tre rami di ginepro bagnati tre volte (per la solita Trinità ) nel vino rosso, poi farli bollire e metterli sulla testa del povero disgraziato.

I richiami alla Trinità rendono tutte queste pratiche accette o comunque non troppo perseguitate dalla Chiesa, anche se nelle prediche è costante la condanna verso chi si affida alla magia e alla superstizione, come ben si legge nelle prediche di Umberto de Romans.

«Alle donne povere, dei piccoli villaggi. Si noti che di solito queste donne sono molto favorevoli ai sortilegi per sé, per alcune particolari circostanze, per i figli ammalati, per proteggere i loro animali dai lupi e cose simili. Fra questo tipo di donne che credono facilmente a tal cose e in questo sono simili a Eva.[…] Ce ne sono altre che fanno queste divinazioni a scopo di lucro.[…] La donna non deve dedicarsi ai sortilegi, che sono forme di miscredenza, ma deve essere fedele» (Umberto da Romans, Prediche alle donne, secolo XIII).

Il divieto non colpisce solo le donne ma ogni cristiano, come afferma Tommaso d’Aquino:

«Ai cristiani è vietato dedicarsi a osservazioni o incantesimi raccogliendo erbe chiamate medicinali, eccetto che sotto la salvaguardia del Simbolo divino e del pater noster» (Tommaso d’Aquino, Secunda secundae).

Tuttavia il confine non è netto, lo stesso Tommaso ammette l’utilizzo di erbe dietro la salvaguardia del simbolo divino, il che significava segnare la croce sul decotto prima di prepararlo. Che la croce avesse poteri miracolosi era vera fede e, al contempo, superstizione, come appare in questo testo dell’alto medioevo:

«Il segno della croce, tracciato in mezzo alla fronte, assicura la salute di tutto il bestiame. Quindi Dio è chiamato a giusto titolo il salvatore Onnipotente. La morte funesta si allontana dall’armento. Se vuoi pregare Dio, basta credere. è la fede la parole che aiuta» (Canto bucolico sulla morte dei buoi).

   

CHIESA E MAGIA: I PRECETTI

è bene ora indagare sul progressivo irrigidirsi della Chiesa nei confronti della magia, vista prima come credenza e poi come esistenza, come pratica che non solo metteva in dubbio il reale potere della Chiesa, ma che attentava alla salvezza umana. E, purtroppo, tutto ciò che attenta alla salvezza delle anime venne passato per il fuoco.

Cosa che portò la stessa Chiesa che nel IX secolo scriveva:

«Perciò nelle chiese a loro affidate i sacerdoti devono costantemente predicare al popolo di Dio che queste cose sono completamente false.[…] A chi, infatti, non è mai successo,di uscire da sé durante il sonno o di avere visioni notturne e di vedere dormendo cose che da sveglio non aveva mai visto? Chi può essere tanto ottuso o sciocco da credere che tutte queste cose che accadono nello spirito avvengano anche nel corpo?» (Canon episcopi, X secolo)

a dire quattrocento anni dopo:

«Stringono un patto con la morte e con l’inferno, fanno sacrifici ai diavoli, li adorano, fabbricano e fanno fabbricare immagini, anelli o specchi o ampolle e qualsiasi altra cosa per legare magicamente a sé i diavoli, ad essi chiedono responsi. O quanto dolore! Un tale morbo pestifero si diffonde per il mondo più ampiamente, contagia sempre più gravemente il gregge di Cristo» (Giovanni XXII, Super illius specula, 1326).

Il primo testo è tratto dal Canon Episcopi, scritto da Reginone di Prum nel X secolo. E che contiene un insieme di istruzioni che entrarono a far parte del diritto canonico della Chiesa nel XII secolo. In quest’opera si prendono in considerazione alcune pratiche e credenze: i sabba non erano fatti reali, ma allucinazioni, incubi, senza alcun nesso con la realtà.

Le donne che partecipano al sabba sono accusate di miscredenza e di indurre altri nello stesso errore. Come si vede, l’atteggiamento verso le streghe è colto:

«Lo spirito malvagio spinge, con il permesso di Dio, la sua malizia a tal punto che qualcuno crede falsamente reale ed esteriore ciò che avviene in immaginazione e per errore. è così che dicono che che una Erodiade convoca delle assemblee notturne dove si banchetta e i bambini sono sacrificati e divorati. Chi sarà così cieco da non vedere che si tratta di una pura illusione dei demoni? Non bisogna dimenticare che le persone che arrivano a credere ciò sono delle povere donne o persone semplici e credule» (Jean de Salisbury, vescovo di Chartres, 1181).

Ciò che prevale in questi testi è l’atteggiamento degli uomini colti che guardano con disprezzo le dicerie popolari. La credenza nelle striges e nelle signore della notte, che si riunivano in congreghe notturne in cui si banchettava con bambini, era molto forte nell’Europa rurale e l’elite colta le considerò per lungo tempo illusioni di povere donnette credulone. Quando però anche l’intellighentia cominciò a convincersi che tali attività non esistessero solo nei sogni ma avessero un fondamento reale, le stesse donne credulone per cui prima si prevedevano pene di lieve entità (40 giorni di penitenza) finirono su tutti i roghi d’Europa.

Il cambiamento di mentalità è ben visibile nella bolla Super illius specula di Giovanni XXII del 1326 in cui il papa prende duri provvedimenti contro quelli che

«Stringono un patto con la morte e con l’inferno, fanno sacrifici ai diavoli, li adorano, fabbricano e fanno fabbricare immagini, anelli o specchi o ampolle e qualsiasi altra cosa per legare magicamente a sé i diavoli, ad essi chiedono responsi. O quanto dolore! Un tale morbo pestifero si diffonde per il mondo più ampiamente, contagia sempre più gravemente il gregge di Cristo» (Giovanni XXII, Super illius specula, 1326).

Nella bolla del 1326, emanata per estirpare la stregoneria, le pene previste per i maghi e le streghe sono identiche a quelle imposte agli eretici: la morte per impiccagione, il rogo del cadavere e la confisca dei beni. Sempre lo stesso pontefice, allora residente ad Avignone, non ha scrupoli a trascinare in giudizio nel 1318 un gran numero di esponenti della corte papale, sotto l'accusa di praticare riti magici, e a sottoporli a torture e nel condannare al rogo. Nel 1317 il vescovo di Cahors, Hugues Geraud, era stato arrestato per aver attentato alla persona del papa con veleni e pozioni, venne interrogato da Giovanni XXII per sette volte e alla fine crollò. Tuttavia tutta questa presa di posizione contro il maleficium deve essere inquadrata in un’attività politica di soppressione degli avversari, se è vero che anche il ghibellino Matteo Visconti fu accusato dal papa di aver tentato di ucciderlo con pupazzi di cera e di avere degli affari segreti col diavolo; lo stesso fece coi capi ghibellini di Ancona, accusati di avere un demone privato che li consigliava su ogni cosa in cambio dell’adorazione.

I processi si risolsero con un niente di fatto, perché le commissioni di cardinali nominate dal papa per giudicare il vescovo di Cahors dimostrarono che tutte le prove provenivano da un testimone corrotto. Ma è sintomatico che l’accusa rivoltagli non fosse solo di eresia, ma anche di maleficia: a partire dal XVI secolo, l’inquisizione che fino ad allora aveva avuto l’obbligo di occuparsi solo di eretici, fu autorizzata e incoraggiata a procedere contro coloro che praticavano magia [4].

Nel 1329 l’inquisitore di Carcassone condannò un monaco al carcere a vita a pane e acqua per aver cercato di possedere donne con la magia, offrendo a Satana pupazzi di cera con la sua saliva e sangue di rospi. Il processo durò molti anni, nessuna prova concreta venne trovata e lo stesso imputato ritrattò la confessione.

In questi processi, l’accusa principale era eresia anche se il maleficium comincia ad acquistare sempre più spazio. è il passaggio intermedio verso la caccia la follia collettiva della caccia alle streghe, dove non solo la magia era considerata vera e reale, ma agli accusati veniva imputato di far parte a una setta di streghe devota ed emissaria di Satana.

Nel 1486 non si parla più solo di eresia o maleficium, ma nel Malleus maleficarum, testo che divenne ben presto il manuale degli inquisitori, compare anche il nome di strega:

«Prescriviamo e ordiniamo, chiediamo sotto forma di ordine e ingiungiamo quanto segue…Si conti fino a circa dodici giorni a partire da oggi […] affinché ci venga rivelato se qualcuno abbia saputo, visto o sentito dell’esistenza di una persona eretica o di una strega, per diceria o per sospetto, in particolare se si tratta di persone che pratichi cose tali da nuocere agli uomini, alle bestie o ai frutti della terra e che possa nascondere un danno per lo stato […] se costui non obbedirà […]sappia che sarà trafitto dalla spada della scomunica […] Il giudice aggiungerà le pene temporali…» (Malleus maleficarum, III parte, questione I, 1486).

   

Il testo è diviso in tre parti: 1) l’esistenza delle streghe e le loro azioni tipiche; 2) come le streghe compiono le stregonerie e come eliminarle; 3) l’azione giudiziaria, sia nel foro ecclesiastico che civile, contro gli stregoni e tutti gli eretici.

Gli autori, Kramer e Sprenger furono domenicani e inquisitori di grande potere in Germania, con loro siamo già in un clima di persecuzione e di paura verso la setta demoniaca ed eversiva delle streghe.

A partire dal Cinquecento, quindi, il termine strega si sarebbe caricato di tante stratificazioni, tali da giustificarne la persecuzione:

  • Anzitutto la strega esiste, e il suo patto col diavolo è concreto, quindi deve essere concretamente eliminata.

  • è oppositrice della chiesa adoratrice del demonio e come tale idolatra ed eretica, quindi va bruciata.

  • Conosce la magia rituale e la usa per fare del male agli altri è quindi omicida: essendo un pericolo sociale deve essere eliminata

  • Vuole sovvertire l’ordine costituito per glorificare il suo signore Satana, è apostata e quindi, in nome dell’ordine deve essere uccisa per dare l’esempio.

Il Malleus maleficarum in un'edizione del 1669.

  


1  Un episodio che sa di bibliomanzia viene narrato da Sant'Agostino nelle Confessioni a proposito della sua conversione: mentre era raccolto in meditazione, gli parve di udire voci di bimbi che, giocando all'esterno, dicevano tolle, lege ("prendi e leggi"). A quel punto, avrebbe aperto a caso un libro che aveva con sé e gli occhi gli sarebbero caduti sulla frase di San Paolo: "Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri" (Lettera ai Romani 13, 13-14). La lettura di questa frase sarebbe stata decisiva per la sua decisione di convertirsi.

Analogamente, nella biografia di San Francesco scritta da San Bonaventura, si tramanda che quando il suo primo seguace, Bernardo da Quintavalle volle accostarsi ad una vita secondo la regola di Francesco, quest'ultimo, per conoscere la volontà divina in proposito avrebbe aperto a caso tre volte i Vangeli (in onore della Trinità), imbattendosi nei tre passi seguenti :

1. Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri.

2. Non portate niente durante il viaggio.

3. Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.

Questi tre passi sarebbero quindi stati alla base della regola di San Francesco

2  Un’attività intensissima si ebbe soprattutto tra il XVI e il XVII secolo, per frenare la riforma protestante in Europa. La nuova inquisizione Romana, istituita da papa Paolo III con la bolla “Licet ab initi” del 1542, aveva tra i suoi compiti anche quello di controllare la produzione, la vendita e la diffusione degli stampati: il primo indice dei libri proibiti fu compilato nel 1558 sotto il pontificato di Paolo IV. Vi erano elencate, tra l’altro, 45 edizioni proibite della Bibbia e del Nuovo Testamento e i nomi di 61 stampatori responsabili della pubblicazione di libri eretici. Persino il Concilio di Trento, pur pronunciandosi apertamente sulla lettura della Bibbia, compose un catalogo di libri di cui veniva proibita la lettura. Un paio di anni più tardi, il 24 marzo 1564, quel catalogo fu pubblicato in una bolla papale (Index librorum prohibitorum). Nel 1631, Urbano VII ingiunse di nuovo a tutti i possessori di copie della Bibbia di consegnarle alle autorità per bruciarle, pena la denuncia alla “santa” inquisizione.

3  Atti del processo postumo fatto istituire de Filippo il Bello contro Bonifacio VIII in quanto eretico, apostata e criminale.

4  Giovanni XXII, forse temendo il potere del tribunale, pose, poi, delle restrizioni all’inquisizione.

    

Parte seconda

      

©2007 Linda Cavadini

   


Torna su

Medievalia: indice Home avanti