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MEDIOEVO ERETICALE |
a cura di Andrea Moneti |
Rogo di un eretico (da una miniatura del XV secolo)
Dopo
le grandi contese trinitarie e cristologiche che caratterizzarono i primi
secoli cristiani, fra IV e VIII secolo, per un lungo periodo, fino alla metà
del XII secolo, non abbiamo traccia di eresie, aldilà di casi peculiari e
circoscritti ispirati per lo più dal desiderio di uniformarsi
all'insegnamento di monaci e di eremiti. La rinascita ereticale che imperversò
tra XII e XIV secolo nella Francia provenzale e occitana e nell'Italia
centro/settentrionale, primi fra tutti i movimenti ereticali del Catarismo,
Valdismo e quello apostolico o dolciniano, fu assai diversa rispetto a quella
dei primi secoli del Cristianesimo. Quanto le prime eresie erano, infatti, il
frutto di vere e proprie dispute filosofiche e teologiche appartenenti ad
ambienti acculturati ed eminentemente bizantini, tanto le eresie del basso
Medioevo erano diffuse all'opposto tra i laici di media condizione.
Per
spiegare un fenomeno di così vasta portata come l'eresia medievale, non
possiamo esimerci dal considerare la rinascita economica, e quindi sociale,
che, a partire dai primi del secolo XI, si manifestò in Europa. Conseguenze
immediate furono la riforma della Chiesa e quella monastica, che dettero il
via ad un processo rinnovatore, un vero e proprio humus spirituale ed etico,
che coinvolse tutta la società medievale, e con essa anche la vita
religiosa, capace di risvegliare la coscienza religiosa e civile dei laici,
attratti dagli ideali di coerenza morale e di ritorno alla purezza evangelica.
A partire dal secolo XI, ed in particolar in quello successivo, sono evidenti
i segni di questo rinvigorimento in tutta l’Europa: la popolazione aumenta
di numero, sorgono nuovi centri abitati, le città rinascono a nuova vita e in
esse si formano e si sviluppano nuovi ceti sociali. Ovunque, ma in
particolare nell’Italia centro-settentrionale e nella Francia provenzale, ci
sono uomini nuovi che, spinti da spirito di iniziativa, da sete di guadagno
e da desiderio di libertà, percorrono le strade d'Europa, e con loro servi
della gleba che fuggono dal feudo e per affrancarsi nella città.
Tutto
questo accadde nel complicato e confuso scenario di rivolgimenti politici che
fu la Lotta per le Investiture, che coinvolse i due principali attori politici
del tempo: l’Impero ed il Papato. I burgenses iniziano, così, a spingere dal basso e a ritagliarsi spazi fino
ad allora preclusi e a tradurre il loro anelito di cambiamento e di libertà
anche in ambito religioso (e non poteva essere altrimenti tenuto conto che la
religione occupava ogni aspetto della vita sociale e comune di allora). Nel
XII secolo, ispirata agli ideali evangelici ed apostolici, in antitesi ai
costumi della Chiesa mondana e corrotta, si manifesta un po’ in tutta Europa
una fervente attività religiosa popolare, promossa e sostenuta dalla
predicazione itinerante di monaci (tra i quali ricordiamo il Monaco Enrico e
Pietro di Bruys). Questi germi li ritroviamo già all'inizio della riforma
monastica, dalla quale prese le mosse e si sviluppò la riforma gregoriana:
già in quegli anni Oddone di Cluny metteva in evidenza come i cattivi costumi
del clero concubinario fossero la causa per cui, tra la gente comune, si era
cominciato a ritenere che un sacerdote indegno non potesse officiare la
messa e dare i sacramenti in quanto corrotto e, quindi, fuori dal corpo
della Chiesa. È a questo
intenso soffio di rinnovamento spirituale che dobbiamo anche le prime e
spontanee spedizioni di vaste fasce di popolo che precedettero la prima
crociata e che, senza alcuna assistenza da parte delle autorità, si avviarono
verso la Palestina, attratte dal miraggio della terra del Signore, per
liberarla dagli infedeli.
La
condanna del clero corrotto e mondano del secolo XI, pronunciata non solo da
attivi riformatori, ma anche da vescovi e monaci, ebbe come conseguenza la
riscoperta della vita apostolica,
semplice e pura, della Chiesa dei primi secoli. Il Vangelo è una costante,
una fonte di riferimento pressoché unica, e quella più largamente citata,
da parte di tutti gli eretici e i riformatori popolari del Basso Medioevo,
tanto tra gli eretici di Arras e
di Monteforte, quanto nella dottrina di Pietro di Bruys o in quella di Arnaldo
da Brescia. È a questo che si deve l’origine dell'eresia medievale, non ad
un tardivo risorgere della più antica gnosi. È a questa aspirazione di una
Chiesa più aderente ai dettami del Vangelo che si deve la
costante opposizione di tutti i movimenti ereticali, dell'XI secolo
come dei secoli successivi, alla Chiesa romana, raffigurata quasi sempre nella
meretrice dell'Apocalisse, o nella Babilonia della prima lettera di Pietro.
Anche il movimento patarino che condusse una lotta decisa contro il clero
concubinario e simoniaco, tendeva decisamente verso una Chiesa di popolo e
ispirata soprattutto alla parola del Vangelo, ripudiando la messa celebrata e
i sacramenti impartiti da sacerdoti.
Le
eresie medievali non sono qualcosa di estraneo, avulso dal contesto
dottrinario, ma si inseriscono, a modo loro, nella società del Basso
Medioevo, che è indubbiamente tutta cristiana. Sono, anzi, il prodotto di
quel lungo processo di trasformazione e sviluppo della società cristiana (la Christianitas)
e delle sue istituzioni, che raggiunse il suo culmine nel XIII secolo. Il
messaggio evangelico viene visto come altro dalla Chiesa, intesa come
istituzione e gerarchia ecclesiastica, opulenta e ricca, compromessa con i
potenti ed essa stessa potente. Risulta evidente l'inadeguatezza degli uomini
di chiesa e bassa la credibilità di molti dei suoi predicatori. Ed è a
questa parte della società (soprattutto cittadina) che gli eretici si
rivolgono, ispirandosi al messaggio salvifico del vangelo. Da qui il loro
impegno concreto con atti di carità, di assistenza ai bisognosi, ai malati,
ai poveri, che fu una costante in tutti i movimenti, dando luogo ad un
cristianesimo “sociale”.
Altra
costante comune tra i vari movimenti ereticali è anche il sostenere di essere
gli unici e legittimi rappresentanti, e quindi eredi, di Cristo e degli
apostoli, contro la legge della Chiesa e la sua tradizione, contrapponendo l'«Ecclesia
Dei» all’«Ecclesia diaboli» (è la sequela del Cristo, o il Vangelo sine
glossa). E non è un caso se, agli occhi di molti contemporanei, gli
eretici vengono percepiti i veri "cristiani", i boni cristiani.
Lo stesso Bernardo da Chiaravalle, morto nel 1153, uno dei più influenti
predicatori e difensori dell'austerità del suo tempo, ritenne che fu proprio
il diffuso malcontento popolare, sia dei ricchi che dei poveri, per la
corruzione del clero regolare, una delle ragioni principali della
straordinaria popolarità che conobbe il catarismo, che annoverava tra le sue
fila molti esponenti della nobiltà occitana e provenzale, a quel tempo la più
civile d'Europa.
Spinti
da questo malessere religioso e da un’ansia di partecipazione, che,
comunque, rimase sempre circoscritta alla sfera religiosa, senza assumere
quasi mai i connotati di una contestazione sociale (casomai riscontrabile in
alcuni movimenti del Basso Medioevo, in ogni modo sempre a latere), molti tra
quelli che si sentivano delusi dalla Chiesa, si rivolsero alla lettura della
Bibbia e delle Sacre Scritture, piuttosto che ai padri della Chiesa o ai
sacerdoti. Tra loro ci furono uomini come Pietro Valdo, Wyclif, Huss e Martin
Lutero che si accorsero che in quei testi non vi era segno o menzione di quei
dogmi sui quali la Chiesa basava la propria continuità e il suo potere. Non
vi erano riferimenti ai sacramenti, al purgatorio, ai pellegrinaggi, alle indulgenze o alla venerazione delle
reliquie. Ma il Papato (e come poteva esser altrimenti?) si rifiutò sempre di
venir incontro a queste esigenze di rinnovamento, trasformando molti di
questi riformatori in eretici, dove, in termini teologici, di eretico c’era
ben poco.
Significativo
in questo senso è anche il successo che conobbe l’escatologia di Gioacchino
da Fiore (morto nel 1202). Sua è l’interpretazione della storia del mondo
in tre distinte ere, ognuna delle quali preceduta da un lungo periodo di
gestazione: l'era del Padre (o della Legge), l'era del Figlio (o del Vangelo),
e l’era dello Spirito, che aveva stimato che sarebbe iniziata intorno al
1260, numero simbolico più volte citato nell'Apocalisse di Giovanni (11,3 e
12,6) e sarebbe durata fino alla venuta dell’Anticristo e del giudizio
universale. In quell’anno, così denso di significati per Gioacchino, non si
sarebbe verificata la parusia
(ovvero il secondo ritorno di Cristo sulla terra), ma l'avvento di un'era di
concordia e di fine della gerarchia della Chiesa. Particolarmente famoso fu il
suo commento dove veniva affermato che prima che ciò potesse avvenire,
dovevano verificarsi alcuni prodigi, primo fra tutti la venuta di un grande
maestro, un «nuovo Elia», e un nuovo ordine di monaci che avrebbero
diffuso lo Spirito nei più remoti angoli della terra, convertendo al
cristianesimo persino gli ebrei. Questa nuova interpretazione dei testi escatologici
provocò una miriade di esegesi e trattati pseudo-gioachimiti in cui si
cercava di identificare i segni premonitori che identificassero il principio
di questa nuova era. Possiamo citare i francescani appartenenti alla corrente
degli Spirituali (o fraticelli) che identificavano il loro movimento con il
nuovo ordine di monaci che avrebbero dovuto guidare la comunità cristiana
nell'era dello Spirito. Oppure all'imperatore Federico II, che, scomunicato
per spergiuro, bestemmia ed eresia, da più parti venne identificato con
l'Anticristo. E non fu un caso se, verso la fine del 1260, l'anno che
Gioacchino aveva indicato come inizio dell'era dello Spirito, si ebbe la prima
manifestazione pubblica di flagellanti, che da Perugia si estese un po’ in
tutta Europa.
La
lotta tra inquisizione ed eretici si presenta, essenzialmente, come scontro
tra autoconservazione dell'istituzione e le istanze individuali, o di piccoli
gruppi, per appropriarsi il diritto alla predicazione (non esiste e non si ha
percezione di un’antichiesa ereticale,
intesa come altra e nuova istituzione, sostitutiva di quella esistente). Gli
stessi manuali inquisitoriali non preparano e sostengono gli inquisitori ad
una lotta contro una contro-istituzione, ma semplicemente contro degli errori,
dottrinari e comportamentali, individuali. Per l’inquisizione l'eresia è
tale perché in contrasto con i principi della dottrina e della morale
stabiliti dal magistero ecclesiastico, non perché realizza un'istituzione
alternativa alla Chiesa. Il
suo scopo è accertare se le affermazioni eretiche siano veramente credute da
chi le sostiene, o se sono frutto dell’ignoranza, perché la vera eresia
(dal greco haeresis, ovvero
“scelta”) è frutto di una scelta consapevole e libera.
L’aspetto
dottrinale e l’assetto teorico e morale che stava dietro non ricoprivano per
gli inquisitori un ruolo importante. All'inquisizione non interessava in alcun
modo stabilire che cosa fosse eresia; non ha mai cercato il dialogo. Il suo
era un fine esclusivamente di accertamento e di repressione, partendo dal
presupposto esclusivo ed autoritario che «extra
ecclesiam nulla salus». Con la Chiesa orientata in quegli anni verso il
conformismo religioso ed una rigida istituzionalizzazione dei fedeli, ogni
interpretazione o atteggiamento «extra ecclesiam» era definito illegittimo e
causa di perdizione, e di conseguenza eretico. Agli occhi di un inquisitore,
quasi sempre un frate predicatore od uno minore, discutere era già di per sé
un errore poiché la verità che gli era stata affidata da difendere, era
certa ed immutabile, meno che mai suscettibile di aggiustamenti. Gli
inquisitori non si sforzano mai di capire questo “malessere ereticale”,
così come le istanze pauperistiche e la richiesta di un rinnovamento
integrale della Chiesa, unita ad una maggiore partecipazione alla vita
religiosa da parte dei laici.
Un
atteggiamento mentale di questo genere fece sì che le varie forme di dissenso
religioso venissero incasellate in schemi già noti, quasi sempre ascritte ad
un rifiorire del manicheismo, ricostruendo, in questo modo, uno spaccato della
devianza religiosa del Duecento e Trecento frammentato e contraddittorio,
nella maggior parte dei casi lontano dalla realtà. Ad aggravare ulteriormente
la conoscenza delle fonti storiche, è che i documenti che ci sono giunti e
che parlano dei vari movimenti sono soltanto quelli riportati dalla parte
avversa, dalla penna, cioè, dei controversisti e degli inquisitori cattolici
che espongono le dottrine degli eretici in aperta polemica contro di essi.
Interessati ad evidenziare solo quei caratteri esteriori che gli permettevano
di riconoscere se un movimento religioso era o non conforme alla dottrina
della Chiesa, nei vari manuali, trattati e costituzioni pontificie ed
imperiali, i cronisti descrivono indistintamente le eresie secondo canoni
prestabiliti; tratti comuni sono il turpiloquio, la sodomia, l’incontinenza
sessuale e la stoltezza dei loro seguaci.
Il
confine tra ortodossia e eresia era sottile: numerosi sono gli atti di
processi inquisitoriali da cui risulta che ci sono eretici che non si rendono
conto affatto di essere tali, che partecipano attivamente agli atti di culto,
celebrano i santi, chiedono indulgenze, si confessano, fanno atti di penitenza
e di carità come qualsiasi altro fedele ortodosso. In molti casi il loro è
semplicemente un tentativo per professare più intensamente la propria
spiritualità, quasi a divenire eretico per condurre un’esistenza più
coerentemente cristiana, come dimostrano i vari movimenti pauperistici e
penitenziali improntati all'exemplum della vita evangelica. La
predicazione di Gerardo Segarelli, ad esempio, riscosse così tanto successo a
Parma non perché portasse elementi teologicamente nuovi, ma perché «era un
buon uomo e diceva belle parole». Le verità dottrinali non vengono mai messe
in discussione (tranne forse per il caso dei catari): diventano eretici solo
perché si rifiutano di sottomettersi alle ingiunzioni papali e all'obbedienza
romana.
La
scelta eterodossa fu quasi sempre una scelta intellettuale e morale del
singolo, mai di una comunità, spinta dalla necessità di obbedire al dettato
della propria coscienza, originando nella maggior parte dei movimenti di
dissenso una religiosità essenziale e scarna che puntava ad una piena
responsabilizzazione di ogni cristiano nel suo rapporto diretto con Dio e
limitando, laddove era possibile, l’intermediazione della Chiesa. Era questa
la loro vera “pericolosità sociale”; la loro credibilità era
strettamente legata ad atteggiamenti il più possibile vicini al messaggio
apostolico e evangelico, e quindi “ortodosso” per ampi strati della società
civile e che, implicitamente, metteva in dubbio la credibilità
dell’istituzione ecclesiastica. Si badi bene, però, mai gli eretici si
propongono come contestatori dell'ordine cittadino, comunale o nobiliare.
Negli stessi movimenti troviamo, infatti, a braccetto il mercante, il
contadino o l’artigiano, a dimostrazione che raccoglievano il consenso tra i
ceti sociali più diversi. Le istanze e rivendicazioni politico-sociali,
casomai e se ve ne sono, vengono dopo, molto dopo (caso a parte, ma comunque
sempre ascrivibile a questo contesto, è quello della vicenda dolciniana
quando il movimento apostolico si saldò con le comunità rurali e montanare
dell’Alta Valsesia in aperto contrasto con i comuni di Novara e Vercelli e
il vescovo di quest’ultima città).
Parlare
di eresie ed eretici medievali significa, ovviamente, parlare di sconfitti ed
emarginati (molti uccisi, in maniera più o meno atroce, per mano
dell’inquisizione). È una storia di “dimenticati”, di uomini che hanno
subito repressioni ed umiliazioni di ogni genere, che hanno conosciuto
l’emarginazione, relegati nell'oblio. Più che di eresia, se non intesa
come scelta del proprio credo, del proprio modo di comportarsi e rapportarsi
con la società del tempo, si tratta di cristiani “senza una chiesa
propria”, nella maggior parte dei casi desiderosi
di un ritorno alla Chiesa primitiva di Cristo e degli apostoli. Sono
utopisti che vogliono seguire nudi il Cristo nudo (come Francesco d'Assisi),
che guardano al passato come fine ultimo della propria azione, giungendo al
paradosso che la Chiesa in nome di Cristo, spesso e volentieri, ha represso
dei veri cristiani. La loro è una vita tutta rivolta all’ideale della simplicitas, semplicità e purezza dello spirito, lontano da incrostazioni
materiali e da gerarchie. È un ideale che accomuna personaggi come Francesco
d'Assisi, giullare di Dio,
Gioacchino da Fiore oppure Gherardo Segalello; è un ideale che farà dire a
Dolcino che «si può pregare Dio in una stalla o in una foresta come in una
chiesa consacrata, anzi meglio» e che « Dio è di tutti». Anche se non
perfettamente consapevoli, sapranno comunque abbattere barriere e creare
piccole comunità di “uguali” (basti pensare al ruolo di pari dignità
che, quasi in ogni movimento ereticale, hanno assunto le donne).
Rispetto
alle gerarchie ecclesiastiche, per questi eretici, non ha importanza che
l’uomo abbia o non abbia, che sia dotto oppure no. Niente di tutto questo ha
per loro importanza, ma solo poter partecipare alla parola di Dio, di un Dio
che sa sorridere e accogliere, lontano dall’immagine di giudice terribile
che spesso la Chiesa ha usato per incutere timore. Ogni comportamento
“deviato” rispetto alla dottrina cattolica diviene eretico (di questa
colpa non è neppure immune la riforma protestante: un esempio su tutti il
processo e il rogo di Michele Serveto), così come ogni tentativo di seguire
una propria strada, per finire di estendere il crimine di eresia anche in
campi che non sono propri degli articoli di fede (un esempio illuminante è la
vicenda di Giovanna d’Arco). Ciò che accomuna questi movimenti è la
professione di un cristianesimo aperto e portato all’incontro di culture
diverse, come quella popolare o contadina e quella della grande mistica, a
partire da Margherita Porete, originando un intreccio complesso di esegesi e
istanze sociali, teso alla ricerca di un mondo migliore.
Consapevoli
o meno, gli eretici medievali hanno iniziato un percorso difficile, incerto in
ogni suo passo, un percorso che attraverso i secoli è giunto fino a noi:
l'idea di una tolleranza possibile tra le coscienze e le religioni. Hanno
elaborato approcci religiosi diversi, ma non per questo minori, capaci di
parlare alle coscienze. La libertà di pensiero, conquista relativamente
recente del mondo occidentale, viene anche da costoro. È la stessa
motivazione che ha spinto Galileo Galilei nella sua speculazione cosmica, o
Giordano Bruno al rogo. È quello stesso spirito che “eppur
si muove ….” e che ha aperto la strada verso la libertà. Una libertà
protesa a vivere secondo una scelta propria (airesis)
e personale senza accettare passivamente verità incontrastate ed indiscusse;
una libertà responsabile e che possiede una propria intelligenza, capace di
investigare il mondo che la circonda. Una libertà negata nei tribunali
dell’inquisizione che si sono succeduti nelle varie epoche storiche, dal
martirio dei primi cristiani ai campi di sterminio nazisti e nei gulag
sovietici. Una libertà per cui molti, troppi, hanno pagato.
©2005 Andrea Moneti