Come
accadde che il califfato più ricco, colto, strutturato della storia
islamica, quello abbaside, dopo le prime defezioni di aree comunque di
confine, finì per sgretolarsi in un lungo processo di progressiva
perdita di territori e potere? La risposta, secondo molti studiosi, sta
nelle dimensioni mastodontiche che la potenza islamica aveva assunto e
che non permettevano né un controllo capillare di tutte le aree
sottomesse né, soprattutto, una loro difesa sistematica, cosa questa,
che, a oriente, lasciò, di fatto, campo aperto all'invasione mongola,
l'ultima grande stoccata ad un impero già di per sé morente [1].
L'autorità abbaside cominciò a deteriorarsi
già durante il regno di al-Radi, quando i generali turchi dell'esercito,
governatori di province che già avevano ottenuto una sorta di indipendenza di fatto, smisero di pagare le tasse al
Califfato: seguendo il loro esempio, anche le province vicino a Baghdad cominciarono a cercare di sviluppare dinastie locali.
La leadership abbaside dovette faticare notevolmente nella seconda metà
del
secolo VIII (750-800), per altro con diversi califfi e visir
competenti, per superare le sfide politiche che via via si
sviluppavano nelle zone periferiche dell'impero, sia cercando di
sopperire alle comunicazioni limitate che giungevano da quelle aree
remote, sia promuovendo modifiche amministrative per mantenere
l'ordine. è questa la ragione per cui, sebbene l'impero
bizantino muovesse continue campagne in Siria e Anatolia, abbiamo in questo periodo notizia di poche
operazioni militari, tutte volte a risolvere questioni interne con governatori locali,
che, per una questione di gestione amministrativa, agivano sempre più
indipendentemente dall'autorità centrale, con gli emiri che esercitavano una
sempre maggiore autonomia, usando il loro crescente potere di rendere le loro
posizioni ereditarie [2].
Allo
stesso tempo gli Abbasidi si trovavano ad affrontato sfide anche più
vicino a casa.
Per fronteggiare il gruppo degli ex sostenitori del loro clan che si
era staccato dall'Impero per creare un regno
separato nel Khorosan, a nord della Persia, Harun al-Rashid
(786-809) intraprese una campagna contro i Barmakidi, una famiglia
persiana che aveva accresciuto
in modo significativo il suo potere all'interno dell'amministrazione
dello
Stato e stava guidando una rivolta contro il potere centrale: Harun
eliminò fisicamente gran parte del clan avversario ma, mentre le sue
truppe erano impegnate in Persia, altre fazioni cominciarono a
sviluppare movimenti secessivi nelle aree più lontane dal
controllo califfale.
Il
risultato più evidente di questo processo si presentò intorno all'820,
quando i Samanidi iniziarono ad esercitare un'autorità
totalmente indipendente in Transoxiana e nel Grande Khorasan, così come
avevano fatto gli
Hamdanidi sciiti nel nord della Siria e come avrebbero in seguito fatto
le dinastie Tahirid
e Saffarid dell'Iran. Soprattutto dopo il periodo definito "Anarchia di
Samarra", un periodo all'inizio della seconda metà del IX secolo in cui
i generali turchi di fatto decidevano dell'elezione dei nuovi califfi,
il
governo centrale abbaside appare notevolmente indebolito e le tendenze
centrifughe diventano sempre più importanti nelle varie province del
califfato. Agli inizi del X secolo, gli Abbasidi hanno quasi totalmente
perso il controllo dell'Iraq, frazionato in vari emirati, e
il califfo al-Radi è costretto a riconoscere anche formalmente il
potere dei potentati locali
creando la posizione di "Principe dei Principi" (amir al-umara) per
definire i governanti delle diverse aree praticamente indipendenti.
Poco
dopo, la fazione persiana conosciuto come i "Buwayhidi", proveniente
dall'area di Daylam,
porta un attacco diretto al potere centrale e assume il controllo della
burocrazia a Baghdad, distribuendo a proprio piacimento "iqtas"
(feudi, sotto forma di aziende agricole fiscalizzate) tra i loro
sostenitori [4].
Intanto,
al di fuori dell'Iraq, tutte le province autonome
lentamente assumono le
caratteristica di stati de facto con governanti ereditari, eserciti
propri e ricavi del gettito fiscale gestiti in proprio sotto la
sovranità solo nominale
del califfo, che, in alcuni casi, non può neppure attingere dai
contributi raccolti, come nel caso degli emiri Soomro che avevano
ottenuto il controllo di
Sindh e governavano tutta la provincia dalla loro capitale Mansura.
In questo quadro, Mahmud di Ghazni si arrogò addirittura il titolo di
sultano, in
contrapposizione alla carica di "Amir", che, pur essendo di uso comune,
non dava a pieno in senso dell'indipendenza dell'Impero Ghaznavita
dall'autorità abbaside, una indipendenza che, pure, veniva esercitata sotto il manto di una
formale ortodossia sunnita
che comportava la sottomissione rituale al califfo [ 5].
 Nell'XI secolo, la perdita di rispetto per i califfi continua, come dimostra il fatto che
alcuni governanti islamici non ritengono più necessario menzionare il nome del califfo nella
khutba del venerdì e arrivano a coniare loro proprie monete.
La
dinastia fatimide ismailita del Cairo giunge al punto di
contestare agli Abbasidi la titolarità dell'autorità
sulla ummah
islamica e ottiene, in tal senso, l'appoggio delle fazioni sciite di
Baghdad (come i Karkh), sebbene Baghdad
rimanesse la città più strettamente connessa al califfato
anche nelle
epoche successive, con un notevole grado di controllo amministrativo e
religioso degli Abbasidi nonostante la crescente potenza degli emiri
Buwayhidi. Proprio per bloccare tale influenza troviamo che, nella
prima metà dell'XI secolo, molti califfi intraprendono una vera
e
propria campagna culturale contro le insorgenze sciite, che arriva al
suo apice con il cosiddetto "Manifesto di Baghdad" del califfo
al-Qadir, con il quale si intendeva dimostrare come i Fatimidi non
fossero in alcun modo discendenti di Alì [6].
Se, dopo la morte dell'emiro Baha
'al-Daula, i Bawayhidi entrano in una fase di declino e i califfi
sembrano riguadagnare potere, in realtà una nuova minaccia si profila
all'orizzonte: il vuoto di potere emirale che si viene a creare viene,
infatti, riempito dalla dinastia dei turchi Oghuz noti come
Saljuqs o Selgiuchidi. Quando l'amir ed l'ex schiavo Basasiri prende la
bandiera
sciita fatimide a Baghdad nel 1058, il califfo al-Qa'im sembra
impossibilitato a sconfiggerlo senza un aiuto esterno e Toghril Beg, il
sultano Saljuq, si offre di aiutarlo, restaura la regola sunnita a
Baghdad e, a tutti gli effetti, si appropria dell'Iraq per la sua
dinastia mentre, ancora una volta, gli Abbasidi sono
costretti
a trattare con una potenza militare contro cui non sono, in
realtà, in
grado di competere. Così, sebbene il califfo abbaside rimanga
formalmente il capo titolare della comunità islamica e i
successivi
sultani selgiuchidi Alp Arslan e Malikshah prendano residenza in
Persia, a tutti gli effetti il potere politico a Baghdad è nelle
mani
dell clan turco almeno fino all'inizio del XII secolo, quando il
Califfo al-Mustarshid riesce a costituire
un esercito in grado di fronteggiare l'esercito saljuq in battaglia.
Sebbene al-Mustarshid venga sconfitto nel 1135 e assassinato subito
dopo essere stato catturato, sarà il suo successore al-Muqtafi,
con l'aiuto del suo visir Ibn Hubayra, il primo califfo abbaside a
riguadagnare la piena indipendenza
militare del Califfato contro il clan Seljuq indebolito proprio dalle
campagne di al-Mustarshid:
dopo
quasi 250 anni di sottomissione a dinastie straniere, egli
riuscì a
difendere Baghdad contro i Saljuqs nel assedio di Baghdad (1157),
garantendo in tal modo l'Iraq al dominio abbaside. Il successivo regno
di al-Nasir
(morto nel 1225), poi, riuscì ad estendere il potere califfale
su
tutto l'Iraq,
anche appoggiandosi alle organizzazioni di Sufi futuwwa di cui il
califfo era leader e che erano state create da Al-Mustansir (intorno
alla Scuola Mustansiriya) proprio allo scopo di eclissare il sufismo
Saljuq sviluppato da Nizam al-Mulk [7].
Se
i califfi erano continuamente impegnati in lotte intra-islamiche, il
vero pericolo per il loro dominio doveva provenire dall'esterno. Nel
1206 Gengis Khan aveva sviluppato una potente dinastia tra i Mongoli
dell'Asia centrale e lungo tutto il corso del XIII secolo l'Impero
Mongolo
si era espanso conquistando la maggior parte della massa terrestre
eurasiatica, arrivando ad inglobare territori che comprendevano dalla
Cina a est a gran parte dell'antico califfato islamico
(così come i Rus di Kiev) a ovest.
La distruzione di Baghdad
nel 1258 da parte di Hulagu Khan
è tradizionalmente vista come la fine del periodo d'oro islamico:
Hulagu Khan saccheggiò Baghdad il 10 febbraio 1258, massacrando buona
parte della popolazione e uccidendo anche il califfo Al-Musta'sim,
diretto discendente dello zio di Maometto e l'ultimo
califfo regnante abbaside di Baghdad. La morte di Al-Musta'sim
fu un vero e proprio shock per i Sunniti, così come prima lo era stato
per gli Sciiti l'uccisione dell'Imam sciita Hussein. In ossequio al
tabù mongolo che vietava spargimento di sangue reale, Hulagu
fece avvolgere Al-Musta'sim in un tappeto e lo fece calpestare a morte
da un branco di cavalli il
20 febbraio 1258 e, subito dopo, gran parte della famiglia califfale
venne trucidata, con la sola eccezione del figlio minore del califfo,
che venne inviato come ostaggio in Mongolia, e di una figlia che
divenne schiava nell'harem
del Hulagu.
Fu proprio il figlio superstite di Al-Musta'sim che, intorno al
1280, una volta liberato, si trasferì a
Bastak, nella Persia meridionale, riprendendo la linea califfale dopo
che la città e numerosi altri piccoli villaggi
sunniti gli giurarono fedeltà. I governanti di Shiraz, del clan Atabak,
gli fornirono protezione e gli permisero di formare un proprio Stato
che, dopo aver dato asilo anche all'ultimo dei discendenti del Profeta
Maometto, Khonj, si espanse fino ad includere
più di 60 villaggi e numerose isole nel Golfo Persico.
Nel frattempo i governanti abbasidi di Bastak svilupparono numerose
alleanze con gli altri governanti
arabi, cambiarono il loro titolo da "Califfo" a "Khan" (cioè sovrano
militare) e riguadagnarono un po' di quel potere che era stato loro
strappato. Il califfato, però, era perduto, passato com'era nelle mani
di nuove dinastie [8].
(1) A. Miskawayh, D.S. Margoliouth, The Eclipse of the Abbasid Caliphate, I. B. Tauris 2013, passim.
(2) E.J. Hanne, Putting the Caliph in his Place: Power, Authority, and the Late Abbasid Caliphate, Fairleigh Dickinson 2007, passim.
(3) S. Kamoliddin, The Samanids: The First Islamic Local Dynasty in Central Asia,Lap Lambert Academic Publishing 2011, pp. 18-36.
(4) Ivi, passim.
(5) A. Miskawayh, D.S. Margoliouth, Citato, pp. 81 ss.
(6) O. Safi, The Politics of Knowledge in Premodern Islam: Negotiating Ideology and Religious Inquiry, The University of North Carolina Press 2006, pp. 141 ss.
(7) E.J. Hanne, Citato, pp. 169 ss.
(8) George Lane, Genghis Khan and Mongol Rule, Hackett Pub Co Inc 2009, pp. 171 ss.
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