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Incontriamo
ogni giorno il "mondo islamico", sui mezzi pubblici, al lavoro,
passeggiando per strada e non c'è giornale al mondo
che non
debba dedicare quotidianamente almeno una pagina ai suoi fermenti, ai
suoi
contrasti, alle sue lotte intestine, tanto che termini lontani, di una
cultura
totalmente altra rispetto alla nostra, come Sunna, Sciitismo, Jihad,
Sha'aria,
Rais e molti altri ancora, sono diventati parte del vocabolario
occidentale.
Eppure quello islamico rimane sempre e comunque un "universo altro",
con leggi che non capiamo, con una storia che abbiamo studiato solo
marginalmente
e con una visione parziale a causa del nostro essere "dall'altra parte"
sui libri di
scuola, con abitudini che possono apparirci incomprensibili, quantomeno
curiose
se siamo di mente aperta, barbare in caso contrario. In
un'epoca di turismo di massa, poi, tutti pensano di poter
facilmente conoscere questo "mondo islamico" anche personalmente: ogni
estate centinaia di voli charter partono superaffollati da migliaia
di
europei alla ricerca dell'"esotico" e del "diverso" in qualche
villaggio
turistico nordafricano o mediorientale, migliaia di turisti che, al
ritorno, pensano di
conoscere il "mondo arabo", di averne compreso l'essenza dopo aver
parlato
per pochi minuti con qualche animatore turistico o con guide che
appaiono
così gentili da non poter appartenere agli stessi popoli che alimentano
le fila
di Al-Qaeda, che compiono stragi come quella dell'undici settembre ...
Insomma, tutti pensiamo
di poter comprendere i meccanismi dell'Islam e di poter persino
assorbire le
"dissonanze cognitive" che derivano da un lato dalle nostre
esperienze di "villeggianti che portano soldi" e dall'altro
da quanto leggiamo sulle violenze che esplodono periodicamente e con un
ritmo
impressionante da Rabat a Bagdad.
Per
quanto sia difficile anche solo da accettare, è necessario
ammettere
una volta per tutte che l'essenza profonda del pensiero islamico ci
rimane sconosciuta e ci risulta sempre e comunque incomprensibile nella
sua interezza, per la
semplice e
insieme profondissima ragione che essa rappresenta per noi una
diversità così
radicale e assoluta da non poter in nessun modo essere incanalata, oggi
(forse,
almeno in parte, sarebbe stato diverso qualche centinaia di anni fa),
nelle
nostre strutture mentali.
Da questa ragione principale derivano tutte le altre.
Proviamo a porci la domanda: "noi riusciremmo a pensare come
un
Cristiano del 1200?": se la risposta, come appare naturale, non può che
essere negativa, ecco che abbiamo appena intuito gran parte dell'enorme fossato
mentale
che ci separa dai popoli arabi. In questo senso, appare assurdo ogni tentativo di comprensione o addirittura di supporto da parte occidentale (soprattutto da parte di alcuni intellettuali filo-arabi che, per posizioni ideologiche, vogliono giustificare qualunque atteggiamento islamico in nome di una apertura mentale che, in buona sostanza, finisce per essere solo un'altra forma di chiusura) di pratiche e strutture sociali che agli occhi di un europeo contemporaneo possono solo apparire "medievali" (dalla posizione femminile spesso, e questo dovrebbe farci riflettere a lungo, autoimposta alle rigidità di regole di vita quotidiana e di socialità ai limiti, ai nostri occhi, della follia): il fatto è che tali pratiche e strutture ci appaiono "medievali" semplicemente perché lo sono, perché sono nate in un periodo storico in cui regole analoghe e strutturazioni sociali paritetiche esistevano anche in occidente, con la differenza che nei Paesi arabi esse si sono congelate come "regole divine", divenendo intoccabili [4].
Per
comprendere questo punto, è necessario introdurre un concetto
tipicamente
islamico, quello di "ummah". La "ummah" è, nell'Islam, la
comunità dei fedeli che forma un corpo unico davanti a Dio, la parte
visibile,
tangibile, del corpo mistico formato dall'unione di Dio con i credenti
a lui
sottomessi. La ummah è, di conseguenza, basata su una relazione sacra e,
proprio per
questo, è essa stessa sacra [5]. E da qui derivano una quantità notevole di corollari. Senza
contare il senso di fratellanza di tutti i
Musulmani
nell'Islam e il concetto di "Dar-al-Islam", terra sacra dell'Islam,
patria della ummah e intoccabile dagli infedeli (che è, poi, il vero
senso coranico della "jihad", troppo spesso stravolto dai fanatici
wahhabiti [6]), forse gli elementi che
possono
apparire più difficili da inquadrare per chi ragiona con strutture
mentali europee o americane sono la condanna assoluta dell'apostata ("murtaddun")
come il peggiore dei criminali e, piuttosto paradossalmente, la
relativa
neutralità di giudizio nei confronti di chi si ribella all'autorità
costituita
("baghi"). è cosa nota che, praticamente dai primi anni della sua esistenza e fino a tutto il medioevo l'Islam ha avuto una forte tendenza a dividersi in fiumi e rivoli dottrinari, spesso in lotta tra loro: la chiusura dell'interpretazione nasce, di fatto, proprio dalla volontà di impedire ulteriori divisioni e di mantenere una unità teologica della ummah, ma, questo non implica una necessaria unità politica, come appare chiaro anche dalle recenti rivolte che stanno scuotendo il mondo arabo, proprio in virtù della liceità della ribellione, soprattutto dopo la fine dell'istituzione califfale. Che cosa è questa istituzione, per secoli fondamentale all'interno dell'Islam? Partiamo da una considerazione storica: se la ummah è, dai tempi del Profeta, la base della società islamica in
astratto,
nel concreto essa ha avuto una sorta di riflesso politico nel
califfato, nella struttura statale che ha al suo vertice l'erede di Maometto
incaricato di guidare il popolo arabo. Ebbene, dopo l'abbattimento del
califfato
per mano dei Mongoli, tale struttura viene sostituita, nell'immaginario
collettivo e in
funzione di collante del mondo arabo, dal sultanato ottomano, che
diventa,
conseguentemente, depositario delle chiavi del potere temporale sulla ummah [8].
Da quel momento in poi, comunque, ogni Paese in cui la ummah si trovò frantumata, ebbe una storia a sé stante, nella maggioranza dei casi, in epoca post-coloniale, segnata da moti ondivaghi tra desiderio di modernità e riscatto nazionale (che ha dato spazio, in numerose occasioni, a svolte dittatoriali) e profondo sentimento di frustrazione per un passato perduto, visto come luogo e tempo della "purezza dottrinale", idealizzato in forma quasi edenica e concretamente legato al passato imperial-califfale [9].
Visto che, per quanto detto in precedenza, non potremo mai superare pienamente lo scoglio della diversità che culturalmente, persino mentalmente, ci separa dal mondo islamico, possiamo semplicemente liquidare tale mondo come una specie di entità aliena inconoscibile? Certamente no. Che cosa possiamo fare, dunque? Se ci è impossibile anche solo comprendere a pieno il pensiero arabo, quello che, comunque, ci è permesso fare è osservare e tentare di capire le ragioni, le radici della diversità, le dinamiche di un mondo altro e il loro rapportarsi con le nostre dinamiche. è questo il senso dello studio della storia e dell'evoluzione dell'Islam che si tenterà in queste pagine.Perché solo conoscere tale fisionomia storica può portare non alla condivisione degli atteggiamenti, non alla sottomissione culturale di una parte nei confronti dell'altra, ma certamente al rispetto che è dovuto ad ogni civiltà.
NOTE
(1) M.K. Nydell,
Understanding Arabs: A Guide for Modern Times, M.K. Nydell 2005, pp. 21 ss.
(2) J. Al-Omari, Understanding the Arab Culture, How to Books Ltd. 2008, pp. 83 ss. (3) Ivi, p. 94. (4) H.I. Barakat, The Arab World: Society, Culture, and State, University of California Press 1993, pp. 18 ss. (5) S.O. Cox, P.V. Martinson, Islam: An Introduction for Christians, Augsburg Fortress Publishers 1994, p. 31. (6) A. Wahalid, Jihad, a Misunderstanding, Columbia Press 2007, passim. (7) S. Khalaf, R. Khalaf, Arab Society and Culture: An Essential Guide, Saqi Books 2010, pp. 49-51. (8) H.I. Barakat, citato, pp. 89 ss. (9) Ivi, pp. 106-118. |
©2011 Lawrence M.F. Sudbury