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             MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 6


 

    

Su questa battaglia [1] è fiorita, specialmente negli scriptoria dei conventi russi, tutta una letteratura (e, aggiungiamo, non solo in lingua russa e non solo nei conventi russi!), già subito dopo la sua conclusione, su informazioni di prima mano.

Molti sono i poemi e le varianti che circolarono in Russia su questa famosissima battaglia, ma di queste composizioni, che volevano in parte far rivivere gli antichi epici scontri della Rus’ di Kiev di Santa Olga e di San Vladimiro, la più importante è la raccolta chiamata l’Epopea dell’Oltredon (Zadonsc’cina) in cui furono messi insieme relazioni, racconti, testimonianze, ad eterna gloria della nascita della nuova Russia… addirittura raccolti senza interruzione fino al XVII secolo!

In questi poemi epici dunque, sono nascoste gran parte delle nostre fonti che ci permettono di poter tessere il racconto di quel lontanissimo 1380. Quasi a metter in dubbio la loro veridicità, è lo stile di questa mole di scritti che richiama immediatamente al Cantare di Igor, un poema epico russo della fine del XII secolo dove si esalta l’eroismo sfortunato del principe Igor contro i Cumani (Polovzi). In questo Cantare è l’esaltazione della battaglia in sé, l’eroicità del protagonsita e non la vittoria o la sconfitta che viene solennemente cantata e nello stesso modo avviene nell’epica di Pian delle Beccacce (Kulikovo Polje in russo), tanto che alcuni passi su quest’ultima battaglia sembrano copiati pari-pari da quel Cantare di Igor ed ecco perché ci viene il dubbio che il personaggio di Igor ha influenzato moltissimo il carattere di Demetrio e il suo atteggiamento  tramandatici e che la figura di questo principe moscovita alla fin fine sia un tantino forzata e non rispondente alla realtà.

Lo schema dell’epos di Pian delle Beccacce è dunque quello classico già usato nel passato per glorificare i Rjurikidi ed è comunque delineato molto chiaramente. Da una parte c’è l’armata del santo principe Demetrio che è sceso in santa crociata e dall’altra i pagani infedeli di Mamai, contro i quali solo Demetrio vincerà, perché agisce nel nome della vera fede cristiana, la fede russa, brandendo la Croce di Cristo come l’arma più importante!

Anche l’archeologia ha dato qualche contributo e qualche conferma, ma sicuramente gli avvenimenti, come sono stati tramandati, sfrondati dell’immaginazione e della fantasia “edificante” degl’ispirati monaci amanuensi, non possono che esser quelli che racconteremo più avanti, giusto perché hanno resistito alla severa critica storica russa di questi ultimi anni. 

E andiamo allora ai fatti.

Demetrio, prima di rimettersi definitivamente in marcia, pensa bene di consultarsi con i suoi generali e con i principi presenti, in un gran consiglio, tenuto nel villaggio, diventato poi famoso, di Cjòrnovo.

Le opinioni non sono unanimi.

Alcuni insistono sul passare immediatamente sulla riva destra del Don e andare avanti per attaccare i tatari, altri addirittura avrebbero voluto rinunciare e tornare indietro. Passare il Don, dicevano ancora altri, era un atto senza ritorno e, una volta compiuto, bisognava dare battaglia senz’altro indugio, perché sarebbero stati immediatamente dopo il guado in vista del nemico che avrebbe subito attaccato. Infine c’era chi insisteva sul fatto che, una volta passati sull’altra riva, bisognava distruggere i ponti, affinché i lituani, alleati dei tartari, non avessero avuto più la possibilità di usarli e sferrare un attacco di sorpresa sulla retroguardia russa…

Demetrio ascolta tutti, ma è impaziente e, vinta la sua innata irrisolutezza, chiude ogni ulteriore discorso e dice: «Ci conviene o fratelli sacrificare le nostre terre per la vera fede cristiana affinché non siano catturate le nostre città dai pagani e non vengano saccheggiate le sante chiese di Dio!», e ancora: «Fratelli miei (questo era il modo in cui i principi si chiamavano fra di loro), è meglio una morte onorevole e visto che siamo già qui è impensabile, senza disonore, decidere di ritornare. Perciò andremo avanti e affidiamo le nostre sorti al Signore per la difesa della nostra fede e della nostra chiesa!».

A queste parole i principi russi non hanno altri argomenti e rispondono anche loro con altrettanta solennità:

«O signore e principe russo! Abbiamo deciso di sacrificare la nostra vita al tuo servizio ed è giunta l’ora di versare il nostro sangue per te e col nostro sangue ci sentiremo battezzati ancora una volta!».

Il dado ormai è tratto.

Si chiamano i genieri e i pontieri, si costruiscono i ponti per attraversare il fiume e le strade, e il 6 settembre 1380 si comincia la traversata. Il fiume qui è abbastanza largo, ma i guadi giusti sono stati già individuati.

Prima di mettersi in marcia però, com’è consuetudine, Demetrio tiene il suo discorso agli uomini armati e, dopo che tutti hanno pregato, inginocchiati all’alba di un fosco mattino, è stata letta la lettera che San Sergio di Radonezh ha scritto a tutti i russi in guerra.

Finalmente ci si mette in cammino, non senza aver prima ascoltato le notizie degli esploratori mandati in avanscoperta, i quali hanno confermato la presenza e il numero degli uomini del khan tataro Mamai nella pianura oltre il Don.

Finalmente l’insegna di Demetrio, con la figura del Salvatore ricamata in oro, viene benedetta e poi innalzata: è il segnale di mettersi in marcia.

La processione di uomini, carri, animali e materiali è lunghissima, ma è abbastanza ordinata e spedita e, quando tutti hanno attraversato il Don, si smontano e si distruggono i ponti. Demetrio vuol forse con questo anche impedire un ripiegamento dei suoi uomini, in caso di sconfitta, e, se è così, questa è una manovra innovativa nella solita tattica russa negli scontri fra principi, secondo gli esperti militari moderni…

Si decide poi di proseguire la marcia di notte per scegliere le postazioni, poiché di giorno sarà difficile muoversi a causa della fitta nebbia che s’alza dal terreno umido e ancora acquitrinoso e delle micidiali zanzare.

In effetti, passando da una riva all’altra, c’è un cambiamento quasi improvviso del paesaggio, poiché si passa da una quota un po’ più alta ad una quota sensibilmente inferiore. Qui già comincia la steppa dove gli alberi si fanno più rari e ci sono macchie con tanti cespugli lungo le rive, di piante che non tutti i russi conoscono.

Un paesaggio invece famigliare a Mamai, più che per gli uomini che provengono dalle foreste del nord, fitte e impenetrabili ...

è difficile oggi descrivere il Pian delle Beccacce come esso dovette apparire, agli occhi di Demetrio e dei suoi, ben più di cinque secoli fa. Persino le correnti d’acqua hanno modificato parzialmente i loro letti e la cittadina di Kascira, dove era stato scelto il guado, è oggi spostata, dalla riva dov’era su quella opposta…

Tuttavia, se oggi partite da Mosca in direzione della città di Tula, subito dopo la cittadina di Bogoròdizk, nelle vicinanze del palazzo comitale, una volta appartenente ai conti Bobrinski, si arriva ad un incrocio dove c’è indicato Kulikovo Polje ovvero Pian delle Beccacce. Non molto lontano, a circa 7-8 km, dall’annesso villaggio di Monastìrscin c’è, sulla cima della collinetta (la famosa Collina Rossa alta circa 100 metri) al centro di questo vasto piano, una colonna di ghisa eretta nel 1850 a ricordo di questa battaglia. Vicino c’è anche una chiesa dedicata a san Sergio di Radonezh, che fu costruita successivamente per accogliere molti dei cadaveri intrasportabili dei caduti, ed ad essa è annesso un piccolo museo, dove è possibile ammirare alcuni dei reperti archeologici ritrovati a Pian delle Beccacce.

La morfologia del terreno è ancora riconoscibile. Da ovest ad est lungo una specie di gola non molto profonda scorre la Neprjadva provenendo dal sud verso nord e facendo un ansa intorno ad una collinetta, dove oggi c’è il villaggio di Rodzhestvenko. Di qui la Neprjadva confluisce nel Don che proviene da nord qualche decina di km più ad est e, ormai diventata tutta acqua del Don, la corrente scorre verso l’attuale villaggio di Kulikovo, svoltando, qualche chilometro più avanti, leggermente verso sud dove incontra un altro piccolo affluente, la Smolka.

Questo rio scorre anch’esso dentro una specie di fosso profondo, a sud di una collinetta che lo divide dal Don che scorre più a nord.

Così, sia ad ovest sia ad est, i russi ebbero a disposizione due collinette boscose, dove fu schierata, a sinistra fra gli alberi e sotto il comando di Demetrio figlio di Olgherd, una piccola armata di rinforzo, che sarebbe dovuta intervenire in caso di necessità. A destra, nascosti fra i cespugli, Vladimiro di Serpukhov e Bobrok, si schierarono con un’altra grossa forza, anch’essa di riserva.

Qualche chilometro più a sud si elevava la cosiddetta Collina Rossa, sulla cui spianata si vedeva sventolare già il vessillo di Mamai, perché qui in serata era stato disposto il grosso dell’accampamento dei tatari. Intorno alla Collina Rossa si era invece accampato il grande contingente genovese a piedi, che avrebbe dovuto affiancare la terribile cavalleria mongola con gli archi lunghi e decidere le sorti della battaglia. Dietro c’era il resto degli armati dei nomadi: una vera marea di gente, quasi tutti a cavallo.

I russi durante la notte quindi si schierarono, dopo le varie esplorazioni fatte sul campo, distribuiti su cinque linee.

Al centro del Piano, con alle spalle le due collinette e i due fiumicelli sopradetti, naturalmente ci sono il grosso del contingente moscovita, al comando del suo bojaro, Timoteo Veljaminov, Andrea figlio di Olgherd e di altre figure minori. Poi c’è la copertura di Demetrio di Mosca con i suoi e, agli ordini di Simeone Obolenskii e Giovanni Tarusskii, le truppe frontali che si scontreranno per prime.

Il lato destro dell’armata è in attesa dietro la collina e il lato sinistro in vista è agli ordini di Basilio, principe di Jaroslavl, e Teodoro Malozhskii. Vladimiro di Serpukhov e Bobrok, come abbiamo visto, rimangono appostati sull’altura a sinistra, chiamata il Querceto Verde (Zeljonaja Dubrava) nel territorio di Monastirscin, in attesa di ordini.

Demetrio si affretta ora a passare fra i suoi, incoraggiando ogni armato:

«Fratelli miei carissimi, figli di Cristo, piccoli e grandi, la notte sta per passare e il giorno ci porta la minaccia nemica. Ognuno mantenga il posto assegnatogli e, state sicuri, che ciascuno di noi berrà dalla stessa tazza del dolore o della vittoria».

Dopo aver lasciato gli armati a riposare, Demetrio e Bobrok si avventurano fra i cespugli del Pian delle Beccacce in avanscoperta. Resisi conto della situazione, ritornano all’accampamento.

è chiaro che tutti questi movimenti, bene o male, sono stati già notati da Mamai e dai suoi. Gli esploratori tatari, al comando di un certo Melik (è il nome tramandato, anche se probabilmente è solo un generale - in arabo malik - il cui nome rimase ignoto ai russi) si sono spinti quanto più vicino possibile all’accampamento russo, e così hanno anche loro raccolto qualche dettaglio in più, che Mamai stesso vorrebbe controllare dall’alto della collina, se non fosse così buio.

E la tradizione aggiunge una nota più favolistica sul comportamento di Demetrio poco prima della battaglia, sebbene essa risponda allo spirito del tempo che è pieno di segni presagi e predizioni magiche e astrologiche.

Bobrok, oltre ad avere un talento militare indiscusso, sembra che possedesse anche delle facoltà divinatorie ed infatti durante la notte va a chiamare Demetrio e gli chiede se non voglia sapere in anticipo ciò che succederà a Pian delle Beccacce.

Naturalmente Demetrio accetta e Bobrok lo conduce, mentre tutti dormono, sulla piana fra la Neprjadva e il Don. Poi gli dice: «Principe voltatevi verso i tatari ed ascoltate!». Nel silenzio della notte dal campo tataro arrivano tutti tipi di suoni minacciosi e spaventosi, compresi quelli degli ululati dei lupi, che annunciano perciò una grande disgrazia. Subito dopo Bobrok gli dice di volgersi ora dalla parte del campo russo e di ascoltare. Da questa parte tutto è tranquillo, tutti dormono. A questo punto Bobrok svela che questi due segnali del destino indicano che andrà bene ai russi e male ai tatari, ma… Bobrok annuncia che ha un altro presagio e infatti scende da cavallo e pone l’orecchio sulla nuda terra e ascolta. Quando si rialza ha il viso stravolto e Demetrio naturalmente gli chiede che cosa ha sentito, ma non ottiene risposta.

Alle insistenze di Demetrio, Bobrok risponde che gli svelerà quanto lui ha sentito, ma che deve rimanere un segreto per tutti gli altri. Demetrio promette e Bobrok gli svela che è vero, lui vincerà perché Dio ha disposto così, ma moltissimi cadranno sul campo e molto sangue russo arrossirà le acque del fiume. «Che sia fatta la volontà del Signore!». dice Demetrio e se ne ritornano al campo.

    

Arriva l’8 settembre, la festa della Vergine Santissima…

L’alba è piena di densa nebbia e non ci si può muovere finché il sole non la disperde, intorno alle 11…

L’andamento della battaglia non è noto esattamente nei suoi particolari, a causa delle diverse contrastanti notizie riportate dai testimoni che si trovavano in posizioni diverse, ma a grandi linee la ricostruzione è abbastanza agevole, come segue.

Di solito, nelle guerre di quei tempi, non sempre i due gruppi di armati venivano allo scontro diretto e finale e c’era sempre in testa il cosiddetto “campione”, un gigante forzuto che doveva impersonare la potenza di tutto il resto dei suoi compagni. Costui doveva scontrarsi per primo con il suo pari dello schieramento avversario, tentando di far piazza pulita davanti a sé.

Chi prevaleva permetteva al suo esercito di avanzare e attaccare per primo oppure persino di dichiararne la vittoria.

A questo scopo San Sergio di Radonezh, aveva mandato il suo monaco, fratello Peresvet, un gigante di grossa mole e forte corporatura, affinché fosse proprio lui ad aprire la battaglia “in nome di Dio”, e cioè dapprima con la liturgia e le benedizioni, visto che ai monaci era interdetto uccidere esseri umani, e poi, spogliandosi dell’abito monacale, scendere direttamente in lotta.

Peresvet infatti è il campione dei russi, mentre dalla parte dei tatari allo stesso scopo era stato scelto un altro gigante: Celubei, un nomade pecenego, artista del corpo-a-corpo.

Mentre il grosso di ciascuna armata rimane indietro, dietro il rispettivo campione, Peresvet e Celubei si scontrano, ma il destino vuole che il tataro riesca a tirar giù Peresvet da cavallo. La lotta è senza risparmio di forze, ma alla fine… entrambi i giganti in questo corpo-a-corpo cadono vittime dei loro stessi formidabili colpi !

è un cattivo presagio perché annuncia una battaglia senza quartiere e con molti morti, per tutti.     

Demetrio però non è più dietro la sua insegna, perché ha preferito mescolarsi fra i giovani dell’avanguardia, in modo da essere sempre nel pieno della battaglia e poter decidere le mosse strategiche con più cognizione di causa e sotto l’insegna ha messo il giovane bojaro Michele Brenko, facendogli indossare la sua armatura.

Mamai invece rimarrà a guardare dall’alto…

E la battaglia comincia…

La prima mossa è di Mamai, che scatena i suoi arcieri e all’improvviso la cavalleria mongola irrompe nel piano, come un fiume in piena che si riversa improvvisamente a gran velocità scaturendo dalle viscere della Collina Rossa.

è ormai passata un’ora e la battaglia già infuria al centro della Piana e dello schieramento russo e, benché gli armati cadano da entrambe le parti, i russi continuano a perdere posizioni sotto l’impeto della focosa cavalleria tatara.

Ecco come descrive il culmine della battaglia il Cronachista:

«Si scontrarono con grande forza. Con rabbia si uccisero gli uni con gli altri e non solo con le armi, ma, a causa della calca, molti morirono schiacciati dagli zoccoli dei cavalli, perché non c’era posto dove muoversi in quel Pian delle Beccacce: Quel posto fra il Don la Neprjadva era stretto, in verità. Si vedeva sangue dappertutto mentre brillavano come lampi le lame delle spade. Il rumore era forte e assordante sia per i colpi d’ascia che per l’incrociarsi delle spade, tanto che non era possibile avere una visione completa di tutta la battaglia. Già muoiono in tanti, molti eroi russi cadono come alberi colpiti dal fulmine. Anche l’erba è secca sotto il sole e calpestata dagli zoccoli…».

Verso le quattro del pomeriggio la battaglia sembra ormai persa per i russi…

Bobrok e Vladimiro di Serpukhov però sono ancora nascosti nella loro postazione e impazienti di intervenire. C’è vento contrario e sarebbe pericoloso scendere ora col rischio di non veder nulla per la polvere negli occhi, per cui indugiano ancora. Non appena cambia la direzione del vento, ecco che i loro uomini freschi si lanciano sul campo al galoppo. Bobrok e Vladimiro, per fortuna o per ispirazione divina, hanno scelto il momento giusto, proprio quando i tatari stanno inseguendo i resti dell’ala sinistra russa, ormai in rotta. Uscendo dai cespugli e riuscendo ad attaccare i tatari dal fianco e da tergo, il nemico è respinto e sbaragliato.

La tradizione racconta che i tatari, non appena videro questi nuovi armati russi, per la sorpresa gridarono disperati:

«Ahinoi ! Ahinoi ! I cristiani ci hanno superati nei piani. I migliori di loro si sono tenuti nascosti ed ora che le nostre membra sono stanche, dopo ore di battaglia, ci attaccano, loro freschi. Chi li potrà battere ora?».

La sorpresa infatti ha avuto il suo effetto. Costretti contro la riva della Neprjadva i tatari combattono ormai sulla difensiva e appena possono, scavalcando i cadaveri dei compagni, ripiegano verso la Collina Rossa, dove sicuramente possono trovar rifugio e riunirsi ai loro capi.

Continua così la lotta finché le sorti della battaglia passano ormai chiaramente in mano ai russi.

Mamai che ha visto la disfatta del suo esercito, non può far altro che fuggire di gran corsa anche lui verso la steppa del sud.

I russi lo inseguono finché possono e finché conviene, ma non vanno oltre il rio Mecià, per timore di finire in zona sconosciuta e troppo lontana dal resto dell’armata per poter esser soccorsi nel caso peggiore.

Per Mamai è finita perché neanche i lituani sono arrivati a dargli man forte. Ha saputo dai suoi esploratori che il principe lituano Jagellone (il futuro re di Polonia, Ladislao V) è rimasto attestato a poche decine di chilometri dal Pian delle Beccacce, decidendo di non intervenire.

Sembra che la ragione di questa improvvisa decisione sia a seguito di una lite con Oleg di Rjazan, rivale di Demetrio di Mosca. Tutti l’hanno sentito, quando Jagellone ha urlato: «La Lituania non è mai stata presa in considerazione da Rjazan’, ed io adesso dovrei unirmi a questo principe (solo per far dispetto a Demetrio di Mosca), perché mai ? Che follia!». E difatti, appena sa che Mamai è in fuga, al galoppo se ne ritorna a Vilnius. L’importante per Jagellone è che i tatari non abbiamo sconfinato nel suo territorio ucraino e inoltre, pensando forse che i russi, ormai imbaldanziti dalla vittoria, potrebbero rivolgersi contro di lui e batterlo, decide che è meglio tagliar la corda.

E Oleg di Rjazan’? Rimasto da solo e con pochi dei suoi, segue Jagellone sperando di rifugiarsi in Lituania, ma, arrivato al confine del Principato di Smolensk, ha un ripensamento. Si ferma improvvisamente e dice ai suoi, secondo quanto ci dice la tradizione:

«Voglio aspettare qui la notizia che il Gran Principe di Mosca sta attraversando i miei domini sul ritorno a Mosca e solo quando saprò che si è rinchiuso nel suo Cremlino, ritornerò a Rjazan».

Logicamente avrà pensato che, se in Lituania non lo accogliessero, che farebbe senza terre e senza alleanze? è meglio attendere che Mosca celebri la sua vittoria. Nell’euforia dei festeggiamenti sicuramente non si penserà solo alle ritorsioni contro di lui, per la sua defezione dal campo di battaglia,  e così, magari, può vedere di trarne miglior profitto.

C’è anche un’altra versione tramandataci sui movimenti di questo principe e cioè che sia stato inviato proprio da Demetrio presso Jagellone, con la preghiera che desistesse dall’attaccare i russi e che si schierasse invece contro l’infedele Mamai. Quella che sia la verità, questo Oleg di Rjazan’ appare come un opportunista senza pari!

Intanto a Pian delle Beccacce, si cominciano a contare le perdite…

Tutti però chiedono: Dov’è Demetrio? Nessuno lo sa e non lo si vede. Non glie l’avevano detto di mettersi al centro dell’armata per evitare di essere ucciso al primo scontro? Lui, no! Si era mescolato coi suoi proprio nell’avanguardia, svestendosi delle proprie insegne e si era gettato nella mischia. Qualcuno riferisce che era stato ferito proprio quando era andato all’attacco ed era o pesantemente ferito o certamente morto fra gli altri cadaveri.

Non appena i russi ritornano dall’inseguimento dei tatari in fuga, si dà fiato alle trombe per il raduno dei superstiti e si comanda di cercarlo, almeno per poterlo seppellire con onore, mentre si contano i vivi e i morti e si controlla quali siano i feriti ancora guaribili e quali invece, intrasportabili, da lasciare sul campo.

Le insegne sono state di nuovo piantate ritte nel suolo e c’è già qualche notizia dei caduti: Fra i morti ci sono il portainsegne di Demetrio, Michele Brenko, Nicola Veljaminov, quaranta giovani bojari moscoviti, dodici principi di Lago Bianco e una decina di bojari novgorodesi e… in tutto 12 principi e 483 bojari!

Nel frattempo i grandi eroi che potrebbero già essere immediatamente acclamati in trionfo sono Vladimiro di Serpukhov e il grande Bobrok che hanno realmente risolto la battaglia a favore dei russi…

I numeri poi sono quelli che sono: 40 mila armati soltanto, sono ancora in condizioni di proseguire il cammino con le proprie forze! Due terzi dell’armata è andata perduta e il principe di Mosca stesso è ancora disteso su una barella praticamente inerte.

Demetrio infatti è stato appena ritrovato. Era sotto i rami di un albero cadutogli addosso ed è gravemente ferito e coperto di sangue per i colpi di spada infertigli. è lavato ed aiutato a ritornare in sé, per apparire di nuovo in pubblico. Non appena si riprende, tutti gli astanti gli gridano: «Sire! Abbiamo vinto!».

è vero, hanno vinto, anzi alcuni dei generali stanno già discutendo su come fare ad attestarsi nella steppa per impedire ogni ritorno immediato di Mamai e già si prevedono compiti duri e difficili, nel caso che Demetrio non sopravvivesse o non fosse più in grado di comandare. Se questo fosse il caso, chissà chi potrà riuscire a portarli a termine, dato che i figli di Demetrio sono ancora molto piccoli, ma la necessità di chiudere la partita per sempre coi tatari è ormai sulla bocca di tutti. 

Non ci sarebbe molto di notevole dopo questa vittoria, oltre allo scarno bottino che Mamai ha lasciato sul campo, se non si tenessero presenti i seguenti punti: 

·    I moscoviti vincono e sbaragliano l’esercito di Mamai: Cosa che fino a quel momento non era mai accaduto contro i tatari, dopo le epiche imprese di Alessandro Nevskii!

·    Intorno a Demetrio si è raccolto uno dei più grandi eserciti dell’antichità,  che, a parte le esagerazioni dei cronisti dell’epoca, era veramente numeroso, oltre centomila uomini, ben addestrato e ben equipaggiato, se riuscì a battere Mamai i cui uomini erano sicuramente molti di più dei russi e contavano sulla presenza di esperti fantaccini come quelli genovesi e di arcieri tatari a cavallo, rinomati per la loro prontezza e perizia, persino nell’Europa Occidentale!

·    Per la prima volta nella storia militare russa, al di sopra degli armati a quanto sembra, c’è stato un solo comandante supremo, Demetrio, che ha deciso strategie e manovre, seguendo piani prestabiliti.

·    è questa la prima battaglia condotta da un principe russo per l’unità nazionale (intorno a Mosca naturalmente!) e conseguentemente con questa vittoria si afferma, una volta per tutte, il diritto alla supremazia di Mosca, in questa “santa missione” di unificatrice di tutte le città russe della Bassa.

  

Questi i punti notevoli, ma ce ne sono anche altri, più strani.

Se rileggiamo gli avvenimenti fin qui raccontati siamo subito attratti da alcune incongruenze molto misteriose.

·     Innanzitutto, perché Demetrio si traveste, invece di andare in battaglia con le sue insegne e con la sua armatura? Perché decide di esporsi subito in prima fila ?

·    In secondo luogo, perché Bobrok e Vladimiro di Serpukhov, che sono nella realtà i veri vincitori della Battaglia, una volta resisi conto che Demetrio è in pratica in fin di vita o forse morto (è stato ritrovato sotto un albero, orribilmente ferito e insanguinato!), non lo eliminano definitivamente e non si impadroniscono del potere?

·    Ed infine: come mai Vladimiro e Bobrok si sono messi d’accordo per scendere in battaglia e cogliere l’attimo giusto per volgerne le sorti verso la vittoria dei russi, mentre invece non riescono ad accordarsi poi per spartirsi il potere a Mosca che sicuramente intuiscono che crescerà, quando tutti sapranno di questa vittoria ? Non è pensabile che questi due personaggi si possano accontentare fino alla fine dei loro giorni, dopo un’occasione del genere, di un ruolo di secondo piano!

·    Non è inoltre credibile che San Sergio di Radonezh abbia inviato i suoi due monaci proprio solo per benedire o portare conforti religiosi. Sicuramente i due sono lì per controllare che in caso di disfatta o di vittoria, il merito o il sacrificio venga esaltato ed attribuito alla Chiesa Russa e all’uomo che la chiesa stessa ha consacrato per questo compito e… il principe russo più sicuro dal punto di vista politico, non è Demetrio di Mosca?

·    Anche Bobrok si chiama Demetrio e non potrebbe essere che il vero Demetrio, vincitore del Don, sia proprio lui e non il figlio di Giovanni il Bello, di Mosca? Demetrio di Mosca non si è mai distinto per acutezza o per grande coraggio e si è fatto sempre manovrare dagli altri, mentre di Bobrok conosciamo bene il suo valore e, se Vladimiro di Serpukhov fosse d’accordo, potrebbe esser proprio lui a prendere il posto del cognato, magari appoggiato da sua moglie Eudocia e dai suoi parenti, i Veljiaminov rimasti  a Mosca, occultando il cadavere del marito. Al limite, se Eudocia non approvasse, la si potrebbe mandare in convento a tacere per sempre.

 

Ci sono dunque grandi ombre intorno alla Battaglia del Pian delle Beccacce e ci è sorto il sospetto che le Cronache abbiamo creato un personaggio, che in realtà non è mai esistito.

A parte i misteri, vediamo ora che uso farne di questa costosissima vittoria.

Qualche vantaggio immediato c’è già.

La fama della vittoria russa si spargerà per tutta l’Asia anteriore e addirittura fermerà prima del Volga le truppe del Tamerlano, anni più tardi.

Verso est le vie commerciali che si diramano lungo il Volga per l’Asia Centrale saranno probabilmente meglio percorribili, dato che la città di Bolghar è già nelle mani di Mosca e, ora che Mamai è stato battuto, anche gli itinerari lungo il Don per il sud dovrebbero essere più liberi o per lo meno si potrà negoziare più vantaggiosamente per la loro percorrenza.

è bene sottolineare che la vittoria di Pian delle Beccacce non è la vittoria sui tatari tutti, ma solo su una parte ribelle di essi e che quindi ufficialmente Mosca e il suo territorio rimane ancora sotto il controllo dei tatari di Sarai.

Ultima stranezza, ma non meno importante delle altre: perché Jagellone si è fermato a pochi chilometri dal luogo della battaglia e ha deciso di ritornare sui suoi passi? è tutto vero quanto ci ha tramandato la tradizione cronachistica dei conventi di parte moscovita ? Sappiamo che era costume del comando lituano non far mai sapere la meta ultima di una marcia militare agli armigeri e che quindi molto probabilmente nessuno sapeva che cosa fosse venuto a fare esattamente Jagellone, così vicino a Mosca, ma quando questi decise di ritornare in Lituania fu chiaro anche che la sua presenza era stata un atto ostile contro Mosca.

Jagellone molto probabilmente non intervenne perché, avendo capito che i suoi uomini - in grandissima parte di fede ortodossa russa - non avrebbero combattuto contro altri cristiani come loro e non sarebbero rimasti al fianco di un infedele come Mamai, considerato un nemico radicale della fede russa, decise a sole venti verste dal campo della battaglia di ripiegare. Questa è l’opinione degli storici Vladimir Orlov e Pjotr Cigrinov che condividiamo pienamente.

Inoltre Jagellone, non volendo essere implicato in un’eventuale sconfitta in uno scontro con un esercito restato comunque così numeroso e ormai entusiasmato dalla vittoria appena conseguita, come quello russo, capì che ogni suo disegno contro Mosca al momento era senza senso e, anche se ebbe qualche scaramuccia con parte dei contingenti russi che rifluivano verso la Bassa, se ne tornò a casa, chiudendo la partita, senza colpo ferire.

 


N.B. Dopo lo scioglimento dell'URSS quest'anno (2005) si è potuto celebrare solennemente in presenza di Sua Santità Alessio II il 625mo anniversario della Battaglia di Pian delle Beccacce che segnò l'inizio dell'ascesa della dinastia moscovita verso la costituzione del Sacro Romano Impero Russo quando Giovanni III sposa Zoe Paleologa, nipote di Costantino XI, ultimo imperatore cristiano di Costantinopoli, caduto nel 1453. Vedi anche la lettera di encomio inviata da Alessio II all'Autore dell'articolo (e poi del volume Pian delle Beccacce), e il sito www.tula.net.

   

 

       

Fonte dell'immagine: www.xenophongi.org/rushistory/battles/bes7ds.htm

    

©2003 Aldo C. Marturano

   


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