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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 19/3 |
Terza parte
Da
quando Giovanni era salito al trono di Mosca dopo la morte di suo padre il suo
sogno era rimasto quello di trasformare il piccolo e insignificante udel
moscovita in un grande impero. Per
poter giungere a questo traguardo occorreva però eliminare l’indipendenza
personale di tutti i principi cugini che governavano le diverse terre intorno a
Mosca e Giovanni cominciò a farlo proprio partendo da Rjazan. Basilio
di Rjazan sposa infatti la sorella di Giovanni nel 1464 e giura la sua eterna
fedeltà a Mosca e al suo sovrano che chiama “fratello maggiore”. Nel
1472 muore il fratello di Giovanni, Giorgio, senza testamento e, dopo qualche
litigio con gli altri fratelli ancora vivi, Andrea e Boris, come innovazione
nella prassi del passato quando gli udel si ridistribuivano secondo certe
regole, incorpora nei territori moscoviti le città e le proprietà del defunto,
fra cui Serpuhov. Nel
1474 “compra” una parte della regione intorno a Rostov-la-grande… Sappiamo
già che è il marito della figlia del principe di Tver Boris e, se tiriamo le
somme a questo punto, possiamo vedere che Mosca ormai ha in mano tutta la Bassa… Vjatka
e i territori della Dvina Settentrionale sono anche in mano moscovita. Ma
cosa può esser la Bassa senza Novgorod? E purtroppo, dopo la vittoria sulla
Scelon’, la conquista non sembra ancora completa e definitiva. Sposare
Zoe Paleòlogo ha aperto a Giovanni III un nuovo ampio orizzonte politico che
gli dà la possibilità di realizzare il suo sogno. E’ diventato prima di
tutto il “nuovo” Imperatore Romano e perciò succede al defunto Costantino
XI. Ed ecco il diritto di apporre il simbolo dell’aquila bicipite bizantina
accanto al suo stemma raffigurante san Giorgio che uccide il drago, sul sigillo
e sulle monete. Si proclama “Cesare” (in russo “Zar”) e per questo
motivo il suo dominio d’ora in poi è e diventerà il nuovo Impero Romano col
diritto originario ereditato di “riprendersi” quelle regioni e quelle terre
che ora sono sparse ed “affidate” a vari re, in Europa e in Asia. E’
il rappresentante “secolare” di Cristo in Terra e perciò concede il potere,
se vuole, ad altri, tramite la “sua” Chiesa, unica e vera, che ora non
dipende più da alcun altro potere religioso superiore, ma soltanto dalla sua
benevolenza e da quella dei suoi discendenti. Infatti dopo qualche anno Mosca
diventerà la sede di un nuovo Patriarcato, adottando e realizzando il vecchio
progetto teorizzato un secolo prima dal Metropolita Cipriano sul ruolo di Mosca
quale Terza Roma! E dovrà essere il Patriarcato Massimo come ora il suo
Metropolita è (o almeno pretende di essere) quello maggiore di tutte le
eparchie ortodosse delle Terre Russe e Lituane. A
questo punto per Giovanni le autorità europee, come l’imperatore del Sacro
Romano Impero o i vari re cattolici del nord, il papa di Roma o il metropolita
di Kiev etc. non hanno più valore di fronte alla sua sacra persona e alla sua
Mosca capitale universale. Giovanni ha il diritto in nome di Cristo di eliminare
qualsiasi concorrente o rivale, ovunque esso si trovi! Occorre
riassegnare al più presto un ruolo speciale alla Chiesa Russa ora che è
diventata assoluta responsabile di qualsiasi mutamento avvenga all’interno del
gregge dei credenti e di dichiarare eretica ogni altra chiesa cristiana che non
riconosca questo ruolo leader.
Innanzi
tutto bisogna ripristinare la spettacolarità della Chiesa e quindi la
costruzione della nuova cattedrale rientra in quel progetto. Anche Mosca e il
suo Cremlino dove la Cattedrale si trova deve essere abbellita per far bella
figura da Capitale non solo di un Impero, ma anche della Chiesa Universale.
In
questi anni, a parte i resti delle mura bianche del Cremlino di Demetrio, la
città è ancora quasi tutta di legno e abbiamo visto come facilmente va a fuoco
e, se si vuole costruire con pietre o mattoni, bisognerà anche avere dei bravi
ingegneri che qui non ci sono. I suoi Krivzov e Mysc’kin che avevano
ristrutturato la Cattedrale dell’Assunzione avevano già fallito. Si potrebbe
ricorrere all’esperienza dei novgorodesi, ma… chi si fida di loro? E far
costruire a Mosca una chiesa più bella e più grande di Santa Sofia di Novgorod
oppure le opere difensive da ingegneri di quella città quindi non è
consigliabile. Nel
1473 Mosca è avvolta dalle fiamme e il Metropolita Filippo muore dallo
spavento, mentre, il 20 maggio di questo stesso anno, forse come conseguenza del
fuoco la Cattedrale crolla! E’ un segno funesto! Occorre
costruirne subito una nuova e Giovanni in occasione della missione a Roma per il
fidanzamento con
Zoe Paleòlogo incarica il suo plenipotenziario Tolbuzin di far venire a
Mosca, l’architetto italiano Aristotele Fioravanti che gli ricostruirà la
cattedrale ed essa sarà pronta, non proprio per il matrimonio con Zoe, ma
almeno agibile per la cerimonia. Sarà
completata nel 1479 e la costruzione questa volta rimarrà in piedi (fino ad
oggi)! Giovanni
si darà da fare affinché queste (ed altre) costruzioni vengano portate a buon
fine in tutta la regione persino requisendo soldi e reliquie, oggetti di lusso e
suppellettili preziosissime ovunque le trovi. Ad
esempio, già la veneratissima icona della Vergine di Bogoljubovo “trafugata”
da Cernìgov da Andrea Bogoljubskii e posta nella sontuosa Cattedrale dell’Assunzione
della cittadina non molto lontana da Mosca, Vladimir-sulla-Kljazma, già sede
del Metropolita fino ai tempi di Cipriano, ora è a Mosca e deve trovare la sua
sistemazione in una chiesa altrettanto degna, se non più grande e più bella e
sarà proprio la nuova Cattedrale dell’Assunzione ad accoglierla. Forse anche
la campana portata via a Novgorod sarà posta sul campanile di questa chiesa… A
parte questo aspetto più materiale, ma importantissimo, la Chiesa Moscovita e
Mosca stessa dovranno diventare un faro di insegnamento cristiano a tutti i
livelli, ma come si fa, se poi il problema è quello della cultura scritta nell’ambito
della quale purtroppo il Clero, detentore dell’insegnamento, è fortemente
carente? Le traduzioni degli scritti sacri si sono fermati da decenni sul
Vangelo e sui libri per la liturgia e in generale la gente non sa né scrivere
né leggere… Inoltre
il costume di comprare le cariche ecclesiastiche e la troppa amministrazione
bancaria delle chiese e dei monasteri sono ormai da anni estremamente criticati
e abbiamo già accennato al movimento purista degli Strigòlniki nella
seconda metà del XIV sec. e le loro lamentele, persino scritte e pubblicate,
erano circolate fra la gente (benché poi l’ardore dei preti ha distrutto
tutto questo materiale e fino ad oggi ne sono rimaste pochissime tracce) di
Pskov e di Novgorod. Altra
è la situazione al nord. Novgorod
è da sempre abituata ad essere l’unico centro colto delle Terre Russe che
già ha scambi con l’estero europeo ed asiatico e dove tutti sanno scrivere e
leggere e dove c’è più possibilità di discutere e di confrontare le proprie
opinioni con quelle degli altri, persino con gli stranieri! Il salotto di Marta
Borezkaja era giustamente chiamato la Corte dei Miracoli perché era frequentata
dall’alta borghesia novgorodese e dai preti più liberi ai quali nessuno aveva
mai impedito di dire quel che volevano nei frequenti conviti e i loro argomenti
erano poi serviti nei consigli per decidere i destini della città. è
logico quindi che, se un nuovo pensiero russo doveva nascere, non poteva che
originarsi qui, a Novgorod. Questo fatto costituiva una minaccia per Mosca, una
minaccia politica poiché le idee di Novgorod circolavano fra le classi popolari
non istituzionalizzate e non solo fra i monaci e fra i cosiddetti gost più
borghesizzati dei novgorodesi e dei bojari! Ed infatti è proprio qui durante la lotta novgorodese per l’indipendenza che nasce la così chiamata “eresia giudaizzante” dalla quale sarà affascinato lo stesso Giovanni III… è
probabile che questa eresia abbia qualche radice nel movimento degli Strigòlniki
nato a Pskov, ma non è possibile determinarlo con sicurezza a causa della
mancanza di documenti. Siccome entrambi i pensieri mossero i primi passi da
Novgorod è chiaro che debbano ricevere la denominazione di eresie novgorodesi.
Altrettanto sicuramente esse hanno legami ideologici e culturali con
l’Occidente e col mondo slavo della Moravia del tempo di Giovanni Hus. Le
eresie novgorodesi erano chiaramente razionalistiche e andavano contro una
vecchia gerarchia ecclesiastica troppo cristallizzata su un mondo passato che
ormai non esisteva più come pure contro la “proprietà” di beni materiali
da parte di coloro che predicavano l’umiltà e la moderatezza. Non erano però,
come può apparire, dei movimenti di riforma religiosa, ma cercavano di
informare la gente che i poteri cittadini dovevano e potevano essere criticati
e, quando possibile, sostituiti da altri più giusti e migliori. Al
di là di ciò è difficile descrivere e comprendere le vere convinzioni ed i
veri stimoli che esse trasmettevano alla gente comune, poiché sono conosciute
non tanto per le proprie produzioni scritte, quanto per le critiche e le guerre
ideologiche condotte contro i loro membri e partecipanti. Naturalmente
i Giudaizzanti sono meglio noti poiché per un certo tempo godettero della
protezione dei più abbienti, come di Marta Borezkaja a Novgorod, o addirittura
di Giovanni III, a Mosca, finché non intervenne con forza il Metropolita che
con la sua autorità costrinse il principe ad intervenire sui loro capi affinché
non continuassero ad avvelenare la santa dottrina della Chiesa Russa e li fece
bruciare al rogo sulla piazza. I Giudaizzanti in definitiva negavano molti dogmi
della chiesa cristiana, non per partito preso, ma perchè vedevano in queste
verità dogmatiche degli ostacoli alla purezza e come modello proponevano un non
molto ben identificato costume antico di vivere e di onorare Dio come poteva
essere, magari, la religione professata allora dagli ebrei che frequentavano
Novgorod. Si creò dunque un’atmosfera di maggiore libertà di critica che
talvolta metteva in imbarazzo persino gli stessi prelati che discutevano con
questi Giudaizzanti.
D’altra
parte i Giudaizzanti a Novgorod vedevano che l’elezione dell’Arcivescovo era
fatta in base alla scelta popolare e basandosi sulla popolarità dei candidati,
apprezzati e conosciuti dalla gente, mentre al contrario a Mosca l’elezione
dei prelati era fatta in base al maggior peso dei regali portati o delle
proprietà possedute per poi aspettare l’ultima parola da parte del Gran
Principe. Come fare dunque in questo caso specifico a schierarsi con Mosca o col
suo Metropolita? Alla
fine la Chiesa dichiarò qualsiasi pratica dei Giudaizzanti come deviante ed
eretica e addirittura Ghennadio, il duro e rigido Arcivescovo di Novgorod che
incontreremo qualche pagina più avanti, consigliò a Giovanni di istituire
un’Inquisizione sul modello spagnolo! Come
conseguenza di queste correnti di pensiero, prendono corpo in questa epoca (fine
del XV sec.) alcune riforme sull’ordinamento dei monaci e dei conventi russi.
Rifacendosi molto spesso agli antichi costumi dell’eremita nei deserti dei
primi padri della Chiesa Cristiana si giunse ad avere come ideale quello di
emulare la vita e le opere di un grande santo russo: Sergio di Radonezh. Le
eresie novgorodesi furono perciò un altro motivo di preoccupazione, ma anche
un’altra scusa per abbattere le “libertà” novgorodesi e Giovanni, secondo
la sua concezione assolutistica, anche su questa base comincia ad elaborare un
piano di svuotamento culturale della città, almeno dopo averla completamente
conquistata materialmente. Comincia a Mosca una lunga maratona di visitazioni,
di trattative a volte dure e minacciose e a volte mascherate da finta
accondiscendenza che porterà alla scomparsa storico-culturale del grande centro
settentrionale russo. E
vediamo che cosa avviene. Nel
1472 la Vece decise di mandare a Mosca una delegazione per cercare un
modo di far la pace, senza troppi disonorevoli compromessi. A Monsignor Teofilo,
posto a capo del gruppetto, fu Giovanni impose che si inginocchiasse davanti a
lui all’interno di una Chiesa
del Cremlino e che facesse di fronte ai bojari di corte le sue solenni
scuse in nome di Novgorod. Teofilo compì l’umiliante gesto, ma pregò quasi
con le lacrime agli occhi che venissero rilasciati i nobili novgorodesi ancora
in prigione a Mosca. Giovanni con teatrale magnanimità concesse a costoro la
libertà e la delegazione tornò quasi trionfante nel nord. Tutti allora
pensarono che le cose si sarebbero messo a posto con Mosca, forse con qualche
difficoltà, ma furono gratissimi per tutto quanto Monsignore aveva fatto
finora. Quell’anno
apparve una cometa e la gente disse ebbe molta paura e i guardastelle
giudaizzanti dissero che per Novgorod si preparavano eventi ancora peggiori di
quelli già passati… Giovanni
però se la prende comoda e quando i suoi bojari lo incitavano dicendo che
l’esistenza di Novgorod offendeva la sua dignità, disse una volta: «Le
onde battono i sassi da tutti i lati e questi si trasformano in polvere nella
spuma e poi scompaiono come un sorriso sulla bocca!». Dunque, Novgorod si
consumerà da sola… Ed
infatti nel 1475 Giovanni tornò alla carica. Apparentemente
si fece invitare da coloro che Giovanni finora aveva finanziato e comprato, dai
membri del cosiddetto partito moscovita, e, Senza armati stavolta, ma solo
accompagnato da un drappello d’onore, venne a far visita a Novgorod. Annunciò
alla Vece che era venuto solo per rispondere alle diverse richieste che
si erano accumulate per il terzo giudice. Già
a poco meno di 100 verste dalla porta principale del Detinez, Monsignor Teofilo,
il vecchio namestnik Basilio Sciuiskii-Grabjònok, insieme con i posadniki,
in carica e quelli già in pensione, con qualche priore dei conventi rimasti
ancora in piedi l’accolsero. Ciascuno portava regali d’altissimo valore, fra
i quali botti piene di vino rosso e bianco provenienti dalla Borgogna, per
rabbonirlo. Il Principe si fermò nella Cittadella perché temeva per la
sua vita e non si fidava di essere ospite di nessuno all’interno di quelle
possenti mura novgorodesi ed invitò tutti coloro che l’avevano accolto a
pranzo presso di lui, mentre la gente raccoltasi sulle rive del Zhilotug lo
guardava con curiosità. Anche
il giorno dopo, senza muoversi dalla Cittadella, dette ancora un’altra
festa a cui parteciparono i capi della città ancora una volta. Solo il 23
novembre su sua richiesta ufficiale gli furono aperte le porte, cosiddette
successivamente di Mosca, e solennemente fece ingresso nella Riva di Santa
Sofia. Tutto
il clero novgorodese era lì ad accoglierlo con le icone sante e le insegne,
mentre le campane suonavano a festa. Giovanni entrò nel tempio e si chinò a
baciare tutte le tombe dei “suoi” antenati sepolti a Santa Sofia e quelle
degli altri personaggi che avevano avuto l’onore di essere seppelliti lì,
come ad esempio, gli arcivescovi più famosi. Partecipò
al pranzo di Teofilo nella foresteria dell’Arcivescovado e dopo aver ricevuto
in dono tre balle di panni di Fiandra e altri preziosissimi doni, se ne tornò
alla Cittadella. Di
qui proclamò che era pronto a ricevere chiunque avesse da portargli lamentele e
richieste di giudizio perché Giovanni avrebbe giudicato secondo la giustizia in
vigore a Mosca. In realtà il furbo sovrano voleva attraverso questi gli
interrogatori e le inchieste riuscire a trovare il modo per isolare il partito
dei Lituani capeggiato da Marta Borezkaja, alla ricerca della scusa per
arrestare uno per uno i bojari che erano dalla sua parte. In pratica, invece di
giudicare per le liti propostegli, Giovanni s’informava su chi erano e su come
i “Lituani” agivano. Dopo
qualche giorno, quando credette di aver raccolto abbastanza prove, fece mettere
ai ferri un cugino di Marta, suo figlio Teodoro (detto il Sempliciotto, in russo
Duren’) ed altri bojari parenti di lei accusandoli di voler vendere la
Russia di Mosca alla Lituania. Li fece processare davanti alla Vece
riunita che non seppe opporsi quando, giudicatili colpevoli, poi li rinchiuse
nella prigione della Cittadella con l’intenzione di trasferirli al più presto
a Mosca. L’indomani però l’Arcivescovo ed altri bojari si recarono da lui
chiedendo grazia e libertà per i poveri malcapitati, colpevoli solo di amare la
propria città. Al che fu opposto un secco rifiuto ed i prigionieri furono
spediti a Kolòmna, vicino Mosca il giorno stesso. Alcuni di loro che erano
risultati rei di cospirazioni di minor importanza però, Giovanni concesse di
liberarli, ma… dietro un altissimo riscatto! Di più non si ottenne. Ancora
tre settimane rimase a Novgorod, invitato pressoché ogni giorno a feste e
festini, ai quali partecipò ricevendo doni preziosi a non finire che cercavano
di imbonirlo. Respinse solo l’invito di Marta Borezkaja, perché, disse, era
giunta l’ora di tornare a Mosca dove l’attendevano affari più importanti.
Al saluto finale il posadnik in carica, Tommaso, portò ancora in dono da
parte della città
ben 1000 rubli! Durante
quel suo soggiorno, udito della sua presenza a Novgorod, dalla Svezia giunse, da
parte del principe Sten il Grande, un‘ambasciata con la proposta di fare una
duratura pace con Mosca (in realtà fra Novgorod e la Svezia) per vivere in pace
sul Baltico. Giovanni, inorgoglito del riconoscimento internazionale della sua
autorità su Novgorod, acconsentì con piacere dando l’incarico
all’Arcivescovo di stilare un atto di pace che avrebbe volentieri
sottoscritto. Anche
i rappresentanti della Vece i di Pskov vennero a visitarlo
pregandolo che per quella città non cambiasse le leggi e gli ordinamenti e
anche qui acconsentì. Qualcuno
cominciò a pensare che in realtà poi non era così negativo questo Principe
moscovita… La
macchia nera però ci fu. Molti soprusi furono perpetrati da parte dei bojari
moscoviti durante il soggiorno di Giovanni, ma nessuno offeso osò lamentarsene
per la paura di essere ucciso e di essere mandato in prigione a Mosca e tutti
alla fine aspettavano con ansia il giorno della sua partenza. Finalmente,
giunta ormai la bella stagione, Giovanni prese la via per Mosca e Novgorod tirò
un sospirone di sollievo. Si riprese a discutere e si decise che rimaneva ora da
far di tutto per liberare i bojari inviati in prigione al sud, prima che
capitasse loro qualcosa di peggio, e qualche giorno dopo Teofilo si recò a
Mosca e si ingegnò in tutti i modi per ottenere la loro libertà. Gli
sforzi furono vani e, giunta ormai la Pasqua, Teofilo benché fosse stato
invitato a pranzare col Principe che però fino ad allora non lo aveva mai
ricevuto, indispettito rifiutò qualsiasi ulteriore invito dicendo che doveva
ritornare
al nord per delle questioni urgenti. In
realtà a Novgorod stava succedendo ben altro in quei giorni. Il
ritorno di parte dei bojari liberati da Kolòmna avevano naturalmente rafforzato
la posizione del “partito lituano” che a questo punto si sentì in diritto
di annientare il ”partito moscovita” addirittura ricorrendo alla rapina e al
saccheggio delle abitazioni degli avversari. A causa di ciò si creò una tale
atmosfera di sfiducia nelle istituzioni che alcuni bojari, per paura di essere
tacciati di “moscovitismo” quando avevano delle questioni da risolvere,
senza dover prendere le armi in mano, correvano a Mosca a lamentarsi e a farsi
risolvere le liti da Giovanni stesso. Per
ingraziarsi questi novgorodesi, ma soprattutto per minare l’autorità dei
tribunali dell’Arcivescovo e la figura personale del prelato stesso e dei
bojari testardi indipendentisti di Marta, Giovanni cominciò ad emanare giudizi
non più secondo giustizia, ma secondo la sua personale simpatia verso una certa
parte politica, oltre che per i doni portati alla sua corte personale. Un
giorno, ma questa è probabilmente una favola che servì da tiro mancino dello
zar contro Novgorod, si presentò un certo Zaccaria dicendo di essere un messo
dell’Arcivescovo e mentre sottoponeva il suo caso apostrofò Giovanni molte
volte con il titolo di Gosudar (ossia Sire). Al che Giovanni si meravigliò
e chiese spiegazioni all’Arcivescovo, mandandogli una missiva col suo fidato
bojaro Teodoro figlio di Davide. La risposta che costui ricevette fu molto
netta, dopo che la lettera fu letta al Consiglio dei Gospodà: «Non
ti abbiamo mai mandato un messo autorizzandolo a chiamarti Sire. E’ una
volgare menzogna!». Spiegarono al bojaro moscovita che chi andava a Mosca,
ci andava di sua spontanea volontà e non per essere giudicato in prima istanza,
ma soltanto in quei casi particolari in cui si richiedeva il terzo giudice
perchè Novgorod si giudica coi propri giudici! Marta
Borezkaja che riusciva ad intravedere quali sporche manovre si nascondessero
dietro tutti questi piccoli episodi, chiamò i cittadini alla Vece e
spiegò loro che tutti questi sotterfugi erano il frutto delle intenzioni di
Giovanni di privare Novgorod della propria libertà e che quindi bisognava
opporsi con tutte le proprie forze ora che il momento era giunto e individuare
chi fossero i veri traditori pagati da Mosca e annientarli una volta per tutte. Fu
addirittura accusato Zaccaria, il posadnik che si era recato spesso a
Mosca negli ultimi tempi, il quale, è vero che aveva accusato un certo Basilio
figlio di Niceforo di connivenza moscovita, ma poi non poté giustificare con
grande evidenza il proprio operato. Il detto Basilio intanto si difese dicendo
di non aver mai pensato di sottomettersi a Giovanni. Nessuno dei due alla fine
fu creduto ed anzi i partecipanti a quella Vece si alzarono dai loro
banchi e tirati fuori i coltelli fecero a pezzi Basilio e quasi uccisero
Zaccaria. Gli altri imputati del gruppo furono invece messi in prigione. Tutto
questo accadde proprio sul sagrato della Chiesa di Santa Sofia a prova che il
partito indipendentista era ancora molto forte e seguiva ancora le direttive di
Marta Borezkaja sperando ancora che la Polonia fosse intervenuta presto a
sostenere la città. Passò
ancora del tempo e quando Giovanni si accorse di essere abbastanza libero da
impegni con l’estero, decise ancora una volta di andare a nord per tentare di
piegare definitivamente quella maledetta repubblica ribelle. Il
Metropolita Geronzio lo sosteneva e lo spingeva perché s’aspettava che
Giovanni confiscasse le proprietà dell’Arcivescovo novgorodese al più presto
in modo da potere disporre di una maggiore ricchezza e poter così mantenere una
posizione più degna di un Capo della Chiesa che, al contrario, al momento
risultava di molto più modesta rispetto, ad esempio, agli abiti di Teofilo da
quando la cassa di Giovanni aveva lesinato sulla decima dovuta. Il
9 dicembre del 1478 Giovanni decise che un’altra manovra militare dimostrativa
avrebbe convinto i novgorodesi a capitolare e con una nuova armata riprese la
strada per il nord. Occorre
sempre tener presente che dopo le perdite sulla Scelon’ Giovanni non aveva più
molta voglia di scontrarsi nel nord, così lontano da Mosca, e perdere uomini e
mezzi e perciò, sornione, aspettava e tergiversava finchè il nemico impaurito
dallo spiegamento di armate e dalla permanenza del blocco nel suo territorio che
gli impediva qualsiasi movimento, oltre che l’approvvigionamento e i vitali
traffici, si sarebbe stancato e sarebbe venuto ai compromessi. Per questo aveva
mandato già qualche mese prima un avviso ai novgorodesi della sua “venuta
militare”. La
prima tappa naturalmente
è Volok Lamskii, poi Tver e finalmente si accampa sotto Mercato Nuovo. Qui
lo aspettavano già gli inviati dei bojari novgorodesi i quali, per paura di
perdere la vita e il patrimonio, avevano mandato per parlamentare un capocantone
e un borghese. Costoro vengono a fargli omaggio, ma, oltre a chiamarlo Sire, non
sono in grado di promettere alcunché di concreto! Gli
sviluppi perciò non erano rapidi come si aspettava e i moscoviti continuarono
per il nord. Arrivato sotto il lago Ilmen Giovanni ridispone le truppe e una
parte le manda già verso la città per impadronirsi della Cittadella dopo
avrebbe voluto porre il suo Quartier Generale. Naturalmente
l’ordine è di distruggere e saccheggiare senza pietà! E’ il 10 novembre e
il suolo e
i fiumi sono gelati e quindi si va abbastanza speditamente e lascia che i suoi
uomini svolgano qualche manovra dimostrativa vicino alla città, mentre aspetta
che quelli di Pskov si muovano verso Novgorod come avevano promesso. Qui accade
l’imprevisto. Il
namestnik moscovita di Pskov viene mandato via dalla città. Giovanni lo
sostituisce immediatamente con un altro, Basilio Sciuiskii (questo è un omonimo
e parente del Sciuiskii-Grebjonok di Novgorod). Nel frattempo da Pskov è già
partita una delegazione in fretta e furia per Novgorod. Si chiede ai novgorodesi
di trattare tutti insieme, affinché Giovanni abbandoni il territorio al più
presto e li lasci in pace con le loro leggi e che, per questo, sono disposti a
riconoscerlo come loro Signore. Novgorod rifiuta, ma poi col passar del tempo
l’idea di Pskov non sembra sbagliata e si vorrebbe riprenderla. E’ troppo
tardi! Perchè all’improvviso scoppia un incendio a Pskov e tutti si rifiutano
di scendere in guerra ora che in pratica, se lasciassero la città, tornerebbero
solo quando essa è macerie e ceneri. Sciuiskii, ligio agli ordini di Giovanni,
non discute e radunati quelle armi e quei soldati che può si dirige lungo la
Scelon’ verso Novgorod. Novgorod
è in crisi profonda: Non ha più un esercito, la città è sotto assedio e non
c’è unità fra i bojari né si è formata una classe dirigente che prenda in
mano la situazione e l’unica misura
urgente e indiscutibile è quella di difendere la città in tutti i modi. Infatti
quando avevano saputo dei movimenti di Giovanni abbiamo visto che i novgorodesi
avevano mandato a Mercato Nuovo i due messi, i quali, ad ogni buon conto, erano
stati trattenuti.
A questi due ne era seguito un altro e ancora un terzo finché costoro
non erano stati rimandati a Novgorod con la notizia che Giovanni avrebbe
ricevuto un’ambasciata come si deve e non funzionari da quattro soldi. Ed
ecco che gli annunciano una nuova delegazione di novgorodesi con l’Arcivescovo
Teofilo. Giovanni gongola. E’ sicuro che la capitolazione è vicina, ma si
rifiuta di dare alcuna risposta decisiva alle preghiere veramente umilianti che
tutti i posadniki in carica e quelli vecchi, gli starosty dei
cantoni e gli altri gli fanno. Infatti come era abitudine delle delegazioni
diplomatiche di quel tempo, ogni membro componente era portatore di una
richiesta sulla quale era preparato a discutere per cui, sebbene tutti lo
riconobbero formalmente loro signore in sostanza la richiesta più importante
risultò essere che Giovanni liberasse quale gesto concreto della sua
benevolenza i loro amici che deteneva a Mosca. L’Arcivescovo ricorre persino
alla mediazione del fratello di Giovanni che è lì coi suoi, Andrea il Piccolo.
Niente da fare! Il
25 novembre Giovanni dà ordine di attraversare il lago ghiacciato e fermarsi a
Sytino (il
paese di Sadkò) sulla riva nord del lago Ilmen in vista della città! Monsignore
e i bojari tristemente abbattuti in vista di ciò che li aspetta, sono tornati
in città. Ci
sarà un nuovo incontro il 7 dicembre e Giovanni dirà molto chiaramente: Tre
giorni di tempo per riflettere… Giovanni
ha portato con sé non solo il famoso Stefano il Barbuto, ma ha con lui persino
Aristotele Fioravanti che gli costruirà un ponte di barche sul Volhov, quasi a
voler mostrare che è pronto ad invadere la città senza bagnarsi i piedi. L’assedio
a Novgorod intanto continua e dalla città vengono evacuati tutti i mercanti
stranieri
perché manca da mangiare e affinché non si complichi la situazione
internazionale, mentre il Volhov è stato sbarrato con le navi restanti e ormai
inutilizzabili in quella stagione. Hanno eletto Basilio Sciuskii-Grabjònok loro
comandante in capo e ci si dispone all’ultima difesa. Giovanni però sa che in
città regna ormai da giorni la fame e la penuria poiché ha impedito finora che
giungessero da Mercato Nuovo le derrate alimentare, ma non vuole che la città
soccomba per inedia, non servirebbe a nessuno! E così ordina ai cittadini di
Pskov che sono lì con i moscoviti di aiutare i loro fratelli. A
metà dicembre ecco ritornare Monsignore che chiede solo pace, senza discutere
di altro. A
Novgorod malgrado le incitazioni di Marta Borezkaja e delle sue alleate ed
amiche bojare che hanno fatto comunella con lei, regna la disperazione più
profonda perché non si vede alcuna via d’uscita senza un aiuto esterno e i
Polacchi finora non si sono più visti! L’unica persona sulla quale Novgorod
avrebbe potuto contare in tutti i sensi e che invece è stata sempre messa da
parte e trattata come un semplice funzionario alla mercé dei bojari è il
principe suzdalese Basilio Sciuiskii Grabjònok che, stanco e sfiduciato, il 28
lascia la città al suo destino e si mette al servizio di Giovanni… Alla
fine si decide di inchinarsi, almeno formalmente, al Principe affinché costui
lasci in pace la città, lasciando indenni le proprietà bojare e lasciando che
la città continui a governarsi come ha sempre fatto, con tutti i loro costumi e
le loro leggi in vigore. Le
condizioni sulle quali Mosca insiste però sono sempre le stesse e dopo qualche
giorno Monsignore deve ritornare a discutere ed ad implorare ancora con i posadniki
Giacobbe Korob ed altri. Giovanni però si rifiuta di incontrarli e l’unica
risposta è: E
i novgorodesi: E
la risposta di Giovanni è quella che abbiamo riportato al principio del nostro
lavoro: Finalmente
in un nuovo incontro l’Arcivescovo dichiara che Novgorod è d’accordo con le
richieste di Giovanni e solo implora che lasci i novgorodesi nelle loro città e
nei loro villaggi e che non li deporti in terra straniera e che lasci che
continuino ad avere propri tribunali. Giovanni acconsente, ma è solo una mossa
tattica del momento. Anche perché quando Monsignore gli chiede di giurare sulla
croce, come da sempre tutti i principi hanno fatto a Novgorod quando prendevano
accordi con la città, Giovanni dichiara con alterigia che un signore universale
come lui non giura, dà la sua parola e questa deve bastare. Insomma
non è ancora finita e alla Vece di quel giorno, mentre Marta Borezkaja
disperata e invecchiata rimaneva chiusa nella sua casa, mezza rovinata, si
discusse ancora se continuare a far la guerra e quando si ribadì la decisione
di resistere ulteriormente, Basilio Sciuiskii si defilò e si consegnò a
Giovanni, perché sapeva che i novgorodesi non ce l’avrebbero mai fatta. Ci
fu un nuovo incontro e le condizioni di resa erano ora diventate sempre più
pesanti: Giovanni richiedeva che tutti i Quinti venissero smembrati e passati in
gestione a Mosca e solo la metà delle proprietà sarebbe rimasta ai proprietari
attuali. Le
discussioni e le trattative durarono ancora una settimana mentre in città
imperversava la malattia e la fame. Monsignore sapendo che la gente odiava i
moscoviti e che non avrebbero assolutamente accettato che si presentassero dei
funzionari a fare il maledetto censimento per stabilire la nuova tassa richiesta
da Mosca chiese che il censimento venisse fatto dai novgorodesi stessi che
sarebbero stati coscienziosi e veritieri e Giovanni questo l’accettò. A
questo punto l’accordo fu raggiunto e dopo il giuramento dei novgorodesi il 15
gennaio 1478 la Vece fu dichiarata fuori legge e senza alcun vigore
legale. Il
18 gennaio i bojari, compresa Marta Borezkaja, i borghesi e i giovani bojari
fecero la proskynesis (in russo battere con la fronte ossia bit’
celom) e Giovanni permise che i cantoni della città si riorganizzassero
secondo un nuovo ordine e che facessero un’ultima assemblea popolare. Dopodiché
mandò una lettera a sua madre dicendo che Novgorod è ormai entrato nel mio
dominio! A
febbraio ordinò poi che Marco figlio di Panfilio, Marta Borezkaja e suo nipote
(figlio di Teodoro il Sempliciotto) Basilio, Gregorio figlio di Cipriano,
Giovanni figlio di Cosimo, Giacinto il Borghese col figlio Romano, Giorgio
Repehov fossero incatenati e deportati a Mosca incolpati e condannati per alto
tradimento e lesa maestà e che tutte le loro proprietà (ed erano tante)
fossero immediatamente confiscate. Fu
nominato namestnik di stanza alla Cittadella il duro Giovanni
Obolenskii-Strigà che firmò tutte le trattative finora concluse mentre per la
Riva di Santa Sofia furono destinati due altri bojari i quali sequestrarono
dall’Arcivescovado tutto l’archivio che fu spedito immediatamente a Mosca. Prima
di lasciare definitivamente la città Giovanni però doveva annientare Marta
Borezkaja che fu infatti arrestata insieme a suo nipote (il figlio di Teodoro il
Sempliciotto) e costretta a chiudersi in convento. Il
17 febbraio Giovanni lasciò la città di prima mattina per tornare a Mosca… Si
disse che la marcia di ritorno fu lentissima e non per il ghiaccio delle strade
da percorrere, ma perché il corteo portava con sé tutte (o quasi) le ricchezze
mobili di Novgorod su oltre trecento carri carichi d’argento e di altre cose
preziose. E
non era ancora tutto finito, perché liquidata la Vece, rimaneva da
liquidare Monsignor Teofilo. Il
grande Arcivescovo aveva tentato anche lui di ingraziarsi Giovanni prima della
partenza del 17 febbraio regalandogli quasi tutte le suppellettili preziose
della cattedrale, ma non c’era evidentemente riuscito perché nel 1479
Giovanni ritornò a Novgorod, arrestò Teofilo e lo deportò a Mosca per
tradimento, accusandolo di aver tramato contro di lui con la Lituania alleandosi
con Marta Borezkaja.
Teofilo,
il grande patriota novgorodese, fu rinchiuso nel Monastero dei Miracoli del
Cremino e dopo qualche anno morì. Il
suo posto fu preso da un certo priore moscovita Sergio, scelto sempre secondo
l’uso novgorodese, ma fra tre nomi graditi a Mosca.
Dopo qualche mese però l’improntitudine di costui risultò così
odiosa che “per cause di malattia” si ritirò e al suo posto fu eletto una
figura culturalmente importante per la storia russa: l’archimandrita Ghennadio.
Questo
Monsignore era un funzionario della Curia Metropolitana e fautore dell’unione
con Mosca e, suo malgrado, fu l’ultima scintilla della cultura novgorodese. Ghennadio
si trovò a dover essere un perseguitore degli eretici, i famosi giudaizzanti,
che, secondo le voci, erano stati protetti da Teofilo e da Marta
Borezkaja e che ora tornavano alla ribalta. Così in quegli anni i tribunali
ecclesiastici novgorodesi non funzionarono mai come allora con tal frequenza e
con tale intensità e la Piazza del Mercato non vide mai tanti roghi nei quali
questi “eretici” e i loro libri dati alle fiamme senza pietà. Ghennadio
in quella occasione si accorse che purtroppo quando gli eretici scrivevano o
parlavano e facevano riferimenti e citazioni da scritti sacri delle religioni
cristiana e giudaica purtroppo nessun uomo del nuovo clero novgorodese era in
grado di controbattere poiché questi scritti, che avrebbero dovuto essere
patrimonio della cristianità ortodossa da sempre, non esistevano tradotti in
lingua russa. Dunque
Ghennadio trovò testi e traduttori ovunque potesse, anche e soprattutto
all’estero, e mise insieme finalmente la cosiddetta Bibbia Ghennadiana.
Tutto quello che rimaneva dell’archivio scritto di Santa Sofia fu da lui
rivisitato e rimesso in ordine e fu usato per le varie raccolte di scritti e di
libri dottrinari necessari. I lavori furono portati a termine praticamente alla
fine del XV sec. Si può forse dire, facendo un parallelismo con il lavoro del
vescovo Vulfila col la lingua gotica, che questa Bibbia costituì uno dei primi
monumenti della lingua russa moderna. I
Giudaizzanti, “piaga culturale” tipicamente novgorodese, diventarono un
problema nazionale russo e persino san Nilo Sorskii identificava costoro con il
partito di Marta Borezkaja e del suo paredro Teofilo. Sia Ghennadio sia il suo
aiutante Giuseppe di Volok Lamskii perciò condussero con ardore il lavoro
dell’eliminazione fisica di quest’ultima voce novgorodese, completando il
silenzio culturale che ormai ricopriva la grande Novgorod per ordine di Giovanni
III. Fu
un costante esodo da Novgorod di persone di tutti i livelli sociali che per
ordine di Ghennadio furono mandati a Mosca e dintorni dalle 6 alle 8 mila
famiglie in un solo anno! Lo
svuotamento delle persone importanti, eretiche o no, comunque continuò per
qualche tempo e alla fine neppure un bojaro rimase nel nord e l’Eparchia
novgorodese decadde sempre più quando, accanto a Monsignore, Mosca aggregò un
suo bojaro, un economo speciale e un segretario. Ad
ogni modo anche il commercio internazionale fu interrotto per costringere
Novgorod a scomparire quando nel 1494 Giovanni III con una scusa chiuse la Corte
di San Pietro, arrestò 49 mercanti e confiscò merce per 96 mila marchi
d’argento, una somma enorme! Tutti i traffici dovettero d’ora in poi
concentrarsi su Mosca e sui nuovi mercanti moscoviti (e novgorodesi costretti a
trapiantarsi nella nuova capitale). Una
cosa strabiliante è che nel XVI secolo (!!), al tempo del vescovo svedese Olao
Magno (e non solo!), le notizie su tutta questa regione quando questi scrive la
sua Storia dei Popoli Nordici erano diventate
ancora più nebulose e fantastiche del passato, tanto che condensando
dicerie raccolte qua e là sul suo Baltico il vescovo svedese parla di Fortezza
Nuova (Nygard), ma non sa bene dove si trovi esattamente, e parlando
della Terra di Perm dice che gli abitanti erano capaci di incantare la gente con
il solo sguardo!
L’operazione
“Annientamento Novgorod” era perciò riuscita… Pskov
durò invece un po’ più a lungo nella sua veste di città indipendente,
almeno per quanto riguarda le sue vecchie istituzioni di tipo novgorodese… A
questo punto, secondo noi, bisogna concludere che Mosca non aveva più bisogno
di Novgorod per migliorare l’economia del paese che stava costruendo, ma bensì
sentì che occorreva eliminare i novgorodesi perché portatori di idee eversive.
Ebbe paura che non riconoscessero l’autorità del Gran Principe di Mosca e
teorizzassero, per poi metterlo in pratica, un nuovo tipo di stato russo,
partendo dal proprio modello repubblicano, in cui Giovanni III e il suo
Metropolita non trovassero più posto. D’altronde
probabilmente qualche pensatore del popolo aveva capito che, non essendo un
bojaro, non sarebbe mai assurto per la “via bojara” al potere e scoprì che
invece avrebbe potuto arrivarci attraverso la Chiesa e qui le opzioni erano: o
il conformismo della chiesa tradizionale oppure la critica a tutto campo. I
Giudaizzanti, non si indirizzarono tanto a Monsignor Teofilo, che in definitiva
era un patriota ed un difensore dei vecchi diritti, quanto invece a quei bojari
che cercavano o la connivenza o oppure il perdono (e quindi l’alleanza) di
Giovanni III. Novgorod
si era insomma trasformato in un grande pericolo ideologico che aveva persino
delle radici molto pericolose in Giovanni Hus o in Wycliffe o peggio ancora in
Martin Lutero… A
questo proposito riportiamo qui intanto, in quanto lo condividiamo pienamente,
il giudizio di M. Pokrovskii sulla caduta di Novgorod e sul ruolo di Mosca: Dunque
la nostra storia non può che terminare qui. Tuttavia,
finora abbiamo parlato tante volte di questa Marta Borezkaja, ora ci coglie la
curiosità di sapere come apparisse fisicamente, almeno quando era maggiormente
in auge in città. Molte
leggende si crearono su questa donna isolata e battuta sui sentimenti più
intimi da un potere che la temeva e che la voleva annientare a tutti i costi, ma
poche sono le tradizioni createsi su come essa fosse nella persona… Sappiamo
che doveva essere alta (sebbene a quei tempi tutti i benestanti usassero tacchi
altissimi quando apparivano in pubblico) e che avesse uno sguardo penetrante
(forse come quello immaginato da Vasnezov), ma purtroppo non abbiamo suoi
ritratti dal vivo (non si usava ancora farne come invece avveniva in Italia in
pieno Rinascimento). Abbiamo però un’icona contemporanea conservata in un
monastero della città in cui sono riprodotti alcuni membri di una famiglia
abbiente novgorodese e quindi riferendoci ad essa possiamo almeno immaginarci
come Marta vestisse e come vestissero i suoi concittadini. I
capelli dell’unica donna rappresentata sono lunghi e raccolti in due trecce
che scendono lungo le spalle, ma anche quelli degli uomini sono molto lunghi.
Negli uomini invece la treccia è unica ed è sempre lasciata pendere sulle
spalle. La
figura femminile ha un gradevolissimo viso ovale tipicamente russo-baltico
coperto da uno scialle che raccoglie parte dei capelli e poi annodato ricade
sulle spalle. Ha un vestito molto largo e molto lungo ed una specie di
mantellina orlata di pelliccia e le maniche sono larghissime e lunghissime tanto
da toccare il pavimento. Non
si notano tracce di trucco sul viso. Potrebbe esser questa la faccia di Marta? Chissà!
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Estratto
dal libro
©2005 Aldo C. Marturano