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Il patrimonio ritrovato
Matera - Museo nazionale archeologico «Domenico Ridola»
da fine aprile 2002
A Matera le collezioni d'arte tolte a Rizzon e Loiudice - I pregiati reperti antichi adesso sono esposti al Museo nazionale archeologico - Il 'giro' dei medici del Policlinico - In mostra i tesori dei 'baroni'
L'hanno intitolata in modo quanto mai significativo "Il patrimonio ritrovato". Si tratta di una mostra, allestita al Museo nazionale archeologico "Domenico Ridola" di Matera, inaugurata qualche giorno fa a cura della Soprintendenza per i Beni archeologici della Basilicata, diretta da Maria Luisa Nava.
Il titolo dell'esposizione non deve indurre all'errore: "patrimonio ritrovato" non significa quel che sarebbe più ovvio pensare: e cioè che importanti reperti siano emersi nel corso di scavi in uno dei siti archeologici di cui sono ricche tanto la Puglia quanto la Basilicata. "Patrimonio ritrovato" sottintende ben altra realtà: sta a significare che le preziose testimonianze di antichissime civiltà provengono da collezioni private pugliesi realizzate attraverso scavi clandestini effettuati nella provincia di Matera.
Due in particolare le collezioni portate via da bacheche e caminetti di lussuose abitazioni e oggi esposte al museo materano: una era di proprietà di Paolo Rizzon, primario di Cardiologia Universitaria al Policlinico barese; l'altra apparteneva a Luca Loiudice, aiuto primario alla clinica di Ginecologia e Ostetricia dello stesso Policlinico.
Si tratta di raffinate ceramiche a figure rosse del IV secolo a.C. che, con le loro splendide decorazioni, illustrano il mondo ideale delle comunità apule insediate nel territorio di Matera. Particolarmente rari alcuni piatti, sempre a figure rosse, su cui sono raffigurati pesci e molluschi e che erano utilizzati durante i banchetti aristocratici. Ancora riferibili al IV secolo a.C. sono alcune preziose ceramiche con decorazione sovradipinta, inizialmente prodotte ad Egnatia e successivamente imitate da ceramisti dell'Apulia e della Lucania. Allo stesso periodo risalgono, secondo la Soprintendenza, anche alcune splendide statuette femminili che presentano un'eccezionale decorazione policroma e sono associate a piccoli vasi offerti in dono alle divinità.
Il recupero dei preziosi reperti è stato possibile grazie al tenace e delicato lavoro dei carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Bari, al comando del maresciallo Biagio Vurro. I due noti professionisti privati delle loro importanti collezioni sono però in buona compagnia. L'indagine, infatti, ha coinvolto altri trentuno medici, quasi tutti del Policlinico barese: una specie di virus sembra aver contagiato illustri clinici e insigni cattedratici i quali, forse, ritengono i reperti archeologici uno status symbol da mostrare ad amici e conoscenti. Le collezioni attualmente in mostra al museo "Ridoli", un migliaio di pezzi, sono solo una parte dei 2800 reperti confiscati dai carabinieri. I rimanenti sono a disposizione della Soprintendenza e verranno con ogni probabilità esposti appena pronte le vetrine idonee ad ospitarli. La dottoressa Nava ha infatti chiesto e ottenuto l'affidamento e la custodia giudiziale di tutti i 2800 reperti sequestrati che la magistratura aveva deciso di destinare al godimento pubblico. |
Ma come si è arrivati al recupero del patrimonio archeologico? I carabinieri erano sulle tracce di una banda che vendeva sia pezzi buoni e che autentiche "patacche". Pedinamenti e intercettazioni hanno consentito ai militari del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di individuare la pista del Policlinico. Grazie ad un'infinità di appostamenti è stato possibile scoprire il viavai dei trafficantitruffatori dalle stanze di primari e aiuti. I "tombaroli" arrivavano all'ospedale, attrezzati con borse e borsoni contenenti i preziosi reperti da vendere. Una raffica di perquisizioni domiciliari ha portato poi al ritrovamento e al sequestro degli oggetti. La banda è stata così sgominata, i medici se la sono cavata con una denuncia per ricettazione (articoli 124 e 125 della legge speciale 490 del '99 in relazione all'articolo 648 del codice penale) e il patrimonio archeologico è stato restituito alla comunità.
Non mancano però aspetti grotteschi. Come la fregatura presa da un medico al quale la banda ha sbolognato quaranta "preziosi reperti": mangiandosi le mani e qualcos'altro, il professionista ha poi scoperto, a sue spese, che ben trentotto erano soltanto volgari "patacche".
TITTI TUMMINO, «la Repubblica», edizione Puglia, 27 aprile 2002, pag. V.