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MARCO BRANDO

 

"Diecimila le donne che praticano l'amore"

  

La prostituzione a Bari nel secondo Dopoguerra

  

   

   

«I medici di malattie veneree non bastano più. Gli ospedali sono pieni di donne». Nel marzo del 1944 lungo le strade di Bari fu distribuito ai passanti un volantino dedicato a tale circostanza. Gli autori? «Alcuni benpensanti», si legge in un rapporto dei carabinieri conservato negli archivi della Prefettura barese. è uno dei tanti documenti sul Dopoguerra pugliese recuperati nel corso degli anni. E salvati dall'oblio, grazie all'opera dell'Istituto pugliese per la storia dell'antifascismo e della
storia contemporanea (Ipsaic).

I carabinieri, com'è noto, non sono di parte. Oltretutto, all'epoca, erano uno dei pochi punti di riferimento per la popolazione. Quindi è difficile sospettare che abbiano manipolato - in vista di qualche interesse di destra, di centro o di sinistra - il quadro della situazione. Di certo, la diffusione della prostituzione a Bari, indotta dalla miseria postbellica e incoraggiata dalla disponibilità di denaro e di beni di scambio da parte delle truppe alleate, è stato un fenomeno assai diffuso, così come in altre parti d'Italia, come Napoli o Livorno. Però a Bari, a quanto pare, se ne conserva meno memoria che altrove.

«La profonda crisi sociale - si legge nel volume Terra di frontiera. Profughi ed ex internati in Puglia. 1943-1954 (a c. di Vito Antonio Lezzi e Giulio Esposito, Irsae Puglia - Ipsaic, Progedit Editore) - fu oggetto di alcune inchieste da parte dei quotidiani che si pubblicavano a Bari. Per «La Voce» (giornale del Pci e della sinistra) sono circa «diecimila le donne che praticano l'amore»; «il movente - per l'autore dell'articolo - è dunque la miseria. Il salario basso insufficiente. Oggi la prostituzione ha raggiunto una cifra che in rapporto alla popolazione è addirittura sbalorditiva, circa 10 mila donne si dedicavano al traffico dell'amore: oltre la città vi contribuisce la provincia, l'Italia del Nord e l'estero con elementi levantini».

Secondo la «Gazzetta del Mezzogiorno» del 28 agosto 1946, ogni giorno erano fermate e rimpatriate «decine di queste sciagurate». E all'epoca il questore di Foggia scrisse al prefetto che i «militari alleati» avevano un atteggiamento «indecoroso e offensivo»: «Si offrono in tutte le ore del giorno in compagnia di prostitute». Una situazione che non ha nulla dell'allegra brigata godereccia. Curzio Malaparte, nel suo romanzo- scandalo La pelle (scritto nel 1949 e alla base dell'omonimo film diretto da Liliana Cavani nel 1981), descrisse in maniera realistica il dopoguerra, ambientato in una Napoli appena liberata piena di depravazione e dolore. Una cruda riflessione sull'istinto di sopravvivenza, di cui la prostituzione, anche minorile e incoraggiata dai familiari dei ragazzi, fu uno dei risultati.

A Bari e in altre città pugliesi si determinarono analoghe circostanze, a giudicare dalle cronache giornalistiche e dai rapporti di polizia di allora. Nel tacco d'Italia tuttavia nessun Malaparte scrisse, a caldo, un romanzo su quello che stava accadendo. Ci pensarono giornalisti locali, tanto da suggerire la produzione di un film, dedicato al campo d'internamento femminile di Alberobello (aperto per otto mesi nel 1947). S'intitola Donne senza nome. Fu diretto dall'ungherese Geza von Radvany e prodotto dalla Navona Film di Roma. Interpreti, tra gli altri, Valentina Cortese e Gino Cervi. Proiettato in prima nazionale al Cinema Impero di Bari, il 31 marzo 1950, riscosse successo di pubblico e di critica. Poi fu dimenticato, se ne conserva solo qualche spezzone del primo tempo.

Quindi, come avere esempio della situazione a Bari? Grazie agli archivi dell'Ipsaic, è stato possibile reperire l'articolo integrale, citato poc'anzi, del quotidiano «La Voce», diretto da Mario Alicata. S'intitola «10.000 donne a Bari trafficano l'amore» e fu pubblicato il 12 gennaio 1947 con la firma di Manlio Spadaro. Spadaro racconta, in prima persona, delle «povere creature» che incontra «puntualmente, ogni sera, dalle sei in poi, sotto i filari galeotti di via Crisanzio e di via Suppa». E denuncia l'indifferenza di «questa società», quella di 53 anni fa, che «assiste apaticamente allo slittamento di tante sventurate verso la bestialità più fonda». «Per caso aggiunge - ho assistito. al più ripugnante dei contratti». E racconta che di aver visto in una casa poverissima «un soldato polacco, grande e tozzo, accanto a una bambina di 13 anni circa, alta, magra, vestita di nero, pallida, il viso acerbo che la luce dell'acetilene rendeva più diafano, di un bianco azzurrato». Stava contrattando col padre: «Il soldato aveva un biglietto da grosso taglio. La madre, che stava più indietro, pareva che volesse spezzare un bicchiere nel lavarlo e diceva: «Noi non siamo gente così, è la moneta maledetta.»

Il giornalista già immaginava: la ragazzina, «se la colpa non avrà conseguenze irreparabili, sarà condotta, come tante sue sventurate coetanee, in una località della città vecchia e affidata alle cure di donne provette. che la rifaranno della brutalità subita». E si domandava: quale degrado e quale miseria aveva potuto «trasformare un padre in un mezzano, un barese i cui antenati furono certamente fieri custodi dell'onore familiare, in un ignobile trafficante della propria carne»? 

Marco Brando

      

 

 

da "Corriere della Sera-Corriere del Mezzogiorno", 5/1/2002

 

  

 

 

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