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Dal cuore della Daunia il viaggio prosegue fino ai confini campani: Ascoli Satriano ospitò Pirro, re dell’Epiro, Bovino accolse Annibale.
Il castello di Bovino.
«Il ristorante è dietro l’isolato. Ma non lascerà mica l’auto lì?». «È all’ombra…». «Sì. Ma si vede che non siete di Cerignola. Rischiate di non trovar più niente». Così il custode di un palazzo non solo si raccomanda più volte di spostare l’auto, ma ci spiega nei minimi dettagli come raggiungere la meta, a non più di 500 metri. Cerignola, 57mila abitanti, ha questo handicap: la fama d’essere una città in cui la criminalità è particolarmente vivace. Un fondo di verità c’è; ed è un problema che - a livello politico e istituzionale - si sta cercando di risolvere. Purtroppo, se si chiede in giro, anche quasi tutti pugliesi associano il nome della città a quello del rischio suddetto. Noi siamo passati per il centro cerignolese, all’ora di pranzo, un po’ perché sapevano che c’è un’osteria con un nome che la dice lunga: «’U Vulesce», che significa in dialetto «la voglia di qualcosa di buono e gustoso». Scelta di gola che potrebbe dirla lunga sulla capacità di attrazione turistica (non crediamo d’essere i soli viandanti affetti da «vulesce»…) che il recupero della tradizioni culinarie può rappresentare anche per località in teoria fuori dai tour consueti. Vorremmo dare un contributo alla causa cerignolese ricordando che l’antica Keraunania deriva il suo nome, forse, da Cerere, la divinità più cara agli agricoltori. Infatti Cerignola è un importante centro agricolo. Si sviluppò ai tempi dei Normanni e degli Svevi (Ceriniola), ancor più sotto gli Angioini. Tartassata dal terremoto del 1731, si è poi ripresa nel corso dell’Ottocento. E il Duomo «goticheggiante» merita una visita.
Ma Cerignola è interessante anche per i vip cui ha dato i natali o che ha ospitato. Il musicista livornese Pietro Mascagni (1863-1945), ad esempio, vi compose la famosa Cavalleria rusticana. Era un nomade impenitente, giunto per caso a Cerignola nel 1886 con la compagnia Maresca. Il vivace musicista, ventiquattrenne, fu subito stimato: il sindaco gli propose di stabilirsi nella piccola cittadina per dare lezioni private. E Mascagni con la giovane compagna, Lina Carbognani, accettò. Divenne maestro di suono e di canto nella nuova Filarmonica della città e sposò Lina. È lo stesso Mascagni - si legge sul sito www.pietromascagni.com - a raccontarci della vita spensierata a Cerignola: «con meno fama e più fame », con i cenacoli letterari improvvisati a Bari nella bottega di musica e strumenti di Giannini, suo caro amico. Nel 1904 si trasferì definitivamente a Roma. Sul suo pianoforte preferito scrisse: «Coll'aiuto di Dio e di questo pianoforte Pietro Mascagni compose la Cavalleria Rusticana a Cerignola nell’anno 1889».
E a Cerignola nacque Giuseppe Di Vittorio (1892-1957), figlio di contadini, padre della Cgil, leader comunista. La sua vita accompagna i grandi processi di trasformazione economica e politica che hanno attraversato l’Italia tra gli anni Dieci e gli anni Cinquanta del Novecento, con il lungo percorso di riscatto sociale del mondo del lavoro. La città, poi, nel 1935 ha visto nascere Pinuccio Tatarella (1935-1999), uno dei padri di Alleanza Nazionale, che è stato vice-premier. Né si può dimenticare Nicola Zingarelli (1860-1935), critico, dantista e filologo, l’artefice nel 1917 dell’omonimo Vocabolario (continuamente aggiornato fino a oggi). Un pilastro. Basti pensare che nell’ultimo romanzo di Gabriel Garcìa Márquez, Memoria de mis putas tristes, il protagonista lo cita: serve «per assistermi nell’idioma di mia madre, che ho imparato già in fasce».
Da Cerignola la strada si dirige verso Candela: 38 chilometri lungo la provinciale 98, durante i quali non s’incontra un paese. Se non Borgo Libertà, frazione di Cerignola a ben 16 chilometri da capoluogo. Il Borgo, inaugurato nel 1956 dall’allora ministro dell’Agricoltura Colombo, nacque proprio per popolare questa spianata vastissima di campi agricoli. Appare tuttora un avamposto da film western, complice l’arsura. È dominato dalla bella Torre Alemanna, rocca medievale che fu usata dai Cavalieri teutonici: vincolato nel 1983, il complesso, dal 1988, è oggetto di interventi che lo dovrebbero riportare all’antico splendore. Per ora la torre è transennata e i lavori paiono fermi. Un cartello cadente del 1998, posto dal Comune, riporta «completamente del restauro con destinazione a centro di cultura polivalente» e l’importo dell’investimento, ancora in lire: 920 milioni; i lavori si sarebbero dovuti concludere nel 2000.
Si continua verso Candela lungo la provinciale: sconsigliato restare in riserva qui. Primo, perché non c’è un distributore di benzina durante tutto il percorso; secondo, perché si costeggia l’autostrada, dove i distributori ci sono ma sono inaccessibili. Un vero supplizio di Tantalo in versione automobilistica. Davanti allo svincolo di Candela, finalmente un distributore. Poi via, verso Ascoli Satriano, bella cittadina arroccata su un colle e poco abituata a vedere turisti: ha dato i natali a Michele Placido e, oltre duemila anni prima, ha «ospitato», quando si chiamava Asculum Apulo, la seconda battaglia di Pirro, re dell’Epiro, contro le legioni di Roma (279 AC). Dopo Ascoli s’abbandona il tavoliere riarso per salire verso il verde Subappennino, dove la vita quotidiana - con le donne anziane vestite di nero - ci porta indietro di decenni. Ecco Deliceto, col suo castello. E Bovino, l’antica Vibinum, ricordata da Plinio e Polibio: vi si accampò Annibale nel 217, un anno prima della battaglia di Canne. Sul cocuzzolo il maniero normanno-svevo, dove una targa riporta una bella poesia di Maria Bernardini: «…Bovino ha una torre e un castello/ e, dentro, c’è un pino / antico e contorto. / O forse Bovino è il sogno di un pino che sogna un paese».
Si va verso Accadia, lungo una strada malmessa, tra greggi e pale eoliche. Da Accadia a Panni: 1018 abitanti a 800 metri d’altezza, ai confini con la Campania. L’origine del nome sembra legata a Pan, dio dei boschi, raffigurato sullo stemma municipale. Per raggiungere la tappa finale bisogna scendere fino a valle, dove Panni condivide la stazione ferroviaria, in territorio campano, con Montaguto. Dopo mezz’ora d’attesa al passaggio a livello (un treno merci fermo e troppo lungo…), si risale verso Orsara.
©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» dell'agosto 2005.