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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando


 


San Foca: le cosiddette Due Sorelle

  

Torre dell’Orso - nella Marina di Melendugno, di cui è una frazione - pare una cittadina in pieno fermento. C’è un’atmosfera, come dire…, romagnola. Le rosticcerie arrostiscono a più non posso. La pasticceria sull’incrocio principale sforna paste e pasticcini. Le bancarelle gestite da alcuni cinesi lasciano intendere che gli affari si fanno, altrimenti non sarebbero giunti dalla Cina fin quaggiù. Non solo. C’è anche spazio per la trasgressione: dietro l’insegna "Il Canapaio", ecco un negozio che propone, in franchising, prodotti derivati dalla canapa indiana e relativi accessori, più magliette e gadget vari dedicati al tema. Ovviamente un cartello avverte che pipe, pipette, grossi bocchini e cartine non sono che roba da collezione; mica servono per fumare davvero.

Tuttavia - di fronte ai rassicuranti striscioni che annunciano, secondo tradizione, la "Sagra te lu purpu" e ai paciosi manifesti che propongono la "Festa della cucuzzata" - qualcuno potrebbe davvero essere tentato, per una volta, di trasgredire, tradendo sia "purpi" che "cocuzze". Altro che Amsterdam.

Infatti, non si sa se per merito della trasgressione o della tradizione, qui s’incrociano sia villeggianti con radici pugliesi che giovani con tutti gli accenti d’Italia.

E la spiaggia all’ombra della torre è assai affollata. Le ragioni per cui questa località piace a tanta gente forse non è chiara, ma di certo funziona. C’è da dire che tutto il litorale da qui alle frazioni marinare di Lecce, fino a San Cataldo e oltre, è affollato. Man mano che si procede verso Nord aumentano i pugliesi e diminuiscono i forestieri. Tuttavia di gente ce n’è. E, sebbene pure qui si segnali una flessione di turisti, se ne vede molta.

La vicinissima San Foca (per i perplessi: dal nome di un martire cristiano ai tempi dell’imperatore Traiano) non smentisce questo andazzo. Anche se il palazzotto che accoglie oltre centocinquanta immigrati giunti in Italia clandestinamente, posto all’entrata del paese, crea qualche scompenso: almeno a chi non è abituato a vedersi di fronte, tra un canneto e la spiaggia affollata, una costruzione che pare proprio un carcere, anche se tanti assicurano il contrario. è il Centro di permanenza temporanea Regina Pacis, ma, a torto o a ragione, fa venire in mente nel suo piccolo, soprattutto Regina Coeli, il vecchio penitenziario romano.

Ci sono telecamere ovunque, alte cancellate, reti ancora più alte, panni stessi sui bordi di piccole finestre, carabinieri di fronte all’ingresso che guarda la spiaggia, nel canneto retrostante, dentro i recinti.

C’è da osservare che sulla spiaggia, trenta metri avanti, la vita balneare scorre implacabile. Anche se il 12 luglio scorso l’odore dei lacrimogeni giunse fino alle prime file di ombrelloni, a causa di una manifestazione pro-immigrati. Ora mamme in bikini con bimbi al seguito passano davanti alle reti del centro: al di là ci sono due ragazze, sedute su una panchina, non lontano da un carabiniere. Paiono orientali. Salutano i bimbi, i quali rispondono al saluto. Il tutto mette abbastanza tristezza e induce all’augurio che le «autorità competenti», da Roma in giù, sappiano quel che fanno.

La strada si lascia alle spalle San Foca e raggiunge San Cataldo. è una delle cosiddette frazioni marinare di Lecce, tutte servite da una linea di autobus urbani. Insomma, è proprio il mare dei leccesi di città e bisogna ammettere che qui hanno usato la mano (dal punto di vista del cemento) in maniera un po’ meno pesante rispetto ai tarantini. Tra gli ombrelloni sventola una bandiera nera dei pirati, con tanto di teschio e tibie, certamente un gesto scaramantico.

Marina di Frigole, rispetto a San Cataldo, un debole per il cemento invece ce l’ha: non ci sono condomini spacciati per villette, in compenso le cabine, quelle dove i bagnanti si spogliano, sono di cemento e si sono spinte fino sulla riva del mare, marciapiedi compresi. Manca solo la metropolitana. Alcune casette, un po’ più a ridosso, hanno l’aria di essere state cabine poi amalgamatesi per diventare, appunto, casette: forse non è così ma sarebbe bastato buttare giù qualche muro tra una cabina e l’altra.

Le antiche torri costiere, più o meno cadenti, proseguono, accerchiate dalle relative frazioni. L’ultima è Casalabate, luogo di villeggiatura privilegiato dagli abitanti di Squinzano, Campi Salentina, Trepuzzi, più qualche forestiero. Squinzano lo vorrebbe tutto per sé; e infatti nel sito internet del Comune si legge che Casalabate «ha un solo requisito negativo: quello di giacere in territorio dipendente dal capoluogo di provincia e di essere soggetto, quindi, amministrativamente, al Comune di Lecce». In verità una signora, da dietro il banco del suo bar-rosticceria- appartamento, ci dice che pure da queste parti ci sono meno villeggianti: «Sono tutte seconde case, più appartamenti in affitto, che in parte sono rimasti vuoti pure in agosto. Mai successo. Ora la folla c’è solo nei fine settimana, anche se dicono che il campeggio è pieno». Però il tempo qui sembra essersi fermato: non ci sono obbrobri edilizi vistosi, la gente conversa ancora fuori dalla porta di casa, riunita in crocchi; e le vie sono piene di paciosi venditori di frutta fresca, lupini e arachidi, trecce d’aglio, peperoni secchi, angurie, cesti di vimini, vasi di terracotta. E s’organizzano cacce al tesoro e tombolate. Trenta o quarant’anni fa la sceneggiatura doveva essere identica.

Se Casalabate ha una sua fisionomia, invece le marine di Lecce più prossime al capoluogo qualche problema d’identità ce l’hanno: un manifesto chiama a raccolta «tutti i proprietari di unità immobiliari di Torre Chianca, Case Simini, Zona Gelsi, Spiaggia Bella e Torre Rinalda. Tema: «Problematiche del litorale interessato in continuo degrado dopo la non conferma dell’assessorato alle marine e il poco impegno dimostrato dal consiglio litorale». Vogliono una farmacia, un ufficio postale e un ambulatorio medico. In bocca al lupo.

Ancora pochi chilometri e lo scenario cambia di colpo. Non solo perché la provincia di Lecce lascia il posto a quella di Brindisi. Uno stradone offre la maggior concentrazione mai vista di lampioni alimentati da pannelli solari, come se qui l’energia elettrica normale fosse una rarità. Tuttavia, tra un lampione e l’altro, spunta un’enorme ciminiera, in lontananza: quella della megacentrale termoelettrica Enel di Cerano. E’ intitolata, come recita una grande scritta posta su una facciata, al solito incolpevole Federico II, cui evidentemente tocca cuccarsi, oltre agli onori per esser stato il primo vero affezionato turista tedesco di Puglia, anche l’onere di prestare il proprio nome a qualsiasi cosa, compreso il mastodonte elettrico. Viene in mente quel che ci raccontò Al Bano, che abita a Cellino San Marco, qualche chilometro nell’entroterra. «Da bambino, all’inizio degli anni Cinquanta, i miei genitori, che erano agricoltori, mi portavano al mare a Cerano: un posto bellissimo, non c’erano ancora le centrali. A noi toccava raccogliere giunchi per costruire le ceste; il nostro asino poteva fare il bagno, per rinforzarsi».

Altri tempi? Eppure, verificare per credere, il mare di fronte alla centrale ha ancora i suoi fan: una freccia con scritto «Lido Cerano » indica una strada che s’inoltra tra pini, cipressi, pioppi e vigneti. E sbuca davanti ad uno stabilimento balneare, decoroso e non affollato, che s’affaccia sulla baia. La gente prende il sole, nuota, chiacchiera, incurante della centrale Enel, vasta come quattro stadi di calcio e alta come un palazzo di trenta piani, ciminierona esclusa. In fondo basta guardare sempre davanti a sé o a destra, senza mai girarsi verso sinistra, verso il catafalco. E il luogo pare pure bello, così come l’acqua è limpida e pulita. Un posto da intenditori, evidentemente, anche se a un profano può sfuggire quale sia il suo fascino. D’altra parte anche chi decide di installare cartelli deve esserne convinto, visto che - accanto alla freccia - ce n’è anche una che, nella stessa direzione, indica un «Belvedere». E infatti, superata la centrale, su un dosso c’è uno slargo con vista sul mare e sulla centrale. Geniale. Non resta che dirigersi, superate Brindisi e Punta Penne, verso la non lontana Oasi naturale di Torre Guaceto, una delle più belle della Puglia. Chiedendosi quale sia la ragione per cui c’è chi preferisce prendere il sole schivando l’ombra di una ciminiera. Perché una ragione ci deve pur essere...

    

    

©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» nell'agosto 2004.

      


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