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REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA |
a cura di Marco Brando |
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Il castello costiero di Trani
S'arriva a Giovinazzo, diciotto chilometri dopo Bari. E si resta a bocca aperta. Nel nostro caso un po' meno, perché non è la prima volta. Ma i forestieri che finiscono qui, probabilmente quasi per caso, mostrano l'aria di coloro che hanno appena scoperto un tesoro ignoto ai più. Infatti sono ancora pochissimi, persino in Puglia e forse persino in provincia di Bari, coloro che ne conoscono il centro storico, affacciato sul mare con la sua cattedrale, i palazzi nobiliari, i vicoli, le volte, le antiche chiese. Un piccolo gioiello, ristrutturato e recuperato negli ultimi anni con rispetto per la struttura originale, affacciato sul mare.
In un assolato primo pomeriggio entriamo nel centro storico medievale attraverso l'arco di Traiano, unico varco nelle mura aragonesi che circondano il porto naturale. Non c'è anima viva o quasi. è l'ora della siesta. Per la cronaca, quell'arco si chiama così per un ragione precisa: è formato da quattro colonne miliari della via Appia beneventana, una delle «autostrade» degli antichi romani. Secondo la leggenda, il nome deriva da «Iovis Natio», cioè , perché sarebbe stato fondato da Perseo. Comunque ai tempi dell'impero romano si chiamava Natiolum, poi divenuto Iuvenis Netium: una città fortificata, costruita per raccogliere i profughi peuceti scampati alle guerre puniche. Una divagazione storica per significare che questo paese ha tutto per diventare una meta turistica di qualità. Il fatto che non s'incontri un turista vero e proprio (cioè, non pugliese) - già un po' meno raro nella successiva Molfetta e piuttosto diffuso a Trani, subito dopo - è una rappresentazione lampante della scarsa capacità della Puglia di sfruttare le proprie risorse. Ovviamente non è possibile prendersela con la piccola amministrazione comunale. D'altra parte sono tante, troppe, le località del Tacco d'Italia con un fascino paragonabile a quello dei numerosi paesi della Toscana o dell'Umbria che, appunto, del loro antico fascino hanno fatto la principale fonte di reddito. Eppure paesi come Giovinazzo restano al palo, pur essendosi garantiti - grazie alla recupero del nucleo storico e alla nascita di vari locali - le scorribande serali dei baresi.
Invece la scarsa dimestichezza con le esigenze dei turisti «a largo raggio» si può verificare costatando che alle tre del pomeriggio di un giorno d'agosto non c'è un ristorante aperto. I rari baristi con le saracinesche alzate ci guardano, allorché chiediamo un panino e una birra, con l'aria di chi ha chiesto una dose di cocaina. Alla fine un bar ci serve un toast, frutto di non si sa quale catena umana, dato che, pur essendo gli unici clienti, ci è stato consegnato dopo mezz'ora, con la nostra birra che ormai pareva un brodino. Ma siamo certi che se qui si facessero arrivare un po' di turisti «bisognosi» e danarosi, la specie dei baristi giovinazzesi s'evolverebbe in fretta.
Dopo Giovinazzo il mare si scorge in lontananza, perché i campi coltivati arrivano fino a pochi metri dall' Adriatico, come alcune piccole fabbriche e cantieri. Le spiagge, frequentate soprattutto da ragazzi, ci sono ma non si vedono. Molfetta ha un centro storico altrettanto bello, appena più noto, e un porto peschereccio che è stato a lungo la maggiore risorsa. Un'altra corsa tra mare e orti ed ecco Trani: ci offre il suo antico porto, che pare disegnato. Tra reti stese ad asciugare e le ultime bancarelle dei pescatori davanti alle barche, un'apparizione: un signore con un ombrellino giallo, inseguito da un plotone di giapponesi, diretti a ranghi serrati verso la cattedrale. Un avvistamento raro, da fanatici del touristwatching (disciplina inventata or ora e dedicata alla caccia indolore di turisti rari).
Per la cronaca, i giapponesi, in Puglia, si vedono di rado e concentrati in tre posti, come prevedono rigidissimi (per loro rassicuranti) cerimoniali turistici: Castel del Monte (la cui vicinanza con Trani deve aver suggerito una deviazione), Alberobello e Lecce. Gli spendaccioni nipponici (una recente indagine di Unioncamere svela una spesa media giornaliera pro capite di 570 euro) al mare comunque prediligono la cultura, l'arte e lo shopping di capi firmati. In spiaggia, insomma, non li vedremo mai.
E pure a Trani sono stati dei fulmini: giù dal pullman, raffica di foto, di nuovo sul pullman; e via. Roba quasi da non crederci. I pescatori che con le loro canne si davano da fare ai piedi della cattedrale manco se ne sono accorti. Forse non se n'è accorto quasi nessuno. In ogni caso Trani è frequentata da molti vacanzieri «a largo raggio», spesso reduci da Castel del Monte o diretti lassù. Qui i ristoranti si sono evoluti da tempo: ambienti rustici ma in genere ben tenuti, camerieri professionali, prezzi, ovviamente, per turisti.
Bisceglie, «città dei dolmen e dei Normanni» (come recita uno slogan) è una grande città e al primo impatto non lascia sperare grandi performance in stile balneare. Ma dopo aver superato la scogliera mostra alberghi, lidi, scogliere, dove intere famiglie con guanti da cucina si dedicano alla raccolta di ricci o molluschi. Ed ecco le spiagge sabbiose di Barletta: altro che «Pane e pomodoro», senza offesa per i baresi. La città non arriva sul mare, a parte il porto con i suoi silos; dal punto di vista di un bagnante, non è uno spettacolo in armonia col resto. Pazienza: la litoranea di Ponente, con due chilometri di spiaggia libera, e quella di Levante, con spiagge libere e lidi a pagamento, offrono spazio a più non posso. E il mare ha persino meritato la «Bandiera blu». Anche qui, tuttavia, i bagnanti sono solo biscegliesi o persone che vengono dai paesi dell'entroterra. D'altra parte Barletta non sembra voglia pretendere di diventare una stazione balneare aperta al turismo nazionale e internazionale.
Obiettivo che invece ha Margherita di Savoia, tanto è vero che qualcuno ricorda ancora un cartello stradale, alle porte della cittadina, che fino a un paio d'anni fa la definiva Santa Margherita di Savoia ( una "contaminazione" col nome della località ligure in cui pare incorrano in molti). Fatto sta che l'ambizione di Margherita di Savoia pare scontrarsi con un look adatto, anche in questo caso come in altri, ad un tipo di villeggiante molto locale. Senza offesa per nessuno, la cittadina pare un po' lasciata andare: con facciate disomogenee e scrostate, marciapiedi dissestati, prezzi in compenso piuttosto alti. Un'aria consunta che difficilmente può spingere turisti che hanno percorso oltre mille chilometri in auto a scegliere di fermarsi qui, malgrado le grandi spiagge dall'aspetto versiliano con stabilimenti balneari, forse non a caso abbastanza deserti. In piena stagione all'ora di pranzo i negozi (almeno, così è capitato il 5 agosto scorso) sono tutti chiusi, difficile anche trovare un posto in cui pranzare: dopo varie ricerche, ci siamo trovati bene all'«Invidia», pub e pizzeria con musica portoghese di sottofondo, ragazza slava ai tavoli e stile tendente verso il trandy (il mistero del nome del locale? Beh, è il cognome del proprietario…), che la sera propone musica dal vivo in quello che diventa un «lounge bar». E dire che di argomenti per potersi proporre meglio Margherita di Savoia ne avrebbe. Le antiche terme, ad esempio. E le bellissime e altrettanto antiche saline, le più grandi e spettacolari d'Europa: riserva naturale statale dal 1977, habitat per i fenicotteri e altri uccelli come la sterna zampenere, il gabbiano roseo, il gabbiano corallino e l'avocetta. S'estendono lungo la costa per venti chilometri, spingendosi nell'interno per cinque, su una superficie di 4500 ettari. Percorrere l'istmo tra le saline e il mare, limitato da basse dune, è un'esperienza unica, quasi onirica, dopo centinaia di chilometri tra gli ulivi. Terme e saline che, con il mare, potrebbero essere una risorsa in grado di attrarre turisti anche da molto lontano, senza doversi accontentare di quel che passa il convento. Vedremo.
Comunque di certo la situazione non scompone gli ausiliari di sosta di Margherita, che ci hanno appioppato una multa da 33 euro per non aver esposto il grattino dopo le 15. Ecco la cronaca di un dialogo alla Ionesco. «Senta - diciamo all'ausiliario, rintracciato mentre vagava verso l'orizzonte - avremmo grattato il grattino se alle due del pomeriggio avessimo saputo dove comprarlo». Risposta: «Si compra nei negozi». «Erano tutti chiusi, abbiamo cercato per mezz'ora». «In effetti a quell'ora sono quasi tutti chiusi. Riaprono nel tardo pomeriggio. Ma sarebbe bastato mettere i lampeggianti e attendere che passassi io, dopo le 15». «Un'ora con i lampeggianti accesi in attesa? E poi io sono qui di passaggio…». «Comunque quella più che una multa è un avvertimento. Se mi dà un euro siamo a posto». «Bene. Ma se non l'avessi rintracciata lungo la strada avrei preso la multa. O no?». «Esagerato. Prima di tre giorni non l'avremmo spedita e si figuri se in tre giorni non ci saremmo incontrati ». Inutile spiegare ancora che «siamo a Margherita di Savoia davvero di passaggio». Ci arrendiamo, felici di aver risparmiato 32 euro. Dopo le Saline, Zapponeta, poi Siponto, con le sue belle pinete e i suoi bufali. Infine ecco Manfredonia e, alle spalle, il massiccio scuro del Gargano.
©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» nell'agosto 2004.