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REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA |
a cura di Marco Brando |
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Manfredonia e il suo castello visti dal mare.
Chi giunge a Manfredonia per la prima volta, malgrado sia sul mare, s'aspetta una città industriale e basta. Quella creata decenni fa all'inizio del Gargano con la tipica lungimiranza di allora: quando si riteneva che uno stabilimento petrolchimico fosse - qui come a Marghera, davanti a Venezia, tanto per fare solo un esempio - quel che meritava un mare implorante, invano, d'essere destinato al turismo.
Sarà che si sente parlare in continuazione del petrolchimico (a un tiro di schioppo, anche se amministrativamente è nel Comune di Monte Sant'Angelo, appollaiato qualche centinaio di metri più in alto). Sarà che si sente litigare sull'efficacia dei cosiddetti «piani d'area», la cui solo definizione - «strumento programmatico attuativo laddove sia necessaria una concertazione di soggetti diversi per definire scelte, previsioni ed interventi », ecc. ecc. - cozza come un caprone contro l'idea di farsi una nuotata. E poi c'è quel lungo terminal scuro che sembra collegare la costa direttamente con l'orizzonte… Insomma, niente nuotata? è fondata l'impressione del forestiero al primo approccio? Invece - udite, udite… - Manfredonia non è soltanto una città industriale.
E non solo per merito di Siponto, che la precede a Sud, o di Mattinata, che inaugura la costa turistica pugliese per eccellenza, quella garganica, a Nord. In questa città il legame con il mare, e la testardaggine di chi pare non essersi voluto arrendere nella tutela delle proprie radici, si percepisce subito. Poco tempo fa è stato inaugurato dal Comune il Lungomare del Sole, dopo due anni di lavori, lungo la strada che collega la cittadina con Siponto: un paio di chilometri nuovi di zecca, adatto per passeggiate, relax, attività sportive, svago, chiacchierate, grazie ad ampi marciapiedi, piazzole e terrazze, piste ciclabili, panchine, un po' di verde, statue interessanti, come quella al pescatore. Sembra un'idea non proprio originalissima, in teoria; ma in pratica, lungo gli oltre seicento chilometri di costa pugliese che ci siamo già lasciati alle spalle, spesso l'idea stessa di «lungomare attrezzato» pare fantascientifica, visto che tante località con l'idea fissa d'essere «turistiche» non ne hanno neppure qualche metro.
Oltre tutto, Manfredonia non ha la pretesa di rivendicare una vocazione per la villeggiatura, ma il lungomare l'ha creato almeno per i propri cittadini. I quali hanno pur qualche diritto a svagarsi in santa pace, perbacco! Così lungo la passeggiata, alla vigilia dell' inaugurazione ufficiale, abbiamo incontrato tanta gente a passeggio: ad esempio, una signora affettuosamente accoccolata accanto al suo cane boxer, entrambi in contemplazione del mare; e una coppia di sposi col seguito di fotografi e teleoperatori, in posa plastica sui muretti. Fenomeno, quest'ultimo, osservato, durante il viaggio «coast to coast», solo a Polignano a Mare. E quando gli sposini scelgono un posto per farsi fotografare, e per angustiare così figli e nipoti per decenni con le relative foto, c'è da giurarci: la scelta è azzeccata.
E la nuotata? Ebbene sì, a Manfredonia si nuota: c'è la «spiaggia del Castello », che deve il suo nome al Castello Svevo, alle sue spalle, con sabbia bianca e sottile, divisa in lido in concessione e libero. Alla fine del centro abitato - dalla baia di Calafico, a ridosso dell' Enichem, fino all'Hotel Gargano - c'è poi una zona che i cittadini di Manfredonia chiamano «l'acqua di Cristo », tanto è (o sarebbe) ancora pulita. Mica è un'invenzione dell'ultimo minuto: lì sgorgano tante sorgenti d'acqua dolce, già dedicate oltre duemila anni fa ad Ercole per le loro virtù terapeutiche. Con l'avvento del cristianesimo, furono riconsacrate a Gesù Cristo. Fatto sta che, malgrado l'Enichem, quell'acqua viene ancora raccolta e bevuta, in virtù delle sue qualità salutari. Insomma, le industrie ci sono, ma al mare si va ancora e per giunta bagnandosi in acque «mitologiche».
Come se non bastasse, non manca neppure un accenno all'antica tradizione
pastorale: abbiamo visto un gregge di pecore arrivare al galoppo proprio su
questo tratto di costa, tra i palazzi e la scogliera, mettendosi a brucare
ciuffi d'erba in mezzo ai bagnanti, per nulla intimiditi. Ancora meno
intimiditi tre grossi cani bianchi da pastore al seguito dei suddetti ovini:
dimenticati i doveri professionali, si sono accovacciati, per rinfrescarsi, in
riva al mare.
Detto questo, bisogna sapere che, in effetti, dopo Manfredonia inizia il
Gargano, di cui è così facile parlare bene che ci è parso giusto rendere
l'onore della armi alla testarda e industrializzata Manfredonia (e pure
all'ormai ex delfino Filippo, fatto secco all'inizio di agosto, che non a caso
stazionava qui davanti). Comunque, è giusto ricordare che il promontorio del
Gargano è lo sperone d'Italia, percorso da chilometri di coste selvagge e
frastagliate che cominciano qui e terminano a Rodi Garganico, passando per
Mattinata, Vieste e Peschici.
La strada a quattro corsie ben presto diventa la solita curvosissima litoranea, di recente graziata dall'impatto delle auto grazie alle nuove gallerie che scavalcano Mattinata. Dopo la località Macchia, iniziano i lidi, ben presto lindi e organizzati come Dio comanda e come ogni turista disposto ad arrivare fin quaggiù pretende. Lo devono aver capito fin troppo bene pure quelli del posto, dato che fin da prima di Mattinata, ancora con vista su Manfredonia, solo parcheggiare l'auto costa 5 euro al giorno. E non ci sono alternative. I prezzi, man mano che si prosegue verso il cuore della costa garganica, aumentano, anche se almeno qui la qualità dei servizi e del mare li giustificano in buona parte. Ecco frotte di villeggianti in moto, in auto e in camper, provenienti da tutta Italia e dall'estero, fermarsi a guardare panorami strabilianti, con le pinete che raggiungono il mare, che avvolgono aguzzi promontori e abbracciano archi di pietra e faraglioni.
Di fronte a questo spettacolo, qualche scarpata scelta per scaricare di sotto schifezze (pneumatici, materassi e via scaraventando) passa, quasi, inosservata (quasi…). La strada è faticosa, per quanto affascinante. Sarà per tutta questa fatica che il Gargano, anche se è un promontorio, ben presto offre quella sensazione d'«essere lontani» che spesso si prova quando si è su una piccola isola. Un'isola attaccata alla terra ferma, ma pur sempre un'isola. Vengono in mente gli articoli scritti all'inizio del secolo scorso da due noti giornalisti dell'epoca, Francesco Dell'Erba (di origini viestane, redattore del «Giornale d'Italia» e corrispondente, da Napoli, del «Corriere della Sera») ed Antonio Beltramelli. I loro reportage sono stati riproposti da Mimmo Aliota, del Centro Studi Cimaglia, in Vieste nel primo Novecento, edito da Litostampa, con gli auspici della Società di Storia Patria per la Puglia. Allora per andare da Foggia a Vieste ci volevano sedici terribile ore di carrozza. Dell'Erba scriveva che spesso i viaggiatori dovevano procedere a piedi «o perché un uragano ha rotto un ponte o perché la strada è franata o perché è troppo ripida la salita». Insomma, una vera Odissea, che rendeva il Gargano «sconosciuto in gran parte agli abitanti della provincia stessa, quasi stranieri gli uni agli altri». Infatti, commentava Beltramelli nel 1906, «queste sono le dolcezze a cui deve sottoporsi colui che abbia in animo di visitare una fra le più belle regioni d'Italia. Perché il Gargano è sì un luogo di incanti e di meraviglie, una delle più belle regioni d'Italia, ma è anche fra le regioni più dimenticate del nostro bel Regno».
Ancora oggi la strada, malgrado le nostre automobili iperaccessoriate con l'aria condizionata, rende l'idea di quel che devono aver passato i nostri avi, come testimoniano gli affari che le farmacie lungo il percorso fanno vendendo pasticche per il mal d'auto, qui indispensabile come l'aspirina. Dopo l'ennesimo tornante e l'ennesimo saliscendi, si vede finalmente la freccia per la mitica Pugnochiuso. In questo caso non bisogna scomodare Ercole. Basta ricordare il presidente-padre-padrone dell'Eni del dopoguerra, Enrico Mattei, la cui fatiche contro le allora «sette sorelle» del petrolio non furono seconde alle altrettante fatiche di Ercole: con esiti, purtroppo per Mattei, non altrettanto positivi, anzi proprio spiacevoli, dato che morì in un misterioso incidente aereo nel 1962.
Comunque tre anni prima, nel 1959, il presidente dell'Eni stava volando a bordo del velivolo personale lungo la costa viestana, quando - passando sopra Pugnochiuso e per nulla intimidito dal nome presessantottino - avrebbe detto, estasiato: «Ma questo è il Paradiso!». Così furono messe le fondamenta del suo centro turistico, all' inizio degli anni Sessanta. L'idea funzionò; e scosse la gente di Vieste, poco lontano da qui. Quella gente alzò gli occhi dai propri orti e mosse così i primi passi l'ormai fiorente e consolidata industria del turismo garganico. Anche il lussuoso villaggio voluto da Mattei, ereditato dal gruppo Marcegaglia, resiste con i suoi prati verdi. Fu una rivoluzione insomma, che non poteva che nascere da Pugnochiuso. E poi dicono che i nomi non contano...
©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» nell'agosto 2004.