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SIRE UT... FAMI RE! Musiche di re e di cialtroni |
a cura di Olimpia Amati musica in sottofondo: La uitime estampie real |
Introduzione
- Il flauto nel Medioevo
- Il flauto nel
Rinascimento - Il
flauto nel barocco e nel Settecento - Dall'Ottocento
ai giorni nostri - Fiffari
storici - Esempi
per immagini - L’angolo
dell’ascolto
«La
fenice è uno strano ed affascinante uccello che vive nelle terre d’India.
Possiede un becco lunghissimo che è provvisto come il flauto di numerosi fori,
non meno di cento. Vive priva di compagno, e anzi la solitudine è la sua ragion
d’essere. Da ogni foro del suo becco sgorga una diversa melodia, tra le cui
note si cela un arcano. Quando da quei fori s’innalza il suo triste lamento,
pesci ed uccelli diventano inquieti per lei, tutte le belve si placano e perdono
quasi coscienza per la dolcezza di quel canto. Un filosofo che un tempo fu
intimo amico della fenice, venne iniziato da lei alla scienza della musica.
Ella, che vive quasi mille anni, presagisce il momento della morte e quando sta
per giungere, rassegnata, raduna attorno a sé della sterpaglia, poi vola su
quella pira e, inquieta,canta a se stessa lugubri nenie. Da ognuno dei fori del
suo becco pare che sgorghi un diverso lamento di morte, che sale dal profondo
della sua anima incontaminata: come esperto menestrello, modula arie diverse
e,mentre canta, trema come una foglia nell’angoscia della morte. Al suono di
quel flauto lamentoso, belve ed uccelli vengono a lei per ascoltarla, dimentichi
come per incanto delle cose del mondo, ed a migliaia le muoiono dinnanzi,
sopraffatti dalla pena per la sua triste sorte, ed infiniti altri cadono in
profondo deliquio, incapaci di sostenere la malinconia del suo canto. Davvero è
straordinario quel giorno!...».
La
morte della fenice,
da Il verbo degli uccelli di Farid ad-din Attar (Iran 1100 circa - ?),
Edizioni Mondadori
1999, a cura di Carlo Saccone.
La musica è sempre stata considerata in tutte le epoche ed in ogni angolo della terra un dono di pochi eletti per via del mistero che circonda il suono (“in principio fu il verbo”), dagli indù agli sciamani con i loro sonagli fino ai sacerdoti occidentali. Il flauto in particolare ha una grande rilevanza nell’immaginario umano poiché (a differenza della tastiera o degli archi e delle corde) il suono esce direttamente dal corpo creando un flusso circolare che parte dall’interno, dall’anima… e si trasforma in aria.
Se nelle raffigurazioni dionisiache della pittura vascolare greca ed apula le baccanti suonavano gli auloi ed i tamburelli, i cristiani per lungo tempo lo hanno bandito udendo il diavolo in quel suono che rapisce e fa perdere la stabilità interiore.
La simbologia diabolica è frutto della nostra storia antica: Apollo, il dio della musica, dell’armonia, delle arti, viene sfidato con la sua cetra da Marsia ed il suo flauto… ma vincerà il bene sul male, la cetra sul flauto!
E se i flauti sono stati spesso affidati alle rappresentazioni pastorali e di caccia, gli strumenti a corde hanno quasi sempre avuto libero accesso alle cerimonie religiose cattoliche.
Ovviamente uso il termine “flauto” per definire qualsiasi strumento a fiato a suono acuto (questo vocabolo verrà utilizzato in modo corretto solo nel Rinascimento), lo stesso aulos già citato ha in realtà un’ancia simile a quella delle attuali launeddas della Sardegna.
Il flauto più antico risale probabilmente all’età del bronzo (1000 anni a.C. circa). Custodito presso il Museo di Storia di Berna (fig. 1) e ricavato dalla tibia destra di una pecora o di una capra, secondo gli studi di Raymond Meylan (Il flauto, Martello-Giunti Editore, 1978), non è l’unico strumento a fiato costruito con ossa di animale.
Fig. 1. Flauto in osso, probabilmente dell'età del bronzo (Museo di Storia di Berna)
Purtroppo, a parte quei pochi strumenti in osso dell’età preistorica e qualche rarità in canna (vedi Firenze, Museo Archeologico, sezione egizia), non si hanno molte testimonianze sulla sua costruzione se non attraverso le espressioni figurative a noi pervenuteci dall’antico Egitto, dalla Grecia e da Roma (pare venisse chiamato
fistula), testimonianze che non rendono onore alle tecniche costruttive interne del tubo sonoro… eppure, già in epoca etrusca appaiono le prime immagini di flauti
traversi1.
Fig. 2. Urna etrusca del II secolo a. C. Località Il Palazzone (Perugia)
Siamo ancora in un’epoca carente di testimonianze manoscritte, tuttavia, grazie all’iconografia ed al suo confronto con la trattatistica cinquecentesca, si può facilmente ricavare la tecnica di costruzione esterna ma in particolar modo l’uso del flauto nella vita sociale. Notiamo spesso che i dipinti rappresentano musicisti che reggono lo strumento nei modi più svariati: a volte suonano il flauto diritto o traverso invertendo le posizioni delle mani e, nel caso specifico del traverso, addirittura lo invertono! è quindi probabile che non esistessero ancora delle tecniche precise per impugnarlo (anche se Meylan attribuisce la posizione differente al luogo geografico, nonostante in alcune rappresentazioni fantastiche lo strumento cambi posizione!), così come siamo ancora lontani dalla creazione di una letteratura prettamente flautistica (che si avrà solo in epoca barocca). L’arte figurativa bizantina è stata un grande aiuto per la ricerca musicologica: i flautisti sono ora pastori, ora cacciatori, talvolta addirittura artisti circensi (affiancati da giocolieri ed acrobati) e gli strumenti sono costruiti in un unico pezzo.
Nell’iconografia occidentale i pifferi (termine generico spesso adottato all’epoca per indicare qualsiasi tipo di strumento a fiato di piccolo taglio) sono usati durante le feste regali (flauti diritti e traversi in luoghi chiusi; ciaramelle, pive e cornamuse per gli spazi aperti) e spesso relegati alla musica profana, salvo rare eccezioni.
Fra le più belle eccezioni va ricordata la collezione di Cantigas di Santa Maria de Compostela2, raccolta di preghiere monodiche di stampo trobadorico, simile ai virelais (Alfonso X El Sabio, 1200 circa) e contenente illustrazioni del secolo successivo raffiguranti suonatori di flauti traversi probabilmente in legno ed in avorio.
Tutti gli strumenti monodici vanno in quest’epoca a ripetere ed accompagnare il canto arricchendolo di melismi (ho ritenuto opportuno evitare, dato il periodo storico, il termine diminuzioni, anche se rimane a mio parere la miglior definizione) talmente raffinati da risultare estremamente difficili da eseguire per un cantore. Testimonianze di ciò si ritrovano nei consigli per le esecuzioni di Machaut.
Largamente utilizzati da trovatori, trovieri e minnesaenger, i flauti si incamminano verso il periodo che più ha reso loro onore: il Rinascimento.
1
«In
Occidente, uno dei primi documenti è costituito da un’immagine di suonatore
di flauto traverso, scolpita su di un’urna cineraria etrusca del II sec. a.C.
(Perugina, Sepolcro dei Volumni)». Dizionario
Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, UTET, Il
lessico, volume II, 2000. Vedi figura
2.
2
Sono giunte a noi solo 6 cantigas profane!
©2002
Olimpia Amati