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VENOSA, CASTELLO
a cura di Vito Bianchi
scheda la storia la struttura per saperne di più video
Immagini del castello.
In basso, il ponte in pietra dell'ingresso.
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Epoca:
XV-XVI secolo.
Conservazione:
buona.
Visitabilità:
agevole.
Collocata in posizione strategica su un altopiano ai margini del Vulture, la città di Venosa (la Venusia romana), snodo fondamentale della via Appia, aveva dato i natali al poeta Quinto Orazio Flacco. Nell'Alto Medioevo era stata roccaforte dei Longobardi, per essere successivamente occupata dai Bizantini e saccheggiata dai Saraceni. Più volte vi si era accampato, fra l'867 e l'869, l'imperatore Ludovico II. Con l'avvento normanno, la località avrebbe conosciuto una notevole fioritura politica ed economica, sostenuta altresì dalla potenza dell'abbazia della SS. Trinità: non a caso, alla metà del XII secolo, il geografo musulmano Edrisi, nel Libro di re Ruggero, descriveva Venosa come «città ben nota fra quelle dei Longobardi».
La dominazione prima sveva e poi angioina dovette lasciare ulteriori tracce nel sistema difensivo venosino. Ma l'assetto delle fortificazioni cittadine venne sconvolto in età aragonese: non solo dalle incursioni del principe di Taranto, Giovanni Antonio del Balzo Orsini, quanto soprattutto dal tremendo terremoto (di intensità calcolata fra l'ottavo e il nono grado della scala Mercalli) che devastò il territorio lucano fra il 4 e il 5 dicembre del 1456, sei mesi dopo il passaggio nei cieli della cometa di Halley: immaginarsi l'impressione suscitata dalla consequenzialità dei due portentosi eventi nell'immaginario popolare. Dalle distruzioni degli antichi edifici prese avvio l'opera di ricostruzione urbana del duca Pirro del Balzo Orsini, che nel 1470 volle, fra le altre cose, erigere un nuovo castello nel punto più eminente del borgo, alla confluenza del vallone del Reale e del vallone del Ruscello. Era un luogo già precedentemente occupato dalla cattedrale di San Felice, a sua volta edificata nell'XI secolo sui resti di alcune cisterne romane, evidentemente connesse con l'acquedotto locale. E in effetti recenti scavi archeologici, effettuati nel cortile della rocca, hanno individuato gli avanzi di enormi serbatoi idrici rivestiti di intonaco: potrebbero essere i resti di un tipico castellum aquae, cioè di una torre per la raccolta e lo smistamento delle acque, apparecchiatura frequente nel panorama della romanità.
Curiosamente, una volta dismesso, il castellum aquae avrebbe
finito per fungere da base per un castellum medievale, con tutt'altre
funzioni. Sottratto in un secondo momento a Pirro del Balzo, fra il XV e il XVI
secolo il fortilizio venosino venne progressivamente dotato di fossato, per
essere ulteriormente casamattato e ampliato con dei nuovi bastioni e un elegante
loggiato interno, con cui meglio rispondere alle esigenze residenziali dei
nobili che se ne trasmettevano l'eredità. In particolare, il maniero servì da
palazzo gentilizio per Carlo Gesualdo, il noto «principe madrigalista» che nel
Cinquecento fece risuonare per gli ampi e sontuosi spazi castellari le sue
composizioni musicali polifoniche. Ma dell'edificio sono tuttora testimoniate
pure le funzioni carcerarie, ricordate dalla miriade di scritte graffite dai
detenuti sulle pietre delle torri e sui muri degli ambienti nord-orientali. Dal
1991, nel castello è ospitato un bel Museo Archeologico Nazionale, che nei
semi-interrati propone un'interessante raccolta del materiale archeologico
reperito in loco, con un efficace taglio diacronico e un'esposizione accurata e
moderna.
Il castello di Venosa è icnograficamente definito da una struttura quadrangolare
a cortile centrale, e presenta delle robuste torri cilindriche angolari.
Tutt'intorno alla costruzione, dotata di numerosi trabocchetti, corre un grande
fossato, largo una quindicina di metri e profondo fra i sei e gli otto metri. I
lati meridionale e occidentale sono costituiti da mura piuttosto alte e
possenti, mentre i versanti Nord ed Est del massiccio quadrilatero sono
caratterizzati da una loggia cinquecentesca a pilastri ottagonali. La merlatura
della torre di ponente reca lo stemma di un sole raggiante, che è il simbolo di
Pirro del Balzo Orsini: come molti altri nobili del Quattrocento, anche il duca
venosino era rimasto folgorato dal Castelnuovo di Napoli, sede palaziale del
regno degli Aragona. Pertanto, il castello di Venosa, al pari di quello di
Matera, era stato concepito proprio sul modello del Maschio Angioino. Con i
torrioni scarpati, coi corpi di fabbrica possenti e adatti a sopportare i
bombardamenti delle armi da fuoco, ma anche con una spazialità architettonica
che non rinunciava alle comodità e al lusso, il castello di Venosa è quindi un
tipico prodotto del suo tempo: oltre ad assolvere al ruolo di fortezza vera e
propria, riuniva in sé quelle mansioni di rappresentanza che potevano
qualificarlo esplicitamente come sede di un potere signorile, desideroso di
esprimere lo status nobiliare a imitazione della reggia partenopea e del centro
del potere aragonese.
Per saperne di più: AA.VV., Venosa, Venosa 1992; E. Curti - A. Vaccaro, Di Venosa. Il Museo. Il Castello, Venosa 1993.
©2001 Vito Bianchi. I video (inseriti nel 2013) non sono stati realizzati dall'autore della scheda.