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SAN MARCO ARGENTANO, TORRE DI DROGONE
a cura di Vito Bianchi
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La torre detta di Drogone e il castello.
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Conservazione:
buona.
Visitabilità: discreta.
Il castello di San Marco Argentano risale, con ogni probabilità, all’epoca dell’iniziale incastellamento attuato dai Normanni dalla metà dell’XI secolo, e sarebbe quindi da mettere in relazione con la loro conquista del Mezzogiorno d’Italia. La costruzione originaria dell’edificio calabrese viene infatti generalmente ricondotta alla prima generazione castellare degli invasori normanni, e in particolare all’operato di Roberto il Guiscardo (sebbene alcuni studiosi ne abbiano piuttosto individuato la committenza nei fratelli Guglielmo e Ungado Drogone). Nominato nel 1059 duca di Puglia e Calabria, il Guiscardo prese a munire “turribus et castellibus” le località che via via sottometteva, come ricorda nella sua cronaca Romualdo Salernitano. E in effetti fu proprio la dominazione normanna a diffondere nel Sud Italia - un territorio che il Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni (1100-1108) definiva di “rara castella” - una maglia complessa di fortificazioni: essendo nettamente inferiore alla popolazione locale, la compagine transalpina era obbligata a premunirsi con l’elevazione di fortezze che, in campagna o ai margini dei centri abitati, servissero a scongiurare le aggressioni e a imporre il nuovo potere. Che risultassero o meno realizzate sui precedenti fortilizi romani, longobardi o bizantini, le forme dei primi castelli furono quelle classiche e sperimentate in Normandia, vale a dire le tipiche “motte” e i donjons. E proprio una motta venne elevata a San Marco Argentano sui resti di una struttura romana, con il canonico allestimento di una palizzata in legno che circondò una collinetta fatta di terra di riporto e sormontata da una torre.
Le fattezze dell’edificio non dovevano differire troppo dal baluardo di terra, ciottoli e legno eretto a Scribla, nel luogo del primo insediamento di Roberto il Guiscardo, dove si è concentrata l’indagine archeologica: qui, gli scavi hanno effettivamente confermato l’esistenza di strutture castellari di chiara derivazione normanna, non diversamente da quanto poteva essere accaduto a San Marco Argentano. Tuttavia, mentre la motta di Scribla è andata incontro alla rovina, quella di San Marco Argentano ha subito dei rifacimenti, che sin dal Basso Medioevo contribuirono a sostituire l’ossatura in materiale deperibile con una più robusta veste litica. Pertanto, l’odierno torrione cilindrico, comunemente detto “Torre normanna”, venne in realtà rialzato in epoca tardo-sveva o proto-angioina (se non addirittura nel Trecento), mentre al periodo aragonese apparterrebbe sia la torretta quadrata posta a guardia dell’ingresso, sia l’anello murario che circonda il nucleo centrale del complesso. I rimaneggiamenti e la cura nella conservazione della motta testimoniano in ogni caso l’importanza strategica del fortilizio di San Marco Argentano, che doveva costituire non solo un’ottima vedetta a controllo della valle del fiume Fullone, ma poteva altresì garantire il dominio tattico di uno degli accessi al mar Tirreno. Inoltre, il torrione sarebbe stato utilizzato da Federico II in funzione di prigione, per poi passare di proprietà, in successione, ai Corsini, ai Sanseverino e agli Spinelli. Ancora nel Settecento la motta veniva rimaneggiata e utulizzata come carcere, nonostante i gravi danni sopportati per un terremoto di notevole intensità.
Posto a 496 metri d’altitudine, recintato da un alto muro in pietra, l’imponenza del torrione cilindrico di San Marco Argentano è data da un’altezza di 22 metri e da un diametro di 14. All’apice della torre risaltano 66 mensoloni lapidei di forma triangolare, mentre internamente l’edificio è diviso in cinque piani, sui quali si distribuiscono ampie sale di forma circolare. Fra i vari ambienti si sviluppa una scala di forma elicoidale, che ne consente il raccordo. A livello architettonico, il castello di San Marco Argentano può essere considerato come l’evoluzione in pietra di una “motta”, la tipologia castellare diffusa nel continente europeo soprattutto fra il IX-X e il XII secolo: si tratta di una fortificazione di origine normanna, consistente in una specie di poggio artificiale, alto fino a una quindicina di metri e fatto con terreno di riporto, estratto dal fossato sottostante e compattato ad arte. In cima a una siffatta collinetta sorgeva una torre, generalmente quadrangolare e per lo più costruita in legno: serviva per il controllo del territorio, e oltre a un presidio armato poteva contenere al primo piano degli spazi abitativi, e al pianterreno il deposito e la dispensa. Vi si accedeva tramite un ponticello mobile, che connetteva l’apice del castelletto con la bassa corte, uno spiazzo il più delle volte circolare, cinto da una palizzata in cui si assiepavano gli edifici utili alla comunità rurale: l’aula per le attività amministrative, la cappella per il culto, le abitazioni dei villici, il fienile, la stalla e i vari laboratori artigiani. Semplici ed economiche, le motte punteggiarono tutto il continente: a partire dalla Francia nord-occidentale, si propagarono in Germania e in Gran Bretagna, arrivando ben presto in Puglia, Calabria e Sicilia, sull’onda delle conquiste normanne. Nell’attraversare da Nord a Sud le regioni europee, questi tell con accluso recinto hanno spesso lasciato in situ non più che la traccia di una piccola altura, come negli esempi inglesi di Pleshey, Canterbury ed Elsdon Castle, o in quelli francesi di Bretteville-du-Grand-Caux e di Saint-Léger-sur Sarthe, o ancora negli esemplari italiani di Vaccarizza (in provincia di Foggia), di Segesta sul monte Barbaro (nel trapanese) e di Motta San Giovanni, un sito del reggino sottoposto recentemente a indagine archeologica. Ma per concretizzare l’immagine autentica di una motta può essere certamente utile il famoso “arazzo di Bayeux”, che riproduce le imprese di Guglielmo il Conquistatore, effigiate fra il 1066 e il 1082 da alcune ricamatrici anglosassoni su un lunghissimo nastro di lino. In cinque quadri vi compaiono infatti le caratteristiche montagnole turrite, che erano tanto comode da mettere in piedi, quanto facili da spianare e azzerare: il fuoco poteva effettivamente mangiarsi in un batter d’occhio tutto quanto, mentre le macchine ossidionali diventavano di giorno in giorno più sofisticate ed efficaci. E allora, per elevare fortilizi si prese a guardare con maggiore insistenza ai modelli fatti in pietra. Ecco perché il castello di San Marco Argentano è stato rivestito nel corso dei secoli da una più solida apparecchiatura litica, che al grosso torrione centrale ha aggiunto in epoca aragonese una cerchia muraria e la torretta che ne presidia l’ingresso.
Noyé-A.M. Flambard, Scavi nel castello di Scribla in Calabria, in “Archeologia Medioevale” IV (1977), 227-246; L. Santoro, Castelli nell’Italia meridionale, in I Normanni - Popolo d’Europa, Venezia 1994; J.-M. Martin, L’impronta normanna sul territorio, in I Normanni - Popolo d’Europa, Venezia 1994; R. Luisi, Scudi di pietra, Bari 1996; V. Bianchi, Il Castello. Un’invenzione del Medioevo («Medioevo» Dossier), Milano 2001.
©2000-2012 Vito Bianchi. La prima immagine riquadrata a sinistra (2014) è di Matteo Grasso; le altre immagini sono tratte dai siti, nell'ordine, calabriatours.org, www.comune.sanmarcoargentano.cs.it, http://bettylafeaecomoda.forumcommunity.net. I video non sono stati realizzati dall'autore della scheda.