Sei in: Mondi medievali ® Castelli italiani ® Calabria ® Provincia di Reggio Calabria |
TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
Fermando il puntatore del mouse sulla miniatura di ogni foto, si legge in bassa risoluzione (tooltip) il sito da cui la foto è tratta e, se noto, il nome del suo autore: a loro va riferito il copyright delle immagini.
= click image to enlarge / clicca sull'immagine per ingrandirla.
= click also image to enter / puoi entrare nella pagina anche cliccando
sull'immagine.
= click image to castelliere.blogspot / clicca sull'immagine per
castelliere.blogspot.
= click image to wikipedia / clicca sull'immagine per wikipedia.
Amendolea (ruderi del castello normanno)
«Molti fanno risalire questo Borgo al periodo Normanno (sotto Riccardo di Amendolea), altri al periodo Bizantino, come potrebbero provare le monete rinvenute sul luogo e alcune chiesette bizantine situate nei pressi del fortilizio. Il castello si articola su una rupe, a 358 metri sul livello del mare e a 8 Km dalla costa ionica, dominando la valle dell’Amendolea che costituiva in epoca storica il confine tra Locri e Reggio Calabria. Per la complessa orografia del luogo, era difficilmente raggiungibile e il carattere difensivo del sito era esaltato dalla presenza della sottostante fiumara di Amendolea, le cui acque, soprattutto nella brutta stagione, erano particolarmente impetuose. Nel castello, di dimensioni enormi, sono riconoscibili ancora vari ambienti, due cisterne per la raccolta delle acque piovane, una cappella, vi è un’abside con tracce di affreschi. Il rudere si presenta con un muro di cinta che delimita uno spazio di ingresso di forma parallelepipeda da cui si accede ad una zona residenziale; di questa rimane una sala rettangolare il cui pavimento è oggi occupato da erba e rocce. Sul muro che guarda verso est resistono ancora tre grandi finestre vicino alle quali erano collocate delle nicchie che ospitavano le sentinelle. Da qui, le guardie potevano avvistare i nemici molto prima che arrivassero sino in cima al castello ed avevano così il tempo di avvertire la popolazione. Intorno a questa enorme aula svettano alcune torri, una delle quali presenta una curiosa particolarità: ha l'ingresso non al pianterreno, bensì al primo piano, e vi si accedeva tramite un ponte levatoio. Tale meccanismo fu ideato per evitare le incursioni nella torre da parte dei nemici. Il castello è a pianta irregolare con robusti muraglioni merlati che seguono il ciglio delle scarpate. Le mura, di pietrame intercalato con cocci di coppi, hanno un andamento curvilineo nella zona Nord-Est; la parte Sud presenta una torre quadrangolare, mentre a Sud-Est il muro presenta una finestra ad arco che delimitava una sala, oggi crollata. Il castello era merlato e la sua importanza si percepisce dalle dimensioni dei luoghi e da un enorme caminetto nella terza torre. I muri del castello sono stati realizzati con una pasta di zolfo e ferro bolliti, minerali presenti nelle rocce su cui l'edificio sorge. Il loro vantaggio è che, più il tempo passa, più rimangono compatti, anche se il terremoto del 1783 e quello del 1908, in aggiunta agli assalti dei nemici, hanno provocato ampie feriti alla struttura fortificata (spicca una una torre chiaramente spaccata).
Il borgo di Amendolea, che occupa un ridotto pianoro posto immediatamente a meridione del castello, fu invece abbandonato nel 1953 a seguito di un’alluvione e anch’esso appare oggi allo stato di rudere. Nonostante ciò spiccano tra le case i muri perimetrali della chiesa protopapale, che sino al 1965 era ancora agibile e coperta. Malgrado le passate trasformazioni e l’attuale stato di degrado, il borgo conserva ancora, nell’impianto urbanistico, evidenti segni della fase medievale. Sono infatti ben visibili ampie porzioni del recinto murario di età angioina, soprattutto nella parte sud-orientale dell’abitato. Un primo atto ufficiale della sua esistenza lo ritroviamo in epoca normanna, in un diploma greco del 1086 dove è ricordato il fatto che gli arconti Roberto di Fibrao, Ruggero di Lizio ed altri mandati dal Conte Ruggiero dovettero sanare alla buona una lite insorta tra Guglielmo e Riccardo di Amigdalia, circa i confini dei tenimenti di Bova e “Amigdalia”, stabilendo che il territorio posto a destra del torrente Amendolea doveva essere affidato a Guglielmo, figlio di un compagno d’armi di Roberto e Ruggero d’Altavilla: Framundo. Dall'analisi delle mura, mostranti un vero e proprio martellamento, si ha conferma che il castello fu coinvolto nel XIII secolo nell'opera di abbattimento dei castelli ordinata da Federico II del Sacro Romano Impero nel 1230. In fasi successive, nel 1270, ritroviamo menzionato un certo Guglielmo di Amendolea. Nel 1310 e nel 1311 compare nei Regesti Vaticani per la Calabria il nome di “Petrus prothopapa et Nicolaus de Amegdalia”, entrambi tributari della “decima” da dare alla Chiesa. Alla fine del 1300 Carlo di Durazzo impose al proprietario il restauro. Per tutto il periodo medioevale il castello conservava una posizione strategica eminente governato da Raimondo de Bauzio, da Antonello dell'Amendolea e da Berengario Naldà de Cardona. Nel 1495 le terre di Amendolea e di San Lorenzo passarono nelle mani di Bernardino Abenavolo. Nel 1624, infine, il Duca di Bagnara Francesco Ruffo acquistò le terre di Amendolea e il castello. Tale privilegio durò fino al 1806 quando fini l’età feudale. Vengono ricordati per i numerosi fatti d'arme che si verificarono durante il '600, tre baglivi della famiglia Ruffo (A. Rebuffo, F. Polistena, G. Sangallo). I Baglivi erano dei fiduciari che amministravano il feudo per conto della famiglia feudataria. Essi si comportavano come veri signori commettendo a volte gravi abusi dato che la famiglia feudataria esigeva solo un'entrata annua, erano circondati da sgherri (bravi) specialmente albanesi ma a volte anche saraceni con i quali mantenevano il controllo del territorio. Al castello si accede tramite una lunga scalinata che parte dalla vicina strada asfaltata, costruita di recente dal Corpo Forestale, che dalla valle si porta alla quota superiore da dove prosegue per Bova. Ultimamente sono stati eseguiti dei lavori per la messa in sicurezza del maniero e per renderlo visitabile».
http://castelliere.blogspot.it/2012/07/il-castello-di-venerdi-20-luglio.html
«Esiste l'antico Castello Feudale costruito dai baronidi Ardore prima del 1600. è un edificio quadrato con quattro torri ai quattro angoli, due rotonde e due quadri. Nel fondo di queste si aprivano dei trabocchetti che, per vie sotterranee andavano a mettere capo, secondo la tradizione, in diversi e lontani punti del territorio, e uno di essi, quello a sud, al Castello Feudale del vicino Bovalino. Il Castello era ben fortificato, nelle torri e nelle mura si vedono, ancora, molte feritoie e, sino al 1847 si conservavano due colubrine. Tra il ponte levatoio e la facciata principale esisteva un bel giardino, che nel 1882 fu espropriato per ingrandire la Piazza Umberto I. Il Castello di Ardore era considerato tra i migliori del circondario».
http://www.comune.ardore.rc.it/index.php?action=index&p=229
Bagnara (castello ducale Ruffo)
«Il “Castello” fu probabilmente costruito nello stesso periodo in cui fu costruita l’Abbazia di Santa Maria e dei XII Apostoli, iniziata nel 1085. Esso era attiguo all’Abbazia stessa, ed entrambi erano situati sulla rupe di Marturano. Non ci è dato sapere se la sua costruzione fu iniziata prima, durante o dopo l’inizio dell’Abbazia. Secondo il Cardone esso fu edificato da Ermete (Ermeo) primo priore di Bagnara. Infatti, oltre alla carica di priore, esso rivestiva anche quella di Capitano e Castellano con giurisdizione civile e penale. Per l’esecuzione di tale giurisdizione erano ovviamente necessari degli uomini con mansioni diverse. In particolare ciò presupponeva la presenza di un presidio militare più o meno numeroso, necessario soprattutto per la difesa del luogo. Tali uomini certamente trovavano ospitalità all’interno del castello. Con molta probabilità nel nostro castello fu ospitato Ruggero II e il suo seguito quando venne a Bagnara per assistere alla dedicazione dell’Abbazia di Santa Maria dei XII Apostoli avvenuta il 13 ottobre 1117. Il Castello aveva forma quadrata, e conteneva due lussuosi appartamenti. La parte che volgeva verso il mare (a levante) era situata sopra le carceri. Era cinto da due ordini di balestriere fra le quali erano sistemati dei cannoni; pare che fossero 12 e chiamati i “Dodici Apostoli”. L’ingresso era munito di un ponte levatoio e alla sua sinistra ed in alto erano sistemati due orologi, uno solare e l’altro sonante, mentre sulla vetta vi era una piramide, detta “Castellana”, era sistemata una campana che due ore dopo il tramonto serviva da segnale affinché ognuno si ritirasse alla propria abitazione. Il castello comunicava con due avamposti i cui ruderi sono ancora visibili. Il primo, quello che guarda a sud-ovest (verso l’attuale centro), era chiamato “Bastione”, mentre l’altro che guarda a nord-est (verso Marinella) era chiamato “Costanzella”. Il Castello fu certamente modificato e rinnovato dai Ruffo allorché divennero Duchi di Bagnara, da cui il nome di Palazzo Ducale. Fu raso al suolo dal terremoto del 1783 e fu poi ricostruito, sui ruderi del precedente, e mantiene tutt’oggi, almeno esternamente, l’aspetto che gli fu dato con questa ricostruzione. Resistette al terremoto del 1908 ed era divenuto già da tempo residenza della famiglia De Leo. Fu poi ristrutturato ed adibito ad albergo, col nuovo nome di Castello Emmarita dal Comm. Mezzetti. Divenne in seguito scuola professionale alberghiera ed oggi, dopo un sapiente restauro, ha ripreso l'antico nome di "Castello Ducale Ruffo" ed ospita diverse manifestazioni culturali».
http://www.comunebagnara.it/castello.asp
Bagnara (torre aragonese, o di Capo Rocchi, o di Ruggero)
«La Torre Aragonese, anche conosciuta come Torre di Capo Rocchi, o Rosci o volgarmente di Re Ruggero, è stata costruita tra il XV e il XVI secolo. L’anno di costruzione può essere ricavato solo in maniera approssimativa deducendolo dalle caratteristiche architettoniche e non dai documenti. Il primo documento ad essa riconducibile risale al 1576 quando vi era terriero Lelio Leonardo. Tuttavia, tenendo conto della trasmissione orale di conoscenze e particolari sul territorio bagnarese, sembra che la torre sia stata realizzata dal Viceré Consalvo nel 1547. Si tratta di una torre di avvistamento e segnalazione, costruita su proposta del consigliere regio Fabrizio Pignatelli, per la vigilanza della costa. Infatti, durante il governo degli Aragonesi uno dei maggiori problemi era proteggere il territorio dall’avanzata dei Turchi che, occupato la costa settentrionale dell’Africa, erano alla ricerca di un varco per l’Italia. È una torre a base tronconica, toro in masello e un corpo cilindrico con un diametro di circa sette metri. La Torre Aragonese, costruita in cima ad un piccolo promontorio, lo scoglio di Cacilì, che separa la spiaggia di Gramà da quella di Marinella, a contatto visivo con la fortezza situata sulla rupe di Marturano, era luogo ideale per visionare lo specchio di mare antistante, ed in caso dare l'allarme. Torri simili possono essere ammirate su tutto il litorale. La loro funzione era quella d'avvistare allargo gli eventuali predoni, e allestire una difesa in grado di fermarli prima dello sbarco. Bagnara, punto strategicamente importante nello scacchiare delle guerre dello Stretto, ebbe la sua Torre. Nello stesso periodo fu fortificata la rupe di Marturano. Dalla parte sporgente verso il mare si costruirono due grandi muraglie difensive: il Bastione a sud e la Costanzella a nord (Gianni Saffioti, Prima Enciclopedia multimediale Bagnarese, vol.1, Bagnara Calabra 2003). Il terremoto del 1638 danneggia la scala, il parapetto e la garitta, piccola costruzione tonda e poligonale in cui stava al riparo la sentinella. I successivi terremoti non la danneggiarono particolarmente. L’attuale straordinaria posizione che la torre ha, è dovuta all’estrazione di pietra dal terreno sottostante. Recentemente restaurata è divenuto uno dei luoghi più belli e visitati di Bagnara. Con il suo suggestivo paesaggio lo “sperone” di Capo Rocchi racchiude in sé storia e natura».
http://win.prolocobagnara.it/torrecaporocchi.htm
Bova (borgo, palazzi gentilizi)
«PALAZZO NESCI DI SANT'AGATA. La costruzione de palazzo Nesci risale ai primi anni del XVIII secolo, danneggiato, poi, notevolmente dal terremoto del 1783 fu interamente restaurato. Il palazzo, realizzato con due corpi di fabbrica con impianto ad L. è posto su due piani; ha una pianta quadrata con cortile centrale. L'intera facciata presenta una scansione nitida, di un polito neo-classicismo delle forme, nell'alternanza di finestre e balconi. La muratura è mista con l'inserimento di grossi conci di pietra squadrata. Ai lati del portale, con arco a tutto sesto, due paraste sostengono una trabeazione sulla quale è posto lo stemma della famiglia Nesci. Verso la fine del 1800 fu costruito un poderoso voltone laterale che collega il piano superiore del palazzo con un terrazzo dalla bellissima veduta panoramica verso vallata. La realizzazione dell'arco ha suscitato notevoli contrasti tra la famiglia Nesci ed il Comune. All'inizio del '900 il palazzo è stato sede di un teatro e di casinò di società. Il palazzo, ubicato al centro del paese, sulla Piazza Roma, costituisce un interessante esempio di architettura civile settecentesca. IL PALAZZO MESIANI-MAZZACUVA. La costruzione del palazzo risale alla fine del XVIII secolo, è ubicato in Via S. Costantino lungo una stradina in forte declivio. Esso sorge sui resti di una antica torre (XV secolo) che, in passato, costituiva una delle porte turrite attraverso le quali si poteva accedere in Città. Il prospetto principale presenta un'articolazione plastica realizzata, secondo leggi di simmetria, con l'uso della muratura a faccia mista. Le due paraste d'angolo definiscono l'edificio che presenta cornice marcapiano e cornice conclusiva all'interno della quale si impostano, secondo una forte assialità ed alternanza, finestre e balconi. Il portale d'ingresso, in stile tardorinascimentale, è realizzato in pietra chiara e presenta un grande arco affiancato da paraste con trabeazione. Il palazzo danneggiato dal terremoto del 1783 venne restaurato e adibito ad uso residenziale; nel XIX secolo il piano intermedio fu destinato a carcere circondariale. L'edificio oggi, notevolmente danneggiato, è in fase di restauro. ... VICOLI E PORTALI. In prossimità della piazza principale, lungo il percorso che porta alla sommità del colle, tra i vicoli del paese sorgono altri notevoli palazzi (Romeo, Larizza, Condemi) e resti di antichi palazzi gentilizi che testimoniano l'importanza della struttura residenziale nel tessuto urbano di Bova. L'elemento caratteristico di questi edifici è quello di avere l'accesso ai piani superiori tramite scale di legno interne. Essi sono generalmente costruiti in pietra e mattoni, legati da malte a base di calce, con intonaci esterni, spesso sono arricchiti da decorazioni di lesene, cornici e mensole. Le coperture sono realizzate in tegole locali, interessante risulta anche la tipologia dei portali d'ingresso. L'omogeneità di materiali costruttivi, di grana e di colore caratterizzano in maniera notevole l'ambiente urbano e lo qualificano. In prossimità della Cattedrale vi sono alcune abitazioni con vani ricavati nella roccia tufacea. Molto interessante è la presenza di un vecchio frantoio, della fine del 1700, che sorge ai margini del centro storico, nel largo antistante la chiesa di San Rocco, e costituisce un esempio di archeologia industriale».
http://www.calabriainvacanza.it/comuni/localita/localita.asp?nome=Bova&prov=Rc&pag=riferimenti
Bova (resti del castello normanno)
«Il Castello di Bova, ridotto allo stato di rudere, sorge in cima ad uno sperone roccioso, sul cui lato sud si estende il paese. I pochi ruderi rimasti del castello, sono assolutamente insufficienti a poter ricostruire la planimetria dell'insieme. Gli ambienti ancora leggibili sono siti a quote diverse ed è difficile comprendere il loro legame, la loro funzione, anche per il fatto che si è avuta un'alterazione dell'orografia originale della collina. Dai pochi elementi si può affermare che il castello fu progettato e costruito su vari piani di elevazione le cui fondazioni poggiavano direttamente sulla roccia. Gli ambienti ancora esistenti si trovano su tre livelli: al piano inferiore un "salone" al quale si accedeva attraverso un "corridoio"; al piano superiore due stanze e ancora più in alto una piccola cappella con pianta rettangolare coperta con volta a botte e affrescata, di cui restano ancora le tracce. I muri interni hanno lo spessore di oltre 60 cm mentre quelli esterni ricavati dallo scavo della roccia, misurano m 1.50. Tali muri, realizzati a difesa del castello, presentano caditoie. Per la costruzione vennero usati mattoni di selce tagliata in lastre dello spessore di 5 cm, queste venivano poste in opera con malta calcarea dal colore giallastro. Al castello si addossavano le mura di cinta della città di cui faceva parte una torre, a pianta circolare, ancora oggi esistente. è probabile che le strutture esistenti siano di età angioina, fine del XIII secolo. Nei secoli XV, XVI, XVII, in seguito alle incursioni turche, il castello rappresentò un ottimo e sicuro rifugio. Al diroccato castello sono legate diverse leggende. Su di un macigno, tra le rovine del maniero, è ancora visibile l'orma di un piede di donna che un tempo le giovani del luogo andavano a confrontare con il proprio. Secondo una leggenda l'orma sarebbe appartenuta alla Contessa Matilde di Canossa, che aveva ricevuto il castello dal pontefice Gregorio VII. Se l'orma, quindi corrispondeva al piede di una fanciulla, questa avrebbe scoperto di discendere dalla Contessa di Canossa. Un'altra leggenda parla dell'orma della "Regina". Una Regina greca pare avesse fatto costruire il castello e se l'orma fosse coincisa con quella del piede di una giovane fanciulla, la fortunata avrebbe trovato il tesoro della regina».
http://www.terredelmediterraneo.org/itinerari/aspromonte.htm
«La sua costruzione, che risale al X secolo, è contemporanea a quella del castello di cui faceva parte come sistema di difesa insieme alla mura e ad altre quattro torri. È posta ad ovest, rispetto all'abitato e al castello e sovrasta la porta posteriore d'ingresso all'abitazione della famiglia Mesiani oggi inesistente. Presenta una struttura unicircolare con anello basamentale più ampio di diametro, in pietra con ricorsi in mattoni. La parte superiore in muratura mista, pietre e cotto, presenta riseghe interne nella muratura, ed è dotata di un'apertura».
http://www.comunedibova.it/cul_mon_tnormanna.htm
Bovalino (ruderi del castello normanno)
«I resti del Castello sono in condizioni pietosi e nessuno sembra in grado di porre un qualsiasi interesse per un eventuale recupero. Costruito agli inizi del periodo normanno, intorno all’anno mille, su volere del Gran Conte Ruggiero I d’Altavilla, all’interno di un sistema difensivo di 17 castelli reali, il Castello subì diverse offese dagli uomini e dalla natura: - nel 1222 per un terremoto (e i danni furono riparati nel 1276 su ordine del Re); - nel 1256 per l’assedio delle truppe di Manfredi, figlio del re di Sicilia Federico II di Svevia, per colpire la famiglia Ruffo che manifestava l’intenzione di voler fare della Calabria uno stato autonomo; - nel 1288 per l’assedio del re di Sicilia Giacomo II d’Aragona, contro i nemici Ruffo che parteggiavano per gli angioini; - nel 1502 per l’assedio dei francesi del viceré di Calabria D’Aubiguy, che inseguivano le truppe aragonesi di Ugo De Cardona, rifugiatesi prima nel castello di Bovalino e poi in quello di Gerace; - nel 1594 per l’assedio dei turchi di Sinan Bassà (Scipione Cicala), i quali diedero alle fiamme il Castello e spogliarono di tutti i loro averi gli abitanti di Bovalino (a tale data, che ancora oggi è ricordata dai Bovalinesi, è legata la festa dell’8 settembre dedicata all’Immacolata e la nascita dell’omonima Arciconfraternita) - nel 1783 e nel 1908 per due disastrosi terremoti che colpirono in modo violento tutta la Calabria, e in particolar modo la provincia di Reggio Calabria; - negli anni ’60, quando fu abbattuta la cortina centrale per costruire la strada comunale che conduce al borgo-castello. In un Apprezzo del Tabulario Pompeo Basso del 15 marzo 1586, il Castello di Bovalino Superiore risulta non ancora del tutto completato e viene descritto con tre torri chiamate “balovardi”, il fossato con il ponte “de legname” e tante “stantie” con carcere interno. Una quarta torre presente nel progetto di allora non fu mai realizzata. Sulla Torre prospiciente la piazza sono stati scoperti dei disegni fino ad ora mai notati perché celati da un folto rampicante. Si tratta di diverse barche del tipo di quelle costruite nel ‘500 e s’ipotizza che rappresentino il racconto della partenza della galea, che Bovalino Superiore armò per partecipare alla battaglia di Lepanto nel 1571. Alla battaglia parteciparono anche gli zii del martire bovalinese e padre gesuita, morto in Giappone, Camillo Costanzo, e che fecero ritorno vittoriosi proprio in occasione della nascita del nipote nel 1572. Al di sopra dei disegni è indicata una data non chiaramente leggibile (1571? 1971? 1991?)». [Il castello è oggi in fase avanzata di ristrutturazione: 2012]
http://www.carloripolo.com/public/articles.asp?id=38&page=4
Bovalino (torre Scinosa, non più esistente)
«Nel 1496 la Baronia di Bovalino venne acquistata dai Marullo, famiglia originaria di Messina col titolo di Conti di Condoianni, di questi il Conte Vincenzo Marullo nel 1571 partecipò con una sua nave, armata di gente della contea, alla vittoriosa Battaglia di Lepanto tra cristiani e turchi. Ma ciò non bastò, in quanto l'8 settembre 1594 Scipione Cicale detto Sinan Bassà, guidando un'orda di turchi saccheggiò, incendiò e distrusse Bovalino, in questo giorno avvenne il miracolo dell'Immacolata Concezione che con la pioggia spense gli incendi. ... A causa delle continue scorrerie turche venne costruita nel 1605 una torre d'avvistamento tronco-piramidale, la "Torre Scinosa", abbattuta nel 1912 dalla stupidità umana».
http://www.comune.bovalino.rc.it/index.php?action=index&p=76
Brancaleone (ruderi del castello di Brancaleone Superiore)
«In origine, il paese era probabilmente denominato Sperlonga (dal latino spelunca = grotta) per la presenza di monaci bizantini che popolarono le grotte dette appunto di Sperlonga intorno al XII secolo e che ancora oggi offrono testimonianze della presenza bizantina. Solo intorno al 1200 veniva dato il nome di Brancaleone. Il centro sviluppatosi su una collina a 310m s.l.m. fu munito di castello fortificato, presumibilmente intorno all'anno 1300, per la difesa contro le incursioni dei Saraceni. Un originale castello medievale, non lontano da reperti archeologici sia della Magna Grecia e sia dell'epoca Romana. Accessibile solo da un lato fu, probabilmente, costruito dai Ruffo. L'accesso al castello era ubicato nel lato settentrionale e avveniva per mezzo di un ponte posto in adiacenza alla casa della famiglia Musitano che affaccia sulla piazza principale del paese: Piazza Vittorio Emanuele che, per questo motivo, era anche detta "Piazza del Ponte". Qui, nel sottosuolo si trova una grotta che era la vecchia prigione del Castello. Nel 1489 questo castello risulta inserito in quell'elenco che Alfonso D'Aragona riteneva di dover ampliare e risistemare per potenziare le difese del Regno. Nel XIV secolo Brancaleone fu feudo della famiglia Ruffo, e poi passo alla famiglia D'Aragona De Ayerbe, per essere venduto in fine alla famiglia degli Stayti, in onore dei quali fu intitolato l'altro centro vicino, Staiti appunto, che fu casale di Brancaleone (casale = centro che dipendeva da un altro centro vicino più importante). Dal 1674 fino al 1806 (anno in cui fu abolita la feudalità) fu sotto il dominio della famiglia Caraffa di Roccella. Brancaleone Superiore fu lievemente danneggiata dal catastrofico terremoto del 1783, e subbi danni per il terremoto del 1908, e quindi varie volte fu ricostruito, ma il suo destino fu definitivo solo agli inizi del Novecento, dovuto al fenomeno comune a tutti i centri interni della Calabria, quello dell'abbandono delle campagne e delle zone collinari per carenze di infrastrutture e di collegamenti adeguati al processo socio economico della società».
http://www.geosearch.it/s_451/Brancaleone/siti-storici-culturali/Brancaleone-Superiore-Ruderi.php (a cura di B&B Galati)
Bruzzano Zeffirio (resti del castello di Mocta Bruttiano o rocca d'Armenia)
«Situato a quota 139.00 mt
s.l.m., sulla sommità della "Rocca Armenia", in località Bruzzano Vecchia.
Il Castello, ormai allo stato di rudere, è stato edificato tra il finire del
X e gli inizi del XI secolo. Nel 925 divenne quartier generale dei Saraceni.
In seguito fu, feudo di Giovanni De Brayda dal 1270 al 1305, di proprietà
del Marchese di Busca dal 1305 al 1328, dei Marchesi Ruffo dal 1328 al 1456,
dei Marullo dal 1456 al 1550, dei Danotto dal 1550 al 1563, degli Aragona de
Ajerbe dal 1563 al 1597, degli Stayti nel 1597 e dei Carafa di Roccella fino
al 1806. Fu danneggiato dal sisma del 1783 e ridotto a rudere dai sismi del
1905 e 1908. Numerosi rimaneggiamenti, aggiunte e stratificazioni sono stati
effettuati nei periodi storici che si succedettero dal Medioevo fino ai
primi dell'Ottocento. Il Castello di Bruzzano, presenta una tipologia
architettonica tipica del territorio e dei periodi storici in cui le varie
parti furono costruite. La Rocca Armenia si presenta come un monolite di
arenaria locale compatta. Posta a quota 115 mt s.l.m., con una sommità
piana, dove sono evidenti i ruderi, a 139 mt s.l.m.. Tale rupe fortificata
presenta quindi un dislivello di circa 25 mt rispetto ai ruderi dell'abitato
di Bruzzano Vecchia ai piedi della stessa rupe. Su questa rocca, il Castello
si articola in numerosi corpi di fabbrica ormai a rudere, raggruppabili in
tre principali categorie. 1) Strutture difensive militari, 2) Cappella
nobiliare del Castello, 3) Dimora della famiglia Carafa. Le strutture
difensive militari, rappresentano il vero e proprio Castello fortificato
costruito alla fine del X sec. Tali strutture, architettonicamente non si
discostano molto dalla tipologia usuale dei castelli costruiti nello stesso
periodo, sul territorio della Locride e della Calabria in generale. Le
strutture, presentano una tipologia a pianta quadrangolare con torri
quadrate e "sala d'armi". All'interno del Castello, una piazza scoperta con
relative cisterne scavate nella roccia per la raccolta delle acque;
prigioni, anch'esse scavate nella roccia; mentre all'esterno dei muri
perimetrali, si vedono ancora i resti dei contrafforti di recinzione della
rocca. Oltre alle strutture in muratura, tale fortificazione presenta degli
ambienti funzionali trogloditici e, delle strutture, anch'esse scavate nella
roccia. Della "Sala d'armi", rimangono i muri perimetrali, dove sono
evidenti le feritoie atte alle azioni belliche di difesa. La Cappella
Nobiliare è posta addossata al muro est del vero e proprio Castello
fortificato. Infatti, sulla parte esterna di un grosso muro, a pochi metri
dal torrione sopra descritto, un ambiente rettangolare delimita lo spazio
sacro di questa Cappella che dovette essere costruita non più tardi
dell'epoca tardo-medioevale in cui furono costruite le strutture che
compongono la cosiddetta "Casa del Principe". Tale Cappella, a unica navata
e di cui rimangono in elevazione tre delle quattro pareti, presenta
un'abside semicilindrico sporgente verso l'esterno, sul fronte a nord. Ai
lati dell'abside, sono ricavate nello spessore del muro, due piccole nicchie
che dovevano custodire delle icone sacre ai lati dell'abside centrale che
custodiva il Santo cui era dedicata tale Cappella. Sia l'abside centrale sia
le due nicchie laterali, presentano tracce di affreschi in pittura rossiccia
sui resti del poco intonaco rimasto. Sulla muratura del fronte opposto
all'abside, era posta in posizione centrale, la porta d'ingresso della
Cappella. Tornando agli affreschi, è possibile soltanto supporre ipotesi in
riguardo allo stile, alla manodopera e quindi all'età in cui sono stati
realizzati, mediante comparazione delle linee del volto, delle figure, e del
tipo di pittura. ...».
http://www.geosearch.it/s_510/Bruzzano-Zeffirio/siti-storici-culturali/Rocca-d-Armenia.php
(a cura di B&B Galati, Brancaleone RC)
«I ruderi del cosiddetto Castello Normanno di Calanna che dominano la Vallata del Gallico, sopra il centro abitato di Calanna, sono quel che resta oggi della fortificazione realizzata nel XIII secolo in epoca normanna appunto, ma su una fortificazione bizantina del X secolo nota con il nome greco di Kale amu(n)a (bel riparo o difesa), da cui Calanna appunto. Il castello è citato nei registri della corte Angioina del 1276 e si presume che inizialmente avesse pianta ottagonale. Oggi rimangono pochi tratti della cinta muraria con delle torri quadrangolari ogni 30 metri, il fossato e delle cisterne. I ruderi fanno presumere che fosse dotato di due ingressi sui lati sud e nord dell’altopiano collinare su cui sorge la cinta muraria. Comunque la fortificazione originaria fu costruita su un insediamento che attesta ritrovamenti archeologici risalenti all'età del ferro, di cui è stata ritrovata una necropoli preellenica databile fra il X e il IX secolo a.C.».
http://it.wikipedia.org/wiki/Fortificazioni_di_Reggio_Calabria#Castello_Normanno_di_Calanna
Candidoni (resti del castello normanno)
«Il castello fu fatto edificare probabilmente dal conte Ruggero, durante la dominazione normanna, a scopo difensivo ed era ubicato su una piccola collina. Era dotato di una cinta muraria; lo stile doveva essere gotico-normanno come si evince dalla presenza di archi gotici con delle volte a tutto sesto visibili ancora oggi. Il fossato era assente poiché il castello era ben difeso dalla ripidezza dei pendii della stessa collina e dalle grosse mura di cinta, l’unico merlo sopravvissuto alle rovine testimonia, inoltre, che il fortilizio possedeva robusti merli difensivi. Il maniero franò più volte a causa del terremoto».
http://www.calabriaturistica.it/torri_e_castelli.php
Cannitello (fortezza di Altafiumara, o Santa Trada di Cannitello)
«La batteria di Altafiumara, con castello, può essere storicamente collocata tra quella serie di costruzioni difensive e di avvistamento che vennero costruite agli inizi del XIX secolo nei territori dello Stretto durante l’occupazione francese. Si trova infatti localizzata in una posizione strategica e dominante rispetto la punta sicula di Capo Peloro e comunque rispetto al controllo di una vasta porzione dei territori costieri della Calabria. Venne costruita da Murat intorno al 1810, contemporaneamente alle batterie di Punta Pezzo e di Torre Cavallo; quest’ultima si trova a breve distanza dalla località di Altafiumara, in un altro luogo parimenti strategico per la difesa del territorio. Si trattava di una struttura poderosa con un impianto planimetrico trapezioldale, così come ci documenta Tlario Principe in un disegno attraverso il quale è possibile risalire alla organizzazione originaria della batteria. Purtroppo il carattere della costruzione è stato fortemente alterato dagli interventi di recupero e trasformazione in albergo, che hanno cancellato anche ogni traccia di lettura dei materiali e la possibilità di riconoscere facilmente le parti antiche da quelle di nuova costruzione».
http://www.ntacalabria.it/12985/villa-san-giovanni-batteria-difensiva-altafiumara/
«Nel secolo XVI venne edificate delle torri di avvistamento aragonesi lungo le coste della Calabria ed anche Catona dove venne costruita in località Spontone: di essa resta la base, visto che venne smantellata nei primi decenni del secolo XV».
http://www.circoloculturalelagora.it/pirateria99.htm
«Nel 1091 la Sicilia venne conquistata da Ruggero il Normanno nel 1091 e il porto di Catona riprendesse il suo ruolo di scalo marittimo e di transito commerciale. Federico II fece edificare un castello sulle colline di Concessa, nel territorio oggetto della relazione, esso aveva una posizione strategica e consentiva un'ampia visione dello Stretto. Attualmente sono ancora visibili i ruderi e la relativa documentazione è contenuta nel Regesto Angioino».
http://www.circoloculturalelagora.it/pirateria99.htm
Caulonia (castello di Castelvetere)
«Il castello, che forse - come asserisce qualcuno - dette il nome alla città e del quale non si conosce il fondatore, fu residenza di Malgeri d'Altavilla. Costruito, comunque, in stile normanno, fu successivamente abitato dalla famiglia Carafa. In seguito al trasferimento a Napoli dell'ultimo marchese Carlo Maria Carafa, l'antico baluardo fu sede dei castellani fino a quando il terremoto, che interessò la Calabria nel 1783, non lo ridusse in "condizioni penose". "Il castello era di figura esternamente irregolare, in parte vallato da un fosso manofatto, fortificato con scarpa e controscarpa, circondato da alcuni torrioni e nei vani anteriori munito con pietre vive e cancelli di ferro". Munito di milizie e di artiglieri che potevano porre resistenza anche a nemici ben organizzati, il castello era separato dalla piazza da un fosso "manofatto": il collegamento avveniva tramite un ponte elevatoio. lI castello, vero fortilizio, con fossi, ponte, cortine e baluardi, piazza d'armi e ritirata, aveva dei cortili e retrocortili spaziosi, una chiesa decorevole, moltissime stanze che permettevano ai soldati e alla servitù di vivere comodamente e dei grandi magazzini per la conservazione dei prodotti alimentari. Nell'aprile del 1842 i ruderi del castello risultavano di proprietà di un certo Ilariantonio Taranto che, dopo aver coperto il fosso e reso fisso il ponte levatoio, impiantò un filatoio di seta, che durò pochissimo. Nel 1897 i ruderi del castello, passati a nuovi proprietari (famiglia Gallo), passarono ulteriormente a quella degli Scalisi e così via fino alla famiglia D'Amato, la quale ancora oggi gode del privilegio di abitare all'ombra del vetusto baluardo normanno, le cui vestigia sono ancora ben visibili».
http://www.caulonia2000.it/pagine/guidatur/normanno.htm
Caulonia (centro storico, porte)
«Una passeggiata al centro storico di Caulonia è un'esperienza senz'altro più significativa di qualunque altra cosa possa leggersi o scriversi sul suo patrimonio artistico. Vi si può cogliere un denso apparato stratigrafico, tra muri antichi e attuali, con una profonda percezione dello spirito del luogo come teatro del paesaggio. II centro storico sorge su uno sperone roccioso a circa 300 metri s.l.m. e fino al 1860 era denominato Castelvetere (Castrum vetus =vecchio castello), di cui rimangono pochi ruderi, ma che contribuiscono a mantenere ancora oggi un' immagine di caulonia simile ad una roccaforte Sono invece ancora visibili quattro porte medievali della cinta muraria, ormai inglobate nel tessuto urbano: Porta Sant'Antonio o del Salvatore, in arenaria; Porta Pusterla, collegata alle mura del castello, in pietra e mattoni; Porta Amusa, la porta degli orti e della strada lungo il fiume Amusa; Porta Allaro, la più piccola, in pietra e mattoni, rivolta verso la costa sulla via del fiume Allaro e sulla sua foce (Maria Teresa Campisi). Dal punto di vista religioso Castelvetere si distingueva per un rilevante numero di chiese, che oggi (quelle rimaste, grazie agli interventi di restauro), arricchiscono il un prezioso patrimonio storico-artistico del paese. Oltre alle chiese, alcuni palazzi signorili, con portali, corti interne, ricchi giardini e preziosi arredi, sono davvero di pregiata fattura artistica, indicando il benessere socio-economico che Castelvetere aveva raggiunto intorno al '700. Tra le ville private più importanti ricordiamo l'elegante Villa Campisi, circondata da giardini e chiostri di notevole interesse non solo dal punto di vista architettonico ma anche botanico e officinale. La via più importante del centro storico è intitolata a Vincenzo Niutta (dotto illustre castelveterino dell'800) mentre le piazze storielle di Piazza Mese, Piazza Seggio e Piazza Baglio, corrispondevano rispettivamente al centro religioso, politico e commerciale del paese. Tra i bei portali del centro storico ve ne sono alcuni in arenaria chiara tendente all'ocra e altri, singolarissimi, in arenaria rossa, come quello dell'ex chiesa di San Leo. L'arenaria è una roccia locale di origine sedimentaria che ha l'aspetto di miriadi di granuli di sabbia cementati fra loro, molto diffusa nell'antichità. Difatti la ritroviamo soprattutto negli edifici religiosi o reimpiegata nel tessuto urbano, sparso un po' ovunque nella stratigrafia dei muri in pietra. ...».
http://www.comune.caulonia.rc.it/index.php?action=index&p=73
Caulonia Marina (torre Camillari o dei Cavallari)
«È una delle 72 torri fatte costruire da Fabrizio Pignatelli, lungo il litorale calabrese, per far fronte alle continue incursioni saracene. La torre, costruita tra l'Amusa e l'Allaro su un'altura prospiciente l'attuale abitato di Caulonia Marina, viene comunemente detta dei "Camillari". Un tempo il servizio di sorveglianza ed avvistamento doveva essere prestato da tutti i cittadini (dai 15 ai 60 anni), divisi per norìe (contrade o circoscrizioni), i quali, in caso di improvviso sbarco dei saraceni, dovevano effettuare i convenuti segnali. Ora la torre sorge dove fu costruita, ma dalle sue mura non si scorgono più corsari, né più si odono rumori di armi ma solo lo sciabordio ed il frangersi delle onde joniche sulla costa, testimone silente di una civiltà irripetibile. Ai piedi della cinquecentesca torre è stato rinvenuto, recentemente, un insediamento greco, databile, in base ai reperti ceramici, al quinto secolo a.C.».
http://www.caulonia2000.it/pagine/guidatur/camillari.htm
Condojanni (ruderi del castello dei Condojanni)
«Il Castello di Condojanni si trova nei pressi del centro abitato di Condojanni, nell'odierno comune di Sant'Ilario dello Ionio, e fu eretto dai Normanni nel XI secolo sulla cima di un'altura rocciosa, tra quelle che dominano la Locride. Rappresenta uno dei pochi esempi di architettura alto medievale calabrese. Il castello, insieme a quelli vicini e simili di Gerace, Stilo, Amendolea, Sant'Aniceto rientrava in un sistema difensivo di età normanna volto a controllare la costa ionica meridionale. Il possente donjon fu costruito per volere dei Normanni intorno al XI secolo come luogo di avvistamento e di rifugio per la popolazione, in seguito all’intensificarsi delle scorribande saracene lungo le coste calabresi. Con il passaggio della Calabria sotto il dominio degli Svevi, tale struttura fu ristrutturata ed ampliata, creando il vero e proprio castello, con l’aggiunta di alcune torri rettangolari. Da questo momento vennero scritti documenti che ne danno notizia. Nel corso del XIII secolo il castello divenne il centro di comando del fiorente feudo di Condojanni. Il Castello divenne nei secoli proprietà di famose ed illustri dinastie siciliane, tra le quali i Ruffo di Calabria, i Marullo, i Carafa principi di Roccella. La torre centrale ha una pianta quadrata, un'altezza che raggiunge i 30 metri e la struttura di innalza su quattro piani. Il piano terra del castello presentava numerosi ambienti e un muro longitudinale divideva lo spazio interno del castello dalla piazza d'armi.Le mura esterne del castello vennero ristrutturate diverse volte».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Condojanni
Fiumara di Muro (resti del castello)
«Borgo fortificato, in epoca medievale, per un certo periodo fu occupata dai mori. Divenuta in seguito capoluogo di baronia, fu concessa da Carlo I al nobile casato dei Ruffo, da cui passò ai Sanseverino di Terranova Sappo Minulio. Nella prima metà del XV secolo, entrò a far parte dei possedimenti dei Carafa, ai quali, sul finire del Cinquecento, subentrarono nuovamente i Ruffo. Compresa nel cantone di Reggio di Calabria, ai tempi della Repubblica Partenopea, con le riforme attuate dai francesi, all’inizio dell’Ottocento, fu inclusa dapprima tra le università del cosiddetto governo di Villa San Giovanni e poi tra i comuni del circondario facente capo a questa cittadina. I Borboni le aggregarono la località Salice, divenuta indipendente verso la metà del XIX secolo. ... Il territorio, classificato collinare, ha un profilo geometrico irregolare, con differenze di altitudine molto accentuate. L’abitato, che, con i resti del castello medievale, ricorda la funzione difensiva dell’insediamento, è interessato da una forte crescita edilizia; situato su un costone, ha un andamento plano-altimetrico vario. Sullo sfondo dorato dello stemma comunale, concesso con Decreto del Presidente della Repubblica, campeggia una torre rossa, merlata alla ghibellina e munita di due cornicioni, a guisa di marcapiani, sostenuti da beccatelli».
http://calabrianostra.altervista.org/fiumara.html
«Il borgo. Per apprezzare al meglio il borgo e le sue costruzioni vi invitiamo a "gironzolare" per i vicoli, non c'è pericolo di perdersi in quanto tutte le discese portano alla statale e le salite al centro del paese. Tornando indietro lungo la statale ci imbattiamo nella chiesa... non lasciatevi ingannare dall'esterno sporco e cadente, l'interno è molto luminoso e decorato in stile barocco, se è aperta entrate a dare un'occhiata noterete il forte contrasto esterno/interno. Tornando ancora indietro lungo la statale, a sinistra imbocchiamo una strada che ci porta in una piazza dove troviamo la chiesa di Santa Maria del Mastro, una maestosa chiesa con pianta a croce greca, la cupola centrale in origine era realizzata con pignatte di terracotta, una tecnica risalente all'epoca bizantina, dopo il crollo è stata ricostruita in cemento armato! Vi consigliamo di avventurarvi nei vicoli che partono dalla piazza, questi offrono scorci panoramici, ed elementi architettonici, tipici di Gerace, che lasciano a bocca aperta. Girando per i vicoli si può ritornare sulla statale e stavolta salire verso la parte alta del borgo, qua troviamo le indicazioni per la chiesa della Madonna del Carmine, la parte più interessante di questa chiesa è l'interno, il soffitto a cassettoni e le decorazioni barocche. Sul percorso che ci porta alla Chiesa del Carmine troviamo la piccola chiesa di San Michele, un giro per i vicoli ci porta ad ammirare due finestre bifore, di particolare bellezza per la loro semplicità e per come si inseriscono molto bene nel contesto architettonico della città. Dalla chiesa del Carmine è possibile salire direttamente in paese e continuare la nostra visita dalla Porta del Sole o ritornare alla macchina per salire al castello e da lì ridiscendere, vi consigliamo di continuare a piedi, si tratta un lungo percorso in salita, ma di fatto si seguono le strade medioevali su un percorso che ci può far capire come si svolgeva la vita all'epoca e lungo il quale si nota come cambia il tipo di abitazioni che si trasformano da piccole case in veri e propri palazzotti nobiliari, ed i luoghi di culto si infittiscono avvicinandosi al castello ed alla Cattedrale. Il borghetto. L'ingresso al paese per chi segue il percorso storico può avvenire da una stradina che dalla chiesa del Carmine, porta direttamente alle bombarde, oppure attraverso porta del Cofino, poco dopo l'ingresso a sinistra troviamo la chiesa di San Martino, altra costruzione imponente per fortuna in corso di restauro, imponenti anche i palazzotti che si trovano lungo la strada e lasciano intuire che questa parte del paese era destinata a famiglie importanti. Entriamo a Gerace da Porta del Sole, proseguiamo lungo una strada che ci conduce in piazza del Tocco».
http://www.gerace.eu/visitaborgo.htm - http://www.gerace.eu/borghettoin.htm
«Le porte: in tutto la città di Gerace contava ben dodici porte di cui otto non esistono più e di qualcuna di esse è difficile indicare oggi il preciso sito, quattro esistono tuttora e sono: la porta maggiore, la porta del sole, la porta di S. Lucia e la porta dei vescovi; Le Porte urbiche aprentesi direttamente nelle mura erano: la Porta del Còfino, la Porta del Ponte, la Porta Maggiore o del Borghetto, la Portella o Porta della Piana, la Porta di Santa Barbara, la Porta della Siderìa. Monumento ai Cinque Martiri (eretto nel 1931, ricorda i martiri fucilati nel 1847 dai soldati borbonici). Monumento ai caduti della guerra del 1915/18 (posto sul piazzale intitolato ai cavalieri di Vittorio Veneto di fronte ai ruderi dell'antico castello)».
Gerace (ruderi del castello normanno)
«Il castello di Gerace sorge proprio in cima all'amba rocciosa intorno alla quale si sviluppò l'originario centro abitato del paese. Edificato secondo alcuni nel corso del VII secolo d.C. come semplice fortificazione, il maniero esisteva di certo già a metà del X secolo, quando all'arrivo delle truppe bizantine, venne raso al suolo insieme alla devastazione della cittadina. Piccolo borgo arroccato alle pendici più basse del Massiccio d'Aspromonte, la cittadina di Gerace conserva ancora oggi il fascino antico dei piccoli borghi medievali, fatti di chiese e di botteghe artigiane, di viuzze e piazzette decorate. Il castello, oggi allo stato di rudere, sorgeva sulla rocca più alta a dominio della vallata sottostante. Ristrutturato completamente e potenziato dai Normanni nel XI secolo, esso andò soggetto nel corso del tempo a diverse distruzioni, causate principalmente dai continui e violenti terremoti che investirono questa parte di Calabria. Ad ogni distruzione seguivano puntuali ricostruzioni e rimaneggiamenti. Il castello di Gerace, circondato da possenti mura difensive, possedeva ingegnosi sistemi di canalizzazione delle acque piovane, che confluivano nel grande pozzo centrale. All'interno dell'area del castello vi era anche un piccolo oratorio bizantino con abside arricchita da pregevoli decorazioni pittoriche e che rimase funzionante fino al XVII secolo. Inoltre il castello era dotato di ponte levatoio che si apriva sul lato orientale della rocca, di un'ampia sala d'armi, chiamata Sala di Mileto, di un bel cortile interno con ampio colonnato, e numerosi altri ambienti adibiti a tutte le funzioni. Interessanti sono soprattutto i resti ben visibili dell'imponente torrione centrale del castello a pianta cilindrica, di lunghi basamenti monolitici, e di pareti realizzate con blocchi megalitici provenienti dalle rupe di Gerace. Nella zona antistante il castello vi è un piazzale, detto Baglio, probabilmente dal nome di un magistrato che nella piazza emetteva le sentenze. Riservato un tempo al commercio e alle attività militari, dal Baglio si gode uno splendido panorama sul paese di Antonimina, e su tutta la valle omonima che ospita gli impianti termali e le famose Acque Sante Locresi. Per la sua posizione in cima alla rupe a dominio della vallata, il castello normanno di Gerace è meta di turisti e visite guidate, nonostante sia oramai ridotto a rudere».
http://www.calabriatours.org/castelli/castello_gerace.htm
Gioiosa Jonica (borgo, palazzi)
«Il centro abitato sorge a circa 5 km dalla costa, nella bassa valle e lungo la sponda orientale della fiumara Gallizzi, affluente di sinistra del fiume Torbido. Oggi l'abitato si estende fino a questo fiume, costeggiandolo quasi fino alla foce, senza soluzione di continuità con l'abitato di Marina di Gioiosa Jonica. L'estensione odierna dell'abitato è generata dal primitivo insediamento dominato dal Castello, situato su un'alta rupe (m. 177 s.l.m.) che costeggia il Gallizzi a strapiombo, ed è più degradante, invece, verso Est. Il contesto ambientale è, dunque, alquanto ameno e suggestivo: al visitatore che arriva dal mare il centro si presenta come una gigantesca "ipsilon", che ha i due vertici superiori nella rupe del centro storico culminante con il castello, ad Ovest, e nella collinetta su cui sorge la chiesa di S. Rocco, ad Est; da queste due direttrici principali, lungo le quali si addensano i maggiori monumenti visitabili, l'abitato declina verso valle fino a ricongiungere i due bracci in uno, lunghissimo, che giunge al Torbido. Tutto l'abitato è scenograficamente circondato da quinte di alti monti boscosi, estreme propaggini del massiccio delle Serre, in grande estensione facenti parte del territorio comunale di Gioiosa. Il territorio di Gioiosa è stato intensamente frequentato fin dall'età classica, ma la nascita dell'insediamento stabile rappresentato dal castello prima, dall'abitato poi, sono da ascrivere al XIII e al XIV secolo. Tuttavia anche le epoche precedenti hanno lasciato tracce considerevoli, capaci di attrarre da sole imponenti flussi turistici: si tratta delle tracce di un abitato greco arcaico, di monumentali resti di una villa romana con alcuni edifici conservati integralmente (sita alla periferia del paese), di resti di chiesette e monasteri bizantini. Con riguardo alla collocazione topografica, si possono tracciare alcuni itinerari di visita che comprendano sia emergenze monumentali, sia bellezze naturalistiche, nella città e nel territorio. ... Palazzo Naymo Pellicano Spina. È il più grande edificio privato situato nel borgo medievale gioiosano, all'interno delle mura di cinta. Il palazzo sorge in particolare su un ampio tratto della muraglia di Gioiosa Ionica. Nel livello inferiore del palazzo sono ancora visibili i muri perimetrali della fortificazione ed il camminamento di ronda. Vi si accede da un portale granitico realizzato nella seconda metà del XVIII secolo, quando furono effettuati i lavori di ristrutturazione che hanno conferito al palazzo l'aspetto odierno, trasformando gli originari due corpi di fabbrica di età basso-medievale (XV secolo). Su di un bastione, ancora esistente, poggiava un lato della porta Barletta. Il palazzo è caratterizzato da oltre quaranta ambienti, una biblioteca storica ed un archivio privato storico riconosciuto di interesse nazionale della Sovrintendenza ai Beni Archivistici. Palazzo Amaduri. Palazzo Amaduri fu costruito nel XV secolo come residenza della famiglia nobile dei Condercuri. Estintasi la casata nel 1694, il palazzo fu ereditato dalla famiglia Amaduri, la quale, con lavori che si protrassero fin oltre la seconda metà del XVIII secolo (secondo la datazione sul portale), lo fece ampliare. Attualmente è di proprietà del comune. Palazzo Ripolo-Girardis-Palazzo Ripolo-Girardis (oggi Marconi). è un antichissimo edificio d'origine medievale, costruito ed integrato nella cinta muraria, di proprietà delle famiglie Ripolo e Girardis».
http://bettylafeaecomoda.forumcommunity.net/?t=43430352
Gioiosa Jonica (castello feudale)
«L'imponente monumento, comunemente chiamato Castello Medievale o Castello dei Carafa, si erge a strapiombo sul torrente Gallizzi, proprio nella parte situata ad est dell'altura, a diretto contatto con le viuzze (vineji) che, snodandosi ai suoi piedi, scendono dolcemente a valle. L'epoca di costruzione risale al 1200 circa. Con la costruzione del maestoso maniero nasce automaticamente anche il nome di Mocta, conferito al primo nucleo abitato gioiosano che viveva arroccato alle sue falde.Caduta la torre maestra (nel 1400), è stata edificata nel 1420 dal sorrentino Marino Correale, Conte di Terranova e Barone di Grotteria, molto amico della Casa Aragonese (appunto per questo molti affermano che il castello sia di origine aragonese). Essendo il Correale, privo di eredi, alla sua morte, re Ferdinando III, affidò il feudo al barone Don Vincenzo Carafa, Principe di Roccella. Il castello rimase in possesso dei Carafa fino al 1559, anno in cui Gioiosa venne acquistata per 12.000 ducati da Don Gennaro Caracciolo. Il terremoto del 1638 arrecò gravissimi danni al secolare monumento che, nel 1658, fu nuovamente restaurato ad opera del Marchese Francesco Caracciolo. Dai Caracciolo il castello passò ai Pellicano durante il XIX secolo, che ancor oggi sono gli attuali proprietari. Il vecchio maniero di Gioiosa, rifacentesi ai modelli dettati dal Medio Evo, si compone di sei parti: -"Porta d'ingresso" con cancello metallico, portale in pietra e stemma della Casa Caracciolo rappresentato da uno scudo a forma di cuore suddiviso in quattro bande. Un "cortile" con piccolo corridoio che porta ad una scala a due rampe. Al termine del corridoio, troviamo un secondo cortile detto corte che separa il castello dalla abitazione del feudatario. Qui si apre una grande veduta che si affaccia sulla rupe per mezzo di due finestroni ad arco. Al centro una vaschetta in muratura (usata per allevare i pesci d'acqua salata) e una stretta porta che immette in un secondo atrio (dotato di pozzo artesiano) e quindi nei grandi magazzini del pianterreno.
Fatta la prima rampa, appare un pianerottolo con un doppio ingresso al Palazzo Feudale composto di dieci vani, decorati in stile barocco. Era lì che abitava il "Signore", coi suoi cavalieri e i suoi scudieri; circondato da pregiatissimi mobili di età barocca, arazzi, tele, trofei di guerra, una ricchissima biblioteca e quanto ci può essere di sfarzoso in una casa gentilizia. Il fabbricato è a pianta quadrata e prevedeva il luogo per il posto di guardia, la sala di giustizia e le varie camere per l'abitazione. Fatta la seconda rampa, ci viene di fronte l' artistico cancelletto di ferro dal quale si accede al "cortile interno" del Castello abbracciato da un solido "muraglione", ai cui estremi si ergono due torri angolari (o bastioni): la "Torre Vecchia", con i suoi 25 metri di circonferenza e 8 metri di diametro, e la "Torre Nuova" (crollata e ricostruita probabilmente dal Marchese Caracciolo) coi suoi 15 metri e mezzo di altezza. Nel grande "cortile interno", sulla destra del piccolo viale centrale troviamo "la prigione diurna" (ambiente circondato da alte mura, accessibile mediante un corridoio largo 2 metri) e sulla sinistra ci appare la botola di accesso alla "prigione notturna". Quest'ultima ha ospitato uomini illustri come il feudatario Nicola Maria Caracciolo (3° Duca di Girifalco e 4° Marchese di Gioiosa), il nobile gioiosano D. Giuseppe Passarelli che, nonostante abbia servito i Signori del Castello per ben 27 anni, gli è toccato subire i rigori della orrenda prigione. Accanto all'ingresso della "prigione diurna", notiamo una scaletta che accede all'altana, che fungeva da osservatorio e, all'epoca dei Borboni, fungeva anche da telegrafo ottico. Durante le continue incursioni dei Turchi (dal XVI al XVII secolo) il castello venne collegato con Torre Elisabetta, con Torre Galea e con Torre Spina, poste a un miglio di distanza l'una dall'altra».
http://www.prolocogioiosajonica.it/DA-VISITARE/castello-medievale.html
Grotteria (palazzo Lupis de Luna d'Aragona e altri palazzi)
«Percorrendo le vie del paese, si possono ammirare diversi portali che ornano le facciate dei principali Palazzi, testimonianza della storia del paese, ed elemento distintivo e di prestigio delle famiglie nobili locali. Generalmente i blocchi che compongono i portali sono in granito e lo stemma nobiliare è inserito nella chiave di volta, con sotto inciso l'anno di costruzione. Della loro storia si occupa ampiamente la Cronaca di Grotteria. Palazzo Macedonio. Contiguo alla Cappella di San Domenico, antica cappella gentilizia dei proprietari l'edificio, dimora dei duchi Macedonio ha un magnifico portale in pietra lavorata. lnteressante l’interno, con archi e colonne in pietra. Qui, in un’ampia nicchia, viene solitamente allestita la stalla del tradizionale preepe vivente che si tiene a Grotteria. Palazzo Palermo. Sorge nell'antica Piazza di San Domenico, oggi intestata al patriota Nicola Palermo della famiglia dei fondatori, i baroni Palermo di Santa Margherita. Palazzo Arena. Fondato nel XVI secolo dalla nobile famiglia de Arena (oggi estinta) sorge in Via Vittorio Emanuele III e, pur versando in uno stato di estremo degrado, presenta ancora il più bello tra i portali monumentali dei Palazzi nobili del Paese, la cui costruzione risale al 1773. Palazzo Lupis-de Luna d'Aragona. Fondato dall'antica famiglia feudataria dei de Luna d'Aragona nel XVI secolo e per alleanze matrimoniali giunto ai Manso e nel XVII secolo ai Lupis-Macedonio, si trova nell'antica Piazza del Tocco. Tra gli elementi artistici di rilievo il portale monumentale, opera secentesca della scuola scultorea di Serra San Bruno e la biblioteca che raccoglie oltre 7.000 volumi e diverse collezioni d'arte, busti e ritratti, tra gli altri, dello scultore locale Giuseppe Cavaleri. Villa Falletti. Possente costruzione edificata dalla famiglia Falletti nel XVII secolo, in località Bombaconi. Su due livelli, conserva un bel portale lapideo».
http://it.wikipedia.org/wiki/Grotteria#Palazzi_privati
Grotteria (ruderi del castello)
«I suoi ruderi sono posti nel punto più alto del centro abitato di Grotteria, in posizione dominante sulla Vallata del Torbido. Il complesso, che occupa una vasta area, ha subito diverse modifiche e ristrutturazioni nei secoli, ma presumibilmente fu costruito in periodo normanno su una su una preesistente struttura forse di origine bizantina. Il maniero nacque come fortezza e non come abitazione. Nelle mura, infatti, sono ancora visibili fessure dalle quali si sorvegliavano costantemente le zone sottostanti. Del castello rimangono parte delle mura perimetrali, i resti di due torri (una a nord del castello a forma circolare e l’altra a metà delle mura a forma semicircolare), il mastio, anch'esso a pianta circolare, la cisterna idrica e un portale in granito semidistrutto (ad arco a tutto sesto - la chiave di volta e tutta la parte superiore sono crollati nel 1985 - ed era composto da pietre squadrate di pietra granitica e molto probabilmente in origine era dotato di un ponte levatoio). Il paese risulta fortificato e cinto da mura già nel 1100, sotto Federico II (periodo Normanno). Nel periodo Angioino (XIII sec.) la politica principale che venne seguita fu quella volta alla costruzione di importanti reti costiere di torri, questo serviva a mettere in comunicazione i centri dell’entroterra, come Grotteria, con la costa dove avvenivano gli sbarchi dei corsari. Troviamo conte di Grotteria nel 1283 Giovanni Ruffo di Calabria; nel 1296 l’ammiraglio Ruggero Di Lauria (poi conte di Mileto e Terranova); nel 1303 fu signore di Grotteria Raimondo Del Prato; dal 1313 al 1342 la famiglia aragonese De Luna; Antonio Caracciolo conte di Gerace nel 1363, passò in possesso della contea di Grotteria che per 92 anni rimase inserita nello stato feudale della contea di Gerace.
Con privilegio di re Alfonso I d’Aragona del 1° gennaio 1458 divenne conte di Grotteria Marino Correale, il quale ottenne queste terre sottraendo i titoli ai Caracciolo, cioè dalla contea di Terranova. Vincenzo Carafa barone di Castelvetere e Roccella, il 18 ottobre 1496 ottenne in concessione da Re Federico, la baronia di Grotteria con le sue dipendenze, da conseguire dopo la morte di Marino Correale; nel 1576 la contea passò ad Alfonso d’Aragona De Ajerbe, già terzo ed ultimo conte di Simeri, barone di Brancaleone e Palizzi, che acquistò la terra di Grotteria per la somma di 50.000 ducati da Marcello Ruffo, insieme al diritto di ricomprare i casali di Mammola e Agnana in virtù della vendita fattagli. Il 5 febbraio 1783 un terremoto spaventoso sconvolse gran parte della Calabria Ultra, provocando migliaia di morti e devastazioni che cancellarono interi villaggi e paesi. Molti edifici importanti della zona andarono distrutti, come ad esempio la Cattedrale di Gerace; molte chiese e monasteri furono completamente rasi al suolo; così come molte case povere le quali si "sbriciolarono"; lo stesso castello di Grotteria fu definitivamente compromesso. Prima del suo definitivo abbandono, l'edificio era stato destinato a carcere ma già nell'Ottocento era ridotto a rudere. Nel 1952, durante l'anno mariano, di fronte a questo ingresso, è stato costruito un obelisco (alto circa 7 metri) con in alto la statua della Madonna Immacolata. A cavallo degli anni '70 e '80 erano stati preparati diversi progetti per il recupero dell'intero complesso, ma i lavori non furono mai approvati, per cui si rischia di perdere per sempre questo patrimonio storico-culturale, libro aperto e testimone del nostro passato. ...».
http://castelliere.blogspot.it/2012/02/il-castello-di-venerdi-24-febbraio.html
Marina di Gioiosa Jonica (torre del Cavallaro o di Spina o Borraca)
«In passato era note come Torre Borraca o Torre di Spina, attualmente è conosciuta con il nome di Torre del Cavallaor, Torre Cavallara o Torre del Cavaliere. Il nome di Torre di Spina le deriva da quello di una casa feudale gioiosana, quella degli Spina appunto, fusasi nel secolo scorso con il casato dei Pellicano. Il nome di Torre del Cavallaro, invece, è dovuto al fatto che due vigili a cavallo, appunto i "cavallari", dovevano segnalare al torriero l'eventuale approssimarsi di masnade barbaresche. La tenuta in cui sorge, nei pressi della Stazione Ferroviaria lato mare, fu di titolarità del marchese Pier Doemnico Pellicano Spina, gran proprietario terriero della zona. Ufficialmente, la Torre è considerata come una fortezza del XVI secolo, ma secondo alcuni studiosi la sua fondazione risale in realtà ad età bizantina, ed è dovuta ad opera di uno stratega greco, il Generale Niceforo II Foca, il quale per arginare l'impeto delle orde saracene, attuò un dispositivo di torri costiere lungo i litorali della Calabria. Durante il dominio spagnolo, verso la metà del 1500, con il flagello delle invasioni turche, il marchese Don Fabrizio Pignatelli di Cerchiara, suo consigliere, attuò nella Vallata del Torbido il più potente sistema di apprestamenti difensivi all'epoca mai conosciuto: fece restaurare e ripristinare, rendendola agibile, la vecchia Torre Borraca, ponendola in collegamento, a fil d'aria, con l'aragonese Torre Galea, sita nell'immediato retroterra, nonché con le altre due torri di vedetta e difesa, cioè la Torre Elisabetta (o Torre dei Giardini) e la Torre Vecchia. L'intero dispositivo militare, perciò, era costituito da quattro torri, a un miglio di distanza l'una dall'altra, in conformità ai dettami della poliocertica del tempo. La Torre, di forma cilindrica, rastremata nella sua metà superiore, è costituita in muratura ordinaria in calce e pietrame, nel suo tessuto edilizio incorpora materiale proveniente dall'adiacente teatro greco-romano. La parte inferiore dell'edificio è impostata a scarpa, mentre quella superiore, più snella, è provvista di reliquie monumentali; le due parti dell'edificio sono tra loro separate da una cordonatura lapidea, a gola rotonda, posta all'altezza della giusta metà del fortilizio. In alto, nel coronamento, correvano tutto intorno ai modiglioni i merli, a giro di mensole, come è dato rilavare dagli scarsi avanzi ancora esistenti nel lato Nord-Est. Nella base, la porticina d'ingresso, mentre nella parte superiore si trova un finestrone profilato litico, sormontato da un arco a tutto sesto. Probabilmente, la Torre era in collegamento visivo con gli analoghi apprestament difensivi dei centri costieri vicini, come la Torre dei Tamburi di Siderno, la Torre Pizzofalcone della Rocca di Rupella (Roccella Ionica) e la Torre di Camillari presso Caulonia».
http://www.comune.marinadigioiosaionica.rc.it/index.php?action=index&p=289
Marina di Gioiosa Jonica (torre Galea)
«Torre Galea, in realtà, dovrebbe denominarsi Castello. Essa è costituita da un trittico di altissime Torri con basi a scarpata, di cui due a pianta ciroclare, quindi cilindriche, rastremate in alto, e la terza a pianta quadrata, munita di ponte levatoio, proprio in conformità al tradizionale schema dei Castelli. La Torre è sita nelle adiacenze dell'abitato di Marina di Gioiosa Ionica, a circa un miglio di distanza dalla Torre del Cavallaro, in senso al vecchio feudo della Galea. L'edificio rientra tra le torri eretta per ordine del Viceré D. Pietro di Toledo, durante la metà del XVI secolo, per vedetta e difesa della zona costiera. Alcuni studiosi, tuttavia, ritengono che la fondazione dell'edificio debba in realtà risalire al periodo aragonese, cioè al XV secolo. In ogni modo, è certo che il fortilizio vada sicuramente escluso dalle torri costiere costruite dagli Spagnoli a metà del 1500, benché sia stato poi incluso nel piano generale e nel dispositivo di difesa attuato contro le incursioni turche. Alcuni archeologi ritengono che la Torre non sia un membro di un più complesso organismo ora andato distrutto, bensì essa semplicemente rappresenta quanto fin dall'origine è stato realizzato. La conformazione del monumento è sicuramente unica in tutta la regione; essa si avvicina allo schema architettonico del Castello Aragonese di Gioiosa Ionica, e ciò ne ha permesso la collocazione storica. Ne discende, perciò che la Torre Galea si possa attribuire alla manodopera degli stessi architetti che edificarono il maniero di Gioiosa, quindi ad iniziativa dello stesso Conte D. Vincenzo Carafa, artefice di tale edificio; tuttavia, non è da escludere la paternità del primo feudatario della Galea, il nobile D. Jacopo Romano. Nel corso del tempo l'edificio ha subito notevoli rifacimenti, per com'è dato desumere dalla diversità dei materiali impiegati; il complesso è stato anche oggetto di restauri a cura della Soprintendenza. Di recente, nel corso dell'Amministrazione guidata dal Sindaco Rocco Femia, la Torre - di proprietà di un privato - è stata acquisita al patrimonio architettonico del Comune di Marina di Gioiosa Ionica».
http://www.comune.marinadigioiosaionica.rc.it/index.php?action=index&p=288
Melicuccà (ruderi del castello)
«Di origini bizantine, la sua edificazione risale al 650 d.C. Il suo nome originario, Grecìa, fu mantenuto sino al 1700, data in cui assunse l'attuale denominazione, che probabilmente deriva da una pianta greca, il "melicoccon". Melicuccà fu feudo di diversi nobili Casati fino al 1806, data in cui divenne Comune. Gravissimi furono i danni riportati nel 1783 a causa del violento movimento tellurico. Nella parte bassa del paese esiste un quartiere con numerosi edifici di origine medievale (XVI secolo), tra i quali particolare rilevanza hanno i ruderi della casa gentilizia Gambacorta. La Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista, dalle belle architetture romaniche (1496), custodisce una Madonna degli Angioli (tela del 1600) e diversi e pregevoli arredi sacri. Nella parte alta del centro abitato di Melicuccà insistono notevoli resti del diruto castello, costruito nel 951 d.C. da Costantino VII di Bisanzio, fra i quali spiccano i baluardi angolari e la torre quadrata. Visibili ancora le sue mura perimetrali e qualche accenno di cunicoli sotterranei che, un tempo, sembra conducessero alla città della "Citateia"».
http://www.cittanova.com/melicucca.php
«A Monasterace Centro si accedeva e si continua ad accedere nell'abitato da tre porte: la Portella o Porta Marina, posta a est che è l'entrata principale; la Porta propriamente detta, lato sud, che conserva ancora tutte le caratteristiche antiche: è sormontata da una merlatura, da un passaggio a ponte di sopra ad essa, nei pressi da una torre di guardia a struttura merlata e a forma cilindrica. Da sud si accede ancora da un'altra porta, detta comunemente "Tripu", per il fatto che fu costruita di recente, cioè nel corso del nostro secolo per il dilatarsi delle costruzioni abitative al di fuori delle mura, alle quali fu praticato un foro per comunicare con la parte esterna del paese. Le piazze principali del paese sono due: piazza Celestino Placanica e piazza Duomo. Alla prima si accede attraverso la Porta Marina e alla seconda dalla Porta. Al centro della piazza "Celestino Placanica", quasi addossate al castello, vi è una costruzione privata e la dimora del Municipio che deturpano la bellezza e la visione storica di questa parte del paese. La piazza principale sorge al centro del paese ed è delimitata dal Duomo e dai fabbricati congiunti alla chiesa a forma di angolo retto. Le vie che congiungono le due piazze sono: via Dante, a sinistra del castello, che con via Roma e la diramazione della prima con via Castello e via municipio e, a destra del castello, via Vittorio Emanuele, comunicano con la piazza Duomo. Dai pressi di quest'ultima piazza, si dirama via S. Nicola che conduce alla omonima chiesa e alla porta "Tripu". Le vie Marchese di Francia e Marchese Martucci sono le strade interne del paese come pure via G. Mazzini. Altre vie minori percorrono il paese nella sua configurazione a pendii ripidi e a dislivelli paralleli. Se il visitatore di questo nostro centro Storico dovesse affacciarsi dal "Ponte" cioè dalla Porta Marina, vedrebbe un panorama meraviglioso: il mare Jonio di fronte con la sua maestosità azzurrina, dominato dal faro Punta Stilo; la zona sottostante delimitata dalle colline della Melia e a destra e a sinistra del torrente Assi, le sue vallate variopinte di colori intensi che madre natura ha voluto elargire con copiosa mano a questa terra meravigliosa e incantevole di Monasterace».
http://digilander.libero.it/monasterace/centro.htm
«Un primo castello fu edificato sotto i bizantini (X-XI secolo) per dare una certa sicurezza al primo nucleo costruito in seguito alla distruzione di Caulonia. Il centro del paese fu sgombrato dalle case dei contadini per dare spazio necessario alla sua costruzione e per apprestare un nuovo sistema di difesa contro i Turchi. Il castello nel corso dei secoli subì ampliamenti, manipolazioni ed anche ricostruzioni a seguito soprattutto dell'avvento delle armi da fuoco e del degrado apportato dall'assalto predatorio d'incursori e di terribili sismi. L'attuale struttura risale al Cinquecento. è a forma quadrata - il lato esterno misura circa 42 metri - con il piano base che è elevato dal terreno dagli otto ai quindici metri a seconda del dislivello del terreno. Gli angoli del castello sono rinforzati da quattro torri a forma di parallelepipedo a base rettangolare. Al suo interno vi è un ampio cortile, lungo metri 18 e 60 e largo metri 16 e 50, al centro del quale vi è una profonda ed ampia cisterna che serviva per accogliere l’acqua piovana attraverso un sistema di tubature. È privo di merlatura per i danni subiti nel corso dei sismi del 1659 e del 1783 e non più ricostruita perché ritenuta inutile per i nuovi sistemi di difesa. Sotto la dominazione aragonese fu dominio dei Principi Caracciolo dal 1347 al 1464 quando Luigi Caracciolo lo passò agli Arena Conclubet, signori di Santa Caterina (nel 1486 la casata d'Arena dei Conclubet rimase coinvolta nella congiura dei Baroni contro il re Ferrante d’Aragona e fu privata delle terre) che nel 1478 lo diedero al cosentino Guglielmo Monaco per volontà del Duca Alfonso di Calabria, figlio di re Ferrante. Nel 1486 fu acquistato dal patrizio napoletano Silvestro Galeota i cui discendenti ne tennero il possesso fino al 1654 col titolo di Principi di Monasterace, per passare quindi al maestro di Campo Don Carlo della Gatta che assunse il titolo di principe (1647 ca.), al Principe Giacomo Pignatelli Duca di Bellosguardo (1680 ca.), dal 1705 al Marchese Domenico Perrelli di Tomacelli e ai suoi discendenti col titolo di duchi, ai baroni Abenante (1750-1806), ai Martucci, al Barone Giacomo Oliva (già nel 1844), al barone Scoppa, alla famiglia del Marchese Di Francia. Questi nel 1919-22 vendette il castello a Giuseppe Sansotta che a sua volta lo rivendette a diverse famiglie del luogo che ancora lo abitano ma che lottizzandolo ne deturparono l'aspetto originale.
L’accesso al maniero avveniva mediante un ponte levatoio dal lato ovest. In epoche a noi vicine, il ponte levatoio è stato sostituito da un collegamento stabile in muratura ( un ponte sorretto da un arco in mattoni), che immette nel cortile attraversando un portale che conserva ancora caratteri costruttivi originari. L’entrata appare oggi stretta per la costruzione successiva di corpi aggiunti. Nel sottosuolo esistono alcuni vani che successivamente sono stati trasformati in ambienti abitativi dagli ultimi proprietari. Di fronte al portone d’ingresso si trova una scalinata che conduce al piano superiore. A sinistra dell’entrata vi è una vecchia porta che permetteva di scendere attraverso due rampe di scale nella parte bassa del castello costituita da quattro cunicoli comunicanti con l'esterno. Attraverso il primo cunicolo si comunicava con l’esterno presso la località Vallone, lato sud del paese. Dallo stesso versante, un altro cunicolo comunicava con l’esterno presso la fontana antica ovvero vicino all’abbeveratoio degli animali, sito in contrada Signore Iddio. Il terzo cunicolo comunicava con l’esterno presso la località Oliveto, posta al lato nord del paese. Infine il quarto cunicolo, il più lungo, comunicava con la zona presso il mare non lontano dal Faro Punta Stilo. I cunicoli avevano lo scopo di permettere ai contadini, intenti a svolgere i lavori dei campi, a riparare nel castello durante le minacce in vista dei saraceni e dei turchi. L’allarme avveniva per mezzo di segnalazioni tra gli uomini di guardia sulle torri del litorale e le guardie all'erta sulle torri del castello. I cunicoli servivano inoltre per deposito di riserve alimentari e per alloggi delle guardie del feudatario. Di interesse è anche la stanza situata nell’angolo a nord-ovest, un tempo adibita a prigione».
http://castelliere.blogspot.it/2012/02/monasterace-rc-castello-un-primo.html
Motta San Giovanni (castello di Sant'Aniceto o San Niceto)
«In cima ad un ripido colle a forma di tronco di cono, a dominio dello Stretto di Messina,possiamo ammirare i ruderi del Castello di Santo Niceto. Visitarlo stimola i richiami del passato, quando all'interno della cinta muraria fremeva l'attività di uno dei meglio attrezzati fortilizi dell'intera Calabria. Ma nello stesso tempo una visita a S. Niceto offre la scoperta di bellezze naturali straordinarie, con panorami che spaziano sulle ultime propaggini aspro montane fino a Capo D'Armi, sull'Etna e sullo Stretto di Messina. Risalente al periodo bizantino, la fortezza di S. Niceto rappresenta un raro esempio di architettura alto medievale in Calabria. Il castello presenta una pianta irregolare, che ricorda la forma di una nave con la prua rivolta alla montagna e la poppa al mare. Oggi restano ben visibili le mura di cinta, in parte franate, ma in certi tratti quasi intatte, la porta d'ingresso con le due torri quadrate e resti di altre torri ed alcuni ruderi all'interno delle cinta, come quelli di un'imponente cisterna per la raccolta dell'acqua. Il castello fu costruito come luogo di avvistamento e di rifugio per la popolazione reggina, in seguito all'intensificarsi delle scorribande saracene lungo le coste calabresi e siciliane. Con il passaggio della Calabria sotto il dominio dei Normanni, che conquistarono la fortezza intorno all'anno 1050, tale struttura fu ristrutturata ed ampliata con l'aggiunta di alcune torri rettangolari. Da questo momento vennero scritti documenti che ne danno notizia. Nel corso del XIII secolo il castello divenne il centro di comando del fiorente feudo di Sant'Aniceto che nel 1200 fu tormentato dalle guerre tra Angioini ed Aragonesi che si avvicendavano sul territorio reggino e, come molte altre zone della Calabria, passò in diverse mani; nel 1321 fu consegnato agli Angioini. Nel 1434 Santo Niceto diventa baronia e domina sui territori di Motta San Giovanni e Montebello (un riferimento antecedente a Motta San Giovanni si trova in un documento del 1412). Con il passare del tempo Sant'Aniceto perse progressivamente potere entrando in conflitto con la città di Reggio e per tale motivo fu distrutto nel 1459 dal duca Alfonso di Calabria. Sant'Aniceto dunque cadde definitivamente per mano dei Reggini appoggiati dagli Aragonesi, definitivi vincitori della secolare lotta contro gli Angioini. In un documento del 1604 Santo Niceto è detto appartenere alla Baronia di Motta San Giovanni. COME ARRIVARE AL CASTELLO. Da Motta, due Km dopo il Paese, in Località S. Basilio, girare a sinistra e seguire le indicazioni che in poco più di 3Km portano al castello».
http://www.comunemottasg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=58&Itemid=59
Oppido Mamertina (ruderi del castello)
« L'antica Oppido, probabile erede della mitica Mamerto, sorgeva su una collinetta del cosiddetto altopiano delle Melle, in una zona a cavaliere dei fiumi Tricuccio e Cumi. Venne riedificata al tramonto del dominio bizantino, intorno al 1044, da una gente che viveva in luogo finitimo ed era allora conosciuta anche col nome di Sant'Agata, forse per i profughi provenienti dalle prode reggine spinti verso l'interno dall'incalzare delle orde saraceniche. Ubicata in sito impervio e cinta da robuste mura, si perveniva ad essa attraverso due mulattiere, che conducevano alle due porte, dette di suso e d'abasso. Appariva struttura prettamente medioevale e si fregiava di un castello di stile aragonese, ma che ora da qualche crollo, si rivela di origine angioina o addirittura normanno-sveva. Era dotata altresì di un Duomo di buone forme e ospitava alcuni ordini religiosi, quali Minori Osservanti, Cappuccini, Paolotti e Clarisse. Godeva anche del''apporto di un Ospedale e di un Monte di Pietà. Centro diocesi sin dal 1044, conservò il rito greco fino a metà del XV secolo, almeno ufficialmente e alla sua guida si alternarono presuli di vaglia. Malgrado la posizione erta, fu assalita varie volte nel corso dei secoli, una prima da Ruggero il Normanno nel 1059 e, appresso, dai fratelli Marino e Raimondo Correale, tra il 1459 e il 1464 e da Tommaso Barrese, uno dei più feroci luogotenenti degli Aragonesi. Intorno al 1138 vi abitava la regina Massimilla, sorella di Ruggero II. Fu feudo degli Ascaris e dei Caracciolo e Spinelli. Il Grande Flagello del 1783 distrusse Oppido completamente. I morti allora accertati furono 1.198 su 2.408, vale a dire il 49,75% e, non essendo più possibile riedificare la citta sullo stesso sito, dato che gran parte di essa era venuta a crollare in una fiumara sottostante, la scelta per la nuova dimora degli Oppidesi cadde sulla contrada Tuba, un ampio pianoro ov'era già uno sparuto gruppo di abitazioni. Dell'antico tracciato urbano restano ancora parte delle mura di cinta, delle porte, del castello, della Cattedrale, del chiostro dei Minimi e di case sparse e una buona lettura di tutti i ruderi ci viene offerta dalla nota pianta prospettica del Pacichelli».
http://www.comune.oppidomamertina.rc.it/index.php?action=index&p=76 (a cura di Rocco Liberti)
«Il Castello domina Palizzi Superiore elevandosi su una mastodontico costone roccioso con pareti a picco, in posizione dominante rispetto al centro abitato. Era considerato un baluardo difensivo per sfuggire alle incursioni dei nemici dei secoli della pirateria turchesca. L'unica possibilità di accesso è la via Castello a riprova della strategica posizione. Non si hanno notizie certe relative alla data di costruzione dell’edificio, ma su una lapide posta all’ingresso si legge in latino che nel 1580 era “cadente per vecchiaia”. La prima edificazione della rocca potrebbe risalire al XIII secolo ma è probabile che il castello sia stato edificato dai Ruffo nel XIV secolo. Negli anni, numerosi sono stati gli interventi a cui è stato sottoposto e che lo hanno condotto all'aspetto con cui si mostra adesso. L'impianto difensivo venne rimaneggiato dai Romano, dai Colonna e dagli Erbo nel XVI secolo, dagli Arduino di Alcontres nel XVIII secolo e fu poi trasformato in palazzo residenziale dalla famiglia baronale dei De Blasio nel 1866 (nella persona di Tiberio che decise di ricostruire il castello di Palizzi ad un anno esatto della morte del padre avvenuta proprio nelle sue stanze) che sul lato ovest edificarono il palazzo tutto in laterizio. Dopo la ricostruzione il castello fu utilizzato come residenza estiva da Don Tiberio fino alla sua morte avvenuta nel 1873, all’età di soli 46 anni. Dell'antico impianto originario rimangono le alte mura di cinta con i possenti bastioni con scarpa e toro di separazione, le bocche da fuoco a più livelli che seguono l'andamento del costone roccioso e alcune tracce di merli e feritoie. Vi sono, infine, due torri, una cilindrica merlata sul versante est e una angolare sul versante opposto. La porta d'ingresso, sovrastata da una caditoia, reca ancora lo stemma con l'epigrafe di Francesco Colonna che lo restaurò nel 1580 e conserva ancora la ghiera d'arco di pietra. Nel 1943 Carlo de Blasio vi si rifugiò, quando Reggio venne bombardata dagli anglo-americani. Tra gli anni 1950-1960 Ferdinando, detto Nandino, utilizzò il castello nei mesi estivi con la moglie donna Noemi e i suoi figli. Don Nandino provvide a fare apportare dei piccoli restauri alla parte abitabile, che comunque risultarono insufficienti ad arrestare il progressivo deterioramento.
Oggi, anche quella parte abitabile restaurata, è quasi senza più copertura. Da un certificato del Mastro d’atti di Palizzi, Saverio Grimaldi, risulta che nel 1751 il castello era cinto da mura con due torrioni. All’interno c’era una grande scala con una sola finestra, la cucina “con sua ciminera focolare”, una camera con soffitto di tavole rotto, “un’antecamera anche rustica insuffitata di tavole”, una serie di altre stanze, magazzini e cantine. L'impianto è articolato e ciò è dovuto ai rimaneggiamenti e alle aggiunte delle dominazioni succedutesi nei secoli. Corpi circolari merlati in posizione sporgente rispetto alle cortine murarie dell'edificio principale movimentano lo schema planimetrico. Tutti i prospetti sono arricchiti con cornicioni ad elementi lineari, sottolineati sulla facciata principale da piccole forature ovali. Numerose sono le bucature sui prospetti, finestre con arco a tutto sesto segnano il piano terra, finestre ogivali e più complesse il piano superiore. L'ingresso principale e quello sulla terrazza che domina il paese sottostante si collocano, rispetto alla muratura, su un corpo avanzato merlato e dai contorni smussati. L'interno presenta evidenti interventi di restauro (ancora in corso) con elementi di rinforzo delle strutture in ferro e nuovi solai con travi in legno. Una passerella in legno consente il camminamento nelle stanze principali. Al piano terra si rilevano selle ed altri elementi di periodo molto recente in cui il castello fu destinato a ricovero animali. Le altre stanze, di cui quelle al piano superiore inagibili a causa del crollo della copertura non ancora rifatta, erano destinate a stalle, cucine, magazzini e stanze private. Il castello era inoltre dotato di carceri ricavate nella roccia viva. A livello tecnico-costruttivo, si ha una muratura di pietrame informe posta a letti orizzontali regolati con molta malta, mentre toro, cornici e beccatelli sono in pietra calcarea. Su tutte le cortine ci sono interventi di zeppature in laterizio e tegole rotte. Il corpo più recente eretto dai De Blasio è in muratura portante. Il castello è stato dichiarato Monumento Nazionale dal Ministero dei Beni Culturali e oggi risulta in fase di restauro».
http://castelliere.blogspot.it/2014/12/il-castello-di-domenica-14-dicembre.html
Palizzi (ruderi della torre Mozza)
«Il governo spagnolo, iniziato con la sconfitta dei Francesi, instaura condizioni fiscali inique in tutta l'area meridionale. Ai danni provocati dalla guerra e dall'oppressione fiscale si aggiungono quelli dei terremoti (1509, 1552, 1562, 1563) e delle carestie (particolarmente grave fu quella del 1590), delle pestilenze (1575) e delle incursioni e saccheggi dei Turchi (1511, 1519, 1533, 1535, 1543, 1560). Per resistere agli Ottomani viene costruita una catena di torri di avvistamento lungo le coste e si rafforza la struttura difensiva dei centri interni. La torre "Mazza" o "Mozza" [1595] nel territorio di Palizzi ed i ruderi del castello degli Alberti di Pentedattilo, sono segni tangibili dei provvedimenti difensivi dell'età dei Viceré».
http://www.cm-caposud.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=15&Itemid=119
Pentedattilo (ruderi del castello)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La fondazione di Pentedattilo, risale all’epoca alto medievale e può essere attribuita al diffuso fenomeno di riorganizzazione del territorio e delle strutture difensive e insediative che, a partire dal VII secolo e, con maggior frequenza tra il IX e il XII secolo, consolida la tendenza da parte delle popolazioni ad abbandonare le zone costiere, ormai insalubri ed insicure a causa degli impaludamenti, provocati da selvaggi disboscamenti, e dalle scorrerie dei Saraceni. Assieme a questa risalita lungo le valli, alla ricerca di siti salubri e difendibili, iniziò il processo di “ellenizzazione medievale”, dovuto alla colonizzazione monastica orientale. Pentedattilo, citata tra le sedi protopapali dell’area reggina durante la dominazione bizantina, nel periodo della dominazione angioina, pur essendo fondo ecclesiastico, ha un suo presidio fortificato; mentre nel periodo tra la dominazione angioina e quella aragonese, appartiene al monastero archimandricale del SS. Salvatore di Messina. Alla fine del XV secolo, i Francoperta da Reggio furono i primi feudatari laici della baronia di Pentedattilo, a cui subentrarono gli Alberti di Messina nel 1589, i quali comprarono la baronia per 15.180 ducati e la tennero fino al 1680. Risalgono a questo periodo le opere di ampliamento e potenziamento del castello, che venne dotato di baluardi e ponte levatoi (il XVII secolo è segnato da feroci lotte feudali tra gli Alberti di Messina e gli Abenavoli di Montebello, ed è nota la vicenda riguardante la strage degli Alberti perpetrata verso la fine del 1600 da Bernardino Abenavoli Barone di Montebello. Dopo la dolorosa vicenda il maniero fu abbandonato e subì un inevitabile degrado. Nel 1760 il feudo passò a Lorenzo Clemente, marchese di San Luca ma il terremoto del 1783 danneggiò notevolmente l’abitato ed il castello di Pentedattilo venne indicato tra i centri da ricostruirsi in altro luogo. Ma gli abitanti del paese incontrarono enormi difficà a trasferirsi sulla costa per l’opposizione del feudatario e per l’estrema povertà in cui versavano. Il feudo fu acquistato, nel 182 dai Ramirez di Reggio, e fu abitato fino al terremoto del 1908, chi assieme a frane ed alluvioni fece si che il luogo venisse definitivamente abbandonato. I ruderi del castello si modellano sulla rupe che domina l’abitato confondendosi con la roccia. Tramite una ripida scalinata è possibile accedere all’interno del castello dove si possono individuare i vani voltati a botte e parte di un torrione circolare, ed al di sotto di una zona pavimentata, attraverso canali circolari, sono visibili stanze ancora coperte».
http://www.ntacalabria.it/298/melito-porto-salvo-pentedattilo/
«Piale, in posizione panoramica sullo Stretto di Messina sopra le colline che sovrastano Cannitello, è una vera terrazza sul mare, dal quale si ammira l’incantevole vista sullo Stretto fino a Capo Peloro. Le prime testimonianze storiche risalgono a metà del 1500, quando il corsaro turco Dragut tentò di sbarcare sulla costa calabra nel tratto denominato “Pezzo” o “Punta della Volpe”. Le imbarcazioni del corsaro turco furono avvistate da “Torre Piraina” eretta nel 1550 nella località Piale di Villa San Giovanni (per l’avvistamento e la difesa costiera) e vennero tenacemente respinte dalla popolazione. Piale, sorto come tanti altri nostri borghi, alla fine del XVI secolo, dopo che la battaglia di Lepanto (1571) segnò il tramonto della potenza turca sul mare, rendendo le nostre coste più sicure; si sviluppò urbanisticamente sui due costoni dello Spuntone e dell’Acquavecchia, alle pendici del quale fu costruita, nel 1740 circa, la Fontana Vecchia, la più antica fonte pubblica del territorio. Assurto agli onori della cronaca europea nel 1810, quando dalle sue alture, il Re di Napoli Gioacchino Murat governò per quattro mesi il Regno; egli muovendosi da Napoli per la conquista della Sicilia ancora in mano borbonica e difesa dalla Marina Inglese, giunse a Scilla il 3 giugno 1810 e vi restò fino al 5 luglio, cioè fino a quando non fu completato il grande accampamento di Piale sullo splendido poggio panoramico, località da lui scelta per la sua posizione particolarmente strategica. Nel breve periodo di permanenza in queste località, il Re Gioacchino fece costruire i tre forti di: Torre Cavallo, il forte di Altafiumara e il forte di Punta Pezzo (o Piale) con torre telegrafica. Il 26 Settembre di quello stesso anno, constatando impresa difficile la conquista della Sicilia, (dove si era rifugiato Ferdinando IV, sotto la protezione degli inglesi, dei quali un esercito era accampato a Punta Faro a Messina, sui Monti Peloritani), pose fine all’accampamento di Piale, levò le tende e ripartì per la capitale. Teatro dello scontro tra le truppe di Garibaldi e quelle Borboniche di Melendez e Briganti il 23 agosto 1860, il Paese divenne punto strategico per la difesa dello Stretto con la costruzione del Forte Beleno nel 1888 (circa), per far posto al quale venne abbattuta la Torre del Piraino, con l’annesso Fortino Murattiano. Informazioni frammentarie, riguardanti il periodo della 2ª Guerra Mondiale, sono fornite da alcuni anziani del luogo che ricordano il bombardamento avvenuto il lunedì del 12 luglio 1943 a mezzogiorno circa, dove persero la vita, molti militari. In seguito alle esplosioni la parte centrale de Forte è stata interamente devastata; rimangono, infatti, in piedi le estremità Nord e Sud. Non è ben chiara la destinazione originaria degli ambienti superstiti utilizzati dai militari fino al 1980, come deposito di materiale esplosivo. Oltre alle camere dove la polvere veniva preparata e conservata, vi erano i dormitori per i militari, i servizi e vari uffici. Per qualche anno, dopo la smilitarizzazione avvenuta nell’80, la costruzione è stata utilizzata come deposito degli automezzi sequestrati dall’Arma dei Carabinieri; ovunque infatti sono sparsi parti di autoveicoli. Durante quel periodo il custode ha costruito diversi fabbricati abusivi, alcuni addossati al Forte, causando anche danni all’interno del complesso. Ultimamente, nel cortile interno del fortino, è stata installata una grossa antenna di telefonia cellulare deturpando ancora una volta la bellezza di questo luogo che oramai si trova in uno stato di totale abbandono».
http://www.cannitello.it/fortino_piale.htm
«In località Pietrenere [di Palmi] notevoli testimonianze storiche si mescolano ad una natura ancora incontaminata, dove le tracce di un’importante passato sono ancora molto presenti. Infatti sulla spiaggia si erge un’antica costruzione realizzata con grigie mura di pietra levigata, il Fortino. Un occhio inesperto potrebbe confonderlo con un piccolo castello diroccato. Dalle viscere dell’edificio spunta uno scoglio dentellato e cosparso di vegetazione, di altezza persino maggiore delle mura. A distanza calcolata, le lastre di pietra rivelano una serie di feritoie che corrono lungo il perimetro e sono realizzate a cornici di pietra più chiara, senza spigoli. Costruito nei primi anni del XIX secolo dalle truppe francesi, probabilmente capitanate dal generale Reynier e da Gioacchino Murat, per ordine del re di Napoli e di Spagna Giuseppe Bonaparte, fece parte di un complesso sistema di fortificazioni militari quando, nel primo decennio dell’800, l’intera zona fu teatro di lotte durissime tra inglesi, francesi e filoborbonici».
http://www.palmiturismo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=6&Itemid=149
Pietrenere (torre di San Francesco)
«La Torre di San Francesco era una delle due antiche torri d'avvistamento cinquecentesche di Palmi, e sorgeva lungo il litorale della Costa Viola nella zona che a tutt'oggi porta appunto il nome di località Torre. Nel 1549, quando avvenne la distruzione di Palmi a opera del corsaro turco Dragut Rais, il duca di Seminara Carlo II Spinelli, che era diventato feudatario della città nel 1555, decise di riedificare la "terra di Palma" e di fortificarla. Pertanto decise di costruire anche le due torri di guardia costiera. Costruite all'incirca nel 1565, le due torri furono denominate una "di San Francesco" e l'altra, tuttora esistente, "di Pietrenere" (o "de Le Pietre Negre"). Nel XIX secolo la struttura fu utilizzata come sede del telegrafo. Fu appunto dal telegrafo della Torre di San Francesco che il 22 agosto 1860, Giuseppe Garibaldi inviò un messaggio dopo lo sbarco a Palmi della spedizione dei mille. Il messaggio recitava: "Le truppe nemiche si sbandano, la nostra marcia è un trionfo...". La demolizione del manufatto avvenne nella seconda metà del XIX secolo, per dare spazio alla creazione del Belvedere Torre. La torre era presumibilmente, per dimensioni e tipologia costruttiva, del tutto similare alla Torre di Pietrenere. Pertanto avrà avuto una circonferenza alla base di circa 22 metri, un'altezza di 15 metri ed i materiali usati per realizzarla saranno stati pietre naturali e mattoni».
https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_San_Francesco
Placanica (borgo, torre di guardia)
«Placanica è un piccolo paese della provincia reggina posto su un crinale divisorio della bassa valle della fiumara Precariti e del torrente Castore, confina con i comuni di Caulonia, Pazzano e Stignano. Sorse presso un monastero basiliano edificato da alcuni frati in fuga dall'Oriente. Originariamente il suo nome fu Pagus, villaggio. Poi fu detto poi Placanika (ricca di "plaka", cioè di pietre litiche) e in seguito anche Paganica o Motta Placanica. Acquistò rinomanza per il noviziato che fece Tommaso Campanella nel convento domenicano. Pare che il paese appartenne alla famiglia Arcadi prima di passare sotto il dominio dei Caraffa di Nocera che lo mantennero fino al 1593. Da alcuni documenti storici risulta poi tra i possedimenti del barone Carlo de Licandro. Nel 1637 signori di Placanica furono i d'Aragona d'Ajerbe che vi rimasero per poco tempo. Il feudo passò, infatti, sotto la giurisdizione, prima della famiglia Passarelli e subito dopo del convento di San Domenico di Soriano. Nel 1654 furono i Musitano a governare su Placanica e poi, per successione femminile ai Clemente di San Luca che vi incardinarono il titolo di marchese. Dal catasto onciario del 1745 il paese risulta ancora dominato dai Clemente la cui dominazione si concluderà agli inizi del secolo successivo con l'eversione della feudalità. L'ordinamento amministrativo disposto dai francesi (1807) ne fece un Luogo nel cosiddetto Governo di Stilo. Con il riordino borbonico (I maggio 1816), Placanica passò nella giurisdizione del Circondario di Castelvetere (dal 1860 l'odierna Caulonia) e trasferito dalla provincia di Catanzaro in quella di Reggio Calabria allora costituita. Il borgo è una manciata di case protette dalla vallata dei torrenti che ne solcano sinuosamente il territorio. Percorrendo l'abitato a piedi sembra se ne possa ricostruire la storia attraverso le chiese custodi di antiche preziosità e i palazzi gentilizi che custodiscono tracce di un passato affascinante e glorioso». La torre di guardia ha base circolare.
http://www.locride.altervista.org/placanica.htm
«Non si hanno notizie storiche certe, ma si pensa che in origine il Castello sia nato come cenobio basiliano - data l’amena e dominante posizione su uno sperone roccioso alto oltre 100 metri - (forse XII secolo). In questo periodo erano frequenti le incursioni saracene: è probabile che il monastero sia stato prima inglobato in un sistema difensivo. Fu poi ampliato e trasformato in castello (nei secoli XVI-XVII) ad opera dei feudatari che si alternarono al potere. La parte più antica la possiamo vedere sul lato nord-ovest, con i grossi muri esterni tipici delle fortezze. Qui attorno si coagulerà via via il resto dell’edificio e l’abitato. Al XVI secolo risalgono le vasche della parte dell’edificio adibita a frantoio. Nel XVII secolo sono state aggiunte le stanze che si affacciano sul giardino. Nel XVIII secolo sono state aggiunte la terrazza sul fiume Precariti e i sottostanti magazzini e cantine, ad opera dell’ultimo feudatario Alessandro Clemente. Dopo il terremoto del 1783 furono apportate altre modifiche che hanno reso la struttura più signorile, attenuandone il carattere di struttura puramente difensiva. Con il declino del feudalesimo il castello fu abbandonato dagli antichi proprietari, e cominciò ad essere abitato da 20-30 famiglie che lo adeguarono alle loro esigenze. Questo stato di cose è durato fino agli anni ’50 (l’alluvione del 1951 lo ha reso inabitabile); in seguito è stato continuamente espoliato e privato di molti materiali da costruzione. Percorrendo la strada principale è ancora oggi facile individuare alcuni elementi in granito, asportati dalla struttura e posti come decoro di porte e finestre. Negli anni ’60-‘70 solo lo scheletro era rimasto intatto. Il restauro degli ultimi anni ha riportato il complesso all’antico splendore. Il palazzo comprende oltre 40 ambienti, disposti su 4 piani. La scalinata esterna da cui si accede alla struttura è stata costruita in tempi recenti. La porta principale, ad arco, introduce attraverso un corridoio ad una rampa in granito che un tempo consentiva l’accesso ai cavalli. Si raggiungono così i piani superiori e la terrazza sul Precariti, che oggi, a causa della forte erosione del costone sud-ovest, è uno strapiombo».
Reggio Calabria (castello aragonese)
«Ubicato nelll'omonima piazza, sopra una lieve collina che nel passato era certo più imponente, il castello aragonese di Reggio Calabria è considerato, insieme ai celeberrimi Bronzi di Riace, ed al ricco Museo Archeologico Nazionale, il simbolo stesso della più grande città della Calabria. Anche se l'impianto attuale è quello tipico delle fortezze difensive aragonesi, il castello di Reggio ha in realtà origini molto più antiche, tracce di una fortificazione preesistente sono state rinvenute in tutta l'area adiacente il castello stesso. Storicamente si fa risalire la costruzione del castello di Reggio tra il 536 ed il 549 d.C. per opera dei bizantini di Belisario, ma se ne hanno notizie certe solo a partire dal 1027, anno in cui i normanni vi stabilirono la corte. Il castello fu più volte restaurato, rimaneggiato ed ingrandito, per meglio adattarlo alle esigenze dei regnanti. Furono certamente interventi importanti, se è vero che il castello fu di volta in volta conosciuto come normanno, angioino ed infine aragonese. Si hanno infatti notizie di consistenti restauri voluti dal re Roberto d’Angiò, con lavori a più riprese, durati dal 1327 al 1381. Concepito per resistere a catapulte e mangani, il castello di Reggio dovette ricevere, in epoca angioina, un cammino di ronda protetto da basse mura e torri angolari, che lo cingeva alla base. Questo apprestamento difensivo aveva il chiaro scopo di proteggere la base del castello dall'attacco di arieti e dallo scavo di gallerie per mine. Nel 1458 Ferdinando I d'Aragona fece apportare consistenti modifiche con l'aggiunta delle due torri cilindriche, del fossato, del rivellino sul lato orientale e dell'acquedotto. Ulteriori fortificazioni furono eseguite in epoca spagnola tra il 1540 ed il 1553 su preciso incarico del viceré Don Pedro di Toledo, il cui scopo era quello di arginare le continue devastazioni turche del XVI secolo. Furono i Borbone, ai primi del XIX secolo, ad iniziare la decadenza del castello di Reggio, col riempimento del fossato e le prime demolizioni. Comunque la struttura rimase sostanzialmente inalterata fino alla decisiva trasformazione in caserma del 1869, con il volontario abbattimento del rivellino e l'unificazione del piano interno. Solo di recente, grazie a lunghi e sapienti lavori di restauro che hanno coinvolto le amministrazioni locali e la Sovrintendenza della Calabria, il castello aragonese di Reggio Calabria è stato riaperto al pubblico nel 2004, divenendo un'importante sede espositiva. Al suo interno è ospitato sin dal 1956 l'Osservatorio dell'Istituto Nazionale di Geofisica».
http://www.calabriatours.org/castelli/castello_reggio_calabria.htm
Reggio Calabria (Castelnuovo o cittadella di Reggio)
«Costruzione iniziata nel 1547 sotto l’appalto del maestro napoletano Nicolò Ballante, sospesa nel 1556 e mai ultimata perché nel 1562 sprofondò definitivamente il promontorio su cui doveva sorgere: Punta Calamizzi. La sua storia s’intreccia con quella del porto di Reggio, posto tra Punta Calamizzi e Rada dei Giunchi. Da alcune stampe del 700, si deduce che il Castel Nuovo fu riutilizzato per piazzare una cospicua artiglieria, capace di difendere l’intera rada di Reggio» - «Il 20 ottobre del 1562 verso le ore 23:00 sprofondava improvvisamente in mare il promontorio di Punta Calamizzi. Un fenomeno geologico tra i tanti (nel 1560 era sprofondata in mare la contrada Nacareri), da taluni messo in relazione con la deviazione del corso del Calopinace per edificare il Castel Nuovo, i cui lavori cominciarono nel 1547 e non furono mai conclusi. "La punta di Calamizzi - scrive lo Spanò Bolani - formava una deliziosa contrada che per la sua situazione riusciva freschissima e salubre nei mesi estivi". All'inizio del XVI secolo le famiglie nobili e agiate di Reggio avevano cominciato a costruirvi casine e ville per l'estate. Nell'ottobre cominciarono a sentirsi - scrive sempre lo storico reggino - sordi tuoni sotterranei e il terreno cominciò ad ondulare. Gli abitanti, spaventati fuggirono e si misero in salvo nella contrada Ottobono. L'evento è ricordato dagli storici più antichi della Città, dal canonico Tegani a Marcantonio Politi fino allo Spagnolio. Resta della collina un disegno impreciso attribuito al grande pittore fiammingo Brueghel il Vecchio».
https://it.wikipedia.org/wiki/Fortificazioni_di_Reggio_Calabria... - http://www.comune.reggio-calabria.it/on-line/Home/articolo104356.html
Reggio Calabria (fortini di Pentimele)
«Posti in posizione panoramica sulla città di Reggio Calabria e dominanti sullo Stretto di Messina, sorgono sulla collina di Pentimele arrivando attraverso una stradina poco curata. Per conoscere l’origine del nome Pentimele, andiamo indietro nel tempo, precisamente nel 1547, anno in cui, a causa delle varie scorrerie per opera dei pirati, venne ordinata la costruzione di un castello. I lavori purtroppo vennero sospesi per la mancanza di soldi e così si pensò di erigere la Torre di Reggio chiamata Pendimeri ed in tempi più recenti Pentimele. Passarono i secoli e durante il 1860, con la costituzione dello Stato Unitario, le funzioni militari vennero affidate ad un sistema di fortificazioni attestato sulla prima linea collinare delle riva orientale dello Stretto. Si pensò quindi di costruire i forti di Capo d’Armi, la batteria di Punta Pellaro, i fortini collinari di Arghillà, le fortificazioni dei Piani di Matiniti e di Pentimele, che con le loro architetture mimetizzate, avrebbero assicurato la difesa, sino alla Seconda Guerra Mondiale. In particolare, i fortini di Pentimele furono edificati intorno al 1896 come risulta da un documento presente presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria. I fortini di Pentimele, identici in ogni loro forma, distinti dai nomi Fortino Nord e Fortino Sud, sono costruiti con pietre naturali e mattoni che incorniciano anche le finestre e le sommità del muro di cinta. Il fortino Nord (in ottimo stato) presenta anche un ponte levatoio ed ha alla sua entrata due colonne rivestite da pietra calcarea arenaria, utilizzata anche per lo scolo delle acque. Entrando vi sono sulla sinistra quattro cisterne utilizzate per la raccolta dell’acqua, sempre verso sinistra vi erano gli alloggi forniti di bagno e scuderia per gli ufficiali. Sui lati si trovavano i dormitori dei soldati e nel posto più interno, due stanze (su ogni lato) adibite per il deposito delle armi. Nel soffitto vi sono due forature che permettevano il passaggio delle armi al piano superiore, dove era posto un vano che serviva da deposito. Entrando al fortino, sulla parte destra invece, troviamo una scala che ci porta in un locale sotto la zona d’ingresso, dalla quale si operava l’apertura del ponte levatoio, (nel fortino Sud, questa parte è andata distrutta). Gli stanzoni presenti sulla destra erano adibiti a scuderia e durante la Seconda Guerra Mondiale, furono trasformati in dormitori. Sempre sulla destra vi è una torre a due piani, nel piano inferiore venivano gettati i prigionieri (non vi sono scale…) e controllati dal piano superiore. Sia sulla destra che sulla sinistra troviamo due lunghi corridoi poco illuminati con andamento rettangolare, creato di proposito per indurre in errore, l’eventuale nemico che vi accedeva durante qualche inseguimento e che non conoscendo il luogo, sarebbe finito contro un muro. Lungo la parete dei due corridoi interni vi sono due piccole finestre da cui si poteva controllare l’esterno del fortino accorgendosi di un eventuale irruzione nemica. La zona centrale dei fortini è costituita da quattro rampe, da qui venivano trasportati i cannoni e riposti entro due fosse circolari poco profonde. Al centro del piano superiore vi era il deposito di materiale di artiglieria e per la manutenzione dei cannoni».
http://www.elireggio.it/gav/Fortini%20Pentimele.htm
«Le Motte (dal francese antico motte, "castello in posizione elevata") erano strutture militari destinate a controllare il passaggio nello Stretto. Costruite dai Bizantini furono successivamente potenziate dai Normanni, dagli Angioini e dagli Aragonesi. Nei primi decenni del '400, una dopo l'altra, tutte le Motte furono distrutte a causa delle lotte tra i reggini e gli invasori arabi che vi si rifugiavano. Anche se sono più di quattro, si è soliti identi identificare le motte reggine come le "Quattro Motte", di cui le principali sono Motta Anòmeri (Ortì), Motta Rossa (sotto Sambatello), Motta San Cirillo (Terreti) e Motta Sant'Aniceto (tra Motta San Giovanni e Paterriti), oltre a Motta Sant'Agata (tra Cataforio e San Salvatore) e il Castello Normanno di Calanna. Resti di Motta Anòmeri. È una delle quattro motte sopra la città era la Motta Anòmeri (dal greco anomeris, "dalla parte di sopra"), che venne poi distrutta. L'erede dell'antica Anòmeri è il centro di Ortì, la cui collocazione ci viene indicata da alcuni atti notarili dei primi del '600, in cui si fa riferimento alla contrada "Castelli" localizzabile sulla pianura di Monte Chiarello, dove sorgeva la Motta. Oggi è ancora visibile l'antica cisterna della fortificazione conservata all'interno di un campo da golf che sorge nella zona. Motta Rossa. Di Motta Rossa restano oggi dei ruderi sotto l'abitato della frazione di Sambatello. In epoca moderna sappiamo che in questa parte rocciosa che si erge lungo i pendii della Vallata del Gallico, durante la seconda guerra mondiale gli abitanti dei paesi limitrofi e i soldati dei vari reggimenti trovavano rifugio nelle grotte e caverne situate al suo interno. Motta San Cirillo. Del sito di Motta San Cirillo o Motta San Quirillo si erano inizialmente perse le tracce, la motta è stata scoperta ed identificata nel XIX secolo da Mons. De Lorenzo sul Monte Gonì nei pressi della frazione di Terreti. Motta Sant'Aniceto. ... Motta Sant'Agata. In prossimità delle frazioni di San Salvatore, Cataforio e Mosorrofa, si trovano i resti della Motta Sant'Agata che domina la fiumara omonima. Costruita anch'essa dai Bizantini secondo il modello insediativo del Kastron, comprendeva quindi un castello ed un piccolo borgo sottostante. Le mura di cinta sono crollate con il terremoto del 1783, ma si può presumere che il lato sulla fiumara fosse munito di fortificazioni visto che l'altro lato è protetto da colline naturali. Gli accessi erano due: dalla parte orientale, tramite la porta di terra, collegata con una parte fortificata e munita di un accesso con ponte levatoio; dalla parte occidentale, sul lato del fiume, tramite la porta di marina che si immetteva su una scalinata che, in caso di assalti, veniva mirata e colpita in diversi punti».
http://it.wikipedia.org/wiki/Fortificazioni_di_Reggio_Calabria#Le_.22quattro.22_motte
Reggio Calabria (mura medievali)
«Quando i Bizantini giunsero a Reggio, essi videro che i cittadini ormai da tempo non si preoccupavano più del mantenimento della propria cinta muraria, visto il lungo periodo di generale benessere garantito dall'Impero Romano, così per far fronte all'avanzata dei barbari, il generale Belisario fece fortificare nuovamente la città per difendere il porto, importante collegamento con la capitale Costantinopoli e con i commerci del Mediterraneo, e munì la città di torrioni angolari, che segnavano il perimetro delle mura di una città non sviluppata più sulle colline, ma piuttosto lungo la fascia costiera, più vicino al porto appunto. Con l'arrivo dei Normanni, che confermarono in Reggio la capitale del Ducato di Calabria, dovendo costruire il Palazzo Ducale e la nuova Cattedrale di rito latino, la città fu allargata verso Sud. Dunque la cinta muraria, che sotto i bizantini aveva il suo limite sud-orientale nell'angolo dove oggi sorge il Castello Aragonese, fu estesa all'incirca fino alla sponda destra del Calopinace. Tale assetto delle mura, che andava dai corsi d'acqua del Calopinace a Sud fino all'Annunziata a Nord, subì modificazioni solo nella costruzione di torrioni angolari, batterie e forti lungo il perimetro, e rimase in piedi fino al disastroso terremoto del 1783. Dopo il sisma infatti il governo del Regno decise di far abbattere ciò che rimaneva delle antiche mura medievali di Reggio».
http://it.wikipedia.org/wiki/Fortificazioni_di_Reggio_Calabria#Mura_e_bastioni_di_Reggio_medievale
Reggio Calabria (torre di Reggio o di Pentimele)
«...La costruzione del previsto castello sulla collina di Pentimele a strapiombo sul mare non fu mai portata a compimento per mancanza di fondi e fu dunque eretta la Torre di Reggio chiamata Pendimeri ed in tempi più recenti Pentimele. Iniziata nel 1550 la torre fu ultimata nel 1551. Il cavallaro della torre di Pentimele, all'avvistamento dei pirati avvisava il presidio e gli abitanti del villaggio più vicini per organizzare le difese. Il pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio, che fece visita a Reggio a partire dal 1552, fu testimone dell'incursione dei turchi, di cui ha lasciato una spettacolare testimonianza nel suo celebre dipinto Il trionfo della morte (del 1562, custodito al Prado, Madrid). Nel dipinto è visibile sul promontorio tra la vegetazione la Torre di Pentimele incendiata dai Turchi nel 1558, mentre sulo sfondo appare la città di Reggio in fiamme. Testimonianze della torre si hanno in alcune mappe e litografie eseguite tra il XIX e il XVIII secolo. In una mappa di Braun e Hogemberg del 1572 nota come carta panoramica della Città di Messina si vede la sponda reggina dello Stretto in cui è visibile la Torre di Pentimele localizzata tra la città di Reggio e la fortezza di Catona. Sulla torre diroccata per l'assalto turco di Dragut e Mustafà si vede una finestra e un ingresso al piano terra. In un'altra carta panoramica di Francesco Gusta del 1783 si vede nuovamente la Torre di Pentimele questa volta diroccata per il terremoto e con due finestre. In una litografia di Jean Houel del 1782, che mostra il promontorio a nord di Reggio presso la foce del torrente Torbido, si vede la Torre di Pentimele con sullo sfondo l'Etna. La torre si trova sulla spiaggia a sinistra del promontorio e del torrente, e si presenta in ottimo stato, con un corpo cilindrico dal grande diametro e la scarpa. In un'altra litografia di Filippo Hackert del 1789 successiva al terremoto, si vede Pentimele dal forte di San Francesco (sulla marina di Reggio). Infine, nella litografia di Antonio Senape del XIX secolo, si vede la torre con una feritoia indirizzata verso il mare, la torre appare collegata con la Porta Mesa e le mura di Reggio attraverso una strada alberata lungo la spiaggia, mentre in primo piano si vede il ponte sul torrente Torbido. Essendo una descrizione successiva al terremoto la torre appare danneggiata in alto. Nel 1820, con il ritorno dei Borbone, la Torre di Pentimele venne abbattuta, e con le sue fondamenta fu costruita una batteria da costa sulla spiaggia a destra del torrente Torbido».
https://it.wikipedia.org/wiki/Fortificazioni_di_Reggio_Calabria#Torre_di_Reggio_o_Torre_di_Pentimele
Roccella Jonica (resti del castello Carafa)
«Questa località è adagiata, similmente alla lava che da un vulcano discende verso il mare, tra la costa e la collina, su cui sorge, possente, l'antico castello dei principi Carafa, detto anche “della Rupetta”. I ruderi di questa grandiosa fortificazione, forse di origine normanna costruita non solo come palazzo padronale dei principi ma come centro di vita cittadina e come fortezza di difesa, dominano tuttora la città ed un ampio tratto della costa e rappresentano per tutta l’area uno degli elementi simbolici di maggiore forza. A brevissima distanza in direzione ovest, su uno sperone roccioso, è la torre circolare con cui il Castello comunicava a vista. Nonostante il continuo degrado stia producendo con rapidità gravi danni al complesso difensivo, le strutture esistenti consentono ancora di leggere gli aspetti fondamentali dell'impianto. Rispetto ai caratteri originari della sua fondazione (XI-XII secolo), il manufatto ha subìto nei secoli notevoli trasformazioni, fra cui si ascrivono l'opera di potenziamento realizzata in età aragonese e la ristrutturazione settecentesca da parte dei Carafa. Attualmente il corpo principale mostra le forme di residenza feudale a pianta irregolare, vagamente trapezoidale, incentrata su una corte interna quadrilatera. La cinta muraria del complesso è contraddistinta dalla presenza di torri e bastioni evidenti soprattutto sul fronte ovest. In contrasto con la precarietà dei manufatti e con il loro stato di conservazione conseguente all'abbandono, il Castello di Roccella rappresenta tuttora un elemento di forte influenza per la comunità. Testimonianza reale di una vicenda storica di cui riappropriarsi e simbolo della propria identità».
http://castelliere.blogspot.it/2010/10/il-castello-del-giorno_23.html
Samo (borgo di Crepacore, "castello di Pitagora")
«Un tempo chiamata Crepacuore o Crepacore (dal calabrese “crepari”, ‘crepare, spaccarsi’, riferito a fenditure del terreno), nel XVI-XVII secolo cambiò il nome in Precacore. Il toponimo attuale, assunto con un regio decreto del 1911, si rifà alla leggenda secondo cui il borgo, che avrebbe dato i natali a Pitagora, sarebbe stato fondato da abitanti dell’omonima località greca, giunti fortunosamente sulla costa ionica. Capoluogo di una baronia posta sotto la signoria dei Marullo di Condojanni, sul finire del Quattrocento, passò in seguito agli Squarciafico. Tornata ai Marullo, nel corso del XVI secolo, appartenne successivamente ai Tranfo e ai de Franco, che ne conservarono il possesso fino al crollo del sistema feudale. Col nuovo ordinamento amministrativo disposto dai francesi, all’inizio dell’Ottocento, fu dapprima inclusa tra le università del cosiddetto governo di Bianco e poi elevata a comune autonomo. Già distrutta dal sisma della seconda metà del XVIII secolo, fu devastata anche dal terremoto del principio del Novecento e ricostruita nel sito attuale. Tra i monumenti figurano: le rovine del vecchio abitato, situate dall’altra parte del vallone di Santa Caterina, e i ruderi di una rocca medievale, detta di Pitagora, sul monte Castello».
http://calabrianostra.altervista.org/samo.html
«Anticamente “villaggio”, oggi frazione di Condofuri, San Carlo sorge su un piccolo promontorio, di fronte alla Fiumara dell’Amendolea. Al centro del vecchio abitato si scorgono i resti di una Torre Medievale a piramide dalla quale, secondo la leggenda, partiva un cunicolo sotterraneo che arrivava fino al Castello di Amendolea. Il paese non ha subito un accentuato esodo, ma nel tempo si è esteso notevolmente formando la zona “nuova” con edificazioni lungo la strada principale che collega la marina alla montagna. Il centro usufruisce di una Chiesa, delle scuole primarie, della sede distaccata del Comune, di una pizzeria, bar, ed altri servizi che garantiscono le domande indispensabili».
http://www.condofuri.net/guida/guida.pdf
San Giorgio Morgeto (ruderi del castello)
«Il maniero di san Giorgio Morgeto (RC) sorge su un rilievo alle spalle del centro omonimo, dominandolo alla quota 612 m s.l.m. La presenza di più edifici, posti a quote differenziate all'interno di una cinta muraria che li racchiude, pone quesiti ed interrogativi riguardo alla tipologia del complesso e al suo uso a partire dalla data di fondazione. Alcuni dubbi sulla sua edificazione vengono fugati grazie ad un lavoro di ricerca effettuato dallo storico Vincenzo Arena e pubblicato sulla rivista "Taurikano" nel febbraio del 1992. "Solamente con l'instaurarsi della dominazione normanna - scrive Arena - e precisamente dal 1108 si hanno le prime notizie certe sulla fortificazione. Il 9 dicembre di quell'anno infatti, Roberto Burelli, nel confermare le donazione delle terre di Lama, fatte dal Conte Ruggero al convento greco di San Nicolò di Droso ordinava alle autorità dei castelli di S. Giorgio, Burello e Rocca S. Mineo di non molestare i monaci. Tuttavia solo a partire dalla dominazione sveva e nel successivo periodo angioino, che le informazioni si fanno copiose. ...". Oltre a ricoprire il naturale ruolo difensivo, il castello in epoca angioina, ebbe due altre funzioni: custodia delle collette ed anche prigione durante la guerra del vespro; da Nicotera l'11 maggio 1283, Carlo principe di Salerno mandò a custodire nel castello di San Giorgio tre ostaggi ricevuti dalla terra di Tropea. Secondo Arena, il primo castellano di cui si ha notizia è stato Guerriero di Squillace nel 1251. Dal 1270-1271 si succedettero alla carica i castellani Giorgio Lacara e Zaccaria. Questi viene rimosso dall'incarico e sostituito dal francese Nicola de Totavia. Il 1 settembre 1282 la castellania viene affidata a Raimondo Carbonello, mentre alla fine del 1283 la custodia della fortezza venne affidata al giudice fiorentino Aldebrandino de Acquerolo. All'interno il "Mastio", l'edificio più imponente per la difesa e per la residenza, si colloca su un costone di roccia affiorante nel punto più alto del rilievo, cui si giunge dopo aver superato un pendio, lungo il quale insiste un monumento ai caduti con un'ampia scalinata di accesso. I danni prodotti dai terremoti in particolare quello del 1783, e i secoli di abbandono giustificano l'avanzato degrado delle strutture. Questo edificio oggi si presenta su due strutture ma non è da escludere un terzo piano ormai inesistente. Ogni livello è composto da tre ambienti. la cui funzione non è definibile in maniera univoca. Il piano terra ospitò una cisterna mentre al piano superiore la presenza di camini attesta la funzione residenziale dell'edificio. ...».
http://capofortuna.blogspot.it/2006/08/
San Pietro di Caridà (ruderi del castello)
«Del Castello rimangono resti poco significativi che non consentono di ricostruirne l’impianto architettonico. Fu fatto edificare da Ruggero il Normanno e fu ristrutturato e potenziato sotto gli Angioini e gli Aragonesi. I violenti terremoti del 1638 e del 1783 lo hanno quasi completamente distrutto».
http://www.calabriaturistica.it/torri_e_castelli.php
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Arroccato su una rupe granitica che si protende verso il mare, il castello dei Ruffo di Scilla domina le due baie di Marina Grande e Chianalea. Sullo sperone roccioso, che per la sua posizione strategica fu fortificato fin dal V secolo a. C., vennero edificati tra il IX e l'XI secolo d. C., il monastero e la chiesa dei padri basiliani, che sorgevano all'interno del castello. Il maniero, conquistato dai Normanni intorno al 1060, passò poi sotto il controllo degli Svevi, degli Angioini, quindi degli Aragonesi; tutti confermarono ai monaci il possesso del luogo, senza modificarne sostanzialmente i privilegi. Nel 1424 i padri basiliani si allontanarono da Scilla e il castello, passato dal 1533 sotto il controllo di Paolo Ruffo, fu ampliato e ulteriormente fortificato. I Francesi lo occuparono nel 1806, e qualche decennio più tardi Garibaldi, sbarcato a Scilla con la spedizione dei Mille, proprio dalla rocca sventolò il tricolore. Imponente e ben conservato il maniero affascina per la straordinaria bellezza della scala e del corridoio d'ingresso. Dagli inizi del secolo scorso è in parte sotto il controllo della Marina Militare, ed e' visitabile previo appuntamento».
http://www.calabriaturistica.it/torri_e_castelli.php
«Il promontorio di Torre Cavallo è stato chiamato così per un’abbreviazione popolare dal latino, “caput valli” (capo di difesa). Su queste rupi s’inerpicò Ottaviano dopo la disfatta navale nelle acque di Scilla”. Nel Medioevo c’era il pericolo delle scorrerie dei pirati Saraceni. Le torri di avvistamento sulle punte avanzate della costa erano li a dare l’allarme appena all’orizzonte si profilava una vela sospetta. Le torri e le fortezze erano le uniche difese a cui volentieri gli abitanti facevano ricorso, con la disponibilità a sottoporsi ad un tributo. Dall’una all’altra torre comunicavano con rapidità. Ricevuto l’avviso di presenze estranee dalla torre di Pezzo, veniva comunicata la notizia alla vedetta posta sul promontorio di San Gregorio, che allertava quella posta a Capo Paci. Da questa venivano sollecitamente avvertiti i cittadini a mettersi al riparo ed approntare la propria difesa. La gente si metteva in salvo nella campagna retrostante mentre gli armigeri del feudatario correvano verso il mare a guarnire le difese. La presenza dei Ruffo determinò la sorte della torre Cavallo, delle varie ricostruzioni e delle modalità di utilizzazione della torre stessa. Il termine “cavallo” è stato attribuito alla presenza di una stalla, adiacente alla torre, dove veniva tenuto un cavallo per la speditezza nelle informazioni agli abitanti. Altra motivazione è attribuita alla presenza di una motta, una fortificazione dove gli abitanti si trasferivano momentaneamente per sfuggire alle incursioni saracene. In mancanza di motte, essi trovavano rifugio sulle colline, favorendo così la continuità del lavoro nei campi. Qualcuno vuole ancora che la “comoda stalla” annessa servisse per il cosiddetto “sfondaco” (grande magazzino per tenervi mercanzie). Altri ancora, vogliono che la denominazione derivi dalla statua del cavallo, posta a leggendaria difesa della Sicilia e dello Stretto. Venne costruita, a spese dell’Università di Scilla, intorno al 1559. Per la sua costruzione alla città di Reggio venne imposto un dazio sulla seta. La torre Cavallo, in tempi più recenti, venne utilizzata ad avvistamento del pescespada, nel periodo primavera-estate, fin quando le feluche non furono dotate di passerelle in ferro, che sostituirono pure le barchette (‘u cajcceheddhu), che per la loro snellezza, consentivano la rincorsa del pesce alla ricerca di un luogo sicuro che gli consentisse di sfuggire ad una cattura certa».
http://www.cannitello.it/torre_cavallo.htm
Seminara (ruderi del castello o palazzo Mezzatesta)
«Il Palazzo o Castello Mezzatesta è spesso attribuito in modo del tutto erroneo agli Spinelli. Il palazzo fu edificato nel corso dell'Ottocento nell'appezzamento che alla famiglia Mezzatesta fu assegnato (o fu comprato) dalla pianificazione della nuova pianta urbana. Purtroppo non esistono documenti, o almeno gli archivi non ne hanno finora svelati. Esiste un documento importante conservato nell'Archivio di Stato di Catanzaro che riguarda l'attribuzione del suolo. Ne ho consegnato la fotocopia a don Saverio Mezzatesta, ultimo discendente della più antica famiglia di Seminara. Non ho studiato l'atto. In breve, quel che si può dire è che il palazzo fu certamente costruito nell'Ottocento da maestranze che hanno imitato o costruito secondo modelli e tecniche rinascimentali tanto da indurre qualche illustre studiosa a commettere errori di datazione dell'edificio, la cui costruzione deve essere costata non poco ai suoi originari proprietari. Il palazzo verosimilmente si estendeva su un'area più vasta, a sinistra del portale. Non si comprende infatti il significato dell'adiacente costruzione relativamente moderna proprio a ridosso del portale. Il palazzo fu reso inabitabile dal terremoto del 1908. Don Saverio mi raccontava – se ben ricordo – che da ragazzo di aver distrutto carte antiche di famiglia, che probabilmente avrebbero aiutato a ricostruire la storia dell'edificio, indubbiamente il più bello e suggestivo fra quelli esistenti nella Seminara dell'Ottocento, fra i due terremoti che si sono accaniti contro questa disgraziata cittadina: quello del 1783 e l'altro del 1908. ... Ancora negli anni Cinquanta il Palazzo conservava la facciata dei piani superiori. Da bambino anche io insieme a tanti altri avevamo giocato dentro i ruderi, passando da quella che era una stanza all'altra e che già allora era invasa da vegetazione selvatica. Il loro era altamente immaginifico. In epoca in cui io non abitavo più nel paese il Palazzo che ancora conservava impalcature in legno subì un incendio e successivamente per ragioni di sicurezza il proprietario don Saverio si trovò costretto ad abbattere la parte alta della facciata che subiva oscillazioni per azione del vento. Dal palazzo si poteva godeva la vista di tutto il paese sottostante e di tutta la Piana. Siamo qui ad oltre trecento metri di altitudine. Per il luogo in cui sorge, quasi a strapiombo, non vi era il rischio che qualcuno potesse fare una sopraelevazione e togliere la vista, come è poi spesso successo ad altri palazzi storici in regime di dilagante abusivismo edilizio. Ai tempi della mia infanzia, girato l'angolo a sinistra sotto il balcone, in uno spazio largo circa un metro, si poteva passare ed immettersi in una strada oggi coperta da spine e fitta vegetazione. Si incontrava una capanna in legno e poi si usciva dietro la chiesetta dei Cappuccini ed il vecchio carcere. Sarebbe ancora oggi possibile e utile, a mio avviso, ripristinare il vecchio tracciato per poter raggiungere in altro modo l'Oratorio che è stato costruito negli anni Settanta. Lo si potrebbe raggiungere più facilmente, diminuendone l'isolamento dal resto del paese. Inoltre la nuova strada potrebbe contribuire alla riqualificazione del colle, da cui si gode la più suggestiva visione del paese sottostante e della Piana».
http://ultra-raccontata.blogspot.it/2006/04/seminara-ruderi-del-palazzo-mezzatesta.html (a cura di Antonio Caracciolo)
Sinopoli (resti del castello o palazzo Ruffo)
«Del Castello restano solo scarsissimi resti che non consentono di avere un’idea del suo impianto orginario. Fu quasi completamente distrutto del terremoto del 1783».
http://www.calabriaturistica.it/torri_e_castelli.php
Stignano (castello di San Fili)
«Il Castello di San Fili di Stignano, è una torre nata come struttura difensiva nel ‘500, poi modificata dai feudatari a fini residenziali nel corso del 700 ad opera di una famiglia locale che, già nel secolo successivo, l’abbandonò per un’altra residenza. Il castello appartiene oggi alla famiglia Alvaro-Salerno. Si tratta di una costruzione triangolare, con tre torri ai vertici, di cui due sul prospetto principale, in pietra a base rettangolare, e la terza sul vertice opposto, a pianta pentagonale. L'edificio è a due piani e vi si accede per una scala a unica rampa. All'interno una scala collega i due livelli e il terrazzo. L’edificio rappresenta un caso singolare di residenza di campagna con i caratteri tipici però di fortezza. Il castelletto è stato inserito da Legambiente, nel 1996, nel gruppo dei monumenti italiani da preservare».
http://locride.altervista.org/stignano.htm
«A 340 metri di altezza sul livello del mare, su uno sperone roccioso, svetta Stignano, nome che deriva dal latino "stenianum ", casale di Stilo; importante la torre cilindrica di San Fili con funzione di avvistamento e di guardia coordinata con l’apparato di difesa contro le invasioni saracene e turche».
http://www.divingcenterpuntastilo.it/san%20giovanni%20il%20vecchio.htm
«È una grande villa settecentesca a forma di 'U' ed è considerata uno dei più significativi esempi di arte barocca in Calabria. Si trova in contrada Scinà (a 2 km dal paese) e, anche se costruita da maestranze locali, fu probabilmente progettata in ambienti napoletani. Sorge in posizione dominante, su due piani, circondata da giardini e fontane e riesce a cogliere immediatamente l'attenzione del visitatore per l'armonia delle soluzioni architettoniche adottate in ogni parte del complesso. Attraverso un viale si giunge all'ingresso della villa, dominata da una monumentale scala in pietra, esterna, che sale dai due lati. Un viale, attraversando il bel giardino che incornicia la casa, conduce all'ingresso reso importante da una scala in pietra che sale da due lati e da una fontana sormontata da un gruppo marmoreo in cui si distingue Tancredi che soccorre Clorinda. Sul lato belvedere, affacciato sul sottostante paesaggio, c'è un'altra monumentale fontana di marmo bianco con tazza poligonale di base e due tazze più piccole circolari. La terza fontana, quella dei delfini, separa la struttura dalla piscina. All'interno della struttura, nonostante lo stato d'abbandono, si possono ancora notare cornici, stucchi, archetti. Al piano terra è posta una cappella gentilizia con tre altari, che conserva una statua di San Leonardo e due affreschi accreditata sulla sua edificazione dà a Vanvitelli la paternità dell’opera, anche se risulta certo che la costruzione avvenne con l’ausilio di maestranze locali. Al piano superiore, invece, due ampie terrazze e un sontuoso salone, sul cui tetto è raffigurata in maniera superba la dea Venere. Nelle vicinanze della villa c'è una dipendenza con forno e frantoio. La villa per la fine bellezza e unicità fu prescelta accanto alla reggia di Stupinigi, alla Villa dei principi Mellone di Lecce e al palazzo del Principe (Doria Pamphili) di Genova per la serie filatelica "Le ville d'Italia" emessa dalle poste Italiane nel 1984».
http://locride.altervista.org/stignano.htm
«Nel primo Medioevo, Stilo era cinta da mura e torri, e ben cinque porte (Porta Reale, Porta Terra, Porta Scanza Li Gutti, Porta Stefanina e Porta Cacari), vi davano accesso all’urbe. Di tre di esse non rimane traccia alcuna, e precisamente, Porta Terra, porta Scanza li Gutti, e porta Cacari. Fino a meno di un secolo fa esisteva invece la Porta Reale; era formata ad arco alla cui sommità centrale v’era scolpito lo stemma della città. Di essa, ora, rimangono solo avanzi murari. Bene si conserva invece la Porta Stefanina. A sostegno, si erige su di un fianco di essa, una torre rotonda, mentre l’altro suo lato si appoggia al muro della Chiesa dei Domenicani. Maestoso è il portale in blocchi di granito intagliati, secondo una classica lavorazione medioevale».
http://stilo.asmenet.it/index.php?action=index&p=224
Stilo (ruderi del castello normanno)
«Tra i castelli della Regia Curia, come si ha dai documenti del 1269, figura anche quello di Stilo. Questo era stato costruito da Ruggero il Normanno sul Monte Consolino, luogo da cui si poteva dominare meglio tutta la cittadina e la vallata fino al mare Ionio. Per i tempi il Castello di Stilo ebbe una grande importanza strategica ed alla sua manutenzione erano tenuti molti, enti e persone, come si rileva dall’Archivio della Regia Zecca dell’anno 1281 al foglio 233. Lo storico Oreste Dito, nella sua Storia calabrese scrive: “I Normanni cercarono di assicurarsi il dominio della Calabria, occupando e fortificando i luoghi più forti della regione mediterranea e montuosa. Dal 1054 al 1065 caddero in loro potere… Catanzaro, Squillace, Stilo… Dal 1091 una linea di castelli assicurò il dominio della regione interna, S. Marco, Ajello, Martirano, Nicastro, Maida, Mileto. Lungo il litorale Catanzaro, Squillace, Stilo, Gerace”. Il Castello che s’innalza sulla vetta del Consolino è strettamente legato allo sviluppo di Stilo, che era anche circondata da mura, torri ed altri baluardi opportunamente eretti a difesa e in parte ancora esistenti. Padre Apollinare Agresta, abate generale dell’ordine basiliano, nel volume La vita di San Giovanni Theristi del 1677, così parla del castello di Stilo :”… per essere questo castello assai forte sopra tutti gli altri della provincia, era in quei tempi pregiatissimo a’ Re e godeva alcune prerogative e fra l’altre, che molti Baroni e feudatari, fossero obligati alle di lui reparazioni”. Il castello di Stilo era cinto da varie opere di difesa che lo rendevano assolutamente inespugnabile. Di queste cinture se ne possono identificare ancora parecchie lungo l’erta del monte Consolino. C’erano inoltre, sparsi qua e là, strategicamente, altri posti di guardia e singole difese che potevano rendere sempre più difficile, per non dire impossibile, il passaggio al nemico, che avesse eventualmente forzato le altre opere difensive. In questi recinti si distinguono ancora tre porte e due postazioni ricordate con il nome delle antiche macchine (armi) di difesa che ivi erano installate: ingenia e mangana. La cinta bassa delle fortificazioni cominciava poco più sopra della chiesetta bizantina La Cattolica. Altri sbarramenti, serbatoi di acque e rifugi precedevano il castello vero e proprio che aveva fortificazioni autonome coronate da parecchie torri semicircolari.
Al tempo di Carlo d’Angiò nel castello di Stilo furono rinchiusi parecchi prigionieri politici a cui vennero mozzati mani e piedi per avere tentato la fuga. Una fuga non più possibile quando le prigioni furono scavate sotto il castello, sulla parete del Monte Consolino, là dove la montagna di calcare sprofonda a picco e a strapiombo per centinaia di metri. Ecco perché quelle prigioni non avevano nemmeno una porta, perché si poteva entrare o uscire soltanto se si era calati o issati dall’alto con un paranco. Il Castello vero e proprio era formato da un complesso di fabbriche abbastanza esteso, di forma rettangolare. Subito dopo la porta, due possenti torri, posteriori al nucleo più antico, difendevano l’entrata all’interno. Sulla torre quadrata (chiamata d’Altavilla, con chiaro riferimento all’epoca normanna), si apriva una sala. Un’altra più grande, nella torre maggiore, che aveva altre camere su tre piani. Vi erano altri vani annessi alle cucine ed al forno. Tutte le torri erano provviste di larghe feritoie (a bocca di lupo) donde potevano essere rotolati sassi, versato olio bollente ed altri mezzi di difesa propri del tempo. Nella parte centrale del castello c’era una chiesa o cappella. Dai tetti, con opportune condutture ricavate con tegole affrontate e con tubi di coccio (ancora esistenti), si otteneva la raccolta di acqua piovana che andava a finire in una vasta cisterna che occupava lo spazio sotterraneo sottostante ad una buona parte dell’edificio centrale. L’ultimo propugnacolo, una specie di piccola acropoli, abbracciava il culmine del Consolino e dominava il Castello. Un castellano di nomina regia era preposto al comando della guarigione che presidiava la fortezza. Lo stipendio dei castellani era di due tarì al giorno. Nei castelli come quello di Stilo non dovevano essere ammesse donne. Tanto il castello quanto le opere accessorie lungo il monte cominciarono a subire gravi danni durante la guerra tra Francesi e Spagnuoli. I Francesi del Bonaparte, nel 1806, diedero il colpo di grazia. ... Ma oggi del castello normanno di Stilo non restano che i ruderi».
http://stilo.asmenet.it/index.php?action=index&p=226
Taureana (torre costiera saracena o di Donna Canfora)
«La Torre Saracena o Torre medievale di Palmi è una delle antiche torri d'avvistamento cinquecentesche che sorgono sul litorale della Costa Viola. La torre si erge sulla sommità del pianoro di Taureana di Palmi, a ridosso di una falesia che sovrasta la spiaggia del Lido di Palmi. Costruita nel 1565, anticamente era denominata Torre di Pietrenere (o de "Le Pietre Negre") per distinguerla dall'altra torre d'avvistamento di Palmi, chiamata Torre di San Francesco, attualmente scomparsa. La torre ha una circonferenza alla base di circa 22 metri, una larghezza di 8 metri, un'altezza di 15 metri e la porta d’entrata a 7 metri dal suolo, con una camera provvista di feritoie. I materiali usati per realizzarla sono pietre naturali e mattoni. L'unica finestratura della torre è dalla parte che guarda verso l'interno, lasciando la parte rivolta verso il mare senza aperture, in modo che le navi nemiche non potessero avvistare l'eventuale luce del torriero» - «La torre in pietra, nei pressi degli scavi di Taureana, detta “di Donna Canfora”, ben visibile dalla spiaggia, è di più recente costruzione. è una delle 4 torri poste a difesa contro le incursioni saracene. L’origine di questi monumenti, torri tronco-coniche a pianta circolare, con geometria slanciata di circa sette metri di diametro, la si fa risalire ad un periodo tra XIV-XV secolo, o (come riportato nella guida Bagnara Calabra, Scilla e..., curata dal Gruppo Culturale Periferia Xiphias e Cartolibreria De Maio, pubbl. nel 1995, che cita il testo Tipologia delle torri costiere di avvistamento e segnalazione in Calabria Citra e Calabria Ultra di Vittorio Faglia), più largamente ad un periodo tra il 1268 e il 1442. Fatto sta che intorno alla metà del 16° secolo, gli aragonesi sono costretti a difendere il litorale calabro dagli attacchi dei turchi provenienti dalle coste dell'Africa del Nord, ed è il viceré Consalvo, su richiesta del consigliere regio Fabrizio Pignatelli, a far realizzare una sistema di avvistamento e di allertamento delle popolazioni. Gli scavi condotti negli anni ‘50 del ventesimo secolo hanno messo in luce porte di uno necropoli di età romana e tardo-antico/altomedievale».
http://www.palmiturismo.it/index.php?option... - http://bettylafeaecomoda.forumcommunity.net/?t=51864029
©2012 ss.