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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI BENEVENTO
in sintesi
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«Il castello di Airola è situato a 380 metri sul livello del mare e occupa con le sue strutture la sommità della collina di Monteoliveto. L’area fortificata è costituita dai resti del castello, ormai invaso dalla vegetazione, e da due cinta murarie che presentano un andamento circolare concentrico, intervallato da piccole torri ancora oggi in parte visibili. L’elemento architettonico più interessante è senza dubbio l’ingresso del castello che presenta ancora le strutture per il ponte levatoio. Sul portale di ingresso è presente lo stemma gentilizio Carafa-Della Leonessa. Il castello fu costruito probabilmente in epoca longobarda e appartenne a Rainulfo I, dal quale passò a Roberto Conte di Avellino e Airola. Successivamente fu in possesso di Guglielmo, duca di Salerno e di Rainulfo II. Nel 1272 il signore di Airola era Ugonis de Meneliis che aveva come castellano e capitano Marino Toccabove. Successivamente buona parte della terra di Airola fu concessa a Gerardo de Salsiaco, e alla sua morte alla Regia Curia. Nel 1276 il feudo fu donato dal re Carlo I ai fratelli Guglielmo e Ugone di Cortillon. Nel 1277 il castello ospitò Carlo I d’Angiò e nel 1300 il castello appartenne a Carlo della Leonessa e dopo di lui a Giovanni, suo erede, morto nel 1320. Nel 1437, durante la guerra tra Alfonso d’Aragona e Renato d’Angiò, Airola fu presa e saccheggiata dall’esercito aragonese dopo la sconfitta di Marino Boffa, castellano di Airola. Il castello dovette subire un ulteriore assedio nel 1460 quando Alfonso della Leonessa si ribellò al re Ferrante, dopodiché il feudo fu venduto a Carlo Carafa che ne ottenne il titolo di conte nel 1496. Ribellatosi a Carlo V, il conte Giovan Vincenzo Carafa ebbe confiscati tutti i feudi e la proprietà passò ad Alfonso d’Avalos d’Aquino, marchese del Vasto. Nel 1575 Airola fu venduta dai d’Avalos a Ferrante Caracciolo la cui famiglia ne mantenne il possesso fino al 1732 quando Antonia Caracciolo morì lasciando tutti i beni al nipote Bartolomeo di Capua conte di Riccia. Dopo la morte di costui nel 1792, Airola passò al Regio Demanio e da allora non fu più infeudata. Carlo III, in onore alla concessione gratuita delle acque della sorgente del Fizzo che alimentavano la cascata della Reggia di Caserta, concesse ad Airola il titolo di città.
La fortificazione si sviluppa su un’area di 12.000 mq ed è costituita dal rudere del castello e da due cinte murarie che racchiudono la parte più alta della collina di Monteoliveto. Uno degli elementi architettonici più interessanti è l’ingresso del castello, posto nel lato nord-est che conserva quasi del tutto le sue caratteristiche originarie. Esso è costituito da un vano rettangolare di circa 6.20 x 5.20 metri, con uno spessore di 1.40 metri nel quale si trovano diverse aperture. La porta, situata nel lato ovest, immette nella corte interna mentre il portale principale si apre sul lato sud. A nord e ad est sono presenti ampie finestre per dare luce all’interno. L’ingresso è caratterizzato da un portale in pietra bianca ad arco ribassato sul quale ancora si vedono lo stemma gentilizio e il sistema di sicurezza del ponte levatoio. Infatti sono ancora visibili i cardini dell’appoggio della porta, i fori per la sbarra di chiusura della stessa, e gli alloggiamenti delle travi e del sistema di sollevamento del ponte. Questo ambiente di ingresso era coperto da una volta retta da archi costruiti con grossi conci squadrati di tufo, sul quale insisteva un secondo livello. L’ambiente superiore era caratterizzato da finestre e feritoie tonde e a croce per la difesa piombante e con armi da fuoco. A destra del cortile si situa invece la cappella palatina, articolata su un vano unico absidato, dimensioni 5 x 15 metri con paraste in tufo che reggevano archi acuti che dividevano il vano in tre parti: successivamente è stata poi tagliata una campata per la costruzione del muro divisorio. Sotto l’abside si trovava una cripta la cui scala d’accesso è stata murata, ma la cripta è stata modificata con la costruzione di una saettiera per la difesa di fiancheggiamento. Intorno alla cappella erano ubicati gli ambienti di servizio e di abitazione del castello, lo stesso avviene anche nel lato nord dove sono presenti degli ambienti che terminano con un corridoio di passaggio che, essendo interrato, risulta percorribile solo per un tratto. Dalla sua connotazione si evince che doveva essere un vano che serviva a mettere in comunicazione ai livelli più bassi, le diverse parti del castello. Il livello superiore di questi ambienti invece, presenta delle finestre in tufo molto strombate sia internamente che esternamente, forse però tale corpo di fabbrica risulterebbe essere stato aggiunto successivamente.
Altra componente del castello, con probabile funzione di mastio, è la struttura rettangolare posta a sud vicino alla torre tondo più piccola. Essa si articola su tre livelli: il primo caratterizzato da un’abside tompagnata con pilastri addossati ai muri che reggono archi ribassati. L’abside esternamente si caratterizza per un doppio arco in tufo e probabilmente era adibito ad ambiente di servizio. Il secondo livello era il piano nobile dove soggiornava il signore e presenta grosse finestre lungo tutto il perimetro. Il muro sul lato est presenta esternamente pilastri in conci di tufo con cornici sagomate. Vicino a questo ambiente sorge la piccola torre rotonda con un diametro di circa 4 metri e uno spessore murario di 1,5 metri; essa si sviluppa su un solo livello con una scarpa alla base e sette feritoie circolari per alloggiamento di armi da fuoco; in sommità originariamente presentava una merlatura con un sistema di difesa piombante di cui però oggi restano solo poche tracce. Questa piccola torre è collegata alla più grande grazie ad una luna struttura rettangolare caratterizzata da feritoie tonde in tufo per le armi da fuoco, uguali a quelli della piccola torre. Nell’angolo est del castello sorge un’altra grande torre rotonda priva di scarpa con un diametro di 6,50 metri e uno spessore murario di 2,30 metri. Essa presenta un sistema difensivo caratterizzato da quattro bocche radiali, caditoie ad imbuto coperte da lastre di calcare bianco aventi diverse dimensioni. Questa torre, completamente interrata, era organizzata su più livelli: in quello inferiore vi era probabilmente una grossa cisterna; in quello superiore, corrispondente alle caditoie, vi era un vano per gli apprestamenti difensivi, mentre erano probabilmente presenti, ai livelli superiori, delle merlature. La seconda cinta muraria, è conservata solo sul lato sud e presenta un altezza variabile ma di circa 3 metri mentre sul lato nord si confonde ormai con le strutture moderne. Era presente anche una terza murazione, che ingloba attualmente la chiesa di San Gabriele e della Santissima Addolorata, i cui lati sud sono ancora conservati per una altezza di 3 metri e presentano un’alternanza di torrette tonde e quadrate, mentre i lati est e nord sono ormai inglobati dalla vegetazione. Il lato nord-est del castello vero e proprio è caratterizzato da un muro che scende degradante probabilmente fino alla terza cinta muraria e presenta una torretta caratteristica con la parte aperta verso la chiesa di San Gabriele».
http://www.castcampania.it/airola.html (a c. di Antonio Iaccarino)
«Amorosi è un Comune situato all'ingresso della Valle Telesina a 60 m. sul livello del mare ed ha una posizione strategica assai rilevante per la viabilità, per i commerci e per il movimento turistico. ... Il centro abitato, sviluppatosi intorno al "castrum Amorusii" o "Amerusii" all'inizio del IX secolo, domina la sommità di una collinetta verdeggiante e in dolce declivio verso i campi ameni, che si allungano fin sulle rive del fiume Volturno e del suo affluente, il Calore. Verso l'interno della Valle il paese si collega idealmente all'antica Telesia, di cui fa parte integrante (casale), derivandone, senza dubbio, la popolazione originaria. Del resto le gloriose vestigia della città madre giacciono, spesso dimenticate, a poca distanza dai confini di Amorosi, nel territorio di San Salvatore Telesino. Il nome Amorosi deriverebbe da una famiglia longobarda, che ebbe in possesso il territorio amorosino, come appunto attesta Mons. Angelo Iannacchino, Vescovo di Telese e Cerreto. In pratica da "casalis Amorusii" si è poi avuto "castrum Amorusii" ed il moderno Amorosi. Il nome è, comunque, già riportato in documenti del 1100 circa (Obituarium S. Spiritus della Biblioteca Capitolare di Benevento). Con il titolo di principe, di marchese e di barone possedettero la Terra in feudo le più prestigiose famiglie feudali presenti nell'Italia meridionale. Nel 1734 vi si fermò, ospite dei Caracciolo, Carlo di Borbone, che veniva alla conquista del Regno di Napoli. Il principe vi ricevette la promessa di fedeltà e di resa dal legale rappresentante della città di Napoli. L'atto di resa, però, fu ufficialmente ratificato in Maddaloni qualche giorno dopo. In seguito passò per Amorosi anche Ferdinando II. ... Sulla piazza principale del paese si affacciano il palazzo del Comune, "il palazzo della Camera Marchesale", ossia Piscitelli, spesso dimora dei feudatari, il palazzo dei Maturi, caratteristico per i particolari stilistici ed architettonici della facciata e per l'annessa pregevole cappella di S. Giuseppe, la Chiesa Arcipretale di S. Michele Arcangelo, dal maestoso campanile e ricca di artistiche statue e tele antiche, la "Canonica" e il palazzo Salvione-Parente. Vanno anche ricordati i palazzi Giaquinto di via Telese e di via Sebastiano Maturi, le "case palaziate" del filosofo Sebastiano Maturi, nell'omonima via e dei Maturi in via Mazzini, il "vicolo palaziato" D'Angelo-Barrera, l'antico ossario-monumento di via Calore, le grotte certamente preistoriche di via Alvignanello e il tipico ponte naturale "de le brutte janare" sul Vallone S. Giovanni».
http://amorosi.scriptmania.com/storia.htm - http://amorosi.scriptmania.com/patrimonio.htm
«Il Centro Storico di Apice presenta la specificità dell'insediamento "a conchiglia" con direttrici chiese-castello e con sistema di strade parallele dirette a piazze; esprime una singolare unità, articolata in mirabile varietà, che fa riferimento a fonti della cultura orientale, avente notevole valenza a base dell'organizzazione civile. Allo stato attuale, a seguito della ricostruzione in altro sito in conseguenza dei terremoti del 1962 e del 1980 per motivi tecnici, è disabitato e conserva un particolare fascino; Riveste importanza per la particolarità urbanistica e per l'alto significato della simbologia civile. La storia dell’antico abitato di Apice inizia nell’antichità e si interrompe bruscamente alle ore 19,30 circa del 21 agosto 1962. A fondarla, a soli 12 chilometri dall’odierna Benevento, fu probabilmente ai tempi della Roma caput mundi, quel Marco Apicio che dal Senato di Roma fu incaricato di ripartire tra i legionari reduci dalle campagne di guerra alcune terre del Sannio. La fine di Apice fu segnata quella sera dell’agosto 1962, alle ore 19,30 quando due scosse di terremoto del VI e VII grado della Scala Mercalli fecero tremare il Sannio e l’Irpinia, uccidendo 17 persone. Apice fu uno dei centri più colpiti, ma non venne distrutto. A far sgomberare i 6500 abitanti, infatti, fu la sentenza dei tecnici del Ministero dei Lavori Pubblici che, temendo ulteriori crolli, ne ordinarono l’evacuazione. Gli abitanti, non senza polemiche e durissimi scontri verbali, si trasferirono così nel nuovo abitato che sorse sulla collina di fronte. Non tutti, in verità: pochissimi temerari resistettero nella città vuota e, tra questi il sindaco Luigi Bocchino, rimasto in carica ininterrottamente fino alla scorsa primavera, che non volle abbandonare il suo paese. Da allora nulla è cambiato ad Apice. Nessun restauro, tranne un intervento sul castello dell’VIII secolo, terminato pochi mesi fa. Le case di Apice erano generalmente ad uno, massimo due piani. Le scale interne in pietra, i bagni spesso ricavati all’interno di una stanza, magari protetti agli sguardi da un tramezzo di cartone. Ai piani terra la cucina in muratura col focolare e un angolo per gli animali. La tipica architettura rurale del tempo, oggi quasi scomparsa dal territorio italiano grazie al contributo di tanti spericolati geometri a cui veniva chiesto di cancellare le tracce di un passato di povertà e ristrettezze. ... L’ironia della sorte è che un terremoto ha salvato Apice Vecchia. ... Fortunatamente l’antico paese, arroccato al suo castello, è rimasto inviolato, attaccato al suo tempo fermo. ...».
http://www.comune.apice.bn.it/portale/citta-di-apice/apice-vecchia
Apice (castello normanno o dell'Ettore)
«Chiamato anche "dell’Ettore", questo castello, situato a nord dell'ingresso del vecchio paese, con il passare dei secoli ha subìto grandi trasformazioni ed è tuttora molto ben conservato. Costruito sul punto più alto della collina, domina sia la media valle del Calore, che l’antico centro abitato; quest’ultimo risulta essere organizzato secondo una disposizione a “conchiglia”, tipica dei borghi medievali, dove l’intero assetto viario di strade e vicoli risulta convergente e allineato con il castello medievale. è una costruzione normanna dell'VIII secolo a pianta quadrangolare, un tempo dotato di quattro torri di cui oggi ne restano solo due al di sotto delle quali c'erano i sotterranei, adibiti a prigioni e, secondo alcuni, gallerie che permettevano di uscire dal paese in caso di assedio. Dentro le mura c'è un grande cortile con una fontanella che serviva l'acqua agli abitanti e per abbeverare gli animali. Intorno al cortile c'erano le stanze dei servitori, salita una grande scalinata, al primo piano, c'erano i saloni di rappresentanza, mentre le camere padronali erano al piano superiore e nelle torri. In un documento del 1626 il castello dell’Ettore è descritto come circondato da “tre baluardi fortissimi”, dei quali oggi è possibile ammirarne soltanto uno nella sua integrità strutturale, dotato di dispense, caratterizzato dalla presenza di ambienti affrescati e da una cappella votiva. L’edificio che è giunto ai nostri giorni è il frutto delle continue opere di ricostruzione, di ristrutturazione a causa del susseguirsi di eventi sismici, di cambi di destinazione d’uso e all’alternarsi di diverse proprietà nel corso dei secoli. La fortezza, edificata completamente in pietra, si eleva su quattro piani ed accoglie al suo interno circa novanta stanze. Nel corso dei secoli il castello ha assolto a varie funzioni, divenendo dapprima il Municipio del paese, in seguito la sede della Caserma dei Carabinieri, quindi Scuola Elementare, Sede del Fascio per arrivare ad ospitare oggi il Museo Civico della civiltà contadina, l'esposizione di reperti archeologici, altre mostre e attività culturali, nonché la Biblioteca comunale. è riconosciuto come monumento nazionale».
http://castelliere.blogspot.it/2013/02/il-castello-di-lunedi-4-febbraio.html
Apollosa (palazzo baronale, ruderi del castello Terravecchia)
«Apollosa è un piccolo centro del Sannio, sulle pendici del monte Taburno che scendono dolci lungo la Via Appia. Le sue origini risalgono al tempo dell’antica Roma e il suo nome deriva dall’originario Lapillusia, da lapillus miliarius, il ceppo miliare che i romani ponevano lungo le loro strade ogni 1000 passi. La posizione di controllo sulla via Appia vide l’interesse dei dominatori Angioini e Aragonesi. Si ricorda un’importante battaglia tra il rettore di Benevento Guglielmo e il terribile barone Ugo Infante di Apollosa combattuta nel 1127 presso il Castello di Terravecchia, ormai completamente cancellato dal bosco, ma i cui resti sono visibili tutt’oggi lungo un antico sentiero che dalla Via Appia portava al centro abitato. ...» - «Il palazzo baronale di Apollosa in stile tardo barocco venne edificato intorno alla prima metà del XVIII secolo, ma la struttura attuale è il risultato dei tanti interventi di restauro eseguiti nei secoli. La facciata accoglie il portale principale con arco in pietra risalente al seicentesco, e colonne laterali con capitelli. All’interno dell’edificio le stanze sono decorate da preziosi stucchi, mentre le volte dell’appartamento ducale sono adornate da splendidi affreschi, tra i quali ricordiamo quello che raffigura la Sacra Famiglia. Al 1600 risale anche il porticato rivolto sul cortile sul quale poggia il piano elevato. Da ammirare la pinacoteca privata dove sono custodite due pregevoli tele risalenti alla seconda metà del XVIII secolo, che rappresentano rispettivamente Santa Elisabetta con Bambino, e l’Apparizione a San Giuseppe Sposo, un tempo appartenenti al patrimonio artistico dell’attiguo chiesa».
www.unplibenevento.it/docs/doc487716a7c1bfa.doc - http://www.byitaly.org/it/Campania/Benevento/Apollosa/Palazzo_Baronale_di_Apollosa
«...Attualmente di esso [circuito murario] resta solo l'intero lato meridionale (quello cioè parallelo a Via Sannitica, e che esternamente guarda nel terreno detto Corte dei cavalieri); un piccolissimo tratto di quello orientale (ossia lungo Via della Corte), ed infine una piccola parte di quella rivolta a occidente (verso Via delle Grazie). Come appare dalla pianta che abbiamo cercato di ricostruire con la massima fedeltà ed esattezza, esse presentano (o meglio presentavano la forma di un trapezio isoscele, con la base maggiore costituita dal lato occidentale, quella minore dal lato orientale, e i due lati leggermente convergenti formati rispettivamente dai tratti settentrionale (lungo l’Appia) e meridionale (che guarda verso la chiesetta, detta Nunziatella. L’orientamento ora indicato, per motivi di semplicità, è solo approssimativo. Il lato Sud, misurato fra i centri delle due torri d’angolo, si estende per una lunghezza di metri 140. Presenta quattro cortine separate fra loro da cinque torri equidistanti, delle quali quella centrale leggermente più piccola, é a pianta quadrata, mentre, delle altre quattro, le due estreme sono a pianta circolare e le due intermedie a pianta semicircolare. Di metri 115 era il lato orientale con due torri intermedie. Di queste ne rimane una soltanto. Il lato occidentale(che guarda cioè verso Arienzo) misurato sempre fra i centri delle due torri d’angolo, presentava quasi la stessa lunghezza di quelli settentrionale e meridionale, ossia circa 140 metri. Fra le torri d’angolo aveva altre due torri intermedie, e fra queste ultime, a centro, l’unico ingresso al paese, che di sera veniva chiuso con grossi e robusti battenti, scomparsi nella seconda metà del secolo scorso. Siccome erano proprio le porte a subire i primi attacchi nemici é evidente che anche questa di Arpaia fosse, oggetto di cure particolari. Così questo ingresso lo vediamo aprirsi da una torre speciale assai più robusta delle altre.
Esternamente, al di sopra di questa porta, é ancora visibile il segno di una grande lapide che recava scolpito, assieme a qualche iscrizione lo stemma di chi l'aveva costruita o restaurata. Il lato settentrionale era separato dalla Via Appia mediante un grosso e profondo fossato naturale che raccoglieva le acque provenienti dalla montagna e dalla zona, allora incolta formata dall'attuale Piazza Ponzio Sannita (chiamata ancora oggi dal popolo Piazza Vallone) e dai terreni circostanti. Le persone anziane ricordano ancora detto vallone, benché molto rimpicciolito per il continuo depositarsi di pietre e terriccio, trasportatovi dalle acque lungo il corso dei secoli. Le mura, anche dagli altri tre lati, erano circondate da una simile protezione; di detto fossato adesso non esiste nessuna traccia. Quelle anzi del lato meridionale (Corte dei Cavalieri), bloccando la discesa del terreno alluvionale, che vi si è andato lentamente ammassandosi, vengono oggi a trovarsi sottoposte in alcuni punti anche più di un paio di metri. Il fossato lungo il muro occidentale veniva attraversato originariamente per mezzo di un ponte levatoio, che in seguito molto probabilmente diventò fisso. Ancora oggi l’espressione “fuori il ponte” usata comunemente dal popolo per indicare lo spazio esterno alle antiche mura in corrispondenza alla porta d’ingresso al paese, dimostra l'esistenza negli scorsi secoli e del fossato e del ponte. L’arco in tufi, in corrispondenza di Piazza del Popolo, venne costruito circa 70/80 anni or sono, allorché ivi vennero rotte le vecchie mura, per mettere in comunicazione via S.Angelo con la suddetta Piazza e con Via delle Grazie. L’ingresso al paese anticamente era uno soltanto, ossia quello dalla porta di cui abbiamo parlato. Lungo tutto il perimetro delle antiche mura (circa 535 metri) non rimane alcuna traccia di merli, parapetti, mensole, caditoie ecc... che certamente non potevano mancare, e che sono andate, assieme alla parte alta delle medesime, completamente distrutte. ...».
http://www.comune.arpaia.bn.it/oc/oc_p_elenco.php (da “La nostra Parrocchia”, marzo-aprile 1976).
«Arpaia, piccolo centro della Valle Caudina situato al limite della provincia di Caserta, domina con la sua posizione strategica la storica Gola delle Forche Caudine, luogo della pesante umiliazione inflitta dai Sanniti ai Romani. Questo piccolo centro, posto ai piedi dei Monti Meridionali del Partenio, dove declinano dolcemente nel fondovalle dei Suessolani, è dominato dalle rovine di un Castello-Fortezza che si erge su un largo terrazzo roccioso le cui radici si perdono tra il secolo VIII ed il secolo XII. Questo fortilizio, sorto a guardia della Via Appia, dal Passo di Arpaia, si immetteva nella Valle Caudina che per molti secoli fu terra di feudi e di conquiste. Se consideriamo poi, che questa cittadella è stata quasi sempre un luogo di confine tra il Sannio e la Piana della Campania, ci si convince che vi dovette essere un presidio ben fortificato. Si presume siano stati prima i Sanniti e poi i Romani a fortificare l'altura, costruendovi rocche e salde difese che nel corso dei secoli hanno cambiato padrone ed aspetto. Questi imponenti manufatti, con le robuste murazioni, fanno pensare che si tratti di una delle più grandi opere di fortificazione esistenti nel Sannio. Sulla sinistra del poderoso fortilizio, prospiciente al paese, la murazione della cortina è preceduta da un fossato, protetto da una controscarpa e da una muraglia semicircolare con assetti in pietra calcarea. Sulla destra, il muro protettivo va a collegarsi con la più estrema murazione di difesa che si sviluppa su un vasto perimetro che va dal lato prospiciente al Castello di Arienzo a quello che si affaccia sul Valloncello.
Questi ciclopici manufatti costituiscono la prima cinta difensiva, che il nemico avrebbe dovuto espugnare. Tra questi poderosi avanzi e la cinta difensiva della cortina, si apriva una grande scarpata, animata da piccole postazioni di vedetta, come tanti fortini, capaci di controllare l’entrata e l’uscita dal castello. Il sistema difensivo completava la sua funzione protettiva sul Vallone San Berardo e sul Valloncello, con una murazione alta circa cinque metri e con un fossato. La muraglia descrive un semicerchio verso la gola del Monte Parature e prosegue inerpicandosi sulle masse rocciose del Burrone che si affaccia sulla zona di S. Fortunato. Sulla sinistra dell’impostazione planimetrica, in terza posizione, tra la prima e la seconda cinta muraria, spicca, arditamente impostata, una struttura a guisa di mastio, capace di controllare il versante del Monte Tairano, quello di piana Maggiore e il Monte Olivella. Seguendo la direttrice del mastio, al centro della poderosa fortificazione, all’altezza di alcuni metri, si apre l’ingresso principale, protetto da due rivellini, entro i quali si azionava un ponte levatoio. Dal rivellino di destra, la murazione, seguendo un tracciato quasi poligonale, va a degradare sui dirupi rocciosi, sfruttando il vantaggio della difesa naturale. Al centro della complessa planimetria castellana, si ha motivo di scorgere imponenti masse murarie, molte delle quali sono ancora interrate. Le cose che sono attualmente rilevabili del Castello-Fortezza sono la complessa planimetria e gli elementi portanti dei vari alloggiamenti, a tratti intervallati, e la cortina che ci porta verso un nucleo centrale, dove è chiaramente leggibile il parametro abitativo. ...».
http://www1.asmenet.it/arpaia/index.php?action=index&p=224 (da Lorenzo Di Fabrizio, Arpaia Longobarda, 1999)
Arpaia (torre campanaria di San Ferdinando)
«La torre campanaria e l’attigua cappella costituiscono, insieme ai ruderi di murature a tratti affioranti dal terreno nelle vicinanze, le residue testimonianze del complesso abbaziale di San Fortunato, situato a ridosso del monte Castello, alle pendici meridionali del massiccio del Partenio. La vicinanza con la città murata di Arpaia, di epoca longobarda, e i caratteri architettonici degli archi a tutto sesto in pietre di tufo giallo con modanature lavorate a toro suggeriscono l’attribuzione del primitivo impianto all’VIII secolo, in analogia con la chiesa di S. Antonio Abate, situata al margine, opposto dello stesso abitato, lungo la via Appia, anch’essa ridotta a rudere ed interrata al di sotto di un’area utilizzata a giardino. Dall’esame della torre campanaria e della cappellina, che utilizza come pronao campate di volte a crociera, che si presume facessero parte di un chiostro porticato, si può formulare l’ipotesi, da verificare attraverso saggi di scavo archeologico stratigrafico, di un impianto abbaziale perimetrato da una cinta fortificata, in cui si accedeva attraverso l’atrio voltato della torre, secondo lo schema distributivo adottato dai Benedettini a Montecassino. Nelle murature del primo ordine della torre non si riscontrano sul fronte interno segni do ammorsature con altri corpi edilizi che possano far supporre una funzione di atrio di accesso alla Chiesa, come accade invece in altri edifici religiosi altomedievali della zona, quali S. Angelo in Munculanis a S. Agata dei Goti. L’insediamento abbaziale, documentato dalle fonti note a partire dal 1278, subì in tale epoca trasformazioni testimoniate dalla bifora conservata all’ultimo ordine della torre, che risulta ricavata dal frazionamento dell’arco in conci di tufo preesistente, tramite interposizione di una colonnina in pietra, presumibilmente di spoglio. Trasformazioni volumetriche o distributive del complesso abbaziale hanno nel tempo comportato la tamponatura dell’arco interno dell’originario portale di accesso e l’addossamento alla torre di una volta rampante e di una sovrastante falda di copertura, del cui innesto sulla muratura del secondo ordine restano evidenti tracce. Dai pochi ruderi rimasti visibili allo stato attuale non è possibile desumere la funzione nell’insediamento abbaziale di tale corpo aggiunto, da cui era previsto l’accesso al primo calpestio della torre campanaria e, attraverso la scala a chiocciola in blocchi di pietra, la salita all’ultimo ordine. ...».
http://www.ambientece.arti.beniculturali.it/soprintendenza/didattica/2006-07/Castelli%20e%20borghi/arpaia.htm (a c. di Flavia Belardelli)
Baselice (castello-palazzo Lembo, torre colombaia)
«Nel XVIII secolo in Largo Porta da Capo, sulle rovine dell’antico Castello, venne edificato “Palazzo Lembo” con i suoi magnifici affreschi il giardino pensile e la sua torre colombaia (crollata negli anni 80 ed oggi ricostruita) a ricordo di quella da difesa di un tempo» - «Situato all'estremo sud del borgo medioevale, aveva funzione di difesa alla "Porta del Capo" e, almeno al tempo dei Carafa, anche di abitazione del feudatario. Il castello fu acquistato nel 1764 dai fratelli Giovanni, Nicola, Vincenzo e Francesco Lembo. Questi, qualche anno più tardi, decisero di demolirlo, riducendo il sito sul quale esso sorgeva ad ampio giardino, cinto da una grossa muraglia. Costruirono così il loro Palazzo, incorporando in esso solo alcuni elementi dell'antico castello. I lavori durarono dal 1764 al 1790. Il giardino, di forma quadrata, presenta una superficie di circa 34 are, con un pozzo centrale e alcuni ruderi dell'antica rocca».
http://www.baseliceturismo.it/home/index.php?option=com_phocagallery&view=category&id=7&Itemid=61
http://www5.asmenet.it/opencms/opencms/asmenet/baselice/Turismo_info/info_turistiche...
Baselice (porte, torre del Capitano)
«Il Centro è posto su di uno sperone di roccia arenaria che si affaccia sulla Piana del Fortore, luoghi abitati sin dalla preistoria, e crocevia già dall’epoca romana dei due grandi tratturi che dagli Abruzzi (Abruzzo e Molise) e da Maleventum (odierna Benevento) portavano le greggi a svernare in Apulia. Il nucleo originario risale a prima dell’anno Mille. Erano poche case protette dalla Fortezza-Castello, oggi non più esistente, che si ergeva sull’odierno Largo Porta da Capo; tipico centro medioevale con sviluppo a “fuso lineare” cortine chiuse e porte di accesso. ... A Sud troviamo “La Porta da Capo” (XI-XII secolo), a Sud-Ovest “Lo Sporto” e “La Torre Capitanea” (X-XI secolo), e a Nord “La porta da Piedi”. Varcata “La Porta da Capo”, scendiamo su Via Roma, l’antica “Piazza Dritta”, dove troviamo sulla sinistra Palazzo Petruccelli, poi scendendo, una serie di case di impianto mercantile e su di una di queste l’antica “Pietra della Gogna”, e in fondo la chiesa Parrocchiale “S. Leonardo Abate” (XIV Secolo). Parallelamente a Via Roma si aprono altre due stradine, con case di estrazione contadina con tipologia a “Vafio”».
http://www.baseliceturismo.it/home/index.php?option=com_phocagallery&view=category&id=4&Itemid=58 - Itemid=59
«La cinta muraria di Benevento è una delle principali vestigia longobarde della città e costituisce un raro esempio di cinta urbana altomedievale ancora in discreto stato di conservazione. Ne rimangono oggi alcuni tratti consistenti: uno, che costeggia via Torre della Catena, delimita a sud il quartiere medievale del Triggio; un altro, del quale segue l'andamento il viale dei Rettori, costituisce la parte nord del perimetro del Piano di Corte; mentre l'ultimo è l'orlo meridionale della collina del centro storico, in corrispondenza di uno strapiombo sotto il quale si estendono i nuovi quartieri di Benevento. La cinta si apriva in otto porte, delle quali una era l'Arco di Traiano, ribattezzato Porta Aurea; un'altra, Porta Somma, fu poi inglobata nella Rocca dei Rettori; Port'Arsa, probabilmente sorta in epoca tardoromana, è l'ingresso al Triggio. Era a questa porta che conduceva la via Appia Antica, passando per il ponte Leproso. Le altre porte sono andate distrutte. ... La prima porzione delle mura fu costruita fra il VI e il VII secolo e interessava solo la riva del fiume Calore, a nord della città. Arechi II nell'VIII secolo invece fortificò anche le sponde del Sabato, includendo edifici romani superstiti come il Teatro e l'Anfiteatro. Ulteriori ampliamenti, ma di minore importanza, si ebbero nel 926. La struttura della mura è piuttosto varia: sopra un basamento in grossi blocchi di pietra calcarea e tufacea si innalzano le pareti in opus incertum, costituite essenzialmente da ciottoli di fiume legati a malta, ma compaiono in modo piuttosto irregolare laterizi e grandi pietre squadrate provenienti probabilmente da edifici romani. Nel corso dei secoli, però, le mura hanno subito numerosi rimaneggiamenti dovuti ai terremoti, all'abbandono o al loro riutilizzo come pareti di edifici. Alcuni tratti in mattoni che integrano, ricoprono o contraffortano le mura originarie, risalgono al XVII secolo o successivi, e alcune anomale concentrazioni di pietre e bassorilievi romani fanno sospettare che questi siano reperti archeologici applicati con intenti decorativi nel tardo XVIII secolo. Altri, in blocchi di pietra e mattoni, risalgono ad interventi tardo-ottocenteschi. Un restauro della cinta si è avuto negli anni Novanta».
http://it.wikipedia.org/wiki/Mura_di_Benevento
«La Rocca dei Rettori, sottinteso pontifici, domina per la sua mole Piazza 4 Novembre, il punto più elevato del centro storico di Benevento. Per volere di papa Giovanni XXII, la Rocca fu realizzata nel 1321, sul modello delle grandi costruzioni militari di Avignone e di Carcassonne (Francia). L’imponente edificio fu costruito sui resti di una fortezza-castello longobarda, costruita da Arechi II intorno all’875, sopra un’antica arce romana che dominava la via verso Avellino. La Rocca ricevette il nome attuale nel Medioevo, quando divenne sede dei governatori (rettori) pontifici. A essa sono legati molti avvenimenti storici. Tra le sue mura fu tenuto prigioniero Muzio Attendolo Sforza di Cotignola; nel 1443 vi fu insediato il Gran Parlamento del Regno; vi dimorarono l’umanista Traiano Boccalini, Stefano Borgia e Gioacchino Pecci, il futuro Leone XIII. L’aspetto attuale della costruzione è il risultato di numerosi interventi succedutisi nei secoli ed è perciò piuttosto disomogeneo. L’edificio si compone di due corpi distinti: il torrione angolare a pianta poligonale e il Palazzo dei Governatori pontifici, a pianta rettangolare con cortile interno. Il torrione, costruito dai Longobardi, era in realtà il castello vero e proprio. Alto 28 metri, nelle sue pareti si riconoscono pietre provenienti da edifici di età romana e vi si aprono bifore ogivali. Il Palatium, che nei secoli ha subito numerosi interventi di trasformazione, affianca particolari antichi, come i barbacani, a elementi neoclassici, come le finestre incorniciate. La costruzione si sviluppa su tre piani, con due torri di vedetta: il piano terra occupato dalle segrete; un doppio scalone conduce al primo piano organizzato in ampi saloni, con soffitti in legno; al secondo piano torri di guardia da cui si accede al terrazzo con ampia vista sulla città. Una rampa conduce al giardino posteriore che accoglie un lapidario e diversi frammenti architettonici di epoca romana. Recentemente restaurato, l’edificio è sede dell’Amministrazione provinciale di Benevento. Al suo interno è allestita la Sezione storica del Museo del Sannio, intitolata "Uomini eccellenti. Tracce del Risorgimento beneventano"».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/benevento/rocca-dei-rettori
«... Dopo l'ampliamento arechiano e il disuso del tratto da porta S. Lorenzo a porta Rufina, cui il tracciato della fine del sec. 6°-inizi 7° perveniva dall'arco del Sacramento, le difese proseguirono verso S, ove sono relativamente ben conservate, fino alla torre della Catena, un fortilizio costruito nel sec. 7° a presidio dell'area del teatro, dell'anfiteatro e della zona di arrivo della via Appia. Dalla torre della Catena, collegata nel sec. 8° alla cinta arechiana, le mura correvano verso E, poi verso N-E per ricongiungersi alla porta Rufina, spostata rispetto a quella della cinta più antica, e al tracciato del sec. 6°-inizi 7° che risale alla porta Somma, in origine arretrata di m. 150 ca. rispetto a quella dell'ampliamento realizzato entro il 926. In questo tratto si apriva forse già nel Medioevo la posterula dell'Annunziata ... Particolare accuratezza si ravvisa nella torre della Catena, realizzata in opus incertum con ciottoli di fiume e malta e con impiego di laterizi romani e di grossi blocchi di calcare locale di spoglio posti essenzialmente agli angoli fuori squadro. Il monumento presenta la consistenza delle parti migliori della prima murazione, configurando un'esperienza struttiva essenzialmente altomedievale. La torre appare oggi isolata dalle difese della Civitas nova a seguito dei bombardamenti del 1943, che hanno distrutto la parte centrale dell'edificio e l'ampio arco in laterizi e pietrame che Dacomario, primo rettore pontificio della città con Stefano Sculdascio, era stato autorizzato ad aprire fra la torre stessa e la cinta difensiva grazie a un diploma di Landolfo VI del gennaio 1077. Sia nelle mura sia nelle torri si nota la presenza di fori a distanze regolari su file parallele; si tratta di ancoraggi dell'impalcatura, ovvero degli alloggiamenti per travi di sostegno delle mensole che venivano montate l'una dopo l'altra, all'interno e all'esterno della struttura, con il procedere della costruzione in altezza. Qua e là nelle difese si rileva il riuso di frammenti scultorei d'età classica, fenomeno particolarmente vistoso nel fortilizio che muniva la più recente porta Somma e nella torre che segna la svolta della cinta verso N-O dopo questo accesso. ...».
http://www.treccani.it/enciclopedia/benevento_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29 (testo di G. Bertelli Buquicchio)
Benevento (torre de Simone, torre del Santo Panaro)
«,,,Sono superstiti alcune torri di avvistamento: la Torre De Simone (dal nome del palazzo che l'ha inglobata) e la Torre del Santo Panaro (così detta da un bassorilievo su di essa che raffigura un uomo con in mano un paniere) sono entrambe circolari e si trovano nella zona nord delle mura. Nella parte meridionale si trovano invece due torri a base poligonale, di cui la più notevole è Torre della Catena».
http://www.donatocalabrese.it/guidaturistica/tourlongobardo.htm
«Come attestato da alcuni ritrovamenti archeologici, la zona di Buonalbergo è stata fin dall’antichità oggetto di insediamenti sparsi tra il fiume Miscano e le montagne ad esso prospicienti. In particolare si ricorda Cluvia, menzionata da Tito Livio, cittadella sannita nei pressi del tratturo. Fu a lungo contesa dai Romani, che, in seguito, vi fecero passare la via Traiana, di cui oggi rimangono i resti di tre ponti. Con la crisi dell’impero romano, gli abitanti dei vari insediamenti si concentrarono presso il castello di Montegiove sul monte Chiodo, andato poi distrutto nel 1122, e in un castello a guardia della via Traiana e del tratturo d’origine longobarda, posto su un picco a ridosso di un torrente, chiamato locus Alipergus, come attestato da documenti risalenti al 1078. Il paese crebbe d’importanza con la dominazione normanna, ma, successivamente, le alterne vicende di lotta tra Impero e Papato ne determinarono la distruzione, nel 1469. Solo nel 1525 veniva edificata, su decreto regio, la prima domus: l’avvenimento ancora testimoniato da una lapide tuttora visibile in via Roma. Buonalbergo, chiamato così forse per l’ospitalità offerta ai pellegrini del santuario della Macchia, fu feudo degli Spinelli e poi della famiglia Coscia. Già parte del Principato Ultra, il paese fu il primo a innalzare il Tricolore nel 1860. Il centro storico del paese si articola in due rioni, uno chiamato Terravecchia arroccato su costoni prospicienti il torrente S. Spirito, mentre l’altro, Santijanni, deriva il suo nome da un’antica chiesa oggi trasformata in abitazione. Il centro di Terravecchia la piazza De Juliis, costruita a gradoni e sormontata dalla chiesa di San Nicola, del XVI secolo, ma ricostruita dopo il terremoto del 1962. Su di un altro costone impervio posta una croce bianca: questa costituisce ciò che resta del castello di Boemondo. Salendo a piedi lungo suggestive stradine, si giunge a Santijanni, costruito dopo il XVI secolo. In via Roma si può incontrare la prima domus di Buonalbergo; poco distante un altro palazzo gentilizio, Palazzo Panari, mentre di fronte si trova la Cappella dedicata all’Addolorata e a S. Anna. Caratteristica dell’architettura del paese sono i lammiuni (sovrappassi archivoltati). Qua e là affiorano le vestigia delle antiche strutture di fortificazione. In cima si trova piazza Garibaldi, dove una volta sorgeva una porta urbica e dove adesso si trova la chiesa di San Carlo Borromeo».
http://www.macchiacupa.it/includes/php/file/download.php?filemanager_id=34
Buonalbergo (palazzo ducale Spinelli)
«La casa comunale di Buonalbergo, Palazzo Spinelli, è un palazzo ducale del XVII secolo, di pregevole fattura. Vi si accede da un ampio portale, attualmente aperto, e recante tracce di cerniere di portone e sormontato dallo stemma ducale. Al di là del portale il visitatore si ritrova in uno splendido androne archivoltato che permette l'accesso al cortile interno e ai piani superiori del palazzo attraverso aperture simmetriche sui due lati. Dal cortile guardando verso l'esterno scorgiamo incorniciata dal portale e con lo sfondo della valle del Miscano una pietra miliare della via Traiana ritrovata in territorio di Buonalbergo e qui trasportata nel 1954».
http://buonalbergo.asmenet.it/index.php?action=index&p=73
«Grazie all’aerofotogrammetria è stato possibile individuare e riconoscere due fabbricati che sono, con molta probabilità, torri relative alla cinta muraria di difesa dell’abitato. Dette torri sono ubicate sul lato ovest del paese, la prima nei pressi di via Roma, in via Fornovecchio, la seconda all’incrocio tra le vie E. Caggiano e via S. Nicola. Esse hanno forma planimetrica tale da essere facilmente riconoscibili, infatti sono a pianta pentagonale irregolare, presentando un lato di dimensioni maggiori verso l’interno e coincidente con il muro di cinta, e gli altri lati, due a due uguali, con cuspide verso l’esterno. Nel sistema di fortificazione dovevano sicuramente esistere altre torrette di cui però non rimane traccia. Unica eccezione potrebbe essere una terza torre, di cui rimane traccia come confine catastale, inglobata nel grosso blocco di Palazzo Spinelli, la cui realizzazione deve aver profondamente modificato quella parte di murazione e quindi del sistema di difesa del paese. La torre di via Fornovecchio, chiaramente visibile e riconoscibile presenta pianta pentagonale; essa presenta un muro a scarpa verso ovest. Contrariamente al rigore urbanistico del centro abitato, le tracce ancora presenti di fortificazione, tra cui quelle più evidenti sono le torri di via Fornovecchio e di via E. Caggiano, hanno caratteristiche sia planimetriche che in elevato che le fanno posizionare, cronologicamente, nel XV secolo. ...
Dalla lettura del Vitale [T. Vitale, Storia della Regia Città di Ariano e sua diocesi, Roma 1744] si è appresa la presenza di una fortificazione dell’intero abitato e della presenza di tre porte urbiche : Porta Nova, Porta Vallone e Porta Beneventana. L’ubicazione delle porte di accesso al paese può essere data con certezza per quanto riguarda Porta Nova e Porta Vallone. La prima era situata, all’estremo nord del paese verso la piazza Mercato, così chiamata sino agli inizi del 1900 ed ora ufficialmente detta piazza Garibaldi, ma da tutti i buonalberghesi conosciuta come Porta Nova, per cui il nome della Porta ha dato il nome, nella tradizione popolare, all’intera piazza ed addirittura a tutta la zona. La Porta Vallone doveva, presumibilmente, essere ubicata a sud, nei pressi del torrente S. Spirito, comunemente detto Vallone, in corrispondenza di quello che doveva essere l’asse viario principale nord - sud, quindi ubicata nei pressi dell’attuale piazza Castello. Per quanto riguarda la Porta Beneventana vi è ancora incertezza in quanto se è sicura la sua posizione verso ovest, verso Benevento, come anche il Vitale ci dice, non si può dire se fosse ubicata in corrispondenza della via Roma o nella zona del Palazzo Spinelli (attuale Municipio). Certa è invece l’assenza di una porta sul lato est dell’abitato, vista la presenza dello strapiombo verso il torrente S. Spirito. L’asse principale di percorrenza nord - sud doveva essere costituito dall’attuale via S. Perrelli con ingresso dalla Porta Nova, dalla discesa al nucleo di Terravecchia attraverso via Roma ed un sistema di rampe, che permettesse di superare il forte dislivello, e quindi da via XI febbraio, per giungere alla Porta Vallone, nei pressi del vecchio nucleo medievale. ...».
http://buonalbergo.asmenet.it/index.php?action=index&p=247 (a cura dell'arch. Luigi Salierno)
Buonalbergo (ruderi del castello di Boemondo)
«Nel Catalogo dei Baroni si ha, forse, la prima testimonianza del nome moderno del paese riportata in un documento ufficiale. In documenti precedenti, intorno all’anno mille, lo si trova citato come "loco Alipergo" o solamente "Alipergo". Un recente studio di un glottologo ha posto in evidenza il fatto che il nome moderno di Buonalbergo potrebbe avere una doppia derivazione, una dialettale (il nome dialettale è Buoniprieolo) di derivazione molto antica, dalla lingua osca; l’altra medioevale e quindi da lingue germaniche. Il significato osco del termine dovrebbe indicare un luogo preminente, un poggio (come nel termine latino pergula). Il nome Buonalbergo potrebbe essere sempre un nome composto in cui Alipergo (il nome medioevale) deriva da Hari Berg (= rifugio per l’esercito). Riveste, dunque, grande importanza il toponimo e la sua esatta interpretazione ed origine in quanto fornisce importanti indicazioni sui primi abitatori della rocca, su uno sperone a valle del monte S. Silvestro: si dovrebbe trattare di un fortilizio longobardo prima e castello normanno poi, ubicato su quel roccione che oggi viene indicato come "lo Castiello" (il Castello) con il relativo abitato ai suoi piedi. Ma non è improbabile che lo stesso luogo fosse già utilizzato in passato da antichi abitatori italici. Cosa certa è che questo "loco" ha fornito uomini per la conquista della Terra Santa e tra questi uomini, primo fra tutti, Boemondo I da Buonalbergo, figlio di Alberada e Roberto il Guiscardo, insignito del titolo di principe di Antiochia.
Non si può, d’altra parte, mettere in secondo piano il fatto che nell’attuale territorio di Buonalbergo fosse ubicato un secondo castello, con relativo abitato, nella stessa epoca dell’altro, sul Monte Chiodo, conosciuto come Feudo di Monte Giove e distrutto nel 1122 da Guglielmo, duca di Puglia. Questo fatto potrebbe essere significativo poiché è probabile che la popolazione di quel feudo, a seguito della distruzione, sia, almeno in parte, confluita verso l’abitato più a valle, e quindi ne sia diventata parte integrante. Fatto certo, allo stato della ricerca, mancando la consultazione di eventuali documenti che possano far luce sull’abitato medioevale di Alipergo e non essendo mai stato avviato uno scavo archeologico, è che detto abitato fu distrutto nel 1495-96 durante la "discesa" in Italia dell’imperatore Carlo VIII e, forse, in parte rovinato a seguito di eventi sismici e frane. Sicuramente a seguito di questi eventi il paese fu riedificato immediatamente a monte del vecchio abitato e ne è prova una risoluzione della Consulta della Regia Camera su domanda di Alfonso de Guevara, signore di Buonalbergo, nell’anno 1515, che esimeva dal pagamento dei tributi i cittadini del paese, visto il forte impegno economico per la ricostruzione dell’abitato. Purtroppo, tale documento, è andato perduto e ne restano solo le citazioni degli storici del ‘700 e dell’800, i quali ce ne trasmettono il contenuto».
http://buonalbergo.asmenet.it/index.php?action=index&p=247 (a cura dell'arch. Luigi Salierno)
Buonalbergo (taverna di Monte Chiodo)
«Il più antico documento sulla Taverna di Monte Chiodo è fornito da una relazione della Reintegra ordinata da Filippo IV al reggente Capecelatro (1650) in cui essa è citata; in questa occasione furono fatte le prime piante dei Tratturi, delle quali quella riportante il tratto su cui insiste la Taverna non è stato rinvenuto. Nel 1727 la Terra di Buonalbergo ed i Feudi Montechiuovi e Montemalo furono venduti da Ippolita Spinello (ultima erede di quella famiglia) a Baldassarre Coscia, duca di Paduli, per duemila ducati. Nella rivela del 1743 relativa ai Forastieri e Bonatenenti di Buonalbergo, sono riportati i beni del Duca di Paduli, Baldassarre Coscia, tra i quali sono "... La Taverna col passo in Montechiodo e con la piazza in questa medesima terra unitamente con li qui a basso descritti dei corpi di terreni alla medesima taverna assegnati per dote e per uso di campo ..." Altro riferimento alla Taverna risale al 1745, nel libro IV di Francesco Maria Pratilli, intitolato "Della Via Appia Riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi". La Taverna di Montechiovo è riportata tra Buonalbergo e Casalbore lungo la via che da Benevento conduceva a Troia (Aecae). Va osservato, in proposito, che, sebbene il Pratilli commetta alcune imprecisioni di carattere topografico, il fatto che lòa Taverna sia riportata come unico elemento degno di nota tra Buonalbergo e Casalbore attesta non solo la sua esistenza antecedente al 1745 ma anche la sua fama» - «La Taverna era un tempo usata come luogo di sosta durante la transumanza (gli ultimi passaggi di pecore si sono registrati nel 1959) e fu a tale scopo costruita sul tratturo Pescasseroli-Candela, dopo la riorganizzazione dei tratturi angioini. La facciata principale si distingue per la presenza di due torrette cilindriche angolari, di aspetto difensivo, in corrispondenza della zona centrale si notano tracce di una loggia a tre archi. L’impianto planimetrico è a corpo doppio e triplo. I collegamenti verticali sono ottenuti tramite uno scalone interno di servizio a quattro rampe. Le coperture del piano terra sono voltate. In particolare il corpo anteriore, a sud, un’aggiunta posteriore ha un androne con volta a vela ribassata. Sempre nell’atrio, in corrispondenza del fronte laterale destro, è collocata una fontana in pietra squadrata che raccoglie l’acqua di un’antica sorgente».
http://www.gruppoteatraledibuonalbergo.it/Tavernamontegiove.html - http://www.buonalbergo.eu/readarticle.php?article_id=12
«L'edificio denominato Cascina Panari ha una struttura a corpo unico rettangolare sviluppato su tre piani. La tecnica costruttiva usata per le strutture verticali è quella della muratura continua in pietra a corsi irregolari; sono presenti, altresì, pareti in "mattoni alla beneventana". Gli orizzontamenti sono ottenuti con coperture con volta a botte con profilo a tutto sesto al seminterrato, una serie di volte a crociera su archi a tutto sesto al primo livello, solaio al piano superiore. Il tetto di copertura è a padiglione ed è rivestito con tegole in laterizio. L'edificio denominato Torre Colombaia fu realizzato nel secondo quarto del XVIII secolo ed è una struttura a corpo unico rettangolare sviluppato su tre piani, realizzato in muratura continua e coperto con volta a botte al piano terra e con solai ai piani superiori. Le coperture si trovano in pessime condizioni a causa dello stato di abbandono in cui versa la torre».
http://app1.provincia.benevento.it/art48/wp-content/uploads/1900/02/DG-2006-691.pdf
Calvi (palazzo Federico II o Casino del Principe)
«"Apud Beneventum" (Presso Benevento). Nel 1246 così scriveva l'imperatore Federico II dal suo palazzo del Cubante, al papa Innocenzo IV, eletto da poco, per trattare la pace, essendo stato scomunicato dal precedente papa Gregorio IX. In un documento ritrovato negli archivi segreti del Vaticano da mons. Laureato Maio datato 1272, si legge: "et totum Cubantem tenet Ecclesia Sancte Sofie de Beneventum excepto palatio quod iniuriose fecit ibi construi Fridericus Imperator", tutto il territorio del Cubante è possedimento della tenuta ecclesiastica di S. Sofia di Benevento, tranne un palazzo che in maniera ingiuriosa fece costruire l'imperatore Federico II (1229 - 1240). Il Castello federiciano situato su una piccola altura, a 250m s.l.m., si affaccia sulle valli del Sannio e dell'Irpinia, offrendo una sensazione di quiete e serenità, interrotta solo dal gorgoglìo delle acque del sottostante fiume "Calore" dove si possono ammirare i resti di un antico ponte romano (Ponte Rotto)» - «Il Castello di Federico II, detto "Casino del Principe" si trova sulla cima di una piccola collina in località Cubante. Esso risale al XIII secolo e fu fatto costruire dall'Imperatore svevo; secondo alcuni perché doveva servire come sosta di riposo durante i suoi trasferimenti a Melfi; secondo altri per poter essere presente sul luogo durante le trattative di pace con i beneventani nel periodo dei conflitti con il Papato. L'edificio, di forma circolare, in pietra grigia è ad oggi sostanzialmente integro, anche se non in ottimo stato. Fino a tempi piuttosto recenti era abitato. Una parte del castello è stata ristrutturata ed è ora adibita a centro agrituristico».
http://www.kijiji.it - http://it.wikipedia.org/wiki/Calvi_%28Italia%29#Il_Casino_del_Principe
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il Castello di Campolattaro si trova alle pendici del Monte Toppa Guardiola, al centro della piazza intorno alla quale sorge il borgo medievale caratterizzato nella parte alta da stradine ripide. L’edificio fortificato si sviluppa su una pianta rettangolare di 350 mq attorno ad un cortile centrale e offre verso valle, a meridione, la facciata delle Torrette, mentre verso il paese, a settentrione, la facciata a scarpate chiamate “barbacani” – ossia strutture di rinforzo delle antiche fortificazioni. Le prime notizie storiche riguardanti il castello risalgono al X secolo, in concomitanza con la formazione del primo nucleo abitativo di Campolattaro e con il periodo che vide i borghi medievali dotarsi di fortificazioni difensive. Intorno all’anno Mille vi era solo una torre costruita a scopo difensivo dai Normanni, i quali dominarono Campolattaro dal 1043 al 1139, anche se molto probabilmente il borgo era già abitato in tempi più remoti. Nel 1138 re Ruggero ordinò che il borgo venisse incendiato per punire la popolazione che si era a lui ribellata. Nel XIII secolo si cominciò a costruire la vera e propria architettura del castello, modificando la preesistente torre normanna a base quadrata ed edificando una solida struttura difensiva fortificata da torri, bastioni e barbacani, struttura perfezionata poi da Angioini ed Aragonesi con l’aggiunta di ulteriori torri a base circolare e cortine ricche di merlature. L’edificio subì in seguito nuovi interventi per la sua graduale trasformazione in luogo di residenza. Nel 1350 il borgo fortificato, chiamato Castrum Campilactari – come ricorda una Bolla di papa Clemente VI – entrò a far parte del Contado di Benevento.
Nel XVI secolo venne edificata la Cappella palatina, come testimonia una lapide murata all’ingresso, che fu riconsacrata a San Martino nel 1717 dall’arcivescovo di Benevento, cardinale Vincenzo Maria Orsini, eletto poi Papa col nome di Benedetto XIII. Nel 1589 il castello diventò feudo della famiglia di Capua e nel 1612 il marchese e signore del feudo Fabrizio III lo diede a Giovan Battista di Capua II come dono di nozze insieme alle Terre di Morcone e al feudo di Ordichella. Nel 1659 Domenico Marra di Capua decise di vendere il Marchesato per 8.000 ducati a Michele Blanch, la cui famiglia ne rimase proprietaria fino al 1813, anno in cui Giovanni de Agostini da Circello comprò il castello da Gennaro Blanch. Nel 1861 la rocca venne incendiata e saccheggiata dai briganti. Il castello ad oggi è di proprietà delle famiglie De Agostini e Ciannella. Si può supporre che il castello abbia annoverato fra i suoi ospiti anche esponenti dell’Ordine monasticocavalleresco dei Templari, come sembra suggerire l’esistenza di graffiti raffiguranti le croci tipiche dell’Ordine e il simbolo della Triplice Cinta (o del Triplice Quadrato), che consiste in tre quadrati concentrici tagliati sui lati da quattro segmenti. Queste ultime incisioni, che si trovano spesso anche nelle chiese medievali fino al XIII-XIV secolo, furono praticate sui gradini dell’ingresso di un ambiente ad oggi adibito ad appartamento; generalmente contrassegnavano luoghi di particolare sacralità per questi cavalieri, come attesta la loro presenza in molti degli edifici che ospitavano i Templari durante i loro viaggi verso Gerusalemme, in Terra Santa.
L’edificio è interamente visitabile. La struttura si presenta con le originarie fortificazioni:mura perimetrali rinforzate da barbacani; una torre normanna a pianta quadrata alta venti metri attigua al cortile centrale; una torre di avvistamento; una torre cilindrica da difesa; una torre campanaria con “bertesche”, ossia opere difensive in muratura o legname, sporgenti rispetto alle mura o poste fra le merlature allo scopo di permettere al difensore di restare coperto durante le battaglie pur continuando a offendere. L’interno si articola in circa sei appartamenti, per un totale di quaranta stanze. Si entra nel castello varcando il fossato e l’ingresso con arco in pietra, ritrovandosi così nella piazzetta d’epoca. Sulla corte interna si apre la cinquecentesca cappella palatina intitolata a San Martino. Annessi alla cappella vi sono un coretto in legno con un organo a canne, una torre campanaria a pianta quadrata con scala a chiocciola in legno, un passaggio con postazione di difesa “a feritoia” e una sacrestia. All’interno trovano posto alcune statue raffiguranti la Vergine Addolorata, la protettrice del castello Santa Filomena, San Francesco, San Martino, San Stanislao. Durante la visita è possibile accedere al Trapeto, ossia al frantoio, risalente al XVII secolo. Si tratta di un locale con volte a vela, con frantoio oleario, macina e torchio in pietra. Accanto si può entrare nella vecchia mangiatoia della stalla e nell’antico grande Cellaio, la dispensa alimentare del castello. Sono anche visitabili le nicchie delle antiche prigioni.
Al primo piano si può vedere l’originale parete in pietra del Mastio, la torre quadrata principale, riferibile all’anno Mille, ed è possibile ammirare oggetti appartenenti alla famiglia proprietaria nel Laboratorio artigianale–artistico per la lavorazione dei metalli e del cuoio. Passando per la loggetta ad arco in pietra che si affaccia sul cortile interno, si accede all’ex Piazza d’Armi, alla Sala di ricevimento e al balcone storico. Nelle altre Sale sono custoditi i Disegni Accademici e gli Acquarelli degli antenati; i lavori in cuoio; la Gipsoteca – collezione di modelli di statue o parti architettoniche – di famiglia; le tavole catastali del XVIII secolo dei possedimenti del castello; armi e cinture di castità; ricami e lavorazioni al tombolo. Inoltre è possibile visitare la torre normanna e ispezionare il “trabocchetto”, cioè un dispositivo a forma di botola che poteva essere aperto a comando facendo precipitare chi vi sostava sopra, e la cisterna pluviale. È consigliato salire alla colombaia della torretta di avvistamento, dove quattro aperture poste ai quattro punti cardinali permettono di godere del suggestivo panorama che abbraccia le colline circostanti e i paesi limitrofi».
http://www.fondoambiente.it/upload/oggetti/castello_Campolattaro.pdf
Casalduni (borgo, ruderi della torre di Racchi)
«Casalduni è un antico borgo appartenente alla comunità montana dell'Alto Tammaro che conta circa 1500 abitanti la cui economia è di tipo prevalentemente agricolo. Dista circa 24 km da Benevento ed il suo centro storico è caratterizzato da un piccolo agglomerato urbano accogliente ed ordinato dotato di uno splendido panorama sulle colline e le vallate circostanti tra cui si può ammirare l'imponente profilo della Dormiente del Sannio. Il rinvenimento di alcune iscrizioni attesta che anticamente fece parte della Colonia Telesina. Sotto i Normanni appartenne alla baronia di Fenucchio, sotto gli Svevi ad una Domina Sibilia di Casaltuno, sotto gli Angioini ai Sus, ai Shabran, al capitano De Attendolis, ai Caracciolo, ai Carafa, e sotto gli Spagnoli ai Sarriano che ne hanno portato il titolo di conte fino all'inizio del XX secolo. Fino al 1811, fece sempre parte del Principato Ultra e fino al 1861 del Molise. Passò quindi alla provincia di Benevento. Monumenti e luoghi di interesse: ... Torre di Racchi, una torre di avvistamento del XVII secolo, da ristrutturare [proprietà degli eredi Racchi]».
http://www.sannioturismo.com/borghi_castelli.html
«Dalle ricerche effettuate e dai dati in possesso possiamo sostenere che il paese già esisteva intorno all'anno mille e dipendeva dalla Baronia di Tommaso Finucchio che la cedette a un certo Guglielmo di Rampano. Ciò è riscontrabile nel catalogo dei Baroni Normanni dove è testualmente riportato che Casalduni era un feudo governato da Guglielmo di Rampano "Feudo costituito da un milite". Nel 1100 Casalduni fu ceduta dagli Angioini alla Casa di Sus e fu posseduta da una certa Ilaria di Sus, figlia di Americo, membro della casata dei Sabrano, Conti di Ariano al seguito di Carlo d'Angiò. In quel periodo faceva parte del Principato Ulteriore. Nel 1320 risulta che fosse un centro più grande e ben più importante di Pontelandolfo e di S. Lupo, paesi vicini, come dimostrato da una bolla del 1351 che ne delimitava l'estensione. In seguito i Sabrano furono spogliati dei loro feudi per aver consigliato Giovanna II regina di Napoli di parteggiare per Luigi d'Angiò contro Re Alfonso d'Aragona e i loro possedimenti furono dati a Francesco Attendolo Sforza, capitano di ventura. Tra il 1420 e il 1425 il Castello Ducale passò ai Caracciolo, poi definitivamente ai Carafa per il matrimonio di Maria Caracciolo e con Diomede Carafa, Conte di Maddaloni. Nel 1506 Ferdinando il Cattolico ne confermò la cessione a Tommaso Carafa. Nel 1538 Diomede II Carafa vendette il Castello a Pietro Sartiano che acquisì il titolo di Conte di Casalduni. Nel 1688 Casalduni fu distrutto da un terremoto, ad eccezione del castello e delle chiese di San Rocco e di S. Maria della Consolazione. La famiglia Sartiano abitò nel castello fino al 1850 quando Ferdinando e Vittorio Cocucci lo acquistarono. Nel 1974 la famiglia Cocucci vendette il castello a Giuseppe De Michele. Ridotto a rudere, fu acquistato nel 1988 dall'Amministrazione Comunale che lo ha restaurato parzialmente e riaperto al pubblico il 12 Luglio 1997. L'edificio, attualmente sede della Biblioteca Comunale e di attività culturali come convegni, conferenze, mostre e sagre, colpisce il visitatore per la sua imponenza e per la gradinata d’accesso che conduce al portone d’ingresso. Di qui si accede ai piani superiori dove, attraverso le antiche finestre rettangolari con ornie in pietra scolpite, si ammira, in un incantevole paesaggio, la valle circostante. Suggestivi sono la torre cilindrica angolare ed il tratto dell’antico camminamento di ronda».
http://castelliere.blogspot.it/2012/03/il-castello-di-martedi-20-marzo.html
Castelfranco in Miscano (borgo fortificato, ex convento di S. Maria)
«L'origine del borgo è legata ad un Castello posseduto da un franco, nel periodo angioino. L'identità di questo piccolo paese del beneventano è già espressa dal suo toponimo; l’origine franca della fondazione e la posizione geografica presso il fiume Miscano. ... In origine fu feudo del Signore di Montefalcone, chiamato Rarifre, dalla cui famiglia passò poi ai Buisson. Nel 1496 Castelfranco fu luogo di convegno degli alleati aragonesi, sotto il comando dei famosi condottieri Giovanni Sforza, signore di Pesaro e Giovanni de Gonzaga, fratello del marchese di Mantova, per muovere contro i francesi di Carlo VIII che assediavano Circello. A pochi chilometri da Castelfranco è sito l'ex feudo di S. Eleuterio, dov'era l'osca tuticus, cioè il quadrivio che in epoca romana era protetto da un arco di transito. Castelfranco fece parte del Principato Ultra, fino al 1861 di Benevento e passò poi alla Capitanata con il distretto di Bovino. È stato inoltre uno dei primi paesi del Mezzogiorno che, nel 1860, dichiarò caduto il governo borbonico. Infatti sin dal 1 aprile il tricolore sventolava sul castello di Castelfranco. ... Il fabbricato a due piani fuori terra, denominato "ex monastico conventuale", in zona centale, fra Piazza Caduti e Viale Umberto 1°, confina con la Chiesa di S. Maria ed annessa casa canonica. Lo stabile è di antica costruzione e il primo impianto risale al sec. XIII. I motivi architettonici che l'edificio sono tipici delle costruzioni dell'epoca e dei luoghi; i prospetti sono lineari, la facciata su Piazza Caduti è intonacata mentre quella laterale è a faccia vista in pietrame squadrato: La scale, in pietra, per accedere al primo piano è costituita in una unica rampa: Le principali caratteristiche costruttive sono: una struttura portante in muratura di pietrame, i solai di interpiano e quello di copertura del primo piano sono a volte, la copertura del tetto è in ferro con sovrastante lamiera grecata e manto di tegole. ...Attualmente è il risultato dall'accorpamento di più nuclei del complesso conventuale. Fu sede della Pretura e del Carcere Mandamentale, Completamente ristrutturato dopo il terremoto del 1980 divenne sede della Casa Comunale».
http://www.limen.org/BBCC/tutela/Conservazione%20delle%20citt%E0/Campania/Castelfranco...
«Il castello si trova nel centro urbano del comune di Castelpagano nella zona dell’Alto Sannio compresa nella provincia di Benevento. Il territorio comunale fa parte della cosiddetta area dei tratturi (regione appenninica dove nel lungo periodo si è affermata un tipo di economia largamente basata sull’allevamento transumante). Si trova sui medi e bassi versanti dei controcrinali che si diramano dalla dorsale dell’Appennino campano. Ha un’altitudine che varia dai 640 agli 850 metri sul livello del mare e si inserisce nel bacino del fiume Tammaro attraverso il torrente Tammarecchia (Tavoletta II N.O. Cercemaggiore del Fol. 162 della Carta d’Italia - I.G.M.). Il castello è situato nel nucleo più vecchio del centro abitato presso la piazza principale» - «Il sito ove attualmente sorge il palazzo era occupato da un castello di epoca normanna. Di esso oggi resta solo la testimonianza della data di costruzione. Il complesso fu occupato e restaurato successivamente dagli Angioini e rimane inalterato, con le quattro torri, il ponte levatoio, l'ingresso per accedere nel borgo e le carceri, fino al 1688, anno in cui fu distrutto dal terremoto; la ristrutturazione che ne conseguì la ridusse alle attuali dimensioni. Dell'intervento angioino restano il portale d'ingresso ad arco ogivale, la feritoia che si trova a destra di chi entra e il foro di difesa nella parte superiore. Ancora oggi il palazzo è in posizione dominante sia rispetto al centro storico che alla vallata che ne fa da sfondo».
http://xoomer.virgilio.it/srampone/sdistem/territ/castpag/storia.htm
Castelpoto (borgo, palazzo ducale)
«Castelpoto, comune della provincia di Benevento, è situato nella vasta conca del capoluogo, fra i corsi dei torrenti Ienga e Lossauro. Il paese sorge in territorio collinare, attraversato dalla valle del fiume Calore, il cui corso è contraddistinto da una rigogliosa vegetazione ripariale. Il paesaggio circostante l’abitato è prevalentemente interessato da coltivazioni di vigneti e da macchia mediterranea. Il centro storico di Castelpoto, dominato dal palazzo ducale, conserva l’aspetto di borgo medievale, con vicoli stretti e tortuosi e abitazioni in pietra. Il borgo di Castelpoto, sorto in epoca longobarda, passò in seguito ai normanni e fu infeudato nel XII secolo a Ugo di Castelpotone e al figlio Ugo Iuniore. Entrò quindi a far parte dei possedimenti di Tommaso di Fenucchio e nel XIII secolo fu sottoposto alla giurisdizione della badia di Santa Sofia. Durante la dominazione angioina Castelpoto fu concesso alla potente famiglia Della Leonessa. Fra XVI e XVII secolo il feudo pervenne ai Caracciolo, a Fabio Ricca e infine all’avvocato Bartoli, insignito, dal re di Napoli Carlo VI, del titolo di duca»- «La struttura urbana di maggiore evidenza all’interno del centro storico è il castello che si presenta come una costruzione a pianta quadrata con antistante cortile. Alti muri rivestono il costone roccioso, definendo la superficie di impianto della struttura. I fianchi si presentano inclinati, in modo da incrementare le basi d’appoggio. Dall’analisi della muratura si nota che dalla primitiva struttura sono presenti solo limitati tratti di mura, identificabili nei livelli inferiori della torre sul lato nord. L’acceso attuale al castello è costituito da una lunga rampa su arcate, successivamente tompagnate per delimitare spazi all’interno dei quali ricavare stalle e cantine».
http://www5.asmenet.it/opencms/opencms/asmenet/castelpoto - http://www.fullholidays.it/viaggi_vacanze/14/62/1757/comune_castelpoto.aspx
Castelvenere (borgo, resti del castello)
«La prima attestazione del termine, risalente al 1308, è contenuta nelle "Rationes decimarum", in cui si fa menzione di un casale denominato Vieneri; nel cedolario del 1320 il luogo non è citato, mentre compare regolarmente nelle numerazioni relative al periodo 1542-1669. Meomartini riferisce che Castelvenere esisteva già in età angioina come casale di Telese, concesso in feudo al monastero di San Salvatore Telesino, del quale seguì le sorti fino alla soppressione della stessa badia e dell'omonima commenda; sostiene inoltre che il paese viene citato come Casalveneri in tutte le investiture feudali e nell'inventario dei possedimenti del suddetto monastero di San Salvatore. Nell'apprezzo del feudo di Castelvenere redatto nel 1638 dal tavolario Giampietro Gallerano è contenuta la descrizione del castello edificatovi dalla famiglia Monsorio, chiamato appunto Castiel Venere. La località è sempre citata nelle opere che descrivono il Regno di Napoli tra la fine del XVII e l'inizio del XIX secolo: secondo Beltrano (1671) Castelvenere è una terra in provincia di Terra di lavoro, tassata nel 1669 per 33 fuochi; Galanti (1789) la riporta come Veneri, centro in provincia di Terra di lavoro con una popolazione di 435 abitanti; Sacco (1795-1796) riferisce che Castelveneri o Castelvenere è un casale di Terra di lavoro abitato da circa 400 persone; Giustiniani (1797-1805) la chiama Castel Veneri, Castelvenere o Castello Venere, terra in provincia di Terra di lavoro con una popolazione di 400 abitanti. Nella "Legge per la circoscrizione dei governi del Regno" (1807) l'università è chiamata Veneri, mentre a partire dal successivo "Decreto per la nuova circoscrizione delle quattordici province del Regno di Napoli" (1811) il comune è definitivamente citato con il nome di Castelvenere. In conclusione è presumibile che la specificazione Castel sia stata premessa all'originaria denominazione Veneri dopo la costruzione della fortezza, eretta dai Monsorio agli inizi del Cinquecento, e che l'abbia accompagnata in modo discontinuo fino all'assunzione formale del nome composto, verificatasi nel corso del decennio francese». [Del castello pochi resti, tra cui una torretta difensiva, per altro crollata il 29 maggio 2006].
http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=23889 (a c. di Fiorella Amato e Daniela Pagano)
Castelvetere in Val Fortore (palazzo marchesale Moscatelli)
«Palazzo Moscatelli, sito in via Roma, via Castello, corso V. Emanuele e via Noceto, il palazzo, di forma irregolare a tre piani, si adagia sul crinale di un dosso e ne segue l'andamento col singolare ingresso principale; opera di Antonio Francesconi è la cappella gentilizia annessa al palazzo. La costruzione iniziò intorno al 1650 e fu completata verso il 1700 dai marchesi Moscatelli; nel corso degli anni e fino al 1970 subì numerosi rimaneggiamenti» - «Il territorio di Castelvetere situato al confine col Molise e, fino al XIX secolo, appartenente alla Capitanata, include anche il villaggio abbandonato di Campanaro ricordato nel catalogo dei baroni. Nel XII secolo risultava diviso in due suffeudi. Nel XIV secolo, sotto il dominio dei d'Angiò, si ebbe la saldatura dei due feudi e l'accrescimento del tessuto edilizio riconoscibile nel quartiere di forma trapezoidale, attraversato da un asse centrale ad andamento curvo e diviso in isolati rettangolari stretti e paralleli, che si trova nella parte bassa del centro storico alle spalle della dimora della famiglia Moscatelli, ex palatium fortificato trecentesco (integrò l'originario castello, non in grado di ospitare il suffeudatario), trasformato in residenza civile nel XIX secolo e dotato di una cappella di stile neoclassico dovuta all'arch. Antonio Francesconi. Nella prima metà del XVI secolo si registrò un ulteriore ampliamento dell'area urbana con la costruzione di un impianto di isolati a maglie larghe che ricordano approssimativamente quelli di forma quadrata di Buonalbergo e che si sviluppano linearmente al lato ed in connessione con l'insediamento medievale. Notevole fu, infine, l'espansione edilizia che si realizzò tra il XVIII e gli inizi del XX secolo realizzando in progressione case a schiera lungo i bordi della strada a valle di cui assunse la forma serpeggiante ed estremamente allungata»».
http://www.comune.castelvetereinvalfortore.bn.it/index.php?action=index&p=221 - http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=22
Castelvetere in Val Fortore (resti della torre circolare)
«Il poleonimo Castelvetere trae origine dal latino castrum vetus, vale a dire castello vecchio. In diverse fonti viene riportato nelle varianti Castro Vetere e Castro Vetulo. La prima attestazione di questo centro fortificato risale al 1094, quando fu donato dai conti di Boiano all'abbazia beneventana di Santa Sofia. Già in questa circostanza viene denominato "castrum quo vocatur vetus" lasciando supporre che si trattasse di un accentramento abitativo dotato di strutture difensive, probabilmente risalenti al X secolo. In una bolla del papa Pasquale II del 1102, con cui se ne conferma il possesso a S. Sofia, viene richiamata insieme alla denominazione (castellum vetus) la chiesa di San Nicola vescovo (edificio religioso tuttora esistente e sede della parrocchia). Si tratta di una dedicazione diffusasi verso la seconda metà dell'XI dalla quale si può dedurre l'esistenza di un intervento di epoca normanna che portò alla riorganizzazione del centro abitato ed alla costruzione della chiesa e del castello vero e proprio. L'originario insediamento doveva situarsi nella parte più alta del paese dove si trova un tessuto edilizio basato su una matrici geometriche precise e iscritto in un quadrilatero ripartito in due settori da un asse stradale ortogonale agli isolati e molto simile al nucleo d'origine di Paduli. L'addizione realizzata dai normanni dovette riguardare il quartiere che copre tutta la parte alta del paese e che ha come limite la zona a forma di cavea semicircolare, dove si trova la torre di foggia angioina, residuo di un balium militum, una piazza ed una porta urbica al cui esterno si trovava il tempio dedicato a San Nicola. Quest'ultimo presenta un portale con arco a sesto acuto e piedritti di spoglio (quello sinistro, in particolare, evidenzia motivi decorativi altomedievali). La posizione dell'edificio religioso conferma la datazione del primo impianto medievale. Il castello ebbe breve durata e risultava distrutto già nel XV secolo, come si ricava da un breve del papa Pio II. Fu trasformato, forse, proprio in tale periodo in un centro delle difese fisse come si usava fare in quella fase di transizione delle tecniche militari» - «...Vi sono poi resti di una torre, di forma cilindrica che fu costruita al tempo dei normanni nel sec. XI. Costituiva il nucleo primitivo intorno al quale si raggruppavano le abitazioni dei vassalli. La base, circondata da grosse pietre calcaree, ricorda lo stile bizantino».
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=22 - http://www.comune.castelvetereinvalfortore.bn.it/index.php?action=index&p=221
«Imponente e massiccia appare la mole del castello che è arroccato su un grosso masso roccioso che domina l’abitato di Ceppaloni, piccolo centro a pochi chilometri da Benevento. L’origine del manufatto è controversa, nebulosa. La bibliografia è scarsa, per non dire inesistente. Si avanzano ipotesi di insediamento iniziale longobardo o forse più probabilmente, normanno. Attraverso rifacimenti e modificazioni il castello ha perso la sua funzione iniziale di fortezza per diventare, prima residenza padronale e, poi ai giorni nostri, abitazione multipla di proprietà di alcuni nuclei familiari della zona. Il monumento ha un insolito andamento planimetrico, irregolare, assimilabile ad un triangolo che genera, quindi, all’interno una corte approssimativamente triangolare. Purtroppo è stato snaturato da interventi non coordinati, arbitrari, apportati dai proprietari. In alcuni casi si è ricorso addirittura all'alluminio anodizzato per gli infissi che affacciano sulla corte. Nella corte si riscontrano alcuni elementi di un certo interesse: nello spigolo a nord - ovest un arco da isolare e da restaurare, un grosso scalone di pietra nell’ala opposta, un pozzo di discreta fattura incassato nella faccia interna dell’ala sud. Gli ingressi alla corte sono due: uno sull’ala sud e un altro sull’ala nord-ovest. L’ingresso dell’ala sud è stato deturpato da un intervento recente costituito da un solaio a putrelle che ha tagliato l’arco sovrastante, mentre l’altro accesso alla corte, attualmente ha il portale tompagnato e una rampa in forte pendenza che conduce al livello della corte. Il castello si articola su due livelli continui e un livello parziale inferiore. In corrispondenza dello spigolo di nord-ovest è inserita l’unica torre del castello: una torre ovoidale semi-incapsulata nella muratura. Essa presenta evidenti tracce di dissesti nella muratura e imponente inerbamento, che ha dato luogo a fenomeni espulsivi di elementi litoidi. Questo inerbamento è presente su tutte le facciate del castello in forma macroscopica. Il castello si presentava in pessimo stato conservativo, imputabile ai soliti fattori ricorrenti in quasi tutti i monumenti della Campania in altre parole: vetustà, assalto degli agenti atmosferici sulle superfici litoidi, lignee e sulle superfici murarie poco protette, se non addirittura protette per nulla, infine l’assenza di manutenzione.
Qualche di manutenzione è stato apportata direttamente dagli abitanti però si è rilevato un rimedio peggiore del male. Ultimo in ordine di tempo ma non per importanza è stato l’insulto sismico dell’80. La copertura, che in alcune parti dell’edificio è bifalde ed in altre è monofalde, nell’ala nord era quasi completamente distrutta: tutta la struttura lignea primaria e secondaria si presentava fatiscente se non addirittura scomparsa, solo i coppi di laterizio del manto erano in parte recuperabili. Sempre nella zona del vertice di nord-ovest ci si trovava di fronte a notevoli fenomeni di scollocamento, tra il parametro esterno e il resto della struttura muraria. L’evento si è verificato in occasione del terremoto del 1980 costringendo gli abitanti (anche la torre era abitata) allo sgombero della torre. Il resto del castello invece attualmente è (come già detto) tutto abitato nonostante le condizioni statiche e conservative siano precarie. Su un ampio tratto della facciata sud si riscontra una grande eterogeneità del parametro murario dovuto ai successivi e parziali rifacimenti. Nella parte inferiore, infatti, si nota muratura di pietrame, nella parte mediana e nella parte sommitale muratura di mattoni. Anche qui ci sono fenomeni di inurbamento ma non imponenti. Nella zona centrale, al di sopra dell’ingresso si intravedono gli elementi di un loggiato tompagnato che nei successivi interventi potrà essere recuperato.
Stabilire la data di edificazione del castello è, certamente, compito alquanto arduo;tuttavia da alcuni studi effettuati come quello di Mario Coletta, Il Sannio beneventano, è possibile far risalire la prima edificazione ad epoca longobarda. Il primo riferimento preciso del Castello si ha nell’anno 1120 quando il notaio Alessio nel mese di aprile redige un atto di compravendita. L’atto, che riguarda Ceppaloni e San Leucio del Sannio, recitò testualmente: “Bernardo figlio del fu Rodolfo di Frainetta vende a Domenico Furto, suo cognato una terra con vigna sita in una collina vicino alla chiesa di San Leucio, luogo detto Corpino, per sedici … di monete di Ottone”. Altra data significativa nella storia del Castello è il 1129 quando scrive Falcone Beneventano: ”In questo anno suddetto il papa Onorio venne a Benevento … appresso andò il papa al castello di Ceppaloni…”. Tale scritto è relativo alla visita del Papa Onorio II al castello di Ceppaloni. Nel 1133 Raone di Fragneto, signore di Ceppaloni, tentò di depredare Benevento. I Beneventani non indugiarono a ricorrere a Ruggiero, re dei Normanni, il quale venne a Ceppaloni e fece sommaria giustizia di tutto ordinò di espugnare le sue terri. I Beneventani dopo tre giorni di assedio, con il permesso del Re Ruggiero distrussero il Castello dalle fondamenta. Nel 1229 Ceppaloni subì, sempre per opera dei beneventani, un vasto incendio.Nel 1437 il castello passò ai Della Marra. La signoria Della Marra terminò con Vincenzo che essendosi ribellato al Re di Napoli fu privato del feudo che venne venduto alla famiglia Davaloz la quale terminò nel 1570. Successivamente vi fu la signoria dei Cosso che si estinse nel 1627. In tale anno il castello (feudo) divenne proprietà del dottore in legge Paolo Staibano il quale per 64.000 ducati lo vendetta a Fabio Maria della Leonessa Partiarca di Antiochia e arcivescovo di Conva. Fu proprio Fabio Maria della Leonessa che nel 1634 fece ricostruire il castello che versava in pessime condizioni».
http://www.ceppaloni.info/index.php/cenni-storici/51-il-castello-di-ceppaloni (a cura dell'ing. Giuseppe Di Donato)
«L’immobile settecentesco ha uno schema planimetrico a corte. L’edificio è costituito da due corpi di fabbrica. Il primo corpo si sviluppa per due piani fuori terra. Prospetta su Piazza dei Martiri e su Via Foglia. Il secondo corpo di fabbrica si apre verso l’interno ed in origine era adibito a locale di servizio, vale a dire ricovero degli animali. La struttura dell’edificio è in muratura di tufo. La copertura è a tetto a due falde per il corpo principale ed a falda unica per il corpo secondario. La corte interna, delimitata da un lato da un bellissimo porticato con archi a tutto sesto, presenta al centro un pozzo» - «Il Palazzo Foglia affaccia su piazza dei Martiri in San Giovanni, frazione del comune di Ceppaloni, provincia di Benevento. L’edificio attuale risale al XVIII secolo e fu realizzato dai signori Foglia di Montesarchio ampliando un preesistente fabbricato acquisito dai nobili de Rubbo nel XVII secolo. Il complesso è costituito da due corpi di fabbrica con una corte interna, delimitata da un lato da un porticato con archi a tutto sesto e con al centro un pozzo. L’immobile è un bene culturale dichiarato, con decreto 19 gennaio 1987 del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, "di particolare interesse storico-artistico" ai sensi del d. Lgs 22 gennaio 2004, n. 42».
http://www.ceppaloni.info/index.php/cenni-storici - http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Foglia
Cerreto Sannita (borgo, taverna ducale)
«I primi riferimenti storici delle sue origini si possono trovare nel libre XXV di Tito Livio che narrando le vicende della seconda guerra punica accenna ad una "Cominium Ceritum", avamposto sannita contro Roma, situato tra Benevento e Bovianum. Non molto si sa dell'antica Cerreto fino all'epoca normanna infatti nel 1151, la troviamo possedimento del normanno Raone. Con l'avvento degli Angioini passò sotto il dominio della potente casa degli Anframondo, fini al 1483 quando re Ferdinando vendette all'aragonese Diomede Carafa la terra di Cerreto con i suoi casali: Civitella e San Lorenzello. Sotto la dinastia dei Carafa, che dominarono Cerreto fino al 1807 con ben 11conti, Cerreto divenne "civitas totius superioris status metropolis". Il 5 giugno del 1688, un tremendo terremoto, distrusse la Cerreto nedievale, fiorente centro artigianale e mercantile, la cui economia si basava essenzialmente sulla pastorizia e l'industria dei panni lana. Fu ricostruita, subito dopo il terremodo del 1688 dal duca Marzio Carafa, il più illuminato della famiglia. Incaricò il "regio ingegnero" Giovanbattista Manni, di progettare una città aperta, senza mura, con un impianto urbanistico svincolato dalla centralità del castello: una città pensata. Era la prima volta, nell'Italia centro-meridionale che un paese venisse ricostruito in base ad una pianta regolare. la disposizione delle strade è a maglia ortogonale o a scacchiera sullo stile del "Cardo e decumanus" dei castra romani che la fanno assomigliare al centro storico di Torino, da qui l'appellativo di piccola Torino» - «L’isolato che occupa il lato sud dello scenografico “foro S.Martino” ospitava la taverna, il teatro e le carceri. Come nella vecchia Cerreto, così nella nuova il feudatario doveva essere proprietario di una ducal taverna dove accogliere i viandanti, dar loro da mangiare, da dormire, dare ricovero a carrozze e cavalli. Lo stemma del feudatario (Carafa-Colonna) sul portone dava al forestiero sicurezza di protezione. Cerreto poi, quale capitale della contea era tenuta a costruire le carceri. Al piano terra erano destinati i condannati per reati penali, legati ai catenacci ancora presenti nelle mura, al piano superiore le donne ed i condannati per illeciti civili. Non mancava, nel sottoscala, la cella d’isolamento Nelle carceri ora è esposta una ricca collezione di Ceramica italiana contemporanea».
http://goccedipensiero.altervista.org/I_miei_viaggi/La_gita_di_Capodanno/Cerreto_Sannita.html
http://www.comune.cerretosannita.bn.it/index.php?option=com_content&view=article&id=285&Itemid=306
Cerreto Sannita (ruderi del torrione, carceri feudali)
«Le Carceri feudali costituivano la prigione della contea superiore dei Carafa, che aveva come capoluogo Cerreto Sannita. Le carceri sono site di fronte la collegiata di San Martino, alle spalle della taverna ducale e di fianco palazzo del Genio. L'ingresso originario è sito in via Sannio. Le carceri feudali ospitano la sezione di arte ceramica contemporanea del museo civico e della ceramica cerretese. Prima del sisma del 1688 le carceri trovavano posto nel torrione, massiccia torre cilindrica i cui cospicui ruderi costituiscono oggi una delle poche testimonianze visibili di Cerreto antica. La tesi che il torrione era adibito a funzioni carcerarie è sostenuta dallo storico locale Renato Pescitelli che a sostegno della sua tesi presenta diversi documenti antichi ed una pregevole pergamena del XVII secolo. Quest'ultima raffigura dei detenuti che dalla cima del torrione calano con una fune un cesto allo scopo di ricevere dei viveri. In un atto del notaio Cappella del 1611 vi è scritto che nel torrione si era soliti rinchiudere i delinquenti. Cerreto, in qualità di capoluogo della contea superiore dei Carafa, era obbligata a tenere le carceri e forse il torrione fu edificato proprio per essere adibito a funzioni carcerarie. Il torrione, cinto da un fossato, era accessibile tramite un ponte che immetteva nell'ambiente abitato dal custode del carcere. Le carceri civili trovano posto nella parte alta del torrione mentre le carceri penali erano site in un grande ambiente interrato chiamato "fossa" e che era comunicante con la stanza superiore tramite una scala a pioli collegata ad una botola, quest'ultima protetta da una ringhiera di ferro (la "saettera"). Nella sala sovrastante la "fossa" trovavano posto degli strumenti di tortura. ...».
http://it.wikipedia.org/wiki/Carceri_feudali
«Circello sorge su un promontorio roccioso dell’Appennino sannita a circa 650 m. d’altitudine. Il suo territorio è prevalentemente di tipo collinare, in particolare in alcuni tratti “alta collina” (con quote comprese tra 850 e 600 m s.l.m.), in altri “medio - bassa collina” (con quote comprese tra 600 e 300 m s.l.m.). Nel territorio sono presenti molte contrade, ciascuna caratterizzata da strade e stradine, a volte asfaltate, a volte percorribili solo a cavallo o a piedi, che rendono il paesaggio ancor più suggestivo. Dalle sue estese campagne è possibile osservare un meraviglioso panorama che si staglia tra le montagne del Matese da un lato e quelle della Daunia dall’altro. La storia del paese di Circello è antica. Infatti la presenza di reperti artistici e strutturali del periodo longobardo fa ritenere che già anteriormente all’anno mille esistesse il centro abitato. Lo stesso castello che domina l’antico paese medievale è di, probabili, origini longobarde, mentre le attuali forme risalgono ai vari adeguamenti avvenuti tra il 1200 e il 1500 per motivi bellici. Cuore del complesso militare è il Maschio Svevo a cui si accedeva con un ponte levatoio, che retratto, rendeva inaccessibile la maestosa torre. Presso il complesso difensivo, sorge una palazzina che, a partire dagli inizi del 1800, fu la residenza dei Di Somma, Principi del Colle e Marchesi di Circello. è dal castello attraverso vicoli e stradine, che in alcuni casi conservano l’antico selciato (Via Porta di Sopra, Via Fusa, Via Rampa Castello), che si scende in quello che un tempo era il centro del borgo».
http://www.cercellus.com/il%20paese.html
«Altra testimone della battaglia del 1496: Torre S. Angelo, così detta per essere certamente la torre campanaria della chiesa di S. Michele Arcangelo, sconsacrata dal Cardinale Orsini nel XVIII secolo, e poi abbattuta. Alla base della torre, sul lato destro si legge una iscrizione epigrafica (fig. 14) che testimonia come nell’anno 1272 un certo Martino elevò quel complesso monumentale. Trascrizione: ANI – DNI – M. / C C L X X I I / A PBR – MARTIN (…) / (…) FECIT . FIERI».
http://www.anticatrattoriabacco.com/5/Circello.doc
Colle Sannita (borgo, torre campanaria)
«La parte più antica del centro storico sorge proprio su un colle e da questo probabilmente ha origine il nome del comune. Originariamente detto Colle, soltanto nel 1862 divenne Colle Sannita. Questo feudo viene menzionato per la prima volta all'epoca dei Normanni. Appartenne alla casa d'Alemagna e non sappiamo come questa l'avesse perduto. E certo che al tempo degli Angioini Colle Sannita era detta Casale di Circello. Nel 1343 era feudo di Niccolò de Scigliatis a cui successe il figlio Ugone che, morto nel 1400, lasciò due figlie, Ilaria e Magalda. Ilaria sposò Iacopo Antonio de Marra, signore di Senno, e gli portò in dote il feudo di Colle. Re Ladislao, in considerazione del fatto che Ilaria già possedeva troppe terre, diede il feudo di Colle alla sorella Magalda, che per suo ordine era stata maritata a Iacopo della Leonessa, signore di Airola, Montesarchio ed altre terre. Nel 1448, a seguito della revisione di tutte le concessioni feudali, Alfonso I d'Aragona confermò il possesso di Colle a Raimondo e Galeazzo della Leonessa; quando però nel 1461 Alfonso della Leonessa tradì Ferdinando d'Aragona, Colle venne assegnato alla casa Carafa. Nel 1533 Carlo V concesse il feudo a Nicola Maria di Somma della cui famiglia rimase in possesso fino all'abolizione del feudalesimo. Il nome di Colle ricorre nelle guerre tra Angioini ed Aragonesi. Fu qui che il 15 novembre 1439 morì Giacomo Caldora, celebre condottiero e capitano di ventura. Fu occupato dagli Angioini nel 1461, dai Francesi di Carlo VIII e dalle compagnie di ventura degli Orsini e dei Vitelli nel 1496. Nel decennio tra il 1806 ed il 1815 e subito dopo l'unità d'Italia ebbe triste fama come centro del brigantaggio in lotta contro i nuovi equilibri politici ed economici che andavano instaurandosi. Fece parte della Capitanata fino al 1809, quindi passò alla provincia di Campobasso e nel 1861 a quella di Benevento. Il comune di Colle Sannita ebbe l'appellativo "sannita" soltanto nel 1862».
http://xoomer.virgilio.it/srampone/sdistem/territ/colle/storia.htm
«L’impianto urbanistico di Cusano Mutri ha il pregio di non aver subito grosse variazioni strutturali rispetto ad altri centri devastati dai continui terremoti verificatisi nel circondario. Si può ammirare la struttura autentica del borgo medioevale, con pochi interventi di ristrutturazione. La passeggiata nel borgo, con le sue scalinate in pietra, i resti del castello feudale e la sua torre, costituiscono per il visitatore un’esperienza emozionante. La visita del centro storico inizia da piazza Orticelli. Percorrendo le tipiche scalinate di via Cerro imbocchiamo via Municipio, lungo la quale incontriamo l’ex convento dei Padri Agostiniani. Già palazzo dei Santagata, esso è un chiaro esempio della tipica abitazione settecentesca dei nobili locali. Proseguendo per via Municipio incontriamo la Casa Municipale, caratteristica costruzione con piccolo cortile interno, appartenuta ai nobili De Franchis, poi Franco. ... Girando per piazza Lago, sul sito di una antica porta, si incontra una colonna in pietra conosciuta come la “Colonna corinzia”, sul cui piedistallo è scolpito l’antico stemma dell’Università di Cusano. Giungiamo a piazza Lago, caratterizzata dalle belle facciate delle abitazioni che su di essa si aprono e dalla originale fontana, mirabilmente incastonata nella roccia. Lasciamo per un attimo la piazza per inoltrarci in via Ripa, sbocco dell’antica via Annibale e troviamo una antica torre, ultima rimasta delle tre che facevano parte del “Castrum Cusani”. Tornando in piazza Lago, possiamo osservare i resti del Palazzo Marchesale, che sorgeva la centro del paese sullo sperone roccioso più alto. L’antica fortezza fu demolita all’abolizione della feudalità. Imboccando via S. Pietro passiamo innanzi a palazzo Altieri (già dei Franco), un esempio di casa nobiliare con Cappella interna. ... Dopo via S. Pietro percorriamo uno dei vicoli più caratteristici di Cusano Mutri, il “Vicinato Lungo”, con la sua scalinata in pietra e i resti dell’antica Porta di Mezzo, classico esempio di viuzza stretta e tortuosa da borgo medioevale, che ci porta fino alla Chiesa di S. Nicola... Continuiamo a scendere lungo i vicoli dell’antico borgo cusanese ed appaiono facciate e portali in pietra viva, caratteristici architravi, scorci pieni di fascino antico. è così che arriviamo all’anfitreatica piazza Roma che offre d’improvviso un colpo d’occhio suggestivo al visitatore. Incontriamo vico Tiberio, coi bei portali a bassorilievi, inerenti gli antichi artigiani del luogo, e da qui, arriviamo alla Chiesa di S. Giovanni Battista ... All’uscita dalla Chiesa concludiamo il nostro viaggio lungi i vicoli di Cusano percorrendo via Spinazzola e via Roma, uscendo da Porta Petrao, per tornare al punto di partenza».
http://tuttocusano.altervista.org/tesori.html (a cura di Fulvio Santagata)
Cusano Mutri (ruderi del castello)
«Il castello di Cusano Mutri era una architettura medievale che dominava il centro storico di Cusano Mutri e di cui oggi restano alcuni ruderi. Sull'origine del castello non si ha alcuna documentazione scritta anche se un forte era già citato nella bolla di papa Felice III che nel 490 elesse il primo parroco della chiesa di san Pietro, sita appunto presso le mura del castello come ancora oggi. L'attuale costruzione è però da includere nell'insieme delle fortificazioni che i Sanframondi costruirono entro la metà del XIII secolo nei loro feudi. Il castello venne assaltato nel 1780 durante una insurrezione di contadini che lo diedero alle fiamme. I ruderi dell'edificio sono maggiormente visibili in piazza Lago dove sono ancora siti su di uno sperone di roccia. Grazie ad un documento del XVIII secolo trovato negli archivi parrocchiali è stato possibile ricostruire la distribuzione interna degli ambienti. Alla destra del castello sorgeva la chiesa di San Pietro, ancora oggi esistente e dove i feudatari accedevano tramite un passaggio interno che conduceva ad un corretto a loro riservato. Al centro del fabbricato era un ampio cortile in parte coperto sul quale si affacciavano le camere per i forestieri, l'accesso allo studio ed alla cantina ed una stalla per otto cavalli. Per una scala si accedeva al grande salone che, illuminato da tre finestre, dava verso est. Seguivano l'anticamera, la cucina, la dispensa, il granaio, cinque camere ed infine la torre a due piani con una comoda cisterna e che nel '700 era usata come colombaia».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Cusano_Mutri
«Inserito all’interno del suggestivo centro storico di Dugenta si erge il castello, di impianto basso-medievale, ricco di storia e di racconti leggendari che lo vedono protagonista di alcuni avvenimenti bellici e strategici fondamentali per la formazione del Regno napoletano. Fu donato da Carlo I d’Angiò a Guglielmo di Belmonte nel 1268, rientrando in tal modo nel cosiddetto feudum in demanium, ovvero in capite, cioè feudo concesso direttamente dalre o dalla Curia. Fu anche registrato nei quaderni della Curia,donde l’appellativo di feudum quaternatum. Al tempo di Belmonte dipendeva dalla Contea di Caserta. Passò successivamente ad un certo Adam de Vasis e da questi a Roberto D’Erville, come si legge nei registri della Cancelleria Angioina, il quale lo tenne fino al 1282. Nel 1287 passò a Bertrando Artus. Dal 1289 al 1293 ne è possessore Ludovico de Roheriis. In seguito il castello subì le sorti della Contea di Caserta, passando poi alla famiglia Caetani nel 1308. Nel 1310 passò a Diego de la Rath e poi al conte Francesco, il I giugno del 1329. Il 30 giugno 1459 re Ferdinando confermò a Giovanni della Ratta i feudi di Caserta, Limatola e Dugenta, i castelli di Valle, Frasso Telesino e Melizzano. Il castello di Dugenta sorse in posizione baricentrica, come fabbrica difensiva della Valle, nei pressi della confluenza del Calore con il Volturno. Il complesso della struttura può esse re definito come espressione dell’architettura militare: per il gioco dei volumi, l’articolazione degli spazi interni, la scelta del sito, che presenta una massiccia parete tufacea, sorgente dal torrente S. Giorgio, su cui si innesta la cinta muraria rivolta a Sud Est. Il castello di Dugenta dovette essere collegato mediante “ideali ponti aerei” con altre fortezze che si scambiavano segnali con fumate di giorno e fuochi di notte, secondo veri e propri codici per la teletrasmissione delle notizie, in particolare degli allarmi. Nelle lunghe notti invernali venivano, inoltre, praticati numerosi giochi. Non è mai stato esplorato in tutte le sue parti, il che lo rende ancora più misterioso con i suoi trabocchetti e i sotterranei che secondo la leggenda, lo mettevano in collegamento con i vicini castelli di Limatola e Maddaloni. Oggi dell’antico maniero restano pochi ruderi, anche a causa delle demolizioni apportate nei decenni scorsi. Si possono apprezzare, tuttavia, ancora i tratti originari delle cortine murarie, in conci quasi regolari di tufo giallo e soprattutto l’alto basamento a scarpa, che, una volta, girava intorno alla fabbrica e rendeva idue piani nobili praticamente irraggiungibili dall’esterno. Attualmente è ancora visibile anche una delle quattro torri angolari cilindriche».
http://www.comune.dugenta.bn.it/castello.pdf
Dugenta (palazzo Marotta o Vanvitelliano)
«L’edificio, risalente al tardo Settecento, ha subito nel corso del tempo una serie di notevoli rimaneggiamenti che ne hanno determinato l’attuale morfologia. Sviluppato sui tre lati di un ampio cortile, sul quale si affacciano altri fabbricati di recente costruzione, il monumentale palazzo consta di un piano terra e di un primo piano, le cui aperture, parzialmente modificate da interventi recenti, sono decorate da una serie di timpani mistilinei racchiudenti una decorazione in stucco di pregevole fattura. Sulla facciata destra dell’atrio, si trova un pozzo in pietra, parzialmente coperto, di linee settecentesche. Dal cortile, sul quale si aprono i locali di servizio del piano terra, una scala, originariamente coperta con volte a crociera, conduce agli appartamenti del piano nobile, consistenti in ampi vani coperti a volte. Sempre dal cortile si accede a tre grotte di lunghezza variabile, il tutto risalente al XVIII secolo. Dette grotte, costruite contemporaneamente all’intero edificio, furono ricavate nel tufo sotto direzione di Vanvitelli al fine di creare l’allevamento suino ad uso della casa reale. Il tutto era asservito alla reggia di Caserta. La stessa destinazione fu data alla struttura in fondo al cortile per i piani terranei, mentre i piani nobili vennero adibiti ad abitazioni per i responsabili di detti allevamenti, così come le ali del palazzo che costeggiano la via Nazionale o Sannitica. Successivamente le strutture furono adibite a scuderie e come rifugio dei cittadini dugentesi in occasione degli eventi bellici dell’ultimo conflitto mondiale. Infine dai vari proprietari che si sono avvicendati nel tempo, gli edifici furono adibiti a cantine fino al 1984. Con l’acquisto da parte dell’ing. A. Fucci, le strutture furono definitivamente destinate a stabilimenti vinicoli con la costituzione delle “cantine vanvitelliane”, in cui si producevano dei vini pregiati (noesis rosso e charis bianco) destinati al mercato del nord Italia, che per molti anni ha apprezzato la bontà del prodotto delle terre sannitiche. Oltre ai pregi intrinseci, l’edificio riveste un notevole interesse urbanistico essendo situato dirimpetto ai ruderi del castello medievale di Dugenta, insieme al quale concorre a qualificare il tessuto urbano. Attualmente il palazzo è in attesa di ristrutturazione».
http://www.comune.dugenta.bn.it/palazzo.pdf
«Su di un poggio, a guardia di Durazzano (era chiamato nel 1300 Oraczanum, forse da "ora" luogo di confine e da un antico presidio. Sorse sulle rovine dell’antica Orbitanum che i romani chiamavano così dal fatto che quel luogo era tutto circondato da colline di varia altezza, ora ricolme di lussureggiante vegetazione), in provincia di Benevento, si erge maestoso un vetusto castello feudale che nelle sue imponenti mura quadriturrite, in dimensioni ridotte, richiama la mole del Maschio Angioino di Napoli. La sua costruzione pare risalga al XII secolo. Secondo altri invece il Castello sorse nei bollori del feudalesimo e fu costruito da Carlo III di Durazzo, re di Napoli, detto il Piccolo, nel secolo XIV, quando, dopo aver tolto il Regno di Napoli alla regina Giovanna I d’Angiò, nel 1831, e che fece imprigionare e deportare nel castello di Muro Lucano, ove morì, se ne dicharò erede. Da questo fatto Alessandro Dumas figlio, trasse il suo romanzo sulla regina Giovanna, dove è anche descritto, nei suoi particolari il castello di Durazzano.
Il castello è a forma quadrangolare. Misura circa quaranta metri per lato, ad ogni angolo del quale si eleva una torre a forma circolare della medesima altezza delle mura delle cortine. Sulle torri si possono ancora rilevare tracce dell’originale merlatura che ne decorava la sommità. La severa mole è circondata da ampio e profondo fossato dove, un tempo, circolava l’acqua che dalla sorgente "Condotti", site alle pendici del monte Burrano, giungeva al castello e serviva sia per uso degli abitanti, sia per alimentare il fossato. Ciò rendeva più difficile l’assalto al castello. I quattro lati e le quattro torri erano munite di saiettere a doppia apertura in modo che dall’interno era possibile esercitare l’offesa in tutte le direzioni. La facciata principale, ora deturpata da orribili finestre, è rivolta a Nord e dominava un tempo l’abitato che allora si estendeva ai piedi del monte Longano. Si accedeva al castello mediante un ponte levatoio, ora sostituito con quello in muratura, che attraversava il fossato. Sul portone della porta d’ingresso si conserva ancora lo stemma, probabilmente di casa Durazzo, scolpito su un marmo a forma di succo e raffigurante un leone poggiato sulle zampe posteriori, mentre quelle superiori e la coda sono in atteggiamento di sfida. Sulla testa è posta una corona ducale e sul davanti una sbarra orizzontale e tre verticali a forma di "E" capovolta. All’altezza delle zampe anteriori del leone c’è una mezzaluna. Attraverso il portico si perviene al cortile interno che è rettangolare. Sotto le torri vi sono ampi sotterranei che furono adibiti un tempo a prigione e a depositi, ed ora sono completamente interrati. Il pianterreno era adibito a scuderia ed alloggi per il presidio. Il primo piano aveva molte sale decorate da artistiche pitture ed affreschi, e un maestoso salone nel lato occidentale dell’edificio, ora ridotto a più vani adibiti ad usi svariati. Sicché nessuna traccia rimane delle ricche opere d’arte che conteneva, all’infuori di qualche frammento logoro e scolorito. Il grande riceveva luce da quattro balconi, forse originali, che si notano tuttora nel lato orientale.
Il castello appartenne a vari principi e nel 1268 ospitò re Carlo d’Angiò, il quale vi soggiornò più volte durante le lotte con la casa Sveva. Nel 1409, da Ladislao d’Angiò di Durazzo, re di Napoli, il castello fu venduto a Giovanni Cicinello, dal quale passò a Baldassarre Della Ratta, conte di Caserta e di Alessano, il quale arricchì il castello di molte opere d’arte e fece costruire l’acquedotto della contrada Condotti. Nel 1429 il feudo venne attribuito a Giovanni Della Ratta, fratello di Baldassarre, al quale nel 1449 re Alfonso concedeva altri privilegi. Nel 1841 re Ferdinando d’Aragona concedeva il feudo ad Antonio Della Ratta, mentre nel 1494 Re Alfonso confermava tale concessione. Il periodo di signoria di Antonio Della Ratta è caratterizzato da aspre lotte sostenute con il fudatario del vicino tenimento di Sant’Agata de’Goti, tanto che in una di quelle cruenti zuffe, lo stesso Antonio fu preso dagli armigeri dell’altro feudatario e fu rinchiuso quale ostaggio, nel castello di Sant’Agata de’Goti. ... Dopo il dominio feudale di quest’ultimo [Antonio Gargano], il feudo di Durazzano, attraverso un altro periodo di alterne vicende, divenne nel 1749, Terra Regia ed il castello venne adibito a sede di Governatore. L’antico ed austero maniero che ebbe tanti feudatari; ospitò principi, re e regine, fu dall’erario venduto a privati, i quali inconsci della sua importanza storica ed archeologica eseguirono sul monumento una sistematica deturpazione. Due incendi ed il terremoto del Volture del 1930 completarono la distruzione del castello, per cui un lato fu molto danneggiato, mentre l’esterno si conserva ancora nelle sue linee originarie, richiamando sempre la severa e possente mole, l’ammirazione del visitatore».
http://web.tiscalinet.it/prolocodurazzano/castello.htm
Faicchio (arce di Monte Acero, cinta fortificata delle mura megalitiche)
« L'Arce di Monte Acero, sita a 736 m di quota, con la cinta fortificata delle mura megalitiche (VI sec. a. C.), è stata definita dagli studiosi uno dei più importanti esempi dell'architettura militare sannitica. Essa, infatti, insieme a quelle di Piedimonte Matese e di Sepino,costituisce la più singolare opera difensiva dell'antico Sannio. Per la sua posizione, è un ottimo punto panoramico per godere la vista dell'intera valle Telesina. I ruderi rimasti sono in parte coperti da vegetazione e sistemati a varie altezze, secondo i piani naturali del taglio del banco di roccia calcarea. Sulla sommità del Monte, si rileva un circuito murario lungo un perimetro irregolarmente quadrangolare, con mura costituite da grossi blocchi poligonali tendenti al rettangolare, cavati dal calcare stratificato del monte secondo i naturali punti di rottura: gli interstizi sono riempiti di pietrame minuto. La cinta, databile al IV secolo a. C., ha un perimetro di circa 3 km con un'altezza media del muro di m 3,50. Una porta si trova in un saliente sul lato meridionale, in direzione di Telesia, mentre una seconda porta è ubicata nel punto più basso della cresta, tra le due cime del monte. Si tratta di una tipica fortificazione apicale sannita che domina il medio corso del Volturno e la bassa valle del Calore, controllando in antico l’importante via di comunicazione che congiungeva Allifae a Beneventum, passando per Telesia. Tratti di mura in opera poligonale si rilevano intorno al convento di S. Pasquale, che domina, dalla collina Monte Monaco di Gioia, l'abitato odierno di Faicchio. Si tratta di mura pertinenti una cinta difensiva, con una sola porta di accesso, collocabile cronologicamente in epoca sannitica. Il tratto a sud è quello meglio conservato della fortificazione e si trova a m 50 a valle del monastero: i blocchi sono di grandezza diversa, con le facce abbastanza levigate; l'altezza del muro giunge fino ai m 3,50. Il muro è stato utilizzato, all'epoca della costruzione del monastero, come sentiero che, ancora oggi, sale ripido dal paese. Altri tratti meno ben conservati si trovano lungo il valloncello ad ovest e in scarpata ad est del recinto del vasto giardino del convento. La cinta doveva essere di forma rozzamente triangolare e raggiungeva, verso l'alto, uno spuntone della cresta che corre verso la montagna».
http://www.archemail.it/arche9/0faicchio1.htm (a cura del Gruppo Archeologico Napoletano)
«Il Castello di Faicchio, denominato nei documenti d'investitura feudale "Rocca Nova", sorge in posizione strategica al centro del paese, su uno sperone di roccia che domina la Valle del Titerno. È proprio la strategia della sua posizione che ha fatto supporre a storici ed archeologi che la primigenia costruzione delle sue mura possa risalire ad epoca antichissima, addirittura sannita (VI sec, a.C.). Sicuramente i Longobardi (VII - X secolo d.C.) tennero la Rocca di Faicchio posta a protezione del Gastadato di Telese. Dopo il domino longobardo, furono i Normanni a governare su Faicchio e sulle zone limitrofe. È a quest'epoca che abbiamo la prima data storicamente certa riferita al castello:1135. Fu edificato o riedificato dai Sanframondo, nuovi signori del luogo. I Sanframondo, normanni, furono sudditi del Regno Normanno prima, poi furono fedeli a Federico II e quindi si legarono politicamente agli Angioini, ai quali rimasero fedeli anche quando quest'ultimi caddero in disgrazia ad opera degli Aragonesi, all'alba del 1440. Il legame politico si tradusse anche in dipendenza culturale, tant'è vero che le forme del castello di Faicchio riecheggiano la tipologia dell'architettura militare angioina, dei Masti o Maschi: pianta quadrilatera, mura a scarpa composte a recinto, quattro torri cilindriche nei vertici. A Faicchio ne sopravvivono solo tre essendo una torre crollata, probabilmente a causa di uno dei tanti terremoti che sconvolsero la Valle Telesina, e non fu più ricostruita, né ve ne resta traccia alcuna lungo il perimetro murario (anche per questo motivo qualche esperto contemporaneo ha avanzato la tesi che la quarta torre non era mai stata costruita e che il Castello avesse solo tre torri). Nel corso del 1300, il Castello fu oggetto di restauri ed ampliamenti, che sicuramente lo ingentilirono, senza togliergli del tutto il rude aspetto di maniero difensivo. Ne sono testimonianza le numerose arcate ogivali, memoria d'arte gotica, che si intravedono anche nei muri della sala del teatro e nelle strutture archiacute delle volte a crociera che coprono due salette attigue, in forte contrasto con l'impianto romanico possente e greve della costruzione normanna, ancora riconoscibile nei tre masti, nelle logge a sud del cortile con i robusti archivolti e i tonici pilastri, nonché nelle feritoie a sguancio.
Spodestati i Sanframondo, rei d'aver partecipato alla rivolta dei baroni, i nuovi dominatori gli Aragonesi misero in vendita il Castello, che dopo alterne vicende nel 1337 giunse nelle mani della famiglia Monsorio che lo tenne fino al 1520. Con i Monsorio l'aria del primo rinascimento entra in Faicchio e nel suo Castello dove sopravvive ancora una bella finestra durazzesca. Le forme attuali del Castello risentono pesantemente del restauro seicentesco voluto dai signori De Martino che lo tennero fino alla soppressione dei diritti feudali. Un ulteriore e meritorio intervento di restauro, che salvò dalla rovina il Castello, ci fu nel 1962 ad opera della famiglia Fragola che lo aveva precedentemente acquisito. L'edificio ha la forma di poligono irregolare, i cui lati sono raccordati tra loro da tre torrioni. La struttura, come detto, richiama il celebre "fratello maggiore" di Napoli, ossia il Maschio Angioino. I torrioni, infatti, seppure in proporzioni ridotte, poggiano su basi tronco-coniche come quelli del castello partenopeo. Il portale è ornato da una corona di bugnato, composta da rocchi alternativamente stretti e larghi, secondo la maniera seicentesca. La volta a botte dell'ingresso immette in un largo cortile scoperto. Sul lato destro presenta un porticato ad archi e pilastri, coperto da volte a vela, che sorregge un terrazzo protetto da una balaustra con anelli in tufo locale scuro. Con questo stesso materiale sono costruiti fregi, decorazioni varie e gli stemmi che ornano il terrazzo più piccolo, affacciato sulla sottostante Piazza Roma. Degna di menzione è una bella e ben conservata scala a chiocciola in tufo grigio scuro, composta di tante mensole sagomate a gradino, ognuna di un sol blocco di tufo. Molto suggestivo anche il campanile che affaccia sulla piazza, del XVIII secolo. Gli arredi originari sono andati dispersi ma gli attuali proprietari hanno allestito con molta cura gli ambienti interni, oggi in parte adibiti a strutture di ricezione alberghiera. Il Castello è visitabile su appuntamento».
http://www.faicchio.galtiterno.it/pagine/castel1.html
«Palazzo De Martino. Il Palazzo De Martino, ubicato in via Fabio Massimo, rientra nel periodo neoclassico. è caratterizzato da una volumetria semplice e lineare, articolata in tre livelli di altezza. L'edificio è rivestito con intonaco grezzo non dipinto e presenta, al piano terra, un imponente ed interessante portale, interamente realizzato in pietra chiara locale. Il portale, lungo l'arco a tutto sesto, è scandito dall'alternanza di conci bugnati con conci a piramide. Al primo piano vi sono una serie di finestre, al secondo, invece, si alternano finestre e balconi con ringhiere in ferro battuto. Il corpo di fabbrica, in facciata, non presenta particolari fregi o decorazioni ed è caratterizzato, all'interno, dalla presenza di una corte aperta. Di proprietà privata. Palazzo De Nigris. Il Palazzo De Nigris, ubicato in via Collegiata, è adiacente al Palazzo Luponio Pascale ed è collegato ad esso tramite un sottoportico in pietra. L'edificio è interamente realizzato in muratura ,rivestita di intonaco grezzo, ed è articolato in due livelli d'altezza. Il corpo di fabbrica presenta, a piano terra, un portale centrale, caratterizzato dalla presenza di decorazioni floreali ai lati e di un fregio a voluta scolpito in rilievo, collocato in chiave di volta. Al primo piano, si notano tre finestre in chiaro stile rinascimentale. Di proprietà privata e in buono stato di conservazione.
Palazzo Luponio Pascale. Il Palazzo Luponio Pascale, databile intorno al 1600, è ubicato in via collegiata. Costruito su tre piani, ha subito diversi rimaneggiamenti. Il corpo di fabbrica è collocato nella parte bassa del Castello Ducale e presenta, sul prospetto principale, un'imponente e caratteristico portale in pietra bianca bugnata con fregi. Al primo livello vi è un bel loggiato con archi poggianti su colonne che risulta essere l'elemento di maggiore attrazione dell'edificio. Presenta inoltre un terrazzino all'ultimo piano con ringhiera di protezione in ferro battuto e un bel cornicione. L'edificio è collegato con Palazzo De Nigris tramite la presenza di un sottoportico in pietra. Altri palazzi nobiliari. Nel centro storico, precisamente in Via Collegiata, si incontrano anche altri palazzi nobiliari databili intorno al XVI-XVII secolo. Nel corso del tempo essi hanno sicuramente subito una serie di rimaneggiamenti che ne hanno modificato le caratteristiche architettoniche originarie. Uno dei palazzi è interamente realizzato in pietra naturale rivestita con intonaco grezzo. La facciata è caratterizzata dalla presenza di una serie di aperture orniate da ricche cornici realizzate in pietra e recanti fregi scolpiti in rilievo. Un altro è attualmente caratterizzato da una volumetria molto lineare ed è articolato in due livelli di altezza. La presenza, nella facciata al piano terra, di una serie di aperture sfalsate ed asimmetriche, di palese concezione moderna, confermano l'ipotesi che il corpo del fabbricato ha subito nel corso del tempo una sostanziale modificazione dell'impianto architettonico originario».
http://www.faicchio.galtiterno.it/pagine/palazzi1.html
Faicchio (ponte Fabio Massimo)
«Il ponte di Fabio Massimo sul fiume Titerno, risalente al III secolo a.C., originariamente serviva ad agevolare le comunicazioni con il Matese e il Monte Erbano e, secondo la tradizione, permise il passaggio di Annibale e delle sue truppe nel corso della II guerra punica (216 a.C.). La prima via di comunicazione era un tratturo che allacciava Alife, la Valle del Titerno e quella Telesina, con Benevento e le Puglie, abbracciando tutto il massiccio del Matese, e che con un ponte passava sul fiume Titerno. La struttura del ponte esiste tuttora, mentre la sovrastruttura, originariamente in legno, fu costruita in pietre e calcestruzzo dai Sanniti, ed in seguito ampliata dai Romani con malta e mattoni, per il passaggio dell’antica via Latina. Il ponte fu dedicato a Fabio Massimo ed il “pagus” che originariamente era sul monte Acero si stabilì a valle con il nome di Massa, da Massimo Fabio detto il “temporeggiatore”. “Più che di un ponte per le sue molteplici sovrapposizioni di modalità costruttive avvicendatesi, che si saldarono sempre con le precedenti senza mai cancellarle del tutto, sarebbe lecito parlare di un condensato di storia della tecnologia edile, rivestendo sotto tale profilo un inestimabile valore documentario. A prima vista il ponte sembrerebbe insistere su tre campate archivoltate asimmetriche, di dissimile luce e di altrettanto disparato piano d’imposta, ma, ciò è ascrivibile alle accennate fasi evolutive. Il ponte propriamente detto, ovvero la sua sezione che scavalca il Titerno è formato da un’unica arcata a tutto sesto di m. 12 circa di corda, la cui chiave si innalza ad oltre m. 13 dal letto del torrente” (F. Russo, Faicchio fortificazioni sannite e romane, pag. 83)».
http://www.prolocomassa.it/davedere/ponte.html
«Con l'invasione longobarda del Sannio nel 570, viene fondato il grande Ducato di Benevento elevato poi a Principato. è il periodo in cui ricompaiono documenti che dimostrano la ripresa dell'insediamento di Folianensis che fa parte insieme agli altri centri della Valle del Gastaldato di Tocco, allora cittadina fiorente con castello, chiesa cattedrale e sede vescovile. Documenti notarili datati prima dell'anno 1000 riferiscono di concessioni da parte dei principi beneventani di gran parte del territorio non solo di Foglianise ma di altri centri della Valle ad un certo Autolo, orefice longobardo. Risale probabilmente a questo periodo l'edificazione del palazzo munito di torre di avvistamento, insieme al quale, sorgono anche i primi nuclei abitati che vanno via via ampliandosi alle falde del monte Caruso. Sono i casali che sussistono ancora oggi con l'intricata rete di vicoletti e sottopassaggi. Mura possenti, finestre strette e munite di inferriate, portali in pietra scolpita. Tutti elementi strutturali tipici del periodo alto medievale. Risale a quest'epoca sicuramente anche la primitiva costruzione dell'eremo di S. Michele Arcangelo anche se le prime notizie sono della fine del 1500. è edificato, invece, intorno all'anno mille dai principi di Benevento il monastero di S. Maria della Grotta sito sul Monte Drago in una posizione difensiva sul burrone che si affaccia sulla piana tra Ponte e Solopaca. Fu un grande monastero abitato prevalentemente dai benedettini e confinò con i possedimenti ed i lasciti ricevuti anche con il monastero di Montecassino. Le ricostruzioni di forme di vita sociale ed economica dopo un inaspettato cataclisma sono sempre lunghe, difficili e laboriose. Gli effetti sono sempre disastrosi ed a volte intere famiglie sopravvissute preferiscono emigrare lasciandosi alle spalle lutti e miserie alla ricerca di un futuro migliore altrove. I terremoto del 1004 aveva funestato non poco il castello di Tocco con i suoi casali e quindi anche Folianensis. Dopo l'assedio del 1138 al castello di Tocco da parte di Ruggiero il normanno, l'intera zona fu messa a ferro e fuoco, mentre nel 1154 un ennesimo cataclisma rase al suolo i villaggi con la soppressione della sede vescovile della cattedrale di S. Pietro Apostolo ridotta in macerie. Nei tempi successivi Fulianensis (come viene nominato in documenti dell'epoca), vive l'invasione ed il passaggio delle truppe di Carlo d'Angiò e Manfredi di Svevia che intorno a questo territorio sembra si siano dati battaglia intorno al 1200. In un documento del 1417 Folianensis è nominato casale di Tocco, mentre già dopo il terremoto del 1456 decaduta la città di Tocco viene menzionato come casale del Vallo di Vitulano, località che i proprietari terrieri dell'epoca scelsero come nuovo centro amministrativo e residenziale».
http://www.comune.foglianise.bn.it/storia.aspx
Foglianise (masseria La Palmenta)
«La Masseria La Palmenta sita nel comune di Foglianise in provincia di Benevento, è un antico casale situato ai confini fra il comune di Foglianise e quello di Benevento lungo le sponde del fiume Calore Irpino. La masseria, anche se in completo degrado, è uno splendido esempio di architettura rurale del 1550, data che ancora oggi è possibile leggere su un portale in pietra di uno dei due ingressi. Nelle mura di costruzione erano stati inseriti dei blocchi con scritture latine, ora quasi tutti trafugati, che probabilmente erano stati presi dall'insediamento romano, ritrovato nella zona sottostante, nella zona che storicamente è denominata "Il ponte delle maurelle" ponte romano di cui sono visibili i resti. La masseria è visibile venendo da Benevento, per due enormi alberi di pini che anche essi, probabilmente, risalgono al 1500, anche loro bisognosi di cure. Donata nel 1536 da Carlo V al Capitano Giacomo Pedicini, Patrizio Beneventano,unitamente alle altre tenute feudali Chiurica, Mirella e Campo Alfano. Lo stesso Carlo V, nell'atto di donazione di detti feudi, definisce il Capitano Giacomo Pedicini "Magnifico et Illustri viro fedeli nostro diletto, et strenuo equitum Duci Jacobo Pedicino Beneventano". Chiama l'Imperatore la famiglia del detto Giacomo "Nobile ab immemorabile" della città di Benevento, e tra i molti privilegi e grazie che gli concedette vi fu quello di porre, tanto lui quanto i suoi successori, lo stemma di famiglia consistente in un albero di verde nordico con una vipera avvinghiata al suo tronco, nel cuore dell'Aquila dell'Impero. Ciò a significare che detta famiglia era accanto al cuore dell'Imperatore. Tale stemma ancora oggi è perfettamente visibile sia sulla facciata di casa Pedicini in Benevento sia sul soffitto di una delle stanze della casa Pedicini in foglianise. Più propriamente in quella dove attualmente trovasi la Farmacia del paese».
http://it.wikipedia.org/wiki/Masseria_La_Palmenta
Fragneto L'Abate (torre dell'Orologio, palazzo De Martini)
«Questo centro urbano dalla particolarissima forma, a metà tra il villaggio strada e l'accentramento spontaneo del tipo a rundlinge, nasce probabilmente, pochi anni prima dell'avvento dei normanni nel Sud. Il primo documento che ne attesta la prossima fondazione risale, infatti, al 1010. è una concessione di alti personaggi longobardi che consentiva ad alcuni abitanti di Fragneto Manforte (oblati e uomini liberi) di costruire il castrum di Fragneti Totonis. Ci si trova, dunque, di fronte a un insediamento fortificato derivato dal frazionamento del territorio di pertinenza di un preesistente castello e promosso sia per scopi di popolamento di zone non adeguatamente sfruttate, sia per ragioni di rafforzamento della stanzialità in un momento di notevole incertezza politica e militare. Forse è proprio il processo di gemmazione ad aver fatto attribuire per lungo tempo al paese, nel gergo corrente, la denominazione di Fragnitiello. Ma la testimonianza più certa dell'esistenza dell'abitato la si trova in una cartula oblationis del 1100 contenuta nel Chronicon Sanctae Sophiae con la quale il conte Erbertus dona all'abbazia beneventana il castello chiamato Farnitum Totonis. Da quel momento in poi, in ricordo dell'appartenenza soriana, la seconda parte del poleonimo sarà cambiata in l'Abate. Si trattava di una piccola struttura urbana dal perimetro ellittico con le abitazioni addossate al circuito murario, brevi traverse ad orientamento radiale ed una piazza centrale approssimativamente rotonda. Il nucleo centrale aumentò in modo contenuto forse durante il periodo angioino, mediante un tessuto edilizio disposto concentricamente intorno alla prima cinta difensiva.
La dimensione limitata dell'aggregato medievale è testimoniata dalla Platea Antiqua del monastero possidente che, tra XIII e XV secolo, registra, all'interno del feudo, la presenza di 237 affittuari che abitavano venticinque case. Si deve escludere in questo contesto la presenza di un vero e proprio fortilizio. Intorno a tale impianto, in epoca moderna e, in particolare, tra XVIII e XIX secolo, quando Fragneto l'Abate divenne terra regia o forse dopo il terremoto del 1688, si sviluppò un quartiere molto allungato, quasi interamente formato da case a schiera costruite mediante lottizzazioni di progressione, ai bordi dei due assi stradali che, in perfetta simmetria, si dirigevano verso le opposte porte del castrum. Uno di questi due assi, straordinariamente rettilineo, determina una prospettiva di notevole qualità architettonica che si conclude nello scenografico pontile di palazzo de Martini. Fino al XVII secolo esisteva il Palazzo degli Abati il quale aveva nelle sue pertinenze le carceri, i magazzini, le cantine, cisterne, stalle e diverse stanze. C'era anche la taverna badiale con stalle e ambienti ritenuti abbastanza accoglienti, nonché il mulino con la palata di cui si accenna nel documento dell'XI secolo e che è ancora rappresentato in un disegno acquerellato del settecento. Le cortine di abitazioni della parte urbana moderna sono composte da tipologie abbastanza evolute la cui dimensione media è superiore a quella che si trova nei quartieri coevi dei paesi contermini e dimostra la buona condizione economica della popolazione. Alcune case, dotate di logge simili nella collocazione e nell'impostazione, sembrano già far intravedere una progettazione unitaria e standardizzata. Il paese è dotato di tre chiese tra cui la sede parrocchiale. Solo una di queste è situata nel borgo medievale. Il territorio di Fragneto include il feudo di Botticella centro abitato scomparso intorno al XIV secolo».
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=36
Fragneto Monforte (palazzo ducale)
«La costruzione del Palazzo Ducale risale al 1000 d.c., nel periodo del Longobardi. Nel 1584 il feudo di Fragneto entra in possesso della famiglia Montalto, che nel 1612 riceverà il titolo di duca di Fragneto e lo conserverà fino all'abolizione della feudalità. È ancora un monumento nazionale e per più di quattrocento anni è stata la residenza dei Montalto, duchi di Fragneto, di cui l'albero genealogico di famiglia si estende fino a Roma antica. La chiesa di Sant’Andrea della Valle è la basilica più teatrale di Roma ed è rappresentata nel primo atto della Tosca, i lavori sono stati completati in gran parte a cura del cardinale Perretti-Montalto, nipote del papa Sisto V (1520-90), un antenato della famiglia. Un Montalto è stato deputato una volta per governare la Sicilia e successivamente Napoli durante l'assenza del re. Agli eredi della famiglia Montalto appartiene oggi il palazzo ducale, ben conservato, grazie ai vari restauri, tra cui quello operato agli inizi del secolo XVII da Massimo Montalto, primo duca di Fragneto. Imponente è il portale del secolo XVIII sulla cui chiave d'arco è impresso lo stemma della casata con gli emblemi dei Caracciolo».
«Non si sa molto di Fragneto dalla fondazione sino al 1009, mentre dopo tale data il borgo compare frequentemente nelle cronache. è intorno all'anno 1000 che sì fa risalire, infatti, l'origine del Palazzo Ducale, epicentro dell'annesso feudo, chiamato dai Longobardi nei 1010 "Castello Nostro". Nel 1113 ne è signore un certo Rodolfo Pinello della Contea di Ariano il quale con la sua opera continua a tenere alto il prestigio e la ricchezza che avevano in precedenza caratterizzato il feudo. Nel 1138 il castello è oggetto di saccheggio e poi di incendio ad opera di Ruggiero II ma, in breve restaurato, nel 1269 con Carlo I d'Angiò viene ceduto ai Frangipane. Successivamente, nel 1350 il borgo di Fragneto con il castello passa a far parte del contado Beneventano e prende il nome di "Castrum Fragneti Montisfortis". Da allora, così come si evince da varie fonti, il feudo è stato teatro di imprese militari nella contesa tra Alfonso d'Aragona e gli Angioini. A seguito dei movimento tellurico dei 1456 buona parte dei Castello e dei borgo adiacente vengono distrutti ma in pochi anni ricostruiti. Nel secolo XVI alcuni feudi reali vengono concessi a delle nobili famiglie ed è così che anche quello di Fragnito viene dato a don Ferrante Montalto, luogotenente vicereale dei Regno nel 1528, e da allora è rimasto alla famiglia coi titolo di ducato fino all'abolizione della feudalità. Oggi il Castello con le sue torri merlate è ancora la testimonianza di un passato glorioso e travagliato; il muro di cinta, il frontale, i tetti, le torri, il cortile interno ed il giardino portano il visitatore a rivivere, anche se per breve tempo, in pieno ambiente medioevale».
http://www.comune.fragnetomonforte.bn.it/il-palazzo-ducale.html
http://www.amfarnetum.it/Luoghi.htm#PALAZZO%20DEI%20DUCHI%20MONTALTO
Frasso Telesino (palazzo Gambacorta, palazzo del Principe Spinelli)
«Palazzo Gambacorta. Imponente e significativo edificio di più di 2000 mq, con ampio giardino, il palazzo fu terminato nel 1741, in attuazione delle volontà testamentarie della Principessa Giulia Gambacorta (Napoli, 1598 - Frasso, 1663), quale Conservatorio per fanciulle civili povere. A dirigere l’Istituto si alternarono le Suore Teresiane (1741-1810), le Visitandine (1812-1919) e, dopo un periodo di gestione civile, le Suore Vittime Espiatici di Gesù Sacramentato (1940-1968). Dal 1974, per alcuni anni, è stato sede della Comunità Montana del Taburno. Attualmente è in completo abbandono. Palazzo del Principe. Costruzione che domina piazza IV Novembre, ora proprietà di privati, e che fu sede dei Feudatari che si sono succeduti a Frasso, fino al secolo XIX. L’attuale struttura (eccetto la nuova costruzione, realizzata negli anni ’60, abbattendo un’ala dell’antico palazzo e la torre) risale in gran parte ai Principi Spinelli (feudatari di Frasso tra il ‘700 e l’’800), che vi fecero realizzare anche una piccola cappella, con uscita in Via San Rocco, secondo alcuni opera di Luigi Vanvitelli. In questo Palazzo nacque nel 1788 il celebre Numismatico Domenico Spinelli e mori nel 1742 il Principe Carlo III Spinelli, Principe di Frasso e di San Giorgio, sepolto nella Chiesa della Madonna di Campanile».
http://www.frassotelesino.net/wp-content/uploads/2011/07/visitafrasso.pdf
Frasso Telesino (palazzo Piconi)
«Probabilmente sorse come una domus in età federiciana (fine XII-XIII sec. d.C.), che a differenza del castrum, il castello vero e proprio, assume l’aspetto di un edificio fortificato tra un castelletto di caccia e un palazzo, cioè una residenza. Esempi di similari strutture federiciane si ritrovano nello Statutum de reparatione castrorum ove si fa mezione di castelli di caccia o domus solaciorum, cioè palazzi destinati allo svago dell'imperatore. Va aggiunto che in età federiciana "le definizioni di castrum, palacium e domus, che in seguito, sotto gli Angiò, vengono differenziate più nettamente, sono ancora fluttuanti e incerte e si sovrappongono. La stessa costruzione, che in un punto è citata come castrum, può essere riportata in un altro come palacium o persino come domus". Indirettamente si ha conoscenza dell’attuale Palazzo dei Piconi da un documento dell’anno 1308 con il quale “Pietro de Stasio, insieme con sua moglie Flamundina, figlia del q. Pascasio Giovanni de Roberto, abitante nel casale di Frasso vende a Maffeo, f. di Giovanni de Scasello una casa nel casale di Frasso, nel luogo detto Palazzo 'a lu palaczu', (toponimo ritrovato nella successiva documentazione conservata nell’archivio parrocchiale di Santa Giuliana) per un'oncia d'oro e 4 tari”. La struttura antica del Palazzo, presenta un impianto quadrangolare con al centro una corte chiusa da quattro torri quadrate, mentre una quinta torre, della stessa forma, è ubicata sul lato sud in posizione avanzata rispetto all’edificio successivamente costruito in aderenza alla vecchia struttura. L’attuale complesso, presenta vistosi rifacimenti e costruzioni realizzate ex novo, presumibilmente nei secoli XVII e XVIII, addossate al vecchio fabbricato snaturandone in parte l’impianto originario. Il Palazzo trae la sua denominazione attuale dalla famiglia Picone, che ne risulta proprietaria a partire dal XVII sec. Esso viene ricordato in un documento del 1724 nel quale si legge “mirasi la casa Palaziata del Carlo Picone, dove anco s’attrovano altre case Palaziate di più; e questo luogo si chiama il Casale delli Piconi”. Quest’ultimo si presenta come un casale aperto, organizzato con corpi di fabbrica di tipo semplice a pseudoschiera, prevalentemente monoesposti con riduzione degli affacci lungo i fronti dei tre assi viari che li hanno generati, con andamento est-ovest e tra loro collegati. Probabilmente il casale nacque come abitato servile dell’originario “palaczu” federiciano. Tra gli elementi architettonici caratteristici del Casale Picone, occupa un ruolo di risalto il cosiddetto “suppuortico”, anch’esso citato nel documento summenzionato che lo descrive come “un sopportico a’ travi” da dove “si passa alla strada che conduce al Casale detto li Torelli (oggi Canelli) consistente di sei case abitate da altre tante famiglie e poi la medesima strada corre verso la montagna”».
http://www.turismofrassotelesino.it/servizi.php?a=10&b=1&c=2
Ginestra degli Schiavoni (borgo, palazzo baronale)
«è il più piccolo comune della provincia di Benevento ed il suo centro storico ha una forma che, pur se non facilmente classificabile, sembra piuttosto essere inizialmente appartenuta alla tipologia dei villaggi aperti. In origine era denominato semplicemente Ginestra. Così lo riporta il Catalogo dei Baroni e in tal modo viene registrato in epoca angioina. Doveva trattarsi di un casale di ridotte dimensioni privo di difese fisse le cui tracce si possono, forse, riconoscere nell'insieme limitato di abitazioni situato ai margini del vecchio quartiere a delta, così come rappresentato nella mappa catastale degli anni quaranta. L'insediamento abitativo non viene mai definito castrum o castello nelle fonti medievali. Il poleonimo, derivato dal vicino torrente, si arricchisce del riferimento al gruppo etnico proveniente dall'Albania tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo. Meomartini sostiene, infatti, che il luogo fu popolato da gente proveniente dalla Schiavonia condotta nel Regno di Napoli da Andrea di Ungheria. In un privilegio del 1528 il viceré Ugo Moncada dichiara che quaranta famiglie di schiavoni abitavano in Pulcarino e in Ginestra. Fu, probabilmente, proprio in questa fase che il centro abitato dovette essere dotato di un quartiere pianificato, di un palazzo fortificato, della chiesa di S. Maria e di una cinta muraria, cui, del resto, fa riferimento il toponimo "Porta Nuova". Risulta, comunque, che tra il 1496 ed il 535 il numero di abitanti quasi raddoppiò raggiungendo circa 350 unità. Il tessuto edilizio realizzato per l'insediamento della comunità straniera ebbe l'inconsueta forma di un quarto di cerchio con strade trasversali curve, tra loro parallele e tendenzialmente concentriche e con percorsi longitudinali ugualmente curvi ma virtualmente convergenti verso un unico punto. Gli isolati mostrano di avere somiglianza con quelli coevi di Buonalbergo e di Castelvetere. Si tratta, dunque, di una struttura urbanistica dalle matrici geometriche piuttosto sofisticate che fa ipotizzare l'opera di ingegneri militari. Questo impianto si è parzialmente conservato fino agli anni sessanta del XX secolo. Da quel momento in poi e per tutti gli anni ottanta si è avuta la completa alterazione dei manufatti e dell'intero sistema edilizio di tradizione con una grave perdita del carattere identitario di Ginestra. A testimoniare l'antecedente valore architettonico sono restati solo la chiesa parrocchiale con il campanile, dovuti da una ristrutturazione effettuata nella seconda metà del XVIII secolo, e il volume del palazzo baronale».
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=38
Guardia Sanframondi (castello)
«A controllo della valle Telesina, è sul punto più alto di un affioramento calcareo, imponente e scosceso. Le prime notizie risalgono all'età longobarda, come conferma l'etimo (da Warda, vedetta) e l'attestazione di "bicu de Fremondi" in un documento del 856, riferito alla presenza di un San Fremondo (monaco benedettino). Da esso prese il nome anche la famiglia normanna che dal 1134 al 1469 (con la parentesi dei Della Marra, dal 1395 al 1448) lo tennero in feudo, per lasciarlo poi ai Carafa, col titolo principesco, fino al 1806. La tradizione storiografica fa risalire la fondazione del castello al 1139, a cura di Raone, capostipite dei Sanframondo. Sicuramente ebbe danni ingenti dai grandi terremoti storici del Matese. Ma se i danni del 1456 furono restaurati (vedi cordolo in tufo e resistenza all'assedio del 1461), dopo il sisma del 1688 il castello probabilmente fu solo in parte riattato per usi agricoli e residenziali. L'attuale aspetto è frutto dei restauri, post terremoto del 1980. L'abbandono secolare ha causato la perdita di gran parte della stratificazione. La pianta è fortemente irregolare, ma sostanzialmente si configura come un rettangoloide molto allungato in direzione parallela alla catena appenninica. L'accesso è dal lato verso il paese, da Porta Francesca, per costringere l'assalitore ad un percorso esposto al tiro dei difensori. Al lato verso l'attuale piazza Castello, extramurale, furono accostate, forse già nel sec. XVIII, abitazioni borghesi. L'atrio di una di esse (oggi adibito a vendita tabacchi) conserva la cortina muraria esterna e la scarpa di una torre circolare. La muratura è in calcare locale, con blocchi irregolari, quasi mai squadrati.
Il mastio principale, a due livelli, è ubicato nella direzione di Cerreto, ha forma rettangolare allungata in direzione antiappenninica, con una grande scarpa di base, completamente chiusa ad eccezione di due piccole finestre quadrate, appena sotto il toro marcapiano in tufo, e di un portale. Probabilmente, esso costituiva il più antico accesso, collegato con ripide rampe alle case del borgo. Le pareti laterali sono verticali e aperte da piccole finestre rinascimentali architravate, in calcare. L'ingresso attuale, all'estremità di una lunga cortina rettilinea (sorta sugli spalti una seconda cinta muraria turrita, contro il borgo) non sembra antico: è aperto a fianco di una torre cilindrica, originariamente più alta. Un altro accesso, con una rampa ricavata nella cortina muraria, è verso Porta Francesca. Alcune strutture divisorie interne non ricostruite sono all'interno del primo livello del mastio, che ha anche i resti di un antico camino e di un portale rinascimentale verso quella che è oggi la grande spianata superiore. Se fosse questa all'origine interamente o parzialmente coperta non è possibile affermarlo con certezza. Evidenze di altri ambienti coperti sono nella parete con i vani per le finestre, verso Porta Francesca. Il castello ospita la collezione di farfalle donata dagli eredi dell'avv. Pascasio Parente che raccoglie circa mille esemplari provenienti da tutto il mondo».
http://www.trionfo.altervista.org/Monumenti/castelguardia.htm (a c. di Pietro Di Lorenzo)
Guardia Sanframondi (centro storico. mura)
«Il centro storico di Guardia è stato oggetto di numerosi studi recenti. Riguardo allo sviluppo del centro storico Guardia Sanframondi ha un processo formativo urbano non del tutto chiaro: "Si può supporre che inizialmente, tra VIII e XI secolo, ci siano stati due piccoli nuclei abitativi a casale localizzati intorno ai due corsi d'acqua che ancora oggi attraversano il vecchi centro abitato. Si possono individuare questi primi insediamenti in quegli aggregati di case di forma complessivamente ellittica che si trovano intorno alle vie Canalicchio, ad ovest del castello, e intorno allo slargo antistante alla chiesa di S. Rocco (zona Toppo), ai bordi del torrente Ratello. La loro forma richiama gli accentramenti spontanei dell'Appennino sannita difesi da palizzate e da terrapieni (da questi accorgimenti difensivi deriva il loro perimetro curvilineo). Con l'avvento dei Normanni fu realizzato un primo castello tra la fine dell'XI e la prima metà del XII secolo. Intorno al centro si formò un'edilizia minuta schierata al margine delle strade attraverso cui si accedeva allo spazio interno di fortificazione. Il centro abitato ebbe in questa fase la funzione di presidio territoriale o poco più e, dunque, una dimensione ridotta rispetto ad altri centri feudali della valli lambite dal fiume Calore. La sua crescita iniziò nel XIV secolo e proseguì fino al XVII secolo con lo sviluppo delle attività artigianali tra cui emersero, soprattutto, quelle conciarie. Il circuito delle mura urbiche si ampliò e, progressivamente, si formò un nuovo tessuto edilizio basato essenzialmente su due schemi di lottizzazione. Il primo è probabilmente quello che comprende via Fiorilli e via S.Leonardo e che, impostato su terrazzamenti di passo costante, aveva fitto reticolo viario (in larga parte, ormai, obliterato) ed isolati quadrati di piccola dimensione (m 9x9) con traverse di sezione non superiore a m 2. Conteneva abitazioni di circa quattro vani (due al piano terra e due al piano primo) fondate su piani sfalsati che assecondavano la pendenza del terreno.
Il secondo tipo di tessuto edilizio è quello che include via dietro gli Orti, via M. F. Guidi e si estende fino a toccare in alto via Portella. Ha configurazione geometrica, disposizione e moduli analoghi ma di dimensione leggermente superiore (m 10x10) anche se il suo assetto originario è più difficilmente ricostruibile a causa delle profonde trasformazioni intervenute dopo il XVII secolo. Una casa in via Guidi, che nelle cornici medievali delle finestre del primo piano mostra un motivo decorativo particolare (il cosiddetto arco a fiamma), consente di riferire la strutturazione di quest'area agli inizi del XV secolo, mentre lo schema partitivo precedentemente descritto va collocato nella prima metà del XIV secolo. Guardia Sanframondi ebbe ulteriori espansioni nel seicento (fu incluso nella cinta muraria il quartiere dominato da palazzo Sellaroli, raro edificio a corte tardorinascimentale, realizzato in tale periodo nel corso di una diffusa ristrutturazione della zona) e nel settecento, allorché l'edificazione si diffuse lungo le strade extramuranee comprendendo anche importanti edifici religiosi. In queste ultime due epoche si ebbe una sensibile evoluzione dell'architettura residenziale. Furono costruiti palazzi di notevole dimensione e qualità, frutto di accorpamenti di unità edilizie di base, che raggiunsero in alcuni casi un fasto arredativo assimilabile a quello tuttora documentato da alcune chiese locali. Anche l'edilizia comune si modificò aumentando la propria consistenza sia in altezza che in larghezza e dando luogo ad una considerevole varietà di tipologie abitative. Con la costruzione a monte del centro abitato della via Sannitica si spostò l'asse di gravitazione delle attività urbane e così tra il XIX e gli inizi del XX secolo si costituì un tessuto edilizio importante, con fronti compatti, lungo i bordi del nuovo assetto stradale. Le abitazioni, in generale, subirono gli effetti di questa nuova stagione, caratterizzata dal prevalere della produzione agricola e delle attività di trasformazione ad essa collegate su ogni altro tipo di lavoro, e persero lentamente la loro fisionomia d'origine finendo per serializzarsi più o meno profondamente" (da F. Bove)».
http://www.galtiterno.it/itinerari/percorsi/storiarch/centrogua.htm#
«...Proseguendo il percorso [territorio di San Lorenzo Maggiore], attraversando la ferrovia, si prende la via rurale Stradella che attraversa rigogliosi vigneti e tipici casali rurali nonché villette di campagna. Al termine di via Stradella si prosegue verso destra sulla via Provinciale Ferrarise in direzione c/da sotto Limata più avanti si prende via Sciorillo e al primo incrocio si svolta a sinistra per toppo Limata circondati da ricchi uliveti. Sulla destra circondati dal verde si osservano i ruderi del Castello di Limata ricchi di storia e di fascino. Limata fu un importante centro strategico per tutte le dominazioni che vi si susseguirono, dai Longobardi ai Normanni, dagli Angioini agli Svevi. Il castello fu fatto costruire da Zottone, il primo duca dei Longobardi a Benevento. Attualmente dell'antico castello resta ben poca cosa. Esso fu costruito sopra un blocco di arenaria: un vero torrione circoscritto ad est, nord ed ovest da un profondo vallone di erosione sul quale cadono ripidamente le Pendici di Toppo Limata. Al centro del pianoro sorge una casa colonica costruita sui ruderi del castello. A destra di chi guarda il portone d'ingresso è murata una pietra sulla quale è scolpita una figura muliebre con pettinatura a taglio corto, indossante corsetto, cintura e gonna pieghettata: si tratta di una scultura tombale del periodo longobardo. A sinistra del portone invece, sono murati alcuni frammenti di lapide romana sui quali s'individuano delle iscrizioni latine. Sotto i predetti frammenti è murata una pietra tombale di calcare bianco con figurazione a bassorilievo di un uomo e una donna a mezzo busto. Il portone d'ingresso dà accesso ad un piccolo e luminoso cortile circondato da modeste costruzioni di epoca abbastanza recente. Però una di queste costruzioni, un camerone a volta con scala di accesso al piano superiore, è indubbiamente l'unico avanzo del vecchio Castello. Il percorso termina qui in un contesto medievale immerso nel verde».
http://www.turismosanlorenzomaggiore.it/sentieri.php?a=81&b=1&c=0
«Il castello di Limatola, punto
di riferimento paesaggistico nella stretta vallata che il Volturno percorre
dopo l'ampia ansa disegnata sotto il Taburno, nonostante lo stato di
abbandono in cui versa dal '43, è tra le più interessanti strutture militari
della regione. Non ci sono prove né archeologiche né documentali del fatto
che il luogo su cui si erge il castello sia stato un presidio militare (arce)
fin dall'età sannitica pur essendo documentata una frequentazione antica in
tutta la vallata. Le prime notizie riguardo un Castrum Limatulae
risalgono a fonti dell'epoca longobarda, periodo in cui dové esser costruita
una piccola torre di avvistamento a difesa degli estremi possedimenti del
giovane principato longobardo di Capua verso l'antica capitale Benevento e a
vedetta contro le scorrerie delle truppe mercenarie arabe. Nella Bolla di
Sennete, emanata a delimitazione della Diocesi casertana nel 1113, è citata
la chiesa parrocchiale di S. Nicola "intra castellum", a
testimonianza dell'esistenza di strutture stabilmente usate a scopi militari
se non proprio di un castello. Questo fu probabilmente edificato in epoca
normanna (post 1160), quando la Contea di Caserta assunse una precisa
fisionomia feudale. Il possesso dei Sanseverino di Lauro, potentissimi
feudatari dell'unificato regno meridionale, consentì l'erezione di un grande
edificio. Esso inglobò la torre longobarda e la vicina chiesa in una
imponente pianta parallelepidica, di cui oggi sopravvive gran parte del
perimetro, ancora in ottimo stato di conservazione e pregevolissimo per
l'alta qualità del paramento murario esterno in tufo squadrato a vista. La
chiesa di S. Nicola, oggi cappella interna al palazzo, conserva l'antico
portale romanico in pietra calcarea che immette in un insolito ambiente a
due navate. A testimonianza dell’antico splendore restano tracce delle
fastose macchine lignee e di stucco dei due altari. Un documento
fondamentale per ricostruire le vicende del castello è il diploma regio del
27/9/1277 con cui re Carlo I ne finanziava il restauro a favore di
Margherita de Tucziaco. Tali interventi sono ancor oggi documentati nei tre
vasti ambienti, divisi ciascuno in tre campate, coperti con volte a crociera
ad archi ogivali, ubicati sui due livelli dell'edificio sul lato verso il
fiume.
In una schematica ricostruzione dell'evoluzione del manufatto, possiamo
datare all'epoca della presa di possesso dei Della Ratta (1420)
l'innalzamento del recinto più esterno del complesso, collegato alle mura
del borgo, a chiusura completa del colle sul quale è fondato il castello
vero e proprio. La configurazione tipologica dell'ala posta sull'attuale
accesso della corte superiore, della corte stessa impostata come patio
rinascimentale napoletano, su cui affacciano semplici finestre
quattrocentesche, furono dettate dall'esigenza di adeguare il castello alle
funzione residenziali di un palazzo. I danni causati dal disastroso
terremoto del 1456 furono motivo di ulteriori lavori di ripristino e di
decorazione. La trasformazione fu completata in grande stile dai Gambacorta
(1518), nuovi feudatari, che vollero lasciare memoria di ciò sulle lapidi
collocate sull'ingresso alla corte inferiore e alla cappella. Nonostante le
funzioni militari fossero notevolmente diminuite, nel corso del XVI secolo o
al principio del XVII si realizzarono due veri e proprio bastioni, di cui
quello verso il borgo dal lato del fiume ancora ben conservato; sulle
fondamenta dell'altro, posto a guardia dell'ingresso al primo recinto, verso
la fine del secolo fu realizzazione della foresteria. Il terremoto di
Cerreto del 1688 fu occasione per avviare altri interventi ai quali forse si
riferisce l’iscrizione 1696 nella corte bassa. A conclusione dei lavori, o
poco dopo, furono commissionati importanti cicli figurativi, testimoniati
dai bellissimi affreschi di ambito tardobarocco, ancora in gran parte
leggibili al piano nobile e nella foresteria, sia a soggetti allegorici che
tipicamente decorativi (quadrature prospettiche, grottesche etc.). I domini
feudali successivi su Limatola dei Mastelloni e dei Lottieri d'Aquino, non
furono né lunghi né significativi da apportare sostanziali modifiche al
grande complesso. Quando nel 1816 i Canelli, di cui gli attuali proprietari
sono gli eredi, lo acquistarono per compravendita dai Carafa, il castello
aveva già imboccato la malinconica strada delle manomissioni, delle
superfetazioni, dei restauri arbitrari e infine dell'abbandono e del degrado
totale, in cui oggi ci è giunto» (a c. di Pietro Di Lorenzo). NB.
Attualmente (2014) il castello è di proprietà della famiglia Sgueglia che lo
ha restaurato e reso funzionale ad attività ricettive e culturali.
http://trionfo.altervista.org/Monumenti/castellolim.htm
Melizzano (castello ducale Caracciolo)
«Tra i monumenti più prestigiosi presenti nel centro storico di Melizzano, è possibile ammirare il Castello, attualmente di proprietà della famiglia Caracciolo D'Aquara. Le sue origini risalgono al XVI sec. Di proprietà dei principi di Conca, passò successivamente a Bartolomeo Corsi ed in seguito alla famiglia Caracciolo. Ha come elemento di maggior pregio la scala di pietra e tufo con balaustra traforata a motivi floreali. Le ampie sale interne conservano tutte le sembianze dei castelli dell’epoca, con una spiccata impostazione di difesa e con merlature e torri fortificate. La Famiglia Caracciolo possiede anche un piccolo maniero in località Torello di Melizzano, che presenta prestigiosi ambienti, un curato giardino ed una bellissima piscina. Le stanze mostrano alle pareti tele e stampe del ‘600, arazzi e sete di San Leucio».
http://www.comune.melizzano.bn.it/index.php?option=com_content&view=article&id=51&Itemid=361 (a c. di Carlo Alberto Aldi)
Molinara (borgo, palazzo ducale, palazzo Ionni)
«L’antico Borgo medioevale, d’origine longobarda, con i bastioni e le 5 torri, sorge sulla cima di una collina tufacea alta 592 metri. Ci dà l’idea di un tipico castello in un centro fortificato, ed è circondato da una strada perimetrale che si collega al centro urbano sviluppatosi fuori le mura. Il borgo presenta una pianta pentagonale ed è racchiuso da un muro con una torre, a sezione circolare per lo più a scarpa, al termine di ciascun segmento. Al suo interno troviamo i resti della Chiesa di San Bartolomeo, sulle cui mura sono visibili ancora tracce di dipinti sacri e, a destra, il portone dì accesso al palazzo del Signore, il mastio, divenuto in seguito palazzo gentilizio. Attualmente, la zona è sottoposta a lavori di restauro. All’interno del Borgo Antico, ritroviamo la Chiesa di Santa Maria dei Greci, la cui fondazione risalirebbe all’XI secolo per opera dei monaci basiliani. In essa, per lungo tempo, le funzioni religiose furono celebrate con rito greco-ortodosso, in particolare il battesimo amministrato per immersione e solo a decorrere dal 3 giugno del 1737 esso fu amministrato secondo il rito di Santa Romana Chiesa. è posta nel luogo de la Porta da Basso e fu riconsacrata dal Cardinale Orsini il 19 settembre 1697. ... Fuori dal borgo e precisamente nella suggestiva piazza San Rocco troviamo l’antichissimo Palazzo Ionni tornato al suo antico splendore dopo accurati lavori di restauro (PIT Regio Trattuto 2.1) ed utilizzato più volte per feste, convegni, eventi e matrimoni».
http://www.comune.molinara.bn.it/architettura.aspx
Montefalcone di Val Fortore (borgo, resti del castello)
«Il Comune di Montefalcone di Valfortore è arroccato fra le aspre catene montuose del subappennino Daunio, facente parte della vasta catena montuosa dell’Appennino Sannita, e precisamente sullo spartiacque del versante Adriatico e di quello Tirrenico. Il centro abitato di Montefalcone è caratterizzato da un tipo di struttura urbanistica arroccata intorno al palazzo medievale che ne costituisce il centro storico. Tuttavia l’aumento della popolazione e soprattutto le nuove esigenze hanno facilitato un’estensione delle sue abitazioni lungo le strade di collegamento con i paesi vicini, facendo acquisire al Comune la tipica caratteristica di paese di via. Il suo territorio ha un’estensione di circa 4.216 ettari; il centro storico è posto tra gli 820 – 850 metri sul livello del mare, mentre le contrade, sia vecchie che nuove, sono situate ad altezze variabili. ... Nel 1439, sotto la Signoria di Giannotto di Montefalcone, il castello ospitò il re Alfonso d’Aragone. Il primo feudatario fu Falcone da cui l’iscrizione nei registri Angioini di mons. Falconis. Lo stemma dell’università è costituito da un falcone e da tre monti; i tre monti nella loro rappresentazione simbolica, costituirebbero le tre gambe della “M”, iniziale di Montefalcone. Sotto la dominazione Normanna, al tempo di Guglielmo II, fu feudo dei Due Limiti, poi sotto Federico II fu in possesso di Matteo de Lecto, successivamente passò al casato Mansella, ai Caraccioli e ai Loffredi. Nel 1621 fu acquistato da Andrea di Martino, che morì senza eredi. La Regia corte lo vendette nel 1645 a Francesco di Montefuscoli, passo ai De Santis e nel 1780 divenne Regio Demanio. Successivamente passò in potere del Duca di Sangro e poi del Principe di Bocella, dopo aver fatto parte della Contea di Civitate, al tempo dei Normanni, del Principato Ultra sotto gli Angioini e della provincia di Foggia nel 1811, fa parte della provincia di Benevento dal 1861. ... I beni architettonici. Castello: palazzo marchesale costruito intorno al 1400. Oggi è in rovina ed, infatti, sono visibili solo alcuni muri di base della vecchia struttura in pietra».
http://www.prolocomontefalcone.it/il-paese_2624776.html
MONTELEONE (ruderi del castello feudale)
«Monteleone è oggi una frazione di Pesco Sannita. In realtà la storia narra che inizialmente, fino al momento della sua unione al feudo di Pescolamazza sotto Antonia d’Aquino, ebbe vita autonoma. La sua nascita risale probabilmente al periodo della dominazione sveva. Secondo antichi documenti, il castello avrebbe dovuto essere annesso al territorio beneventano per renderne più sicuri i confini. Ma già nel 1269 era entrato a far parte del regno angioino. Probabilmente abitato a quel tempo da non più di venti famiglie, dopo alcuni passaggi di proprietà, Monteleone ritornò al suo legittimo proprietario, Alferio. In epoca angioina vi sono scarse notizie. Dopo circa due secoli, durante i quali Monteleone si spopolò completamente, se ne ritrovano tracce nella seconda metà del Quattrocento, quando lo acquistò Marcantonio Calenda la cui famiglia ne rimase proprietaria fino al 1616, anno in cui fu rilevato da Giovan Geronimo Nani, nobile savonese. Nella prima metà del Seicento il feudo, con tutte le sue pertinenze, passò nelle mani di Giovanni de Brier, il cui nipote, Giacomo II, lo vendette a Girolamo d’Aquino. Cosicché, morti Francesco e Girolamo d’Aquino, Monteleone si trovò, come già detto, unito a Pescolamazza sotto la nipote Antonia, loro erede universale (Storia di Pesco Sannita, pp. 27-30)» - «Dell’antico castello di Monteleone rimangono oggi solo le rovine di unatorre costruita in pietralocale lavorata, coperte da una fitta vegetazione. Il feudo ebbe vita autonoma fino alla fine del XVII secolo. Poi, sotto Antonia d’Aquino,venne unito a quello di Pescolamazza. Si suppone che il suo spopolamento sia collegabile alla fondazione di S. Marco dei Cavoti».
http://it.wikipedia.org/wiki/Pesco_Sannita#Storia - http://it.scribd.com/doc/141906788/Guida-turistica-del-Comune-di-Pesco-Sannita
Montesarchio (borgo medievale)
«Per "borgo medioevale" si intende un isolato, composto da abitazioni che insistono sul muro di cinta e da due torri longobarde, esteso lungo l'antica area di Latovetere. Le sue origini longobarde si evincono chiaramente dalla squadratura delle mura, dal metodo e dai materiali di fabbrica, dalla disposizione degli ambienti e dalla singolare sobrietà delle forme. Realizzato in muratura di tufo e pietrame, il complesso é articolato secondo uno schema composto, di forma irregolare. La cortina stradale prospetta come una continua "muraglia" curvilinea, percorsa da bucature allineate; le torri sono caratterizzate dalla tipica conformazione cilindrica. Note: sebbene la parte prevalente della costruzione abbia avuto origine come abitazione privata, funzione che ancora oggi conserva, essa é stata classificata come architettura militare per l'aspetto fortificato che la caratterizza e per la presenza di indiscutibili elementi difensivi, quali mura e torri, che ne sono parte integrante» - «L’abitato di Montesarchio sorge intorno ad un colle sul quale vi è una torre formata da due cilindri concentrici cui sono collegati altri due fabbricati uno dei quali a due piani, dotato di cortile interno, l’altro, di forma irregolare funge da ingresso. A nord della torre, ma sempre sulla cima del colle, vi è il castello. Esso inizialmente era adibito a casa dei signori del contado e successivamente è stata casa di reclusione, orfanotrofio e, si spera, sede del museo. Nella parte est del colle vi è il Latovetere, nucleo antico del paese, sorto intorno alla chiesa Abbaziale di S. Nicola, protettore di tale centro abitato. Il contado era chiuso da una cinta muraria e si accedeva attraverso delle porte una delle quali, la porta nord, è ancora ben visibile sul versante settentrionale che guarda verso la chiesa della SS. Trinità. Sul lato est, al termine del rione Cappella, si può notare una seconda porta d’ingresso, mentre una terza porta è ancora riscontrabile in via Affermi».
http://www.archemail.it/arche9/0montesarchio1.htm - http://www.prolocomontesarchio.it/visita-montesarchio/storia-di-montesarchio
Montesarchio (castello, torre)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il Castello di Montesarchio è parte di quel complesso, comprendente l'edificio fortificato ma anche le mura e la torre, che sorse sul colle di Montesarchio per il controllo del territorio della Valle Caudina. Il Castello vero e proprio occupa, sul colle, la posizione opposta rispetto alla torre, cui era collegato attraverso un passaggio sotterraneo. Secondo la tradizione, esso fu eretto verso la fine dell'VIII secolo dai Longobardi su disposizione di Arechi II, principe di Benevento. L'edificio fu, poi, restaurato da Federico II che, nel XIII secolo, lo dotò di nuovi strumenti difensivi. Ulteriori, più massicce modifiche riguardarono il castello fino allo scorso secolo, quando sulle antiche rovine fu costruito un edificio vagamente riecheggiante una fortezza. Dell'originaria costruzione resta ben poco, soltanto, cioè, i basamenti in grandi blocchi calcarei, squadrati e allineati in tre ordini sovrapposti. Relativamente al suo precedente assetto, si ritiene che il castello fosse caratterizzato dai tipici elementi di difesa, tra cui una corona di torri cilindriche ed una triplice cinta di murazioni, e che questi elementi siano stati sviliti dalla suddetta ricostruzione. L'accesso al Castello avveniva attraverso un ponte levatoio, del quale sono ancora evidenti gli incavi delle catene. Nella muratura sopra il ponte erano ubicate le "caditoie" dalle quali si versavano liquidi e pietre sugli assalitori che fossero riusciti a superare il ponte. Tra le mura era un piazzale utilizzato come campo di addestramento delle guardie; un altro spazio costituiva l'aria" per i reclusi. In relazione a questi ultimi é inoltre possibile notare, sui muri delle celle, scritte inneggianti alla libertà. La struttura è destinata ad accogliere il Museo archeologico caudino.
La Rocca costituisce, insieme al Castello di Montesarchio, quel maestoso complesso fortificato che si erge sul colle di Montesarchio, in una posizione scelta fin dai tempi più antichi in quanto strategica per il controllo del territorio della Valle Caudina. Alla torre si riconosce una origine preromana, attribuibile alle popolazioni italiche che abitarono la zona in varie epoche; essa fu riparata dai Romani e poi distrutta con le invasioni barbariche. I Longobardi la ricostruirono ed in quell'occasione crearono un collegamento sotterraneo con il castello retrostante. Fu in quello stesso periodo che sorse il borgo di Latovetere, la zona più antica di Montesarchio. La ricostruzione effettuata in epoca aragonese fu quella che conferì al complesso il suo aspetto attuale. La torre è costituita dal complesso di due volumi cilindrici, concentrici, ai quali sono addossati altri due corpi, di cui uno a pianta trapezoidale e l'altro, corrispondente all'ingresso, di forma irregolare. Il corpo cilindrico interno è più alto di un piano rispetto a quello esterno ed é costituito da un unico grande vano, da cui parte una scala che conduce alla copertura. Attraverso la scala era possibile l'accesso a due piccole celle, mentre una botola conduceva ad un cunicolo per il passaggio sotterraneo di collegamento al castello. Tale castello costituiva una efficace Via di scampo in caso di aggressione. Realizzata con la durissima pietra calcarea proveniente dal monte Taburno, la sua costruzione si attestò direttamente sulla roccia del colle. Tale attestazione, unitamente alla compattezza del paramento e alla riduzione al minimo indispensabile delle aperture, fa apparire la torre quasi come un elemento in continuità con il paesaggio naturale. L'edificio vide successivamente aggiungersi la casa del Capitano a due piani. Durante la sua storia, ma soprattutto nel Risorgimento, in essa furono reclusi molti prigionieri politici tra cui Poerio, Nisco, Pironti e Castromediano».
http://www.archemail.it/arche9/0montesarchio1.htm
Montesarchio (palazzi storici)
«Nel centro storico, inoltre sono diversi palazzi signorili, costruiti tra il XVII ed il XVIII secolo. Segnaliamo, in Via Roma, Palazzo Foglia, dalle caratteristiche murature in pietra e laterizi, la corte interna col pozzo in pietra, gli affreschi ottocenteschi, e il seicentesco Palazzo Peoli Bassano con le caratteristiche botteghe del piano terra caratterizzate da ingressi a portali lavorati ed alte finestre al primo piano, decorate e aggettanti. In Piazza Umberto I, a pochi passi dall'ottocentesca Fontana dell'Ercole, troviamo l'attuale Palazzo De Bellis. L'edificio fatto costruire dai feudatari D'Avalos d'Aquino nel corso del XVI secolo, un tempo conservava tra le sale del piano nobile numerosi e preziosi affreschi, oggi purtroppo scomparsi. Segnaliamo, infine, in Via Taburno il bel loggiato di Palazzo Giaquinto. Monastero di Santa Maria di Costantinopoli. Il complesso monastico, con la chiesa si trova in via dei Cappuccini ed è ricordato per aver ospitato per qualche tempo le sepolture di alcuni membri della famiglia D'Avalos. La chiesa ha un semplice portale in pietra, con lunetta superiore ed un bel dipinto parietale, raffigurante la Madonna Incoronata; più in alto è il campanile a stele con apertura elicoidale».
«Insieme alla zona nuova, in espansione, ed alle contrade, il centro storico è parte essenziale del Comune di Morcone, più urbanizzata e più antica. Raccoglie un terzo della popolazione e come tutti i centri medievali, era circondato integralmente da mura, eccetto verso mezzogiorno, dove un inaccessibile precipizio, chiamato La Prece, fungeva da ottima difesa naturale. Sei erano le porte di accesso: porta della Rocca, porta Stampatis, porta San Marco, porta Salvatis, porta S. Maria de Donatis e porta Sant'Angelo. Fino alla fine dell'800, Morcone si componeva di tre grossi agglomerati urbani: la Rocca, la Piazza, il Palazzo (le foto si riferiscono a questi tre agglomerati). Solo all'inizio del '900 si è avuto il primo espandersi del paese fuori le mura, ormai scomparse insieme alle porte (oggi esiste solo porta San Marco). Morcone ha un centro storico ben conservato, con strade interne costituite da scalinate in pietra bianca, con abitazioni a ridosso l'una con le altre, abbarbicato ad una montagna che spazia sulla valle del Tammaro, circondato da verde che è, per le sue suggestive caratteristiche, meta di fotografi e studiosi di urbanistica».
http://www.labellamorcone.com/il-centro-storico.html
Morcone (resti del castello normanno)
«Sfruttando il sito, difeso naturalmente dai salti di quota, la popolazione sannita che controllava il territorio, intorno al V secolo, costruì un poderoso terrazzamento murando il terrapieno con grossi massi di calcare sovrapposti in opus poligonale. Utilizzando come fondazione questa opera così solida e massiccia, nel medioevo vi fu edificato un castello: i ruderi che ci sono pervenuti suggeriscono una costruzione di epoca normanna, analoga al castello di Salerno. Oltre ai brandelli di mura perimetrali e ad una torre diroccata, sono visibili l’arco ogivale del portale d’ingresso, e parti di locali interni, uno dei quali coperto da una volta, seminterrato. Un riferimento all’esistenza del castello si ha nel 1122, quando il conte Giordano di Ariano vi trovò rifugio per oltre un anno, dopo la sconfitta subita da Guglielmo il Normanno. La fortezza, ben difesa e quasi inespugnabile, fu scelta come dimora della Regina Margherita di Durazzo, che vi risiedette per circa un anno nel 1381, organizzando da qui le sue truppe impegnate in una guerra dinastica. Tra queste mura, la regina ricevette la delegazione dell’Universitas di Morcone alla quale concesse la conferma di privilegi e immunità approvando gli Statuti contenuti nelle Antique Assisie. Nel XVI secolo il castello, già in rovina, ospitò le carceri penali. Poi, il tempo dei secoli, ha lasciato che solo il vento, a poco a poco, si impadronisse del luogo».
http://www.sicampania.com/Itinerario/Castelli/Benevento/Morcone/Castello-di-Morconese/768.html
«Nel cuore del centro storico di Morcone, in piazza San Bernardino da Siena, che ospita lo splendido auditorium omonimo e dove sorgono le antiche porte della città magnificamente conservate, come Porta San Marco, ed eleganti palazzi signorili con portali decorati, si trova Casa Sannia, oggi sede del Museo Civico. Casa Sannia è un antico palazzo risalente al XVI secolo, sede, oltre che del museo, di una biblioteca, di un archivio storico e della Scuola Musicale Civica. Espone una modesta ma significativa collezione archeologica, insieme ad una collezione di arte contemporanea e conserva una notevole raccolta di fotografie, di cui le più antiche risalgono alla fine dell’Ottocento, oggi consultabili e disponibili anche su supporto digitale».
http://www.incampania.com/beniculturali.cfm?s=5&Menu_ID=211&Sub_ID=216&Info_ID=4257
Paduli (palazzo ducale Coscia)
«Il Palazzo Ducale di Paduli,
attuale casa comunale, sorge sui ruderi di un antico castello feudale
risalente probabilmente al XII secolo, ricostruito per volere dell'ultimo
duca di Paduli: Baldassare Coscia. Questi, nel 1726, acquistò Paduli dalla
famiglia Malaspina per 52.000 ducati e l'anno successivo fu nominato duca di
Paduli da Carlo VI. Il magnifico palazzo fatto edificare dal duca Coscia a
sua dimora, conservò alcune delle caratteristiche del preesistente castello
feudale: la pianta a base quadrata con le quattro torri di avvistamento ai
vertici di questa; le terrazze ben rinforzate su ogni lato del palazzo,
protette da feritoie e sorvegliate da sentinelle armate; le stalle e gli
innumerevoli locali collocati in basso, lungo il perimetro dell'edificio,
per ospitare la servitù ed i cavalli. La costruzione di un castello feudale
e la sua stessa posizione strategica (sull'alto di una collina) testimoniano
pertanto l'importanza che Paduli ebbe nei secoli passati come punto di
passaggio obbligato per i commerci, che attraverso l'antica via consolare
Egnatia, giungevano in Puglia e per le varie imprese belliche. Nel Medioevo
(1122), Paduli, allora appartenente alla Contea di Ariano, fu presa da
Guglielmo il Normanno e fortificata al fine di costituire una forte e
stabile base per i conflitti contro le zone vicine: forse proprio durante
questo periodo fu edificato l'antico castello.
Anche re Ruggiero di Sicilia, più tardi, si servì di Paduli come base per le
operazioni militari contro Benevento e tutte le località della valle del
Tammaro. Volendo premiare la fedeltà e la devozione mostratagli dai Padulesi,
lo stesso re Ruggiero di Sicilia, collocò Paduli sotto il suo diretto
controllo. Successivamente, il castello ospitò: Tancredi, Federico II,
Manfredi e nel 1440 re Renato d'Angiò diretto verso la Puglia. Il comune di
Paduli acquistò dalla famiglia De Vivo il palazzo ducale per adibirlo a casa
comunale restaurandolo in seguito al terremoto del 1962».
http://www.paduli.com/photo.htm (a c. di Felice Truglia)
«Non si hanno precise notizie circa l'anno di costruzione della Porta Columbro, né si conosce se prima di questa vi era una struttura preesistente. Sicuramente appartiene insieme con Porta Apice e Porta Nova (oggi demolita) a quel complesso di passaggi attraverso i quali era possibile raggiungere il borgo e il castello ducale, oggi sede comunale. I Normanni, che nel 1113 occuparono e fortificarono i territori intorno a Paduli per farne una basse d'appoggio nelle continue incursioni dei beneventani, certamente si servirono di questo tipo di strutture, per accedere all'interno del borgo fortificato. Negli anni successivi Paduli e le altre località della Valle del Tammaro furono sede di cruenti scontri tra il duca Rainulfo e re Ruggiero di Sicilia. Quest'ultimo nel 1138 fortificò ulteriormente Paduli e lo munì di forti presidii facendone il suo quartier generale. è probabile che proprio in questo periodo sia stata eretta la struttura della Porta Columbro. Tutte le vicende storiche successive si concentrarono attorno al castello poi palazzo ducale: nel 1440 Re Renato D'Angiò, diretto verso la Puglia, pernottò a Paduli, accolto con fervore dai padulesi».
http://www.paduli.com/photo.htm (a c. di Felice Truglia)
Pago Veiano (castello di Terraloggia)
«Nell'ambito dei confini comunali si trova lo scomparso feudo di Terraloggia che in età normanna era un castrum ricco e dotato di un castello di cui sopravvivono cospicue strutture in muratura di pietra calcarea. Denominato originariamente "Terra Rubea", faceva parte prima della contea di Ariano poi di quella di Buonalbergo. Nel 1113 questo feudo era posseduto dal normanno Roberto di Sicilia che mosse guerra ai beneventani i quali, in numero di circa quattromila, guidati da Landolfo della Greca, distrussero e saccheggiarono l'abitato. Nell'incendio del castello morì tra le fiamme lo stesso Roberto. In seguito il feudo, di nuovo discretamente abitato, fu posseduto, con quello vicino di Mannaro, da Guarino di Terrarubea che nel 1170 partecipò alla crociata bandita da Guglielmo il Buono. Il castello è stato ristrutturato nel XVI e nel XVIII secolo fino ad essere trasformato in una grande villa rustica ed essere abbandonato dopo il sisma del 1980».
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=48
Pago Veiano (resti del castello di Tammaro)
«Altra località interessante per il suo significato storico è la contrada Casalini dove era localizzato lo scomparso centro abitato di Tammaro» - «Dalla chiesa di San Michele siamo scesi verso il fiume Tammaro dove in età feudale esisteva un altroimportante castello, quello di Tammaro, che sorgeva proprio sul fiume, nel 1138 alloggiò per quattro giorni Ruggero II, re di Sicilia, in guerra contro il cognato Rainulfo. Del castello, come della chiesetta detta di s. Nicola, ora esistono solo dei ruderi coperti da fitta boscaglia» (a c. di Claudio Solimene).
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=48 - http://www.cainapoli.it/site2/docs/TA_esc080210.pdf
Pannarano (palazzo marchesale Cocozza Campanile)
«...Da documenti ufficiali più attendibili l'esistenza di questo piccolo centro risale già ai secoli XIII e XIV con la denominazione di "Casali Ponderani". Pannarano venne infeudato ai Della Leonessa, i quali l’ebbero dalla famiglia Stendardo per il matrimonio di Guglielmo Della Leonessa con Isabella Stendardo. Sarebbe stato proprio Guglielmo della Leonessa ad erigere il castello di Pannarano come utile difesa. Fu durante il dominio del figlio Marino, che questo centro subì gravi danni a causa delle lotte aragonesi, così come riporta un famoso diario anonimo. Nel 1456 l'ebbe Gabriella della Leonessa come dote di matrinonio, poi in seguito venduto a Francesco De Lagonissa. Lo Stato delle Rendite presentato da Fabrizio della Leonessa alla Regia Camera della Sommaria il 25 settembre 1465 riporta il feudo di Pannarano tra i possedimenti della sua casata. In seguito gli eredi di Gabriella della Leonessa fecero annullare la vendita prima descritta ed alienarono il feudo a Martino Marziale di Napoli, Regio Consigliere di Ferdinando I d'Aragona con atto stipulato nel castello di Pannarano il 19 aprile 1485. Con la morte del Marziale senza che egli avesse lasciato eredi legittimi, il feudo passò di diritto alla Corona di Spagna. Federico d'Aragona lo donò al suo "paggio" Giovannantonio Caracciolo il 5 maggio 1498 ... Il feudo rimase ai Caracciolo fino al 1846 e solo qualche anno più tardi fu venduto per 3200 fiorini al sig. Eustachio Abate, il quale provvide a restaurare il palazzo marchesale. La sua unica figlia sposò il marchese Carlo Cocozza Campanile da San Martino Valle Caudina. Gli eredi di Carlo Cocozza Campanile, morto prematuramente, tra il 1925 ed il 1935 gradualmente alienarono tutti i beni di cui erano proprietari a Pannarano. Anche il castello restò smembrato da più vendite e le sue caratteristiche di maniero feudale risultarono, soprattutto in seguito, profondamente compromesse. Ma se l'aspetto architettonico lo imponeva all'ammirazione dei cittadini non meno interessante era il suo patrimonio interno. Aveva una cappella privata i cui arredi, tra cui alcune tele di Santi di notevole valore, vennero donati alla congrega del SS. Rosario, ma oggi di essi non vi è più traccia. Vantava anche un salone di grosse dimensioni che ancora nel 1923 era stato fatto affrescare dal pittore napoletano Di Lisio. Le esigenze idriche del castello erano servite da un acquedotto in tubi di terracotta che dalla sorgente "Tavella" vi adduceva acqua a profusione».
http://castelliere.blogspot.it/2013/10/il-castello-di-mercoledi-23-ottobre.html
Paolisi (borgo, palazzo Tirone)
«....La cittadina è formata da tre rioni ben distinti morfologicamente e storicamente. Il centro storico è il settore più caratteristico, con ampie zone di sovrapposizioni post-settecentesche, frutto delle imponenti opere di ricostruzione seguite ai disastrosi terremoti. Il decumanus maximus ha pressappoco l'andamento dell'attuale corso. Il tessuto viario ed edilizio si articola anche con i numerosi quartieri che vanno sorgendo. I tipi edilizi, in questo sito, hanno caratteristiche seriali e si aggregano in isolati a schiera e di conformazione irregolare. L'insediamento settecentesco, dovuto alla ricostruzione, dopo i terremoti del 1688 e del 1702, consolida tutta la parte abitativa collinare e più elevata del nostro paese. Lungo questi assi viari e nelle loro adiacenze, si realizzarono numerose emergenze architettoniche, palazzi, chiese, che costellarono il tessuto urbano, dando luogo a molteplici punti di convergenza formale e funzionale. Formarono così degli "ambiti locali" di notevole interesse, degli spazi singolari destinati a persistere integrandosi e sovrapponendosi alla omogenea generalità degli elementi seriali abitativi. L'insediamento ottocentesco rafforza sempre più, anche con imponenti sventramenti, la funzione primaria dell'asse longitudinale, divenuto via Roma. Qui avviene la concentrazione di tutte le principali attrezzature direzionali e commerciali, con conseguente rapido decadimento delle aree retrostanti. Tale funzione del corso viene esaltata anche dalla realizzazione di unità edilizie di notevoli dimensioni. Ciò nonostante è possibile una lettura del tessuto urbano più antico specie se condotta per settori morfologicamente omogenei che consentono l'individuazione di parti che conservano una certa unitarietà. Lungo la via Roma, intensamente urbanizzata, non troviamo più le originarie edificazioni, ma prospettano su questo asse viario, palazzi costruiti a partire del XVI secolo in poi.
Questo asse è dominato dalla graziosa vista prospettica del palazzo Tirone oggi di proprietà Fuccio. La sua impostazione architettonica, che oscilla tra lo stile neoclassico e lo Stile Liberty, in buona parte è andata perduta a causa dei rifacimenti dovuti agli eventi sismici del 1980. Il palazzo, anche se svisato nella parte alta della cornice di gronda, resta, per le rimanenti parti, il prototipo delle abitazioni neoclassiche in Paolisi. La linearità architettonica, caratterizzata in tutta la sua lunghezza dallo spartito armonico e simmetrico dei piani, entro i quali prendono vita i vani balconi, coperti di cornice e da timpani triangolari aggettati, di grande effetto decorativo. Una volta era bello vedere la purezza architettonica di questo complesso, che traspariva attraverso l'impianto dell'edificio sia esterno che interno. Oggi, la vista si può appagare visionando e leggendo quelle poche parti dell'originale partizione del prospetto, diviso in settori binati sia dei piani che delle aperture. Il prospetto è suddiviso in cinque scomparti, quelli laterali, racchiusi in semplici paraste listate, nel cui centro si apre un vano balcone semplice, sovrastato da un timpano triangolare. La parte inferiore, si caratterizza da vani luce in forma rettangolare che danno vita a piani terranei. Il settore più largo del prospetto contiene due vani luce, binati da una sola balconata. Il ricco e armonioso prospetto centrale, completa ed unisce le parti ad esso simmetriche. L'elegante balcone della parte mediana è sormontato da un timpano triangolare, il tutto racchiuso in paraste doppie, ornate nella parte centrale da tralci e fiori lavorati a stucco. Un elegante portale ad arco a tutto sesto è racchiuso tra grosse paraste listate doppie.
La tradizione vuole, che per la presenza nella zona dell'arte Vanvitelliana. questo palazzo abbia subito l'influsso di quello stile. In questo contesto, più che i singoli motivi vanvitelliani, va sottolineata una accurata ricerca di impaginazione del prospetto, per la visione frontale e per l'intelaiatura dei piani, ove gli spazi vengono scanditi con un certo rigore. Al di là del valore storico artistico del complesso, va sottolineato quello della posizione, ascrivibile alla creatività urbanistica che si andava sviluppando lungo l'asse viario nel XVIII secolo. L'androne rettangolare, che domina la parte inferiore con la sua eleganza e la sua austerità è diviso in tre parti da una successione di archi e da tre volte a vela. Questo, costituisce l'unico pezzo che si è salvato dalle furie devastatrici. Superato il lungo androne, ci si trova all'improvviso nello spazio del cortile. Un tempo, la parte superiore dei due fonti era tutta decorata con pitture di stile liberty e sfondi pompeiani. Oggi, di quel fastoso cortile, restano alcune parti del loggiato a colonne scanalate sormontate da capitelli ionici e le tracce di un fregio decorativo periplo. Sulla sinistra della parte terminale dell'androne, si apre l'invito della scala principale. Anche in questa, di quello che fu il fasto e l'eleganza, dell'unica rampa resta ben poco, tutto è stato manomesso e alterato, come manomessi e alterati sono stati i piani nobili, ricchi di motivi decorativi e di zone affrescate. Queste testimonianze sono andate barbaramente distrutte. La storia di questo edificio, come si può ben constatare, risulta strettamente legata a quella delle famiglie che nei secoli lo hanno posseduto rendendolo funzionale, decoroso e bello».
http://www.comune.paolisi.bn.it/index.php?action=index&p=245
«Il palazzo che si trova nella zona chiamata fuori le torri, è il complesso edilizio che più si identifica nell'immagine della cittadina di Paolisi, per aver vissuto, da testimone o protagonista, le tappe più importanti della sua storia, legate alle varie stratificazioni storiche. E alle principali vicende della famiglia De Mauro, che costruì la dimora, dalla quale esercitò il potere, sino al suo trasferimento nella città di Napoli e alla dipartita dell'ultimo rampollo. In tempi più recenti, a causa del frazionamento fondiario il palazzo è stato acquistato ed è abitato da più nuclei familiari. Il complesso architettonico dei signori De Mauro, venne edificato intorno al secolo XVII per assicurare alla famiglia nobile una decorosa dimora e per esercitare il controllo sui poderi che gravitavano nel circondario. Inizialmente, l'edificio venne utilizzato esclusivamente a servizio dei fondi rustici, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, si iniziò ad utilizzarlo come espressione della residenza signorile, ampliandolo e sistemandolo definitivamente lungo l'asse viario di questa amena cittadina. Al cortile interno si accede dall'androne rettangolare, coperto da una volta, che ci introduce mediante un piano di calpestìo tutto lastricato in pietra da taglio, nel vasto cortile, ove gli faceva da sfondo, un magnifico arco in pietra travertina. Dalle strutture rimaste, si evince che tutto il perimetro del cortile era adorno da una successione di archi che richiamano alla mente le case a corte della cultura caudina. Qui tutto si armonizzava, scale coperte ed archi, pittoreschi loggiati che immettevano da un capo all'altro del palazzo nei vari ambienti interni. Sulla destra del cortile si apre un articolato vano scala, che sull'invito delle ultime e comodissime rampe, offriva in visione prospettica i due lunghi loggiati e gli inviti agli appartamenti nobili. Oggi, questa suggestiva prospettiva architettonica la si può leggere lungo il loggiato posto alla sinistra della scala. La sua scarna architettura rustica nonostante la scarsa tutela, appare in tutta l'austera bellezza, e offre una visione meravigliosa sul giardino curtense spaziando sino alle propaggini del Taburno. All'angolo, posto a sinistra del cortile, nonostante lo stato di abbandono, fa spicco un magnifico pozzo provvisto di cappa. Si eleva da una cordolatura marcata, e segue l'andamento circolare della cappa. Quest'ultima è interrotta nei quattro punti diametrali da sostegni in pietra lavorati a piccole volute e sostengono tutta la cordolatura sagomata del pozzo, dalla quale si innalzano i congegni dalla carrucola.
Il palazzo, lungo l'asse viario di via Roma, si sviluppa per una lunghezza di circa ottanta metri. Sulla sinistra del prospetto, trova dimora una chiesetta padronale, costruita circa dieci anni dopo il completamento del palazzo. Come si evince dalla scritta posta sull'architrave della porta d'ingresso, questo sacro luogo, non possedeva il beneficio del diritto di asilo. L'interno a nave unica, con un arco trionfale posto all'inizio dell'abside, nel cui centro fa spicco una bella statua della Madonna delle Grazie, la cui festa viene celebrata il 27 luglio di ogni anno. Completa la conca absidale un decoroso altare neoclassico che ben si armonizza con tutto l'interno, pacato, mistico e raccolto. Nella parte superiore del prospetto, si aprono tre vani luce che si completano con tutto il resto del palazzo. Alla sommità del fronte della chiesa, si innalza un piccolo campanile alla cappuccina. Il complesso architettonico del palazzo, nella parte inferiore è articolato da vani terranei il cui ingresso è costituito da archi di pietra scalpellati. Nella parte alta, si rincorrono otto finestre con davanzali in pietra scalpellata e sagomati ed entrano in quella configurazione architettonica propria del secolo XVIII. Il complesso signorile dei De Mauro, nella parte mediana è dominato da un arco a sesto ribassato, chiuso al centro da una chiave a cuneo tutta lavorata a rilievo. Sul fronte della chiave dell'arco spiccano i simboli dello stemma araldico. Si rilevano due leoni rampanti che reggono una stella a guisa di sole, mentre alla sommità dello scudo, una corona principesca completa la composizione. Il modellato dello stemma araldico si presenta ben definito e si rileva una pregevole fattura. Il portale d'ingresso, visto nella sua globalità, ci introduce senza esitazione in uno scorcio prospettico dove fa spicco il giardino curtense e il colosso montuoso del Taburno. ...».
http://www.comune.paolisi.bn.it/index.php?action=index&p=245
Pesco Sannita (palazzo baronale, torre, borgo)
«Denominato originariamente Pesclum (rupe) questo centro abitato compare nelle fonti dell'XI secolo come castello. è, dunque, già nel 1010 un insediamento castrense. Sorge sul banco calcareo di un controcrinale che domina la vallata del fiume Reinello e possiede uno schema di impianto urbanistico basato su una fitta griglia di strade ortogonali con orientamento nordest-sudovest (oggi in gran parte obliterate) che determinava piccoli isolati di forma approssimativamente quadrata. Intorno al caseggiato realizzato in declivio doveva esserci un circuito murario ad andamento ellittico, documentato ancora in epoca moderna, di cui resta traccia solo nella forma delle vie San Nicola e Camerale. Non priva di significato, per la datazione di tali matrici fondative, è la posizione extramuranea della chiesa dedicata a San Nicola di Bari che risultava esterna al sistema difensivo anche nella prima metà del XVI secolo. Sembra, in questo caso, evidente l'analogia con Benevento e con Castelvetere dove il culto per il vescovo di Mira, diffusosi a partire dal 1087, trovò la propria sede lungo il circuito delle mura urbiche. Tenendo conto di questo dato e dei caratteri tipologici si può ipotizzare che il nucleo originario del paese possa essere un accentramento demico "a casalini" pianificato intorno al X secolo nella cosiddetta fase di incastellamento. Del resto nella cronaca di Falcone beneventano si fa menzione di un castrum Pescli senza far riferimento al feudatario dell'epoca, il normanno Gerardo della Marra. La denominazione Pescolamazza (anche Pesco della Mazza) sembra, infatti, derivare dalla famiglia dei feudatari che mantenne il possesso dell'abitato e del relativo territorio senza interruzione fino ad epoca vicereale quando il feudo passò nelle mani dei Caracciolo di Casalbore. Il poleonimo fu cambiato nel 1947 in Pesco Sannita.
Nel medioevo Pesco fu al centro di diverse vicende militari che dimostrarono la solidità delle sue strutture di difesa. Queste ultime rimasero, probabilmente, invariate fino al XVIII secolo cosicché sia il piccolo quartiere ad isolati paralleli convergenti verso la porta meridionale del castrum (demolita negli anni ottanta), riferibile al periodo angioino, sia il quartiere cinquecentesco, costruito mediante lotti di maggiore dimensione a sudest e quasi in tangenza alle mura, testimoniano con largo anticipo il superamento del sistema abitativo medievale chiuso. Nel XVI secolo, non a caso, si manifestarono i primi segni della crescita del ceto civile che diventò progressivamente protagonista della vita comunitaria. Questa tradizionalmente si raccoglieva in due zone. Da un estremo c'era la parte bassa denominata "valle" e dall'altro la parte alta denominata "castello" che confinava con la piazza mediante l'antico palazzo baronale (trecentesco palazzo fortificato e ora sede municipale) e mediante la cosiddetta "Casa della terra" o dell'Università. Questo edificio fino al settecento rappresentava il luogo dove si riunivano le assemblee comunitarie. A partire dalla fine del XVIII secolo, essendo aumentato il numero degli abitanti, le riunioni pubbliche si incominciarono a tenere in piazza. Il vecchio borgo addensato sul versante del colle, con le sue ripide rampe a gradoni e i suoi stretti supportici perse lentamente centralità. L'edilizia moderna si sviluppò lungo gli assi stradali che convergevano verso il centro abitato medievale così come si verificò in Santa Croce del Sannio, in Colle, in San Marco e in altri centri abitati del Fortore e dell'Alto Tammaro. ...».
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=52
Pietraroja (resti di fortificazioni)
«Pietraroja nasce probabilmente come piccolo villaggio sannitico fondato in seguito alla distruzione dell'antica città di Telesia, intorno all' 85 a .C., da parte di Lucio Cornelio Silla. Parte dei telesini scampati alla morte si rifugiarono sui monti più alti e fondarono così un primo villaggio di case, nella zona attualmente detta ‘Case vecchie', lungo il bosco del ‘Feo'. In epoche diverse sono stati rinvenuti nel luogo vari oggetti antichi, in uso presso i Romani. Distrutto questo primo villaggio, non è noto se a causa di un alluvione o un terremoto, gli scampati ne costruirono un altro in luogo più sicuro e solido, tra le località ‘S. Anna' e ‘Castello'. In seguito al terremoto del 1125, il paese venne ricostruito nella zona detta ‘Terra Vecchia' e fortificato con mura e massicce torri circolari per la difesa. Signori di Pietraroja furono i cavalieri normanni della casa Sanframondo; nel XV sec. il conte di Alife, seguirono i Gaetani, signori di Piedimonte ed infine i Carafa fin al 1806. Il centro abitato rimase i quel sito fino al terremoto del 1688. Agli inizi del 1700 i superstiti iniziarono a costruire la quarta Pietraroja dov'è attualmente».
Pietrelcina (borgo fortificato)
«La derivazione del nome
Pietrelcina viene per tradizione divisa in due diverse radici, Petra
Pulcina (in contrapposizione al centro abitato scomparso di Petra
Maiore) e Policenus signore normanno abitante di quelle terre. La
prima etimologia, la più probabile fa riferimento al banco calcareo su cui
sorse il nucleo originario del paese. La seconda fa riferimento ad un
normanno non documentato che avrebbe avuto il possesso del feudo. La prima
notizia si ricava dalla cronaca del giudice Falcone beneventano che accenna
a Pietrelcina nell'ambito delle vicende che interessarono la città
pontificia e i centri abitati limitrofi nel XII secolo. Nel 1138 Bartolomeo
da Petralcina giura, con i baroni vicini e con i beneventani, alleanza
contro Ruggiero di Sicilia, che dopo pochi anni distrusse il centro abitato.
Nel 1173 il castellum venne ricostruito e registrato nel Catalogo
dei Baroni. Pietrelcina è anche citata in documenti del XII e XIII
secolo, ma non risulta richiamata nelle Bolle delle Confinazioni di Clemente
VI del 1350, forse perché il terremoto del 1349 e la peste del 1348-1352 ne
avevano causato la decadenza. Ebbe nel tempo diversi feudatari tra cui
Bartolomeo di Camerario al quale successe nel 1415 Vincenzo Caracciolo di
Casalbore e poi Landolfo d'Aquino. L'ultimo della serie fu un esponente
della famiglia Carafa cui apparterrà fino all'avvento dei francesi.
Il primo insediamento abitativo sembra essere un aggregato di case del tipo
a "cortina" che potrebbe essere l'originario casale inglobato in epoca
normanna-sveva in un castrum le cui matrici geometriche ancora si
riconoscono e configurano una lottizzazione simile a quelle di Montefalcone
e di Molinara (zona castello). Il centro fortificato aveva al proprio
interno la Chiesa di Sant'Anna risalente al 1330, fondata antecedentemente
con il nome di Sant'Angelo e Maria. La chiesa attuale è una ricostruzione
del 1697, che ricalca l’originario edificio distrutto nel 1688. Nel XIV si
registra un primo consistente ampliamento di Pietrelcina. Il quartiere
extra-muraneo ha un impianto basato su un fitto reticolo di strade parallele
e tendenzialmente ortogonali che ricorda la lottizzazione angioina di
Castelvetere. Si sviluppa in direzione della chiesa di Santa Maria degli
Angeli costruita intorno al XIV secolo, che nasce come cappella intitolata a
Sant'Anna. Un ulteriore e più esteso ampliamento si registrò tra XVIII-XIX
secolo quando il paese spostò il suo baricentro e triplicò la sua
superficie. L'impianto urbanistico moderno si sviluppò mediante
lottizzazione di progressione ai bordi delle strade che convergevano verso
il borgo medievale, e determinò una sequenza di spazi ampi luminosi e vari
che assimilano questo assetto urbanistico a quelli dei centri abitati
dell'area della transumanza. In questo conteso moderno si formarono case di
migliore qualità e di maggiore dimensione tra cui alcune pregevoli "case
palazziate" appartenenti al ceto civile. Si trattò di uno sviluppo legato ad
un evidente miglioramento della condizione economica e sociale del paese».
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=54
Ponte (torri superstiti del castello)
«Un diploma del longobardo Pandolfo, principe di Benevento dal 961 al 991, conservato nell'archivio Arcivescovile di Benevento nomina per la prima volta il comune di Ponte e consente di datare anche la fondazione del suo castello, posteriore all'Abbazia di Santa Anastasia (VIII secolo). Fu proprio dall'Abbazia che l'originaria comunità pontese cominciò ad allontanarsi per cercare un luogo più sicuro, protetto da incursioni e saccheggi, subiti dall'insediamento benedettino, costruito vicino ad una grande via di comunicazione. All’abate Giovanni veniva anche concessa la facoltà di costruire un castello e renderlo abitato. Il castello fu subito realizzato e già nell’anno 1087 il trasferimento della piccola comunità pontese, dall’abbazia al castello doveva essersi completato. è, infatti, del 1087 un documento che cita come primo signore del castello di Ponte, Baldovino il Normanno, vassallo del conte Rainulfo. Il nuovo centro abitato fu difeso da mura e da torri; alcuni ambienti delle strutture medievali sono oggi inclusi in parte in case di privati ed in parte nella Chiesa del SS. Rosario. Nel 1134 il castello dovette subire, da parte di re Ruggiero il Normanno, il suo primo assedio con successiva capitolazione. La cronaca dell'assedio e della conquista del castello è descritta dall'abate Alessandro da Telese nell'opera De rebus gestis Rogerii Siciliae regis. Ai tempi di Federico II fu posseduto da Nebulone di Ponte, il quale ebbe in custodia, prigioniero guelfo, il nobile piacentino Vitolo Palastuello. Nel 1266 fu occupato dalle truppe francesi di Carlo d’Angiò, prima della famosa battaglia con Manfredi di Svevia. Il nuovo sovrano francese, nel 1269, donò il castello a Giovanni Frangipane della Tolfa che, con il suo tradimento, aveva permesso la cattura di Corradino di Svevia. Con tutto il paese il Castello soffrì le gravi calamità che colpirono il territorio di Ponte nella prima metà del XIV secolo: la carestia, una epidemia di peste e un terremoto. Parti del centro storico fortificato furono così irrimediabilmente perse. Le torri superstiti, di forma cilindrica, poste agli angoli del fortilizio a base approssimativamente quadrata, sembrano rimandare alle architetture castellari del XII secolo e sarebbero un rifacimento dell'originaria fortificazione del X secolo. Dell’originario maniero che doveva avere sette torri cilindriche di avvistamento e di difesa, oggi sono ben visibili solo quattro torri, altre due si trovano invece entro le mura che servivano a separare il palazzo ducale dal resto delle residenze. è di particolare suggestione girovagare oggi tra gli stretti vicoli del borgo medioevale alla scoperta di angoli caratteristici».
http://www.adpontem.it/Ponte_Arte_Castello.htm
Pontelandolfo (castello, torre)
«Maestosa ed imponente Torre Medioevale del XII secolo fatta erigere dai Gambatesa. Si erge dal suolo per 21 metri. Le mura di base hanno uno spessore di metri 4,50 e s’innalzano a scarpa sopra un cerchio di base di 14 metri di diametro. Un anello di pietra bruna separa le mura di basamento con le mura soprastanti, che si innalzano in forma perfettamente cilindrica per uno spessore di metri 3,00. Tale cordone, tagliandola orizzontalmente, la distingue in due parti. L’inferiore comprende due vani: uno spazioso, chiuso tra il basamento e una volta di pietre, era adibito a uso cisterna, da cui, per un foro scavato nel muro dal lato sud-ovest, si attingeva l’acqua per il bisogno degli assediati; l’altro, dell’altezza d’un uomo, interposto tra la volta della cisterna e il pavimento superiore, diviso in quattro settori eguali, serviva per conservare le munizioni. La parte superiore, poi, chiusa pure da una volta di pietre, era separata da un assito in due piani, che comunicavano per mezzo di botole. Serviva come difesa vera e propria del Castello di cui sono presenti ancora i resti con mura ad impianto poligonale e torrette di avvistamento. Nella prima metà del sec. XIX, venduto il castello dal principe di Colobrano al dott. Gaetano Maria Perugini, furono nella torre eseguite parecchie costruzioni: sul terrazzo venne alzata una torretta, si aprirono, in direzione della cisterna una porta dal lato del giardino, due balconi al secondo piano ed uno al primo, e si scavò nelle mura una scala che conduce fino alla torretta. Alla torre si accedeva dall’interno del castello mediante un ponte levatoio, il quale, partendo dalle mura del fabbricato che le si alzava di fronte, calava sulla soglia del finestrone che guarda a mezzodì, di forma rettangolare, dalle spallette di pietra oscura, la cui costruzione è coeva alle mura della torre. Nel 1134 un castello già da qualche secolo dominava sul territorio di Pontelandolfo, in cui si incrociavano le vie provenienti dagli Abruzzi e dal Molise, dalla Capitanata, dal Beneventano e dalla Terra di Lavoro. Ma solo dopo che i passaggi dell’esercito di Carlo d’Angiò nel 1266 e di quello di re Luigi d’Ungheria nel 1348, ebbero additata l’importanza strategica del luogo, i feudatari, per meglio fortificarlo, costruirono questa torre dalle poderosa mura, che tuttora si ammira. D’altra parte, non poté essere edificata prima della seconda metà del XIV secolo, perché, se ciò fosse avvenuto, Carlo Artus, che acquistò il castello nell’anno 1341, quale capitano valoroso che tanto teneva alle cose del reame, non avrebbe avuto il gusto di alienarlo quattro mesi dopo l’acquisto. E neppure si può ammettere che sia stata costruita prima della metà del XV secolo: infatti, l’applicazione della polvere alle armi da sparo, allontanando gli assedianti dalle mura, avrebbe consigliato un sistema diverso di fortificazione».
http://www.comune.pontelandolfo.bn.it/c062054/mm/mm_p_dettaglio.php?idmonumento=1&x=
Puglianello (castello baronale)
«Sappiamo che già in età romana l'area di Puglianello fu abitata grazie ad una lapide, riportata da Mommsen, ritrovata nei pressi del Volturno. Le fonti tacciono fino ad un documento dell'anno 800 in cui è citato un casale nelle vicinanze; negli anni successivi (vuoi anche per la vicinanza al grande centro di Telese) le citazioni si infittiscono (841, 856). La persistenza ancora nel XIX secolo di molte edicole campestri induce ad ipotizzare che nel territorio gli insediamenti umani fossero piccoli e diffusi (si ricorda anche un castrum Marafi, esistente ancora nel 1500). Il borgo era in suffeudo già intorno al 1150: infatti, nel Catalogus Baronum risulta dato (con l'obbligo di un solo milite) a Johannes Garardus Camerarius, valvassore di Nicolaus Frascenellus, a sua volta vassallo di Roberto dei Sanseverino di Lauro, conte di Caserta e titolare del feudo. Probabilmente la crisi sismica che nel 1349 distrusse Telese, da un lato, e la fine del potere feudale della vicina abbazia del Salvatore (dai primi del XV in commenda) causarono l'accrescimento del centro urbano attuale. Nel 1460 appartenne a Giovanni da Celano cui fu tolto per delitto di fellonia. Lo ebbero poi i Gaetani e i de Rinaldo (la famiglia capuana cui appartenne il letterato e storico Ottavio, nato proprio a Puglianello nel 1712 e morto nel 1773). Decimato nella popolazione durante la peste del 1656 (tanto che il vescovo di Telese, mons. Mariani, pensò di sopprimere la parrocchia). è allo stato impossibile con certezza riconoscere strutture più antiche del XV secolo negli edifici che oggi costituiscono il castello. Il che potrebbe essere giustificato dalla pressoché totale ricostruzione avvenuta forse in seguito al terremoto matesino del 1456. L'impianto attuale è tipicamente rinascimentale: pianta quasi quadrata a corte chiusa, con quattro torri angolari a pianta circolare, con base troncoconica e alzato cilindrico, pareti verticali con base scarpata, ben conservata solo sui fronti verso NO e SE (doccioni). La trasformazione in villa rustica (avvenuta tra il XIX e il XX) ha pesantemente alterato la volumetria della struttura (soprattutto lungo le cortine) e gran parte delle facciate (in particolare quella è l'accesso principale). La torre principale, quella verso Nord, è anche la meglio conservata (redondone in piperno, tracce di saettere, doccione). Proprio il fronte verso Alife (NO) sembra conservare interessanti tracce della primitiva costruzione medievale: infatti, è possibile ipotizzare che l'accesso originario fosse su questo lato, in corrispondenza del rafforzamento della cortina costituito dalla bassa torre rettangolare difesa da cannoniere e feritoie».
http://trionfo.altervista.org/Monumenti/puglianello.htm (a cura di Pietro Di Lorenzo)
a cura di Michele Calzone
San Bartolomeo in Galdo (borgo, porte)
«Il territorio di San Bartolomeo in Galdo è posto all’estremo limite della provincia di Benevento ed è limitrofo a quelle di Foggia e Campobasso. Le sue origini sono piuttosto remote e in tempi antichi fu una rocca dei Sanniti. Il territorio attuale di San Bartolomeo in Galdo, costituito da quattro ex-feudi, si ipotizza che sia stato abitato anche dai Liguri. Le parole “San Bartolomeo in Galdo” accoppiano due idee, di una chiesa cristiana e di un bosco: il nome del Santo ci rimanda al culto diffuso dal principe longobardo Sicardo, che, nell’838, portò in Benevento le reliquie dell’Apostolo, sottratto ai Saraceni dell’isola di Lipari ... Con l’avvento degli Angioini (1266), i fattori di distruzione si moltiplicano. Un susseguirsi di conflitti si abbatte sulle “terre” dell’abazia, ma l’abazia resta. Nel 1326 l’Abate Nicola da Ferrazzano delibera la fondazione di San Bartolomeo in Galdo e ne chiede l’assenso al re di Napoli, Roberto d’Angiò. Nel 1327 Roberto d’Angiò ordinò la ricostruzione del borgo e all’inizio del periodo commendatario, intorno al 1498, la sua popolazione crebbe per l’aggregazione degli abitanti delle comunità di S. Maria in Castelmagno, S. Maria in Ripa, S. Angelo in Vico. Il feudo di Castelmagno esisteva già nell’ottavo secolo ed è citato in vari documenti di epoche successive. ... E mentre la nuova realtà urbana di San Bartolomeo in Galdo cresce e si definisce, in posizione elevata, sul dorso di un colle subappenninico, erta sul fiume Fortore, il nucleo abitato si corona di mura e di porte, di torri e di fortificazioni. Da Porta della Croce, che segnava a Sud l’inizio del vecchio abitato, si estende verso l’alto, sino alla formidabile Rocca, che oggi forma il campanile della Chiesa Madre con la sua strana cupola moresca. Il borgo originario, ora centro storico, è ritmato da cinque porte turrite: Porta della Croce, Porta Vicaria o Portella, Porta Murorotto, Porta S. Vito, Porta Provenzana (che ha ancora nel nome il ricordo dei provenzali). Nel corso dei secoli fu feudo dei De Capitaneis, dei Guevara, dei Carafa, dei Ferrante, dei Gonzaga, dei Caracciolo e degli Spinelli. Il suo nucleo urbano si arricchisce di mura, palazzi nobiliari, porte, torri e fortificazioni. ... La cittadina è stata residenza di famiglie nobili, discendenti da antichi feudatari e lo dimostrano gli stemmi gentilizi che tutt’oggi restano sui portali di alcune abitazioni del centro storico. L’abitato, tra i palazzi antichi, annovera il rinascimentale palazzo del barone Martini, appartenuto all’ordine dei Gesuiti e poi a Mons. Gurtler, le cui ampie e sontuose stanze erano decorate di begli affreschi».
San Giorgio del Sannio (palazzo baronale)
«...il feudo di San Giorgio fu dato nel 1269 da Carlo I d’Angiò al cavaliere francese Rostagno de Maasan. Passò, poi, al cavaliere Giovanni de Lupert, al nobile Americo de Sus, alla famiglia Giamvilla, al cavaliere napoletano Pippo Caracciolo e di nuovo ai Giamvilla, fino alla prima metà del Cinquecento, quando per il matrimonio con Rebecca Brancaccio passò al barone Pier Giovanni I Spinelli. Un suo pronipote, Giovanni Battista III, ottenne nel 1638 dal re di Spagna Filippo IV il titolo di principato per quel piccolo feudo di circa 100 famiglie. Sul finire del Cinquecento Pier Giovanni III edificò la chiesa della SS. Annunziata con attiguo chiostro e convento, abitato fino al 1659 dai Minimi di San Francesco di Paola – ne è viva testimonianza la bella statua d’epoca ancora conservata in quella chiesa – e dal 1687, quando fu ricostruito, dai Minori di San Francesco d’Assisi. All’inizio del Settecento, avviando un nuovo assetto urbanistico, Carlo III Spinelli (1678-1742) in località Casalnuovo (oggi piazza Risorgimento e adiacenze) costruì il suo nuovo palazzo, con davanti e a lato (l’odierno palazzo Nisco, ristrutturato verso la metà dell’Ottocento) e la nuova chiesa collegiata, iniziata nel 1721 e consacrata nel 1737. Anno in cui fu pure inaugurato il Monastero della Visitazione di Santa Maria, voluto dal principe per le sole discendenti del suo casato. Là si rinchiusero le due sue figlie e visse anche la sorella del celebre economista e letterato napoletano Ferdinando Galiani. Fino agli anni Sessanta del XX secolo al monastero era annesso un educandato femminile. Per la sua famiglia, Carlo III fece adattare a dimora campestre tra i suoi beni al Cubante, in località San Donato, ciò che restava di un antico palazzo imperiale edificato da Federico II nel XIII secolo ...».
http://www.comune.sangiorgiodelsannio.bn.it/storia-di-san-giorgio-del-sannio
San Giorgio La Molara (castello o palazzo Iazeolla)
«Imponente struttura, vestigia dell'antico prestigio del paese, è il Palazzo Iazeolla che sorge sulla cima della montagna di San Giorgio la Molara e domina la valle del fiume Tammaro. Il Palazzo, ubicato tra piazza San Pietro, la piazza principale del paese, il convento agostiniano del 1400 e via Carlo Iazeolla, presenta una pianta quadrangolare con torri, contrafforti e due cortili interni. Si ritiene che la parte fortificata sia anteriore al 1500, sia per la struttura quadrata sia per le caratteristiche torri costruite secondo il modello medioevale. La restante parte del palazzo fu realizzata due secoli dopo verso la fine del 1700».
http://www5.asmenet.it/opencms/opencms/asmenet/sangiorgiolamolara/Turismo_info/info_turistiche...
San Giorgio La Molara (palazzo Muscetta)
«Degno di nota è il Palazzo Muscetta [sito in largo Purgatorio] costruito nel 1700. L'edificio, di proprietà dell'omonima famiglia, presenta una struttura rettangolare a due piani con cantine interrate; vi è annessa, inoltre, una piccola chiesetta. Ha provveduto al recente restauro il Comune, cui la famiglia Muscetta ha donato l'edificio».
http://www5.asmenet.it/opencms/opencms/asmenet/sangiorgiolamolara/Turismo_info/info_turistiche...
San Leucio del Sannio (palazzo Zamparelli)
«Per quanto concerne l’edilizia civile ricordiamo Palazzo Zamparelli, in via Verdini, oggi proprietà comunale, edificato nel 1750 da Achille Bartolomeo Zamparelli. Quest’ultimo fece costruire anche il più noto Palazzo Zamparelli situato in Piazza Municipio, dove furono ospitati illustri personaggi. Vi soggiornarono, tra gli altri, il delegato apostolico Gioacchino Pecci, divenuto poi papa Leone XIII, e Domenico Carafa della Spina dei duchi di Traetto, nominato arcivescovo di Benevento. Sulla pietra che sormonta il portone sono scolpite le iniziali del fondatore e l’anno di edificazione: “B.Z.A.D. 1761”. Nel giardino del palazzo è la statua nota come “Core contento”, dono del governatore De Beer ai conuigi Zamparelli nel 1809. Presso la statua, rappresentante un buontempone nell’atto di vuotare una bottiglia, si recavano in passato i forestieri giunti in paese in occasione della festa del santo patrono».
http://www1.asmenet.it/sanleuciodelsannio/index.php?action=index&p=73
San Lorenzello (palazzo Massone)
«Il Palazzo Massone di San Lorenzello, in provincia di Benevento, è stato riconosciuto bene culturale della Nazione, con Decreto Ministeriale del 16 marzo 1968, vincolato ai sensi della legge n. 1089 del 1° giugno 1939 sulla tutela del patrimonio artistico e culturale italiano e riportato al suo antico splendore negli ultimi trentenni. Sorge nel cuore del centro storico e ha due fronti: la facciata principale lungo via Roma, la strada centrale di San Lorenzello, e il portale di ingresso al muro di cinta dell'annessa area verde da via Pasquale Massone. La sua attuale fisionomia architettonica risale ai primi anni del '700, ma le strutture più antiche sono della fine del '500. Due terzi del complesso sono oggi di proprietà dei discendenti di Casa Massone, la famiglia Lombardi d'Aquino. Un terzo, invece, è di proprietà dell'Ente Morale Fondazione Massone-Cerza per volontà dei germani Rachele e Pasquale Cerza, figli di Sofìa Massone, che donarono la loro proprietà per fini benefici. Le prime notizie sulla Famiglia Massone di San Lorenzello risalgono al XVI secolo. Nel 1514 un Massone stipulava atti notarili e nel 1567 la Famiglia era iscritta nell'Albo dei Benefattori del Carmelo, il Convento di San Lorenzello che ospitava i Padri Carmelitani. I Massone erano proprietari terrieri e industriali di panni-lana, titolari di "gualcherie", le industrie prime industrie per la tinteggiatura delle stoffe. Intensi gli scambi commerciali con lo Stato Pontificio, in particolare con Senigallia, sede all'epoca di una grande fiera del commercio. Numerosi gli esemplari di monete in argento del sec. XVII custodite dai discendenti Lombardi d'Aquino. Tra esse ducati e carlini del vicereame di Napoli e piastre con il conio dei pontefici Urbano VIII, Sisto V e Paolo III. Nei primi anni del '700, Nicola Massone, giurista, avvocato e notaio acquistò il Feudo della Sala insieme al titolo di Barone. La proprietà terriera si estendeva dalla piana di Telese ai primi contrafforti del Matese beneventano, dove appunto sorge San Lorenzello. ...
Ristrutturato dopo i danni del terremoto del 1688, il palazzo con il suo insieme monumentale rappresenta il complesso più insigne di San Lorenzello è un esempio integro di barocchetto meridionale. Alla fabbrica, nel primo periodo della ricostruzione lavorarono allievi di Cosimo Fanzago, chiamati anche per la ricostruzione di Cerreto Sannita. Il cortile monumentale è stato realizzato in epoca successiva. Il portale, infatti, reca la data del 1757, certamente opera dei discepoli di Luigi Vanvitelli che, a Caserta, aveva appena iniziato la fabbrica della Reggia di Carlo III di Borbone. Del resto, come a Napoli, anche nei dintorni delle altre sedi regali, la nobiltà napoletana modellava le proprie residenze sull'esempio della Corte borbonica. La corte, pavimentata dal caratteristico acciottolato locale e da un basolato in pietra viva, è a pianta rettangolare, con due scale aperte, anch'esse in pietra viva, nel classico stile vanvitelliano e con vaghe reminiscenze anche di Guglielmo Sanfelice, I'architetto del '700 napoletano famoso proprio per le sue scale sospese nello spazio. Il cortile è preceduto da un androne dalla volta a padiglione con lo stemma affrescato di casa Massone. Di gran pregio le opere in pietra che incorniciano le scale e gli stucchi delle finestre. All'interno, molto pregevole il Salone degli Antenati, un tempo denominato Salone degli Specchi, e la Sala delle armi. Il complesso monumentale racchiude una vasta area di verde, anch'essa vincolata dalla Legge n. 1089 del 1939. è un giardino-orto di circa 3.000 mq. che ha conservato la sua fisionomia originaria, certamente dì ispirazione claustrale. Di gran pregio alcuni elementi ambientali come la cisterna in pietra viva, la grande fontana circolare in pietra e tufo grigio, il torrino-belvedere in cotto e tufo grigio. Di particolare valore il portale di accesso alla via Pasquale Massone: bugnato in pietra calcarea locale, realizzato alla fine del XVI secolo. In chiave d'arco un capitello con la stella a otto punte della famiglia Massone. Tutto il portale è sormontato da una sovrastruttura, sempre in pietra, con tre pinnacoli».
http://www.sanlorenzello.galtiterno.it/pagine/palmas1.html (a c. di Luciano Lombardi)
San Lorenzo Maggiore (borgo, palazzi)
«Per lunghissimo tempo è stato un piccolo casale di Limata, centro fortificato medievale di una certa importanza che faceva parte dello stato feudale dei Sanframondo e che, spopolatosi progressivamente, fu completamente abbandonato nel XVI secolo. La denominazione deriva da una chiesa dedicata al martire del III secolo d.C. che è considerato patrono anche di San Lorenzello. L'accrescitivo "S. Lorenzo Maggiore", come sostiene il Meomartini, è dovuto alla necessità di differenziare i due insediamenti urbani. Nella documentazione storica si rinvengono le prime notizie a partire dal XIV secolo in poi. Situato su un versante collinare acclive a poca distanza da San Lupo e da Guardia Sanframondi, comincia ad acquisire rilievo e consistenza demografica verso la metà del cinquecento e si trasforma in una Universitas civium. La sua conformazione, tuttavia, non rivela un processo costitutivo originato da un nucleo a casale. Per diversi aspetti l'impianto urbanistico di più lontana formazione, innestato sopra un possente banco calcareo che domina la vallata, è assimilabile a quello pianificato tardomedievale di San Lupo con una sensibile differenza dimensionale che lo assimila ai "ricetti" dell'Italia del nord. Si trattava, dunque, di un insediamento fortificato di forma quadrata (circa m. 47x47), forse di tipo militare, con una porta per lato, che può essere stato costruito verosimilmente da maestranze angioine. L'unica porta urbica sopravvissuta, quella che si affaccia sui costoni rocciosi, presenta un arco a sesto acuto in conci di pietra ben sagomati, ha in chiave un emblema a scudo ed è riferibile al periodo compreso tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo.
All'interno di tale nucleo di fondazione la lottizzazione si compone di un reticolo viario tendenzialmente ortogonale che a causa di eventi calamitosi o bellici ha finito con l'alterarsi adattandosi alla morfologia non favorevole del terreno. Le traverse, generalmente strette, sono, infatti, a taglia poggio e assecondano le isoipse. I percorsi longitudinali, vere e proprie rampe, si sviluppavano, invece, molto più linearmente e incrociando quelli trasversali disegnavano isolati approssimativamente quadrati (m. 10x10), la cui attuale imperfetta configurazione è dovuta solo alle deformazioni determinasi nel tempo che hanno finito con l'obliterare alcuni tracciati e dare luogo ad un tessuto abitativo a schiera ininterrotta, con testate spesso trapezoidali, e gradinate a tornanti. In questo contesto le tipologie abitative di base hanno mantenuto generalmente il carattere di piccole dimore unifamiliari alte non più di tre livelli. Solo in pochi casi si sono formate, in epoca moderna, case palazziate di discreta estensione e di complessa architettura. Va sottolineato, tuttavia, che le tecniche murarie osservabili rivelano, indipendentemente dalla grandezza del manufatto, capacità sofisticate di lavorazione della pietra. Si trovano infatti apparecchiature murarie di diverso tipo che variano da quelle che impiegano scheggioni o bozze fino a quelle che utilizzano conci lavorati a subbia e blocchi accuratamente squadrati. C'è poi una gamma ampia di portali tra cui uno a sesto acuto trecentesco. Si notano, inoltre, vari profferli, qualche loggia e alcuni sporti con peducci o mensoloni modellati a doppia gola. In questa parte del centro storico, dalla geometria ancora piuttosto leggibile, non si trovano chiese ad eccezione della piccola cappella di S. Maria della Neve che, però, doveva trovarsi appena all'esterno della porta alta oggi inglobata dalle abitazioni.
è probabile che l'originaria sede parrocchiale sia stata distrutta dal sisma, sconsacrata e ceduta ai privati nel XVI secolo. Appare, in ogni caso, singolare che il tempio dedicato al santo protettore (fine del XVIII inizi del XIX secolo) si trovi ai margini del centro storico all'imbocco di una delle strade che portavano al centro fortificato medievale. Quest'ultimo è separato, mediante forti scarti di quota dalla parte urbana moderna (fine XV-XIX secolo) che si aggrega intorno a tre lati della rupe ad un livello nettamente inferiore. Qui lo schema di fondazione non presenta un'analoga impostazione né elementi di continuità spaziale con quello dell'insediamento superiore. Consiste essenzialmente in isolati a blocco o a stecca divisi da strette traverse (in molti casi rampe) allineatisi progressivamente ai percorsi che si dirigevano verso le porte medievali. Solo in un punto si determina una singolarità spaziale con un'area di mercato (largo della Corte) intorno alla quale si collocano edifici di discreta qualità tra cui una chiesa ed un palazzo con antistante giardino. All'interno del tessuto edilizio moderno, che assorbì l'aumento di popolazione dovuto anche al trasferimento degli abitanti di Limata, furono costruiti edifici residenziali di non trascurabile pregio, connotati in qualche caso da apparati decorativi tardo-barocchi o neoclassici e due chiese di contenuta dimensione. Del casale precedente alla fondazione angioina non c'è traccia. Si può solo supporre che esistesse un ridotto villaggio nei pressi del monastero di Santa Maria della Strada, di origine medievale, localizzato a limite dalla piana fluviale vicino ad un ponticello, da cui proviene una pittura su tavola dell'XI secolo».
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=64
San Lorenzo Maggiore (forte longobardo, porte)
«Nel nucleo del centro storico di San Lorenzo Maggiore si possono osservare i ruderi di un antico fortilizio longobardo, ancora oggi detto "Il Forte" o "Torretta di Guardia" e di alcuni posti di avvistamento. I resti sono situati presso via Cornicelli nel nucleo storico del Paese dove è ancora visibile la torretta di guardia (XIV sec.) del primitivo fortilizio Longobardo denominato "Il Forte". Faceva parte del sistema di difesa che era costituito dalle stesse costruzioni domestiche, concatenate tra loro e costruite sullo strapiombo delle rocce delle "Cloache", che costituivano una vera propria cinta muraria invalicabile». [Oggi sono ancora visibili le quattro porte di accesso al fortilizio che erano: porta dei Giudei, porta Valle, porta Forte e porta Cornicelli].
http://www.turismosanlorenzomaggiore.it/servizi.php?a=385&b=1&c=2
San Lupo (borgo, palazzo Iacobelli)
«Questo centro abitato dovrebbe essere una fondazione monastica del X secolo se si tiene conto del diploma del 980, in cui Giovanni, abate del monastero di San Luppolo e Zosimo, ottenne dai principi Pandolfo I e Landolfo IV la facoltà di erigere un centro fortificato o castello dove potessero abitare i coloni di libera condizione operanti nelle terre monastiche, e se, da questo unico documento si trae la convinzione che l'insediamento urbano abbia avuto effettivamente luogo. In realtà le prime attestazioni, risalenti al 1175, lo definiscono villa. Il sito originario dell'abitato porta, del resto, la denominazione di Cortesanta. Qui, secondo la tradizione locale, gli abitanti sarebbero rimasti fino al terremoto del 1456, in seguito al quale si sarebbero trasferiti più a monte, su un banco roccioso, dove avrebbero ricostruito le case distrutte e dove attualmente si trova il nucleo storico dell'abitato. Tuttavia il borgo di San Lupo viene ricordato in un documento del 1364 e ciò induce a credere che il trasferimento della popolazione sia avvenuto molto prima del XV secolo, a causa di circostanze diverse e in arco temporale più lungo e che, già in origine, potesse sussistere uno stanziamento a casale di tipo bipolare. La conformazione dell'impianto urbano mostra di essere stata impostata mediante una pianificazione a griglia ortogonale adattata alla morfologia naturale del sito, con vie tutte della medesima dimensione che si intersecano quasi ortogonalmente senza un asse di gravitazione principale e con lotti di piccola dimensione. Non si rileva la presenza di un fortilizio e la chiesa parrocchiale, dedicata a S. Giovanni Battista, fu costruita al lato della porta urbica. Le conseguenze dei terremoti del 1456 e del 1688 portarono alla deformazione dello schema viario di fondazione e consentirono sia l'accorpamento delle unità edilizie abbandonate sia l'inclusione nelle nuove costruzioni a blocco di traverse e segmenti stradali. Si formarono così nuove tipologie residenziali di maggiore dimensione e complessità. A partire dal XVIII secolo si registrò una contenuta espansione lungo le strade di accesso al nucleo tardomedievale e intorno alla piazza extramuranea formatasi nei pressi della porta. In questi nuove zone furono edificati in progressione edifici di maggiore qualità tra cui il pregevole palazzo Iacobelli». Palazzo Iacobelli è un elegante edificio con villa, di fattura settecentesca, attualmente vincolato come bene culturale: nel 1852 il controverso imprenditore Achille Iacobelli vi ospitò re Ferdinando II.
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=65
San Marco dei Cavoti (borgo, porte, palazzi)
«L'attuale centro storico deriva da una fondazione del XIV secolo voluta dagli angioini per insediare famiglie provenzali venute nel Mezzogiorno al loro seguito. Questo stanziamento coincide con la scomparsa del precedente centro abitato, il castellum San Severi castramentatus ricordato nella cronaca di Falcone Beneventano e in altre fonti medievali. Secondo gli eruditi nel territorio comunale si troverebbero i resti di Cenna, città sannitica ricordata da Diodoro Siculo. Reperti di epoca antica sono emersi in diverse località tra cui Campomaggiore. Il sito di maggiore interesse archeologico resta, tuttavia, il toppo di S. Barbara dove intorno alla piccola chiesa di origine altomedievale si trovano i ruderi della scomparso centro fortificato di San Severo. Non si conosce il motivo preciso della sua dissoluzione che rientra nel fenomeno più ampio dei villages désertés. La denominazione del borgo, che si sostituì a quello antecedente, è dovuta alla devozione verso s. Marco della popolazione proveniente da Gap (da cui il riferimento ai gavoti). L'insediamento formatosi probabilmente tra il 1353 e il 1355 durante la signoria di Luigi di Shabran è attestato per la prima volta nel 1385. Si tratta di un accentramento arroccato nella parte sommitale di un colle con al centro un fortilizio (oggi sostituito dalla chiesa parrocchiale del Santissimo Sacramento) e una torre cilindrica (la sopravvissuta "torre dei provenzali"). Intorno, con andamento concentrico, si sviluppa il tessuto edilizio chiuso, in origine, da un circuito di mura approssimativamente circolare in cui si aprivano quattro porte.
La forma e l'ordinamento dell'impianto urbano sembrano ricalcare tipologie insediative di XI secolo e, comunque, diverse da quelle adottate dagli ingegneri militari del tempo (si veda il quasi contemporaneo schema di pianificazione di San Bartolomeo in Galdo). Tra XV e XVI secolo si formò, al piede del primo nucleo e intorno ad uno spazio di mercato un agglomerato di abitazioni arricchito da una chiesa (chiesa dell'Annunziata poi denominata di Maria Santissima del Carmine) e da un monastero. La cinta difensiva fu ampliata e, a mezza costa fu realizzato il palazzo marchesale a corte (largo Vicedomini) contiguo ad una nuova porta rafforzata da un bastione. Tra XVIII e XIX secolo San Marco registrò una notevole espansione della superficie urbana con la realizzazione di nuovi quartieri e di una piazza di forma quadrata che raccorda le varie diramazioni del nuovo tessuto edilizio. L'impianto settecentesco richiama le forme aperte e allungate adottate nei centri abitati compresi nell'area della transumanza. In questo contesto furono costruite le dimore del ceto civile emergente, case palazziate di notevole pregio architettonico tra cui spicca il palazzo Jelardi. Il territorio comunale è interessato da piccoli insediamenti rurali tra cui si segnalano quelli vicini al Regio Tratturo come il cosiddetto "mulino Jelardi", probabile balium medievale, e quelli prossimi al paese tra cui la villa rustica Zurlo della prima metà del XIX secolo».
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=66
Palazzi e altre fortificazioni: http://campaniachefu.altervista.org
San Marco dei Cavoti (palazzo marchesale dei Cavaniglia)
«...San Marco rimase nelle mani degli Angioini fino al 1435, anno in cui fu acquistato da Onorato Gaetani, conte di Fondi e di Morcone, che militava nell'esercito di Alfonso d'Aragona. Il feudo si trasmise all'interno di tale famiglia fino agli anni del conflitto franco-spagnolo (1494-1502), al ternine del quale i Gaetani d'Aragona, per avere appoggiato la parte francese, si videro confiscati i principali beni. Il feudo di S. Marco fu assegnato, con privilegio del 12 novembre 1528 del vicerè del Regno di Napoli Filippo di Chalons, a Cesare Cavaniglia, conte di Troja e di Montella. La famiglia Cavaniglia, i cui membri vissero e morirono in paese, nel palazzo Marchesale (edificato nel 1674 e in seguito appartenuto anche alla famiglia Zurlo), tennero il feudo fino alla prima metà del XVIII secolo quando, con Trojano Onero Cavaniglia, marchese di S. Marco, preferirono stabilirsi a Napoli perché impegnati a corte, affidando ad un vicedomini la conduzione degli affari locali. Agli inizi del XIX secolo il marchesato passò, per via ereditaria, ai Caracciolo di San Vito. Questi ultimi, nel XIX secolo, cedettero poi gran parte dei beni e i diritti di terraggiare e di nomina arcipretale alla famiglia Jelardi. Oggi una parte del palazzo Marchesale, ultimati i lavori di restauro, è stata trasformata in un elegante Bed & Breakfast, nel quale, ad esempio, la ricca colazione viene servita nella sala che un tempo fungeva da Cappella Gentilizia».
http://castelliere.blogspot.it/2012/07/il-castello-di-giovedi-26-luglio.html
San Marco dei Cavoti (torre dei Provenzali)
«...Volgendosi in alto a sinistra il visitatore che entra in San Marco viene subito catturato dalla torre circolare che sovrasta con la sua mole la vicina chiesa di San Marco Evangelista. è la cosiddetta Torre dei Provenzali, il cui nome riporta immediatamente alle vicende che videro la fondazione della cittadina ad opera dei provenzali di Gap. Tutto ebbe origine dal sito di San Severo che, dotato di un castello oggi scomparso, divenne feudo della famiglia Shabran, conti di Apice e di Ariano. Fu proprio a causa dell'alleanza degli Shabran con Luigi d'Ungheria il Grande che il centro fu distrutto da Ludovico di Taranto nel 1348, durante l'assedio di Apice. La peste del 1348 e il terremoto del 1349 resero il "Castrum Sancti Severi" disabitato. Luigi di Shabran, succeduto al padre Guglielmo e tornato fedele alla regina Giovanna, bandì un invito finalizzato alla ripopolazione del territorio di San Severo. Luigi offriva garanzie e condizioni favorevoli che attirarono un gruppo di provenzali i quali, stabilitisi sul territorio fra il 1353 e il 1355, diedero inizio alla costruzione del paese che chiamarono San Marco in onore del loro santo protettore. ... Dalla Piazza Risorgimento, scendendo lungo via Roma, si attraversa Porta Grande, la porta principale della cinta muraria difensiva, nella quale si aprivano quattro porte e si elevavano diverse torri. Da Porta Grande, che conserva ancora i congegni di chiusura, Via dei Provenzali conduce al belvedere detto "Grazionella", posto davanti alla chiesa di San Marco Evangelista, edificata dai provenzali e restaurata varie volte finché, in seguito al terremoto del 1962, fu definitivamente abbattuta e sostituita da una nuova costruzione completata nel 1974. Il terremoto risparmiò invece la già citata Torre dei Provenzali, edificio principale del sistema difensivo murario, risalente al XV secolo, che nel 1798 risultava adibita a carcere e successivamente, in seguito all'abbattimento della torre campanaria di San Marco, venne utilizzata come campanile. Dal belvedere antistante la torre si può godere di un incantevole e vasto panorama che spazia dai monti del Partenio al massiccio del Taburno e ai monti del Matese, nonché di una suggestiva visione d'insieme del sottostante centro storico».
http://www.terredicampania.it/articoli/244-san-marco-dei-cavoti-un-angolo-di-provenza.html
San Martino Sannita (palazzo baronale Lucarelli, palazzi gentilizi)
«Il castrum di S. Martino forse è da identificarsi col palazzo baronale dei Bosco Lucarelli. Se il castrum apparteneva ad un laico, come sembra, il paese era diviso in due feudi, l'uno ecclesiastico, l'altro laico. Fino alla costituzione del Comune era una università a sè, con la sua amministrazione, con i suoi servizi e col suo cimitero. Divenuto capoluogo del Comune, nel 1865, il paese ebbe una rinascita economica e sociale. E' un centro agricolo ed artigiano che produce tabacco, vino, grano e legumi. Nel 1910 fu costituita la Cassa Rurale ed Artigiana dal prete don Antonio Fioretti. Una rappresentanza femminile di donne cattoliche di S. Martino Sannita, capeggiata dalla baronessa Bosco Lucarelli, il 17 e 18 agosto 1914, si recò al Congresso Femminile della Provincia Ecclesiastica Beneventana. Parte del palazzo baronale fu demolita per allargare la strada provinciale che attraversa il centro storico. Alcuni anni dopo fu demolito anche l'Oratorio che si trovava nella curva all'angolo del palazzo De Luca; poi fu ricostruito sul perimetro del cimitero ottocentesco, vicino all'edificio scolastico. S. Martino fu sede di un mercato settimanale fino ai primi anni del Novecento. I terremoti del 1962 e del 1980 hanno danneggiato gravemente il centro storico. Sono stati demoliti alcuni palazzi con stemmi gentilizi, portali di marmo e stemmi, tra cui: Palazzo De Luca con cortile interno, con ampio portale e con stemma gentilizio; Palazzo Camerini, una volta sede della pretura e carcere, costruito nel 1720 con ampio portale di marmo sormontato da un'aquila rampante; Palazzo Cerza, con ampio portale di marmo e con cortile interno. L'abitato avente una struttura radiale caratteristica di un centro topografico, era diviso in due borghi: S. Martino e Landolfi, che ora si sono uniti dal punto di vista urbanistico. Sulla riva sinistra del torrente Grande, affiorano i resti di un molino baronale ad acqua cadente, che macinava il grano anche per i paesi di S. Nicola Manfredi e S. Maria Ingrisone. La chiesa, costruita in posizione dominante sulla valle del torrente Ferrazzone, ha un esile campanile a guglia svettante ed una cripta, dove venivano sepolti i morti fino all'emanazione del decreto borbonico del 1817 che ordinò ad ogni comune di costruirsi un cimitero distante dall'abitato. Il paese aveva una farmacia, un frantoio, due negozi di generi alimentari, botteghe artigiane, due fabbriche di fuochi artificiali. Si distinguono il palazzo del barone Bosco Lucarelli, la casa Cerza, la casa Centrella e la casa Fioretti. Nel 1943 gli Americani si accamparono nel Giardino, dove poi fu costruito il municipio. Ora il paese è in piena espansione urbanistica ...».
http://www.comune.sanmartinosannita.bn.it/oc/oc_p_elenco_nofoto.php?x= (da un'opera inedita del preside Nicola Servodidio)
San Nicola Manfredi (palazzo Sozi-Carafa)
«...San Nicola Manfredi è la principale frazione che dà il nome all’intero comune. Sorge sulle pendici di un colle prossimo al territorio beneventano. La costruzione che padroneggia nell’agglomerato urbano è l’imponente e storico edificio che fu già castello intorno all’anno 1000 ed ora è palazzo baronale, dimora della famiglia Sozi Carafa, già padrona del luogo negli ultimi tempi feudali. Ai piedi del colle sorge un altro agglomerato di case, detto san Nicola vecchio, il quale è sicuramente più antico, in quanto in passato dava il nome all’intero luogo» - «Il palazzo baronale, con decreto del 19 maggio 1990, è stato sottoposto a vincolo dalla sovrintendenza ai monumenti di Caserta-Benevento. è divenuto proprietà dell’Ente Comune nel 2005. ... Dal 1575 il palazzo baronale è appartenuto ai baroni Sozi -Carafa. I lavori hanno permesso di portare alla luce i dipinti delle sale nella loro primitiva stesura. In conformità al progetto è stato interpellato un restauratore al fine di salvaguardare la serie di stemmi della casata, gli antichi stucchi ed affreschi del ‘700, i medaglioni ed i soffitti a cassettone con bassorilievi in legno intagliati, la travature ricoperte di carta ornata di fregi dipinti, i portali, le finestre ed ogni altro elemento architettonico della casa baronale».
http://www.sannicolamanfredi.gov.it/la-storia.html - http://www.ilquaderno.it/san-nicola-manfredi...
San Salvatore Telesino (ruderi della rocca dei Sanframondo)
«è un ampio recinto di mura e di torri che corona la cima del colle che sovrasta San Salvatore Telesino. In origine fu massa Longobarda, costruita a difesa della piana Telesina. Fu anche chiamata Massa Superiore, in rapporto all’altra Massa, costruita ai piedi di Monte Acero per la difesa della Valle del Titerno. La Rocca, attraverso i secoli, seguì le sorti della commenda e del feudo, risentì le incursioni saracene, e nel periodo degli eventi sismici che interessarono la Valle Telesina, rimase l’unico centro abitato che accolse ed ospitò le poche famiglie superstiti di Telese. Il castello edificato nel corso del XIII secolo dalla famiglia Sanframondo, già proprietaria del Casale e dell’intera contea di Cerreto, fu residenza del vescovo Clemente della diocesi di Telese, costretto ad abbandonare la sede ufficiale a causa delle mofete provocate dal terremoto del 1349. Clemente vi trasferì nel 1407 la sede vescovile. In quegli anni venne costruito all’interno delle mura un palazzo poi detto Castelluccio. All’interno delle mura era anche la chiesa parrocchiale di Sant’Andrea che nel 1596 fu trovata da mons. Savino semicadente con un altare maggiore ornato da tre sculture lignee e quattro altari laterali. Il castello presentava una forma quadrangolare con imponenti mura e torri di vedetta edificate su persistenti strutture di origine romana. Dell’intera opera oggi sono visibili solo due torri delle quali una garantiva il controllo dell’area in direzione dell’attuale Telese e l’altra dell’attuale Pugliano. La Rocca rimase abitata fino al 1611, anno in cui venne abbandonata dalle ultime famiglie che discesero ad ingrossare il sottostante San Salvatore Telesino».
http://www.prolocosansalvatoretelesino.it/?p=45
Sant'Agata de' Goti (castello feudale)
«Il complesso del castello costituiva l'elemento fondamentale del sistema difensivo dell'abitato di S. Agata a partire dal periodo altomedievale. Costruito a difesa della principale via di accesso dal territorio circostante e quindi del punto di vulnerabilità in caso di aggressione bellica, dato che il circuito delle mura era naturalmente protetto negli altri lati delle due incisioni orografiche del Martorano e del Riello, controllava la porta principale della città. Il castello feudale, costruito in epoca normanna presumibilmente sul primitivo impianto longobardo, pur costituendo il baluardo difensivo del tessuto insediativo, conservava una sua identità separata dal borgo, che si addensava intorno al polo religioso della cattedrale ubicata al centro del terrazzamento naturale fra i due valloni. La struttura urbanistica del centro rivela infatti tuttora l'impianto medievale basato sulla dualità fra castello, sede del potere militare, e cattedrale, sede del potere religioso, intorno alla quale gravitano le attività civili dell'insediamento. La separazione tra castello e città, pur essendo stata attenuata dalle trasformazioni urbanistiche ed edilizie settecentesche, incentrate sull'asse dell'attuale via Roma, via principale di collegamento fra i poli monumentali della città in una fase in cui il castello aveva ormai perduto la sua funzione militare per diventare residenza signorile, risulta nettamente percepibile ancora oggi nella non risolta composizione del nodo urbano della piazza creata nella zona di raccordo fra tessuto e presidio fortificato, successivamente connotata quale area nodale di accesso al centro storico in epoca post-unitaria con la costruzione ex novo del viadotto di attraversamento del vallone Martorano. Tale struttura bipolare, ricorrente nel panorama dei centri fortificati medievali dell'Italia centro-meridionale, presenta la particolarità della presenza, nel complesso del castello feudale, di un edificio religioso con funzioni di cappella di Palazzo. L'attuale chiesa di S. Menna attualmente priva di legami con il castello, era infatti in passato collegata alla fortificazione attraverso il distrutto circuito murario che inglobava la antica porta principale. La diretta dipendenza della chiesa di S. Menna dal castello, oltre ad essere documentata dall'appartenenza al patrimonio dei Conti di S. Agata, testimoniata fino al XVI secolo, è rivelata dalla sua posizione lungo l'ipotizzato tracciato delle mura scomparse, dall'epoca della sua consacrazione, avvenuta nel 1110, e dalla primitiva origine altomedievale del suo impianto, rivelato dal reimpiego di elementi di epoca romano-gota e longobarda.
Il complesso dell'ex castello, adattato a residenza nobiliare presenta attualmente un aspetto composito in cui si distinguono con difficoltà a prima vista i caratteri dell'impianto fortificato. Da una lettura più attenta emergono invece le successive configurazioni assunte dal complesso nelle varie epoche. La decifrazione dell'impianto più antico può procedere sulla base di un processo di sottrazione progressiva dalla configurazione attuale dei corpi edilizi aggiunti in base successiva. Eliminando idealmente i corpi perimetrali più bassi, costruiti in epoca post-unitaria in aderenza al corpo del palazzo lungo i tre lati accessibili dalla strada, in aree di proprietà privata alienate nei successivi processi di frazionamento, si ricostituisce l'articolazione di blocco quadrangolare a corte, con accesso dalla attuale piazza Castello, del palazzo nobiliare, riconfigurato ad uso residenziale ad opera dei Carafa, Duchi di Maddaloni, che acquistano il complesso nel 1696, dopo numerosi passaggi di proprietà iniziati a partire dal 1412, possedendolo fino alla seconda metà dell'Ottocento. Risalgono a questo periodo tutte le trasformazioni artistico-decorative di rilievo, come i dipinti parietali dell'atrio del piano nobile eseguiti da Tommaso Giaquinto nel 1710, e le tele dipinte di controsoffittatura, purtroppo smontate dopo i danni sismici e ancora non restaurate. La configurazione del palazzo è frutto, presumibilmente, dell'allineamento lungo una unica linea di gronda dei corpi di fabbrica preesistenti lungo i due lati principali del cortile rettangolare, ottenuto attraverso la creazione di sopraelevazioni degli ambienti di servizio originariamente più bassi a raccordare le torri angolari preesistenti. Proprio esaminando l'atrio affrescato dal Giaquinto si individua, fra le superfici dipinte, una parete realizzata a tamponatura di una preesistente loggia, presumibilmente in occasione della sopraelevazione del corpo situato in corrispondenza dell'accesso al cortile. Sulla base di questo elemento si può immaginare una precedente struttura, sempre organizzata sullo schema a corte, ma contraddistinta da corpi di fabbrica a destinazione residenziale di soli due livelli, racchiusi fra le torri difensive di impianto più antico. Il loggiato aperto sulla corte ed il disegno delle finestre con cornici in tufo pipernoide grigio consentono di far risalire la fase descritta al periodo quattrocentesco in cui il castello fu venduto dal Re Ladislao Artus ad una famiglia nobile.
Nel periodo normanno, a cui risale la consacrazione dell'attuale edificio della chiesa di S. Menna, si può ipotizzare una configurazione aderente alle esigenze difensive basata su torri e bastioni fortificati che racchiudevano corpi di fabbrica introversi. Alla fase longobarda può essere invece attribuita l'unica torre a pianta circolare situata a guardia del vallone Martorano, adibita a carcere mandamentale in fase post-unitaria, in analogia con analoghe strutture situate in prossimità dei castelli a Casertavecchia e a Montesarchio. Le fonti storiche citano infine la presenza di un torrione difensivo all'ingresso dell'abitato fin dal V secolo, durante la dominazione dei Goti. La presenza di murature di spessore notevolissimo che sembrano appartenere ad un baluardo difensivo suggeriscono di individuarne tracce nell'angolo posteriore destro del cortile. A tale fortificazione corrisponde l'accesso più antico del castello che avveniva forse attraverso un ponte levatoio verso l'attuale complesso dell'Annunziata. Il castello attualmente risulta frazionato in numerose proprietà private, nonostante l'ultimo livello del braccio prospiciente il giardino, verso il centro storico, sia stato acquisito dal Comune ed in questa zona sia stato avviato un intervento di consolidamento strutturale e risanamento purtroppo non condotto a termine. La Soprintendenza ha collaborato a questa iniziativa completando il recupero funzionale di alcuni locali e restaurando i dipinti parietali dell'atrio del piano nobile, che sono attualmente visitabili in quanto spazio condominiale».
http://www.ambientece.arti.beniculturali.it/soprintendenza/didattica/2006-07/Castelli%20e%20borghi/sant%20agata.htm (a c. di Flavia Belardelli)
Sant'Agata de' Goti (palazzo Mustilli, palazzo Parisi)
«Palazzo Mustilli. Occupa quasi per intero l'isolato posto alle spalle della chiesa del Carmine. Probabilmente nello stesso sito sorgeva la chiesa di Sant’Agata de Marenis, esistente già nel X secolo, unica chiesa fuori dalla giurisdizione della cattedrale, diruta già nel XVI secolo e forse inglobata nel palazzo. Come risulta da un documento notarile del XVIII secolo, basato sugli atti nobiliari, la famiglia Mustilli nel medioevo risiedeva a Ravello, al cui Seggio dei Patrizi era iscritta. Il trasferimento in Sant'Agata avvenne prima della fine del sec. XV: lo documentano l'altare di famiglia (il primo a destra) nella chiesa di San Francesco e la lettura dell'iscrizione sul polittico di Angiolillo Arcuccio (oggi irreperibile perché rubato), ivi esposto. Il prestigio sociale ed economico della famiglia è misurato dalla concessione (data anche ai Rainone) dell'uso dell'acqua del condotto del Carmignano, realizzato a partire dal 1629. è difficile immaginare la configurazione antica dell'edificio: certamente dové essere una soluzione consona al rango della famiglia. L'inserimento agli angoli dell'attuale edificio di due rocchi di colonne antiche (una addirittura in granito rosso), in pieno '700, testimonia la volontà di ribadire una lunga continuità storica. Il primo nucleo dell'attuale palazzo probabilmente fu realizzato dopo il terremoto del 1732 da Francesco Andrea Mustilli, secondo una pianta rettangolare e la tipologia consueta per le case borghesi e nobiliari di Capua e della valle del Volturno: un piano terraneo, destinato ai servizi, un piano nobile, servito da una scala interna e un mezzanino ("suppigno") immediatamente al della copertura. I resti di intonaci decorativi delle facciate e gli stucchi intorno alle finestre suggeriscono una datazione entro al metà del XVIII secolo. Nel 1804 fu realizzato il vasto e bel giardino pensile, acquistando un terreno contiguo, collegato al palazzo grazie ad un ponte. Il blocco edilizio grossomodo cubico, a 3 livelli, incastrato nell'angolo orientale di quello antico così da essere contiguo al giardino, probabilmente fu realizzato entro la metà del sec. XIX, forse quando la famiglia Rainone si estinse nei Mustilli. Solo di recente, la piccola corte antica originaria è stata ampliata».
http://trionfo.altervista.org/Monumenti/mustillisagata.htm (a cura di Pietro Di Lorenzo)
«Palazzo Parisi. Museo sotterraneo, nelle cantine tufacee di un ex convento del XII secolo, che si sviluppa lungo un percorso originale e scenografico sulla rappresentazione di alcuni momenti storici: Medioevo, Inquisizione, Caccia alle streghe, Cavalieri Templari. Nelle diverse “stanze delle torture”, allestite dopo una complessa ricerca sulle tecniche di tortura utilizzate anticamente dall'uomo ed una laboriosa e minuziosa ricostruzione degli attrezzi, dei personaggi e delle macchine usate a quei tempi, è possibile osservare come venivano inflitte le peggiori pene, per far confessare i malcapitati o per far espiare una condanna inflitta loro dagli inquisitori».
http://www.eptbenevento.it/cultura/Musei/Le%20Segrete%20di%20Palazzo%20Parisi/1323.html
Sant'Arcangelo Trimonte (palazzo baronale)
«Si trova al centro del paese, di fronte alla chiesa di S. Maria Maggiore, ubicato tra via Sotto Castello e via Giardino. Detto anche "di Montemalo", venne edificato a guardia delle basse valli dei fiumi Ufita e Miscano nella loro confluenza col fiume Calore, naturali vie d'accesso dalle Puglie alle fertili valli Telesina e Caudina verso il napoletano. Le origini del primitivo borgo sarebbero da ascrivere ad alcuni coloni dalmati che, nel 640, sbarcati a Siponto in cerca di terre, si stabilirono nel tenimento dell’odierno paese di Sant’Arcangelo Trimonte. Appartenne nel XII secolo ai Santanarosa e, più tardi, ai Caracciolo. Fu poi concessa in feudo ai Tomacello, che ne furono privati per aver partecipato alla "congiura dei baroni", cospirazione intrapresa dai feudatari del Meridione allo scopo di cacciare gli Aragonesi dal regno di Napoli. Successivamente passò nelle mani di vari signori: i Guevara, gli Spinelli, gli Chantelmy, i Sanseverino e i Coscia. Di origine longobarda, il castello dovette essere imponente, a giudicare dalle dimensioni di base dell'unica torre rimasta. L'edificio, ricordato più volte nelle cronache di varie epoche per l'estensione delle sue secrete, fu abitato per un periodo dalla famiglia Moccia, investita del feudo col titolo di "Marchesi di Montemalo", titolo tuttora detenuto dagli eredi del casato non più residenti nel luogo. Dell'edificio originario si conservano la torre di nord-est, una cisterna dell'acqua, parti di mura sia sul lato ovest che sul lato est e la scalinata di accesso. Quest'ultima, in pietra e recentemente restaurata (in malo modo, però, visto che vennero utilizzate pietre che non sembrano conformi alle originali), presenta sul lato destro una splendida statua di leone, superstite della coppia che era stata posta originariamente a guardia dell'accesso al castello. Secondo alcuni è di fattura romana, mentre per altri è sannita. Il leone originariamente si trovava sul lato sinistro della scala, ora è stato posto a destra per ricavare l'angolo da dedicare alla Statua bronzea di San Pio da Pietrelcina. Il castello venne completamente rifatto intorno alla seconda metà del XVI secolo con le caratteristiche dell’architettura aragonese. I tratti delle cortine murarie ancora esistenti presentano un paramento in parametro informe, misto a tufelli e laterizi, con una cornice torica che separa il basamento lievemente scarpato dal tratto superiore rettilineo. Molti ambienti del castello sono stati modificati in seguito alla sua acquisizione da parte di privati che ne hanno adattato ad abitazione molti settori. Altri elementi "castellani" sono stati inglobati nelle numerose abitazioni private sorte sul suo sito in seguito alla vendita operata dall'ultimo feudatario-proprietario il duca Coscia di Paduli. La struttura dell'edificio è in rovina, anche se vi è un progetto di recupero municipale per trasformarlo in centro sociale. Bella è la finestra con archi, come pure il portale in pietra».
http://castelliere.blogspot.it/2012/06/il-castello-di-lunedi-4-maggio.html
Santa Croce del Sannio (borgo, palazzi storici)
«La struttura urbanistica di S. Croce del Sannio è costituita da un nucleo storico di origine medievale, databile intorno all’XI sec., e da un agglomerato più recente databile in parte al XVIII sec., in parte al XIX sec. Il centro storico medioevale è sito nella zona più bassa del paese rispetto al vecchio Palazzo Baronale, anch’esso risalente all’XI sec., ubicato al centro dei due insediamenti. Il palazzo fortificato, che oggi è sede del Municipio, originariamente nasceva come palazzo della famiglia Santa Croce. Addentrandosi per le suggestive vie lastricate in pietra calcarea, si potranno incontrare numerosi edifici storici di gran pregio artistico; tra questi si segnalano il Palazzo Vitelli, costruito nel 1850, con il portale in pietra recante lo stemma nobiliare a forma di scudo anch’esso in pietra scolpita. Da visitare Palazzo Capozzi ampliato nella prima metà del secolo XIX ad opera di scalpellini locali e, in particolare, di Michele Di Maria, che si era occupato anche di Palazzo Vitelli. Osservando la facciata del palazzo che dà su Via Sotto la Chiesa si potrà ammirare l’elegante portale in pietra calcarea bianca. Proseguendo la visita nella zona sovrastante in borgo medievale ci si addentra nella parte settecentesca del paese. Passeggiando per Via Roma si incontra la Chiesa di San Sebastiano, nota in passato era come “Chiesa Ricettizia extra muro”, in quanto sita fuori dalle mura del borgo medievale. La zona settecentesca è costituita da strade insolitamente larghe, come Via Santa Lucia, Salita di S. Sebastiano, Via Carlo Poerio, ecc., dove è possibile ammirare splendidi palazzi, come ad esempio il Palazzo Galanti. Questo palazzo risale al 1738 ha una disposizione a corte, tipologia insolita nel panorama urbano del comune, risultando più un modello ridotto delle residenze aristocratiche. Un altro palazzo nobiliare molto bello e ben conservato è Palazzo Bochicchio che risale alla prima metà del XVIII secolo. Il palazzo assume notevole importanza in relazione allo spazio urbano in quanto si erge sulla piazza principale del paese: Piazza Mercato. Quando si arriva in questa piazza si rimane colpiti dalle sue dimensioni: di forma triangolare, è la più grande piazza dei centri urbani limitrofi, basti pensare che si estende per circa 80 metri su due lati e 40 metri nell’ultimo. Nel centro urbano sono molteplici i palazzi da ammirare, ricordiamo Palazzo Bochicchio in piazza Municipio, Palazzo D’Uva Sentinella in Salita S. Sebastiano, Palazzo Cerreto in Via Carlo Poerio e Palazzo Damiano di Via Finanzieri. A seguito della ulteriore espansione urbanistica che ebbe luogo nel XIX secolo fu aggregata a Santa Croce la località Colle Amaro, all’epoca nota come “Le Pagliarelle” perché costituita da pagliai e casupole, per lo più seconde case delle famiglie residenti in campagna. L’urbanizzazione dell’area fece seguito alla costruzione della strada per Cercemaggiore (1872) e per Morcone inaugurata nel 1875. Anche in quest’area vi sono tipici palazzi in pietra calcarea bianca, tra cui da menzionare Casa Gioia-Bernardo la cui facciata sul largo Municipio, interamente rivestita in pietra calcarea bianca, richiama la facciata della chiesa di S. Maria dell’Assunta, di cui subì certamente l’influenza. ...».
http://www.laterra.org/CAM_edizioni/Cam_06/Cam_06_2tappa.htm
Santa Croce del Sannio (palazzo baronale)
«Il casale di S. Croce ebbe risalto a partire dal periodo normanno. I due raggruppamenti di abitazioni (i casalia hominum ricordati nei cartolari monastici) che possono essere individuati nei tessuti edilizi dei vicoli Tiglio e di via Dianella, furono progressivamente incorporati nel castrum normanno comprendente l'aggregato di case posto a valle del castello. L'inclusione del primo dei due casali, con l'accrescimento edilizio circostante, all'interno di una cinta muraria che giungeva fino all'attuale palazzo Giovine, si attuò agli inizi del XII secolo. In epoca angioina si registrò un altro aumento degli abitanti con un'espansione in direzione dell'attuale via Ferraria e via Galante, dove si formò un ulteriore quartiere sulla base di una lottizzazione modulare. In tale circostanza il castello divenne residenza feudale, anche se saltuaria, mediante l'elevazione del torrione. Solo nella fase successiva, con l'avvento degli aragonesi e con l'arrivo in Santa Croce dei Del Balzo il castello fu profondamente ristrutturato dividendolo in due parti. Nella metà che si affaccia sulla valle e sul torrente fu costruito un palazzo a corte (una corte trapezoidale molto ridotta, secondo uno schema largamente adottato nel Mezzogiorno), utilizzando anche le strutture preesistenti del torrione; nell'altra metà fu realizzato un giardino pensile. Il palazzo [oggi sede del Municipio] aveva gli angoli verso valle rafforzati da paramenti murari a scarpa molto alti e l'ingresso dalla rampa di via Porta Nuova difeso da una torre a bastione leggermente distanziata dal resto dell'edificio. Il giardino era circondato da solide mura e conteneva una cappella. Questa tipologia, che combinava esigenze militari ai requisiti delle ville di delizie, dovrebbe risalire alla seconda metà del Quattrocento o al più agli inizi del Cinquecento e rimase sostanzialmente integra fino alla fine del XVIII secolo. Il castello ed il quartiere a valle, restarono fino al XVII secolo sostanzialmente immutati e chiusi da un circuito murario che lasciava all'esterno solo i mulini e la chiesa di S. Sebastiano (XVI secolo) e che si apriva attraverso tre porte (Porta Vecchia, Porta Nuova e Portella). Nel luogo detto il "Maio" esisteva una chiesa dedicata ai santi Filippo e Giacomo che fu demolita nel XVIII secolo e il cui sagrato faceva da luogo di riunione delle assemblee della comunità. Su tale spazio pubblico si affacciavano anche l'ospizio per i viandanti e la taverna baronale. Nei pressi del castello si trovava un altro spazio pubblico denominato "piazza della Teglia". ...».
http://www.agrituristbenevento.it/site/comuniPage.asp?id=74
Sassinoro (borgo, castello non più esistente)
«è un piccolo centro che, a dispetto delle dimensioni, rivestiva un tempo una grande importanza strategica, considerando che era circondato da solide mura e presentava ben quattro porte di accesso. La Porta della Corte a nord, la Porta di Jasimone a est, la Portella a sud e la Porta delle Danze a ovest. Addentrandosi nelle vie del centro storico si può ammirare l´antico borgo medioevale dove si è sviluppato il nucleo abitativo al quale, dopo il terremoto del 1805, si è aggiunto un borgo extra-moenia. Fuori le mura vi è la piccola Chiesa di San Rocco, all´angolo opposto quella della SS. Vergine delle Grazie. Al centro della collina vi è una piccola piazza su cui si affaccia la Chiesa di San Michele Arcangelo che, col suo alto campanile, torreggia su tutto l´abitato. ... Il Centro abitato di Sassinoro ha la forma di un´ellisse irregolare allungata. Pur con le inevitabili trasformazioni accumulatesi nei secoli, l´impianto originario si è conservato e, con un po´ di attenzione, è possibile scoprire ancora oggi nella struttura del paese la derivazione da un vero e proprio castrum romano. All´estremità nord c´è l´edificio scolastico, una volta sede del presidio militare e solo in epoca posteriore adibita a dimora marchesale, ad esso si accede per mezzo di "Porta di Corte" a nord, di qui sul crinale della collina parte la strada principale e in direzione sud arriva alla Chiesa su una piazza. Da questa via principale si diramano in direzione est verso ovest, ortogonalmente le strade tutte più o meno in declino. La strada che unisce "Porta Jasimone", corrisponde alla "Principalis destra" ad est, e "Porta delle Danze" corrisponde alla "Principalis sinistra" ad ovest. A sud della chiesa, più in basso c´è la "Portella". Il forum antistante la chiesa è detta piazza di sopra, sul retro è ubicata la piazza di sotto. Tutte le strade sono perpendicolari all´asse nord - sud, solo una strada è parallelo ad esso ed è via Torre il cui nome ci permette forse di potervi collocare una torre». [Il castello è stato demolito nel Novecento].
http://www.prolocosassinoro.it/pagine.php?pagina=8 - pagina=9
Solopaca (palazzo ducale Ceva Grimaldi)
«II Palazzo Ducale è situato nella parte alta del paese, tra il Casale di San Martino e Gasai Capraria. Fu costruito tra il 1672 e il 1673, ma completato solo nel 1682, anno in cui vi si trasferirono i Ceva Grimaldi, duchi di Telese e baroni di Solopaca. In esso fu ordita la famosa "Congiura di Macchia" del 1707, contro il viceré spagnolo di Napoli ed a favore delle armi austriache. II palazzo fu adibito nel corso degli anni successivi a dimora signorile, palazzo di giustizia e carcere. Nel 1986 il palazzo è stato acquistato dal Comune di Solopaca e attualmente [in alcuni locali] ospita la sede della Pro-Loco».
http://www.quicampania.it/sannio/solopaca.html
Solopaca (resti del castello di San Martino)
«Di origine normanna è l’attuale centro storico, con i resti del Castello di San Martino e di altri nuclei abitativi come quello di Capriglia, posti nelle varie zone del paese. Successivamente questi nuclei si svilupparono fino ad unirsi fra di loro nella forma allungata che comprende attualmente il Corso Stefano Cusani, Via Roma, Corso Umberto I e Via Capitano Leopardi. ... Quando i Ceva Grimaldi acquistarono il f eudo di Telese e Solopaca, quest’ultimo era diviso in tre nuclei abitativi: Capriglia, Castello e Procusi. Il castello – di forma quadrangolare – era presidiato da quattro torri cilindriche ancora oggi individuabili nel tessuto urbano. La rete viaria interna si componeva di un asse Est-Ovest, aperto a ponente sull’ingresso principale del castello e di tre assi secondari Nord-sud, oggi denominati 1°, 2° e 3° Piazzetta, che portavano presso il centro del castello nella grande piazza rettangolare. Probabilmente il castello oltre alle torri e alle mura di cinta, aveva anche il “fossato”, poi colmato, di cui rimane ricordo nella dizione popolare “coppa ‘o fuosso”. La base di una delle torri, individuata solo da pochi anni, è antistante piazza Castello e Via Abbamondi, che costituiscono una delle più antiche zone del paese».
http://www.enteparcotaburno.it/ambiente.pdf
«Tra i resti della Telesia medievale è da menzionare la massiccia Torre Campanaria, a base rettangolare in località Vescovado in via Roma . La torre campanaria è uno tra i più interessanti e rari monumenti normanni della Campania. Guardando la torre si distinguono tre ordini distinti da cornici di materiale diverso: mattoni tra il primo ed il secondo ordine, marmo di spoglio tra il primo ed il secondo per la facciata nord e tufo per le altre. La torre è quanto rimane della cattedrale della SS. Croce, edificata in epoca normanna (X secolo) e ricostruita successivamente assumendo il nome di S. Maria della Trinità. La torre è costruita con materiali provenienti dalla Telesia romana, ed è decorata con motivi in laterizio e opus reticulatum. Il monumento, di base rettangolare, misura m 6.00 x 6.70 ed ha una altezza di m 17.00. Dal punto di vista architettonico il campanile fa parte dello schema tipico dell’Italia centro meridionale, basate sul sovrapporsi di masse cubiche con divisioni in piani. Il campanile presenta analogie con le torri di S. Angelo in Formis e del Duomo di Capua, e per tanto la sua datazione è ascrivibile alla prima metà del XII sec.».
http://prolocotelesia.wordpress.com/cosa-vedere/la-torre-normanna/
Terranova (frazione di Arpaise, ruderi del castello normanno di Fossaceca)
«Terranova, oggi frazione di Arpaise, già nel XII-XIII secolo doveva presentarsi come abitato definito o almeno come presidio militare fortificato. Se del centro storico medioevale rimangono poche tracce, del castello sono ben visibili le mura e i torrioni. Il toponimo Terranova deve addursi alla chiara circostanza per cui in origine l'abitato doveva locarsi a valle (fossaceca) e solo successivamente, intorno alla seconda metà del XV secolo fu riedificato, a seguito di distruzione bellica, in un sito nuovo, più elevato e per questo detto Terra nova. Vennero comunque conservate per lungo tempo ambedue le diciture, a definire l'intera estensione territoriale, da cima a valle. Così nei documenti più antichi s'incontra il toponimo Terranova fossacaeca, nel senso di gola chiusa: la ragione può spiegarsi osservando la posizione geografica strozzata, per cui ogni strada di accesso al luogo da ovest a sud-est appare negata. Anche lo sviluppo pianeggiante a mo' di conca spiega facilmente come si arrivi al toponimo fossaceca, frequente nelle carte d'archivio fino al XIX secolo. Tutte le notizie relative al primo periodo di Terranova sono oggi argomento di indagine. In epoca normanna, Terranova era feudo della vicina contea di Prata, appartenente, già intorno all'XI secolo ad un tale Rainone. Da questi passò al figlio Ugone, che ambiva a spodestare Rainulfo I di Alife, conte della vicina Montesarchio, cognato ed acerrimo avversario del re Ruggero I. ... Una nuova investitura fu voluta da Guglielmo II, successore di Ruggero, nel 1181: egli affidò il beneficio di Terranova, con la reggenza di un milite, a tale Guglielmo della famiglia di Ugone, come segno di apertura e di conciliazione: "Guillelmus de Fossacaeca tenet de eo Fossam caecam, quae est, sicut ipse dixit, feudum unius militis. Una inter ftudum et augmentum obtulit milites duos et servientes duos". Abbiamo motivo di ritenere che Guglielmo, per essere riportato con propria rendita feudale intestata al luogo, fu il primo dei conti di Prata ad abitare la rocca di Terranova, sebbene in suffeudo al tenimento principale, come si comprende dai tributi versati. è altresì probabile che fu lui stesso ad ordinare la costruzione dell'antico edificio, di cui oggi restano alcune cortine ed un torrione circolare: infatti la tecnica di fabbricazione e l'utilizzo di particolari materiali edilizi" lasciano intendere un primo intervento in epoca tardo-normanna ed un sicuro rimaneggiamento posto in essere tra il XV ed il XVI secolo, forse dagli Orsini.
Già l'esistenza di un fortilizio deve indurci a ritenere che l'abitato di Terranova si sviluppò, tra il XII ed il XIV secolo, a modello di "pagus", non nei pressi dell'abitato, come per altri feudi del Sannio, bensì a breve distanza, più a valle, appunto in fossaceca. Fu questo il tempo in cui l'Appia consolare, che nei secoli era stata condizione di benessere e di sviluppo, consentì agli eserciti di raggiungere i villaggi lontani della terra sannita, per portarvi guerra e irruzione: a scopo di difesa, le popolazioni civili si arroccavano o sulle alture o in aree geografiche impervie e protette naturalmente, come per l'appunto Fossaceca; in altri casi, crescevano e si sviluppavano intorno all'edificio fortificato, per difendersi meglio in caso di attacco o di incursioni. ... Le devastazioni più consistenti all'originaria fortezza normanna, che fu quasi del tutto abbattuta, appartengono alla prima metà del Quattrocento: nella guerra di successione al trono di Napoli tra Renato d'Angiò ed Alfonso V d'Aragona, l'intera area sannita, per volontà della Chiesa, cui l'Angioino si mostrò da sempre vassallo, si schierò decisamente a fianco dei francesi, così che, quando ne uscì vittorioso, Alfonso si prodigò in una feroce spedizione repressiva contro quei feudatari fautori del partito angioino. Il villaggio di Terranova, quello originario situato a valle, fu pertanto incendiato e mai più ricostruito. Quanto alla fortificazione, appare improbabile che fu riedificata in altro luogo: tutte le torri e gli avamposti militari avevano una valenza strategica, per cui dovevano aprirsi al controllo visivo del territorio circostante. Né da valle, dove sorgeva il primitivo villaggio, si godeva di sufficiente panoramica per avvistare il nemico. Siamo pertanto convinti che il castello di Terranova sia sempre stato lì dove ora si vede e sulle sue rovine normanne poi ricostruito, confortati anche dal fatto che nessuna vestigia di fortino è stata rinvenuta fino ad oggi nella conca pianeggiante. ...».
http://www.terranovafossaceca.com/storia_terranova.html
Tocco Caudio (resti del castello, borgo)
«Il comune di Tocco Caudio è situato ad oriente del Monte Taburno il quale, a guisa di semicerchio, gli fa da corona. L'origine di Tocco è molto antica e risale ai Sanniti. Da scritti di Plutarco si evince che Tocco fu addirittura la "metropoli" dei Sanniti e dove, secondo Strabone, Solino e Giovio, questi solevano riunirsi per i consigli di guerra. Tocco subì nell'anno 1183 l'assedio ad opera del re normanno Ruggero, che se ne impadronì. Non è possibile rinvenire antiche testimonianze architettoniche in quanto il paese ha subito, nel corso dei secoli, terremoti di notevole entità. Nel 1456 l'antica città fu devastata da un terremoto che la rase al suolo. A causa di tale evento perse importanza, grandezza ed autorità, tanto da diventare un umile casale a cui venne dato il nome di Tocco di Vitulano. Successivamente il tenimento di Tocco subì l'influenza dei baroni Della Ratta di Caserta e poi del marchese di Montecassino. Nel 1864, dopo la costituzione del regno d'Italia, a Tocco fu aggiunto l'appellativo di Caudio, per distinguerlo da Tocco degli Abruzzi. Dopo il terremoto del 1980, il Comune è stato ricostruito in toto in località Friuni. ... Il centro storico di epoca longobarda, era nel Medioevo il centro più importante della valle Vitulanese a cui dava il nome. Il "Castrum Tocci" era una fortezza inespugnabile; si ricorda l'assedio di Tocco avvenuto nel 1138 da parte di Ruggiero il Normanno. Fu sede vescovile; viene riportata come sede suffraganea a Benevento del pontefice Stefano IX,con Bolla del 1058. Fu anche gastaldato in epoca longobarda. A Tocco nel Medioevo erano presenti,il castello feudale, numerose chiese, due porte d'ingresso: la porta Basso e Porta Cauda. Dopo l'ennesimo evento sismico che lo ha colpito, quello del 1980, il centro storico è stato completamente abbandonato. Da vedere: resti di muraglie, presenti sulla sommità della Pietra di Tocco che appartenevano ad un castello, qui esistente in epoca angioina».
http://www.comune.toccocaudio.bn.it/default.aspx?index=2&idIndex=26 - Index=21
Torrecuso (palazzo Caracciolo-Cito, già castello feudale)
«Torrecuso nasce come castello costruito dai Longobardi a difesa e guardia della città di Benevento, capitale del Ducato Longobardo del Centro-Sud. Il colle a Nord di Benevento su cui fu edificato questo castello, dà probabilmente origine anche al nome di Torrecuso. ... Il Borgo Antico è di impianto medioevale. Su tutto domina il Castello. Questo fu costruito secondo i canoni architettonici dell'epoca: una struttura triangolare a tre torri. Un castello a tre torri è ancora oggi lo stemma ufficiale del Comune di Torrecuso. Intorno al Castello si sviluppa tutto il Centro Storico rimasto pressoché intatto e recuperato da poco. ... Palazzo Caracciolo-Cito: nato dalla trasformazione dell'antico castello a tre torri operata dall'architetto napoletano di scuola vanvitelliana Barba alla fine del '700 sotto il marchesato dei Cito,è stato restaurato e riportato al suo antico splendore nel primo decennio di questo secolo. Spettacolari i paesaggi che si possono ammirare dai suoi terrazzi. Una sua ala è sede del Comune di Torrecuso. Il restante del palazzo ospita la filiera Enogastronomica del Sannio e l'annessa scuola del gusto dei prodotti tipici locali».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torrecuso
«Vitulano è certamente tra i Comuni più belli e noti della Provincia di Benevento per antichità, importanza storica, bellezza di paesaggi e ricchezza di uomini illustri del passato. è capoluogo di Mandamento da cui prende il nome l'intera Valle che contiene altri sei Comuni. Vitulano è situato fra due monti in una fertile vallata; è formato da ben venti Casali, costituenti l'intero Comune, alle falde del Monte Camposauro a quote variabili tra i 350 e 500 metri di altitudine. Un tempo i venti Casali formavano due Stati o Università con il nome di Santa Maria Maggiore, l'una, e Santa Croce, l'altra. Di origine preromanica, Vitulano è ricca di testimonianze storiche ed archeologiche che ne attestano la civiltà antica. Numerose e magnifiche sono le Chiese ed i Palazzi signorili esistenti in Vitulano. Tra essi l'Eremo di San Menna, la Collegiata della SS. Trinità con l'antico Campanile di scuola Vanvitelliana ed i Ruderi dell'Abbazia di S. Maria in Gruptis fondata dai Benedettini nel 940; la Basilica ed il Convento Francescano della SS. Annunziata costruiti nel 1440 da San Bernardino da Siena, ricchi di affreschi anche di grande valore della Scuola Senese del 1400; la Fontana Reale in pietra del periodo Borbonico; la Fontana di Foggiano e di San Pietro di cui parla il Piperno; la Chiesa di Santa Croce; la Chiesa di Santa Maria Maggiore, quella di San Pietro e quella di San Giuseppe; la Chiesa della Madonna della Grazie; i Palazzi Mazzella, Rivellini, Giannelli, Riola, Palazzo Arco, Palazzo Municipale, Palazzo De Martini, Palazzo Checchia, Palazzo Buono, Palazzo Cerulo».
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