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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI BOLOGNA
in sintesi
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BAZZANO (rocca dei Bentivoglio)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Le origini della Rocca di Bazzano, a dispetto della leggenda che la vuole costruita da Matilde di Canossa, risalgono ad una data incerta ma sicuramente anteriore al Mille, nel periodo in cui in tutta l’area padana sorgevano castella o castra in difesa dalle invasioni barbariche. Nel 1038 il Vescovo di Modena Guiberto concede in enfiteusi il castello e la chiesa di Santo Stefano al Marchese Bonifacio di Canossa, padre di Matilde, la quale lo riceverà in eredità all’età di nove anni. Morta Matilde senza eredi il castello torna a Modena. Le prime mura della fortezza vennero costruite nel 1218. Nel corso del Duecento la Rocca viene assediata dai Bolognesi per ben due volte: nel 1228 con risultato negativo e nel 1247, quando invece i Bolognesi riuscirono ad espugnarla, pare per un tradimento, e diedero ordine di demolirla completamente facendo trasportare le pietre a Monteveglio, dove furono utilizzate per una casa torre destinata ai funzionari bolognesi di quel borgo. La fortezza fu in seguito ricostruita da Azzo VIII d’Este tra il 1296 e il 1311. Nel 1317 venne ricostruito anche il cassero posto sulla porta d’ingresso delle mura, l’attuale torre dell’orologio. Dopo il 1371 i marchesi d’Este ampliarono le mura della Rocca (la porta d’ingresso di queste nuove mura è da identificarsi probabilmente con l’arco posto alcuni metri più in basso del cassero scendendo verso il paese (l’ingresso sud, dal quale passano le auto, risale invece a fine ‘800, quando venne costruito l’attuale cimitero).
L’aspetto attuale dell’edificio risale però all’epoca rinascimentale, quando Giovanni II Bentivoglio lo trasformò in “delizia” signorile destinata alle vacanze in campagna. Dell’antico nucleo tardoduecentesco rimangono solo la torre sul lato sud e l’ala attigua. Per il resto i nuovi muri a filari alternati di laterizi e ciottoli vengono interamente intonacati e parzialmente ricoperti di pitture, di cui sono conservate solo poche tracce. Anche i merli a coda di rondine sono ridotti a puri motivi decorativi. Di notevole interesse quanto rimane delle pitture parietali delle sale, in buona parte recentemente restaurate. Nelle sale a piano terra si possono osservare alcuni stemmi a tempera, con gli emblemi dei Bentivoglio (la sega rossa a sette denti) e della celebre dinastia milanese degli Sforza (l’onda bianca e azzurra e il drago con un uomo in bocca), che ricordano il matrimonio di Giovanni Bentivoglio con Ginevra Sforza. Le iniziali Ms Zo rinviano allo stesso Giovanni Bentivoglio (”Messer Zoane”). La Sala dei Giganti, la maggiore della Rocca, presenta una partitura architettonica di colonne, entro le quali sono inquadrati paesaggi (forse raffiguranti Bazzano e altre terre dei Bentivoglio) e grandi figure di armati con gli stemmi dipinti sugli scudi. Sul lato sud si osserva sovrapposto un centauro meccanico di stile futurista, dei primi del ‘900, tracciato al carboncino. L’adiacente Sala del Camino presenta un motivo decorativo con l’arma bentivolesca inquartata con quella degli Sforza racchiusa da una collana di perle entro una cornice quadrilobata a nastro. Nella sala successiva (notare il soffitto) si osserva il frutto dei restauri degli anni della prima parte del ‘900. La Sala dei Ghepardi è decorata col motivo del ghepardo entro una cornice di melograno, col motto “per amore tuto ben volgo soferire”. La Sala delle Ghirlande presenta lo stemma dei Bentivoglio inquartato con quello primitivo degli Sforza (il leone rampante con un ramo di melograni, o mele cotogne, su fondo blu); le iniziali di Giovanni Bentivoglio sono qui alternate con quelle della moglie “Madonna Zinevra” (Ma Za; a Ginevra alludono probabilmente i rami di ginepro). La Rocca divenne successivamente sede del Capitanato della Montagna (notevoli i documenti dell’Archivio dei Capitani e dei Vicari, conservati in Comune) e, nei secoli seguenti, ospitò nei suoi ambienti le più svariate funzioni, da carcere (dove fu rinchiuso nel giugno del 1799 il poeta Ugo Foscolo) a teatro (nella Sala dei Giganti), da caserma a scuola, ad abitazioni private (ancora fino agli anni ‘60). Oggi gli ambienti della Rocca ospitano il locale Centro Musica (Mediateca Intercomunale), il Museo Civico “Arsenio Crespellani” ed è sede della Fondazione Rocca dei Bentivoglio; la Rocca è utilizzata per svariati eventi pubblici e privati. Nella Cantina (ove sono visibili le antichissime fondazioni del castello) è allestito il Punto informativo dei prodotti della Strada dei Vini e dei Sapori “Città Castelli Ciliegi”».
http://www.roccadeibentivoglio.it/index.php/la-rocca-dei-bentivoglio/
BENTIVOGLIO (castello di Ponte Poledrano)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il Castello di Bentivoglio
sorse tra il 1475 e il 1481 nel periodo di massimo splendore della
signoria di Giovanni II Bentivoglio, ampliando la già esistente rocca
fatta costruire dal Comune di Bologna nel 1390 e detta del Poledrano,
dal nome della località Ponte Poledrano adiacente al Navile. La Rocca fu
costruita con fini strategici: nel torroncino vi erano infatti la
campana d'allarme e il braciere per le segnalazioni con Bologna e altri
luoghi. Il nuovo castello fu adibito da Giovanni II, che lo aveva
ereditato da Annibale a sua volta creato capitano della Rocca da Niccolò
Piccinino, duca di Milano, come residenza di svago e di caccia. Il motto
Domus jocunditatis affrescato lungo le pareti del cortile interno
che ancora oggi, seppur rovinato dal tempo, si può ancora intravedere
indicava la destinazione dell'edificio per brevi soggiorni e adatta ai
divertimenti della corte bentivolesca. L'edificio è a pianta quadrata,
dalle finestre ampie, dal vasto e luminoso cortile, dalle accoglienti
stanze con annessi servizi e stalle. I caratteri sono quelli di una
tipica costruzione rinascimentale, una dimora di campagna senza
preoccupazioni difensive eccessive, con due ariosi porticati, stanze e
corridoi semplici con vivaci decorazioni, purtroppo oggi in maggioranza
perdute tranne quelle dei fiordalisi, degli stemmi e dei ghepardi. In
questo castello si racconta avvenne il primo incontro tra Alfonso d'Este
e la sua futura sposa Lucrezia, che durante il suo viaggio sul Navile
per convenire a nozze con Alfonso fece tappa nella dimora di
Bentivoglio. Qui il futuro sposo curioso di vedere la bella figlia di
Papa Borgia, si introdusse durante la notte nel castello e rimase
affascinato dalla bellezza di Lucrezia.
I cambiamenti in seguito alla caduta dei Bentivoglio. La caduta dei
Bentivoglio avvenne nel 1506 ma riebbero il castello grazie all'azione
di Leone X. Tuttavia il castello cominciò una fase di deterioramento
tanto che l'ala occidentale divenne pericolante per poi crollare nel
XVIII secolo ad opera dei nuovi proprietari, i Pepoli, che ne fecero una
villa a due lati, aperta; sparirono mura e fossati mentre nel castello
abitarono soprattutto famiglie bracciantili e le sue stanze ebbero le
più impensate destinazioni: magazzini, concerie di pelli, ricoveri di
animali. L'intervento di restauro di Rubbiani. Nel 1889 la nuova
proprietà Pizzardi, incaricò Alfonso Rubbiani per il restauro del
castello, con l'intenzione di ripristinare l'edificio voluto da Giovanni
II, dal 1889 al 1897 il Rubbiani ricostruì l'ala crollata, riedificò la
cinta merlata e suddivise le stanze secondo le vecchie piante. Inventò
anche numerosi particolari, come il rivellino di accesso e la scala che
dal cortile conduce al piano nobile. Il restauro, nonostante l'impegno
nella ricerca di documenti dell'epoca, ha restituito un edificio
aldulterato, di marcata impronta ottocentesca. Nel 1945, durante il
conflitto mondiale, la trecentesca torre fu mutilata.
Le decorazioni interne. Le decorazioni di questo castello risultano le
uniche del XV secolo a carattere profano di quest'area. I temi trattati
non sono la descrizione di aristocratici e cortesi passatempi, bensì la
vita nei campi e in particolare in dieci episodi dedicati alle "storie
del pane". Vengono rappresentate tutte le fasi, dalla semina, al
trasporto, alla battitura fino alla produzione del pane vero e proprio.
Azioni assolutamente veritiere rappresentate però su di un fondale
fantastico che si apre su paesaggi e natura precedendo di qualche secolo
gli effetti scenografici tipici del neoclassicismo. I pilastri dipinti
non fungono soltanto da divisori degli episodi ma come fittizi sostegni
di un soffitto, secondo l'insegnamento già mantegnesco. La cappella
aveva importanti affreschi, tornati alla luce con gli interventi del
Rubbiani. Sono ancora riconoscibili gli "Apostoli", "l'Eterno" sulla
volta, i "simboli degli Evangelisti" e i numerosi "Serafini". Le statue
in terracotta di Giovanni II e sua moglie Ginevra Sforza sono opera di
Giuseppe Romagnoli eseguite all'epoca dei restauri del Rubbiani».
http://www.orizzontidipianura.it/interno.php?ID_MENU=6&ID_PAGE=419
BOLOGNA (palazzo d'Accursio, torre dell'Orologio)
«Palazzo d’Accursio si compone di due nuclei distinti: quello di sinistra, più antico, fu, nel XII secolo, sede della famiglia Accursio (da cui derivò il nome dell’intero edificio), poi della magistratura comunale degli anziani nel 1336. La Torre dell’Orologio fu costruita ad opera di A. Fioravanti nel 1425. la parte di destra pienamente gotica è caratterizzata da otto finestre bifore e da un finestrone nella parte bassa. Costruita nella metà del Cinquecento da Galeazzo Alessi che edificò anche l’ingresso trionfale la cui parte superiore ospita la statua di Gregorio XIII, autore della riforma del calendario. Il palazzo è ora sede del Comune ma dal XVI al XIX secolo fu sede del legato papale. All’interno sono visitabili la cappella e la Sala Farnese, la Sala di Ercole, la Sala del Consiglio Comunale e l’ex Sala Borsa, centro della nuova Biblioteca Comunale (merita una visita e una sosta per la lettura o l’ascolto di musica o semplicemente una visita ai laboratori di lettura per i bambini). Al suo interno sono visitabili gli scavi archeologici. Il palazzo ospita anche due importanti musei d’arte: il Museo Morandi, inaugurato nel 1993 e sorto in seguito alla donazione delle tre sorelle del pittore bolognese, comprende 200 opere che coprono l’intera carriera artistica di Moranti dagli anni venti fino alla maturità. Al suo interno si trovano collezioni comunali provenienti da antiche collezioni private (Pelagi, Pepoli) disposte nell’ex appartamento dei cardinali legati e nella Sala Rusconi. Fra le altre, opere del ‘300 Bolognese, di Tintoretto e dei Carracci».
http://www.bed-and-breakfast.it/turismo/bologna/monumenti.cfm
BOLOGNA (palazzo dei Banchi, palazzo dei Notai)
«Palazzo dei Banchi. Situato in Piazza Maggiore a lato della Basilica di San Petronio, trae il suo nome da alcuni banchi o botteghe che durante i secoli XV e XVI esercitavano l'arte cambiaria. Fu costruito nel 1412 ma il completamento della facciata e del porticato risalgono al 1565-1568 rifatti da Jacopo Barozzi detto il Vignola, celebre architetto di quei tempi. Da qui parte il portico più famoso, il Pavaglione, che collega Piazza Maggiore al Palazzo dell'Archiginnasio, prima sede dell'Università di Bologna. La soluzione architettonica adottata garantisce tra l'altro la singolare caratteristica urbana dell'attraversamento stradale dominato da androni passanti e dai portici che ha sempre distinto Bologna. Il termine Pavaglione si ricollega alla fiera dei bachi da seta che si tenne dal 1449 negli spazi ora occupati da Piazza Galvani, di fronte all'Archiginnasio: quel mercato era collocato sotto un tendone, per cui il nome bolognese secondo alcuni potrebbe essere in relazione col francese pavillon, cioè padiglione, tenda».
http://www.bolognaplanet.it/wiki/ledimorestoriche/06-palazzo-dei-banchi.asp
«Palazzo dei Notai. In Piazza Maggiore, di fianco a San Petronio, sorge l’antica sede della potente Società dei Notai. Qui si custodivano i documenti notarili riguardanti le compravendite di terreni e di case, nonché le eredità. Il palazzo sorse in età tardo gotica dall’unione di due palazzi già appartenenti alla corporazione. Il palazzo così ottenuto era di forma quadrangolare: è quello che conosciamo col nome di Palazzo dei Notai. L’edificio ha subito nel tempo diversi restauri. Tra il 1384 e il 1388 la parte più antica del palazzo, quella sulla sinistra, fu ricostruita, su progetto di Berto Cavalletto e di Lorenzo di Bagnomarino. Le sei belle finestre che si affacciano sulla piazza, con i loro elaborati trafori e le loro colonnine in marmo, furono realizzate nel 1385 da Antonio di Vincenzo. Una sorte simile toccò anche all’altra parte del palazzo, con l’intervento progettato e diretto da Bartolomeo Fioravanti, ma si dovrà aspettare fino al XV secolo. Il palazzo rimase invariato per quasi cinque secoli, fino a quando Alfonso Rubbiani - nel 1908 - deciderà una completa ristrutturazione. Il palazzo che vediamo ora è il risultato di quest’ultimo restauro. Sulla facciata principale, quella che dà su Piazza Maggiore, si nota lo stemma dei Notai (tre calamai con penne d’oca su fondo rosso vivo) aggiunto dal Rubbiani dopo il restauro. All'interno del palazzo si possono ammirare affreschi quattrocenteschi».
http://www.bolognaplanet.it/wiki/ledimorestoriche/12-palazzo-dei-notai.asp
BOLOGNA (palazzo del Podestà, torre dell'Arengo)
«Risalente agli inizi del XIII secolo, era la sede del Podestà, la più importante autorità del Comune. Fu modificato a partire dal 1484, poiché il Signore di Bologna Giovanni II Bentivoglio lo volle abbellire con forme rinascimentali. I lavori rimasero però incompiuti (mancano infatti il cornicione e la merlatura), poiché Bentivogli fu cacciato dalla città da una rivolta popolare. Sotto al porticato numerosi artigiani svolgevano le loro attività (merciai, salumieri, fruttivendoli) mentre i notai stipulavano i loro contratti e facevano da tramite fra il popolo e gli uffici comunali al piano superiore. Il pianterreno è a porticato, e i pilastri sono decorati con 3000 fiori scolpiti nella roccia, e sono tutte diverse l'una dall'altra. è attraversato da due strade che si incrociano sotto al "voltone del podestà", ai suoi angoli si trovano quattro statue dei SS. Patroni della città, opere di A. Lombardi. Famoso il gioco dei "quattro cantoni": ponendosi con il viso contro uno di questi angoli e parlando verso il muro, per un fenomeno di riflessione del suono, è possibile sentire chiaramente la voce stando all'angolo opposto. Al primo piano si apre il Salone del Podestà, che con i suoi 14 metri di larghezza e ben 61 di lunghezza è il più grande della città. Prima usata come "Aula di Giustizia" divenne poi teatro ed infine spazio per mostre (l'utilizzo odierno). Nei primi decenni del 1900 fu decorato con affreschi raffiguranti gli avvenimenti più importanti della città, opera di Adolfo De Corolis. Il palazzo è sormontato dalla Torre del Podestà, la cui campana, detta dell'Arengo, risale al 1212, e veniva usata per chiamare il popolo alle cerimonie o alle armi: l'arengo era infatti l'assemblea generale. La torre è posta su quattro pilastri angolari, collegati proprio dal voltone del podestà».
http://www.spaziojml.it/comuni/bologna/turismo/palazzi/podesta.html
«Il Palazzo Re Enzo è un palazzo di Bologna, del XIII secolo. Venne costruito nel 1245 come ampliamento degli edifici comunali del Palazzo del Podestà e per questo chiamato Palatium Novum ma le sue vicende storiche l'hanno da sempre legato a Re Enzo di Sardegna. Tre anni dopo la sua costruzione divenne dimora di re Enzo, figlio dell'imperatore Federico II di Svevia, catturato durante la battaglia di Fossalta nei pressi di Modena. Re Enzo fu tenuto per alcuni giorni nel castello di Anzola dell'Emilia, dove si può ancora visitare quella che fu la sua prigione, e successivamente trasferito a Bologna. Enzo vi rimase sino alla sua morte nel 1272, probabilmente in ambienti opportunamente adibiti al secondo piano. A pian terreno venivano custoditi il Carroccio e le macchine da guerra. Al primo piano vi erano gli uffici del pretore e la cappella; in seguito Antonio di Vincenzo nel 1386 realizzò in muratura la Sala del Trecento che venne adibita ad archivio comunale. L'ultimo piano fu pesantemente ristrutturato nel 1771 ad opera di Giovanni Giacomo Dotti. Nel 1905 Alfonso Rubbiani ripristinò l'aspetto gotico dell'edificio. Sulla destra del palazzo si trova l'accesso della cappella di S. Maria dei Carcerati cui si recavano i condannati a morte. Le facciate esterne del Palazzo Re Enzo si affacciano sulla Piazza Nettuno, Via Rizzoli e Piazza Re Enzo e sono state sottoposte a restauro conservativo nel 2003. Numerose sono le leggende divulgate dai cronisti a proposito della cattura e della prigionia di re Enzo. Si parla di una mancata fuga dal castello di Anzola dell'Emilia prima ancora che il re venisse portato a Bologna e successivamente di un riscatto che il padre avrebbe pagato ai bolognesi, col quale si sarebbe potuta erigere tutta la cerchia muraria della città ma che i bolognesi rifiutarono. Pare che durante la prigionia re Enzo passasse il giorno insieme ad altri prigionieri ma durante la notte venisse isolato in una gabbia appesa al soffitto e guardato a vista. Il comune consentiva altresì ad Enzo di ricevere visite femminili: Enzo ricorda nel suo testamento tre figlie naturali ma la leggenda gli attribuisce un quarto figlio nato dall'amore per una contadina, Lucia di Viadagola. Al bambino venne dato il nome di Bentivoglio (per le parole che Enzo soleva dire alla sua amata, Amore mio, ben ti voglio), che fu capostipite della famosa casata dei Bentivoglio. Si racconta anche di una tentata fuga in una brenta, usata per trasportare il vino, ma fu ripreso grazie ad una vecchia signora che vide i lunghi capelli biondi del re. Dopo 23 anni di prigionia Enzo morì e fu sepolto nella Basilica di San Domenico come lui stesso aveva desiderato e dove ancora oggi è presente la sua tomba».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Re_Enzo
BOLOGNA (torre dei Prendiparte)
a c. di Matteo Giovanardi
BOLOGNA (torri degli Asinelli e Garisenda)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Le torri di Garisenda e degli Asinelli rappresentano il simbolo di Bologna; esse furono erette nel XII secolo da due nobili famiglie ghibelline: gli Asinelli e i Garisendi. Queste due torri 'gemelle' sono collocate strategicamente nel punto di ingresso in città dell'antica via Emilia. L'attuale isolamento in cui ci appaiono oggi al centro dello slargo di piazza di porta Ravegnana non corrisponde ovviamente all'originaria sistemazione con costruzioni lignee intorno e passaggi sospesi di collegamento. Realizzate in muratura come poche altre costruzioni svolgevano importanti funzioni militari (di segnalazione e di difesa) oltre a rappresentare con la loro imponenza il prestigio sociale della famiglia. Alla fine del XII secolo se ne contavano in città un centinaio di cui solo una ventina, sopravvissute ad incendi, guerre e fulmini, sono oggi ancora visibili. La torre degli Asinelli, pendente verso ovest di 2,23 m, è la più alta (97,6 m) e spicca su tutti gli altri edifici cittadini. Una scala di 498 gradini conduce fino in cima; dall'alto si gode una splendida vista sulla città. La torre Garisenda misurava in origine 60 m, ma fu abbassata nel Trecento per timore di un crollo. Oggi è alta 48 m circa e ha una pendenza di 3,22 m verso nord-est. Recente è la ricollocazione dinanzi alle torri di una statua di San Petronio di Gabriele Brunelli del 1670, che era stata rimossa nel 1871 "per motivi di traffico". Torre degli Asinelli viene costruita tra 1109-19 dalla famiglia omonima e passa al Comune già nel secolo successivo. Alta 97,20 m presenta uno strapiombo di 2,23 metri e una scalinata interna di 498 gradini terminata nel 1684. Il basamento è circondato da una 'rocchetta' realizzata nel 1488 per ospitare i soldati di guardia. Oggi sotto il portico sono state ricollocate alcune botteghe di artigianato a ricordo della funzione commerciale svolta dal medievale 'mercato di mezzo'. Coeva alla precedente si differenzia visivamente per la minore altezza (48,16 metri) e il forte strapiombo (3,22 m) dovuto ad un precoce e maggiore cedimento del terreno e delle fondamenta. Dante che la vide ancora integra la paragona ad Anteo chinato nel XXXI Canto dell'Inferno. A metà del XIV secolo si rende necessario l'abbassamento. Il rivestimento in bugne di selenite alla base risale invece alla fine del XIX secolo».
http://arredamenti-polli.com/bologna/torre-garisenda.php
«La prima testimonianza dell'esistenza di un paese chiamato Bubano risale all'anno 783; si trattava all'epoca di pochi campi coltivati in un territorio di boschi e paludi. In seguito avvenne una lenta e dura opera di bonifica ad opera dei monaci di S. Maria in Regola di Imola che già verso la fine del XIII secolo qui avevano costruito una piccola rocca, nei pressi dell'attuale piazzale della chiesa. Questa prima rocca fu presa e saccheggiata molte volte nel corso del XV secolo, poiché in quegli anni avvenivano aspre lotte fra le città comunali e i signorotti locali che volevano ampliare i propri territori. Allo stesso modo la rocca di Bubano cambiò sovente proprietario: prima fu degli Alidosi, signori di Imola, in seguito fu venduta agli Estensi, poi fu conquistata da Bartolomeo Colleoni e in seguito da Taddeo Manfredi. In seguito Bubano passò sotto il dominio degli Sforza, signori di Milano; il suo castello, assieme a quello di Mordano e quello di Imola, furono dati in dote a Caterina Sforza, nata nel 1463 e data in sposa a Girolamo Riario a soli dieci anni. Questi ricevette dallo zio, papa Sisto IV, la signoria di Forlì. Alla morte del marito, ucciso in una congiura nel 1488, Caterina si trovò a reggere le città di Imola e Forlì in nome del figlio. Decise, grazie al suo forte temperamento, di rafforzare il suo Stato e di restaurare i suoi castelli. Il castello di Bubano, inutilizzabile a causa dei molteplici assalti subiti, fu ricostruito poco lontano dalle fondamenta del precedente. Il vecchio castello, detto Castellari o Rocazza, fu adibito a scuderia ed ospitava oltre trecento cavalli. Caterina era profondamente legata a questo castello: ne seguì personalmente la costruzione e gli diede il nome di Castello della Contessa; addirittura mise una multa per chi l'avesse chiamato Castello di Bubano. Qui soggiornò per alcuni periodi; nel 1497 ad esempio vi ricevette Lorenzo de' Medici, suo futuro cognato (Caterina sposò infatti Giovanni de' Medici, da cui ebbe un figlio che diventò il famoso condottiero Giovanni Dalle Bande Nere). Inoltre, visto il pericolo immediato di guerra, Caterina voleva portare a termine i lavori di costruzione il più velocemente possibile, pertanto costrinse i contadini a lavorare gratuitamente e fece confiscare alla popolazione bubanese tutto ciò che poteva servire ai soldati. Questa fretta era motivata: nel 1494, l'anno seguente alla costruzione, il re di Francia Carlo VIII scese in Italia diretto a Napoli.
L'esercito francese assediò il castello di Bubano, allo scopo di convincere Caterina ad allearsi con i francesi. Bubano oppose una difesa talmente salda che, temendo di subire troppe perdite, le truppe ripiegarono su Mordano, che fu occupata e pressocchè distrutta. La Rocca di Bubano rimase agli Sforza fino al 1499, anno in cui fu conquistata dal duca Cesare Borgia, detto il Valentino, condottiero spietato. Dopo che ebbe persa la funzione difensiva, non fu mai oggetto di lavori di ristrutturazione ed andò progressivamente in rovina. Nel 1836 fu in gran parte demolita e i mattoni furono venduti a basso prezzo a ricchi possidenti terrieri e riutilizzati come materiale edilizio per la ristrutturazione di vecchie case coloniche nelle campagne circostanti. Tuttavia rimane una piccola parte delle scuderie, un torrioncello che, privato dei suoi merli, coperto di tetto, ammodernato, mostra ancora l’origine antica. Si trova in uno spiazzo confinante con il piazzale della chiesa sul lato ovest. è rimasta inoltre una parte del maschio, quasi sepolto dalle case vicine, con l’antico pozzo cavato nello spessore del muro. I Bubanesi chiamano questo rudere “il torrione”, e di qui ha preso il nome il Palio. È stato oggetto di un piano di recupero, avviatosi nel dicembre 2011. L’opera di restauro è stata finanziata con 210 mila euro derivanti dai fondi europei del Piano di sviluppo rurale, e da risorse private, circa 250 mila euro, giunte dall’accordo con la Florim, proprietaria della ceramica Cerim. La Fondazione Cassa di risparmio di Imola ha invece contribuito con 15 mila euro alla progettazione e all’avvio dell’allestimento del Centro museale e didattico. L'inaugurazione del Torrione sforzesco restaurato si è tenuta il 29 marzo 2014. L'edificio è stato adibito in parte a museo».
http://www.comune.budrio.bo.it/contenuti.php?id=52&ref=1&t=cenni_storici
BUDRIO (castello, torrioni, mura)
«Testimonianza della ricostruzione di Budrio voluta dal cardinale Albornoz nel secolo XIV in forma di castello, sono i due Torrioni di nord-ovest e di sud-ovest, a pianta trapezoidale, edificati nel 1376, recentemente restaurati insieme all’unico tratto superstite delle mura trecentesche (presso Piazza Matteotti). I Torrioni di nord-est e di sud-est, invece, furono eretti nel secolo seguente, nell’allargamento della cinta muraria, che comprese nel Castello il Borgo. Essi delimitano il lungo tratto di mura “nuove” (via Verdi), completate nel 1506, che sopravvissero alla grande demolizione del 1911. Sono a pianta circolare; più elegante quello di sud-est, con una merlatura coperta da un tetto. Di entrambi, come pure delle mura, è imminente il restauro».
http://www.comune.budrio.bo.it/contenuti.php?id=52&ref=1&t=cenni_storici
BUDRIO (palazzo Comunale, torre dell'Orologio)
«Il Palazzo Comunale, “Palazzo Torre”, sede del Municipio, risale al secolo XIV, quando sorse il primo edificio del complesso: la Torre detta ora dell’Orologio, anticamente della Guardia, poiché tale era la sua funzione. Derivata dalla ricostruzione del paese operata dal cardinale Albornoz dal 1363 al 1379, era la più importante fortificazione del paese. E tale rimase fino al 1870-71, quando fu abbassata e del tutto ristrutturata, con l’aggiunta anche di una corona di merli ghibellini, “con il disegno e l’opera gratuita” dell’ingegnere budriese Luigi Menarini, come attestano, sull’arco del voltone, le due epigrafi dettate da Giosuè Carducci. Presso la Torre della Guardia, circa a metà del secolo XV, venne costruito un vasto fabbricato, proprietà dapprima dei signori Manzoli, poi della ricca e illustre famiglia budriese dei Benni, i quali, nel 1678, lo cedettero alle Suore Serve di Maria, che ne fecero il loro convento. Il palazzo passò poi, con i beni delle Confraternite religiose e delle Opere Pie budriesi, alla “Congregazione di Carità” e da questa fu venduto nel 1877 al Comune, che voleva trasformarlo nella sua sede ufficiale. Nel 1879 ebbero inizio i lavori di restauro ( o meglio di totale rifacimento), diretti sempre da Luigi Menarini, che, in omaggio ai dettami della moda artistica in voga, adotta per la facciata lo stesso stile neogotico usato per la Torre. Dell’antico prospetto furono mantenuti soltanto, insieme all’impostazione di base, le cornici di alcune finestre del primo piano e due piatti ornamentali di ceramica faentina ritrovati nello smantellamento dell’ultimo piano e collocati in alto sulla facciata (il secondo e il quarto per chi guarda); gli altri quattro, frantumati e irrecuperabili, furono sostituiti con fedeli copie eseguite a Faenza. Anche il Palazzo fu ornato di merli ghibellini e unito alla Torre, costituendo un complesso omogeneo ed equilibrato. Sulla facciata, su cui vennero poste nel 1889 epigrafi commemorative e medaglioni dedicati a Garibaldi e a Mazzini, furono murate le lapidi in arenaria dei secoli XV e XVI, con gli stemmi di commissari inviati a Budrio in quei tempi dal governo bolognese per amministrare la giustizia. Finiti i lavori esterni, il Palazzo Comunale fu inaugurato il 21 agosto del 1881 con una grande festa e molti discorsi di illustri oratori, fra cui Filopanti. Si passò quindi alla sistemazione interna degli uffici, in particolare della sala del Consiglio. ...».
http://www.comune.budrio.bo.it/contenuti.php?t=cenni_storici&id=53&ref=1
CA' PEDRIAGHE (Torre Pedriaga)
«Il territorio in cui si colloca la Torre di Pedriaga è sempre stato, sin dal Medioevo, zona di confine tra i possedimenti di Bologna, di Ravenna e di Firenze. In tale fascia pre-appenninica imolese, solcata dalle valli del Sillaro, del Santerno e del Senio, erano presenti numerosissime rocche e castelli con torri e fortificazioni tra le quali,si sono conservate ancora in gran parte intatte,quelle situate In località Pieve S. Andrea. In particolare, l'agglomerato principale di Pieve S. Andrea conserva ancora la struttura a castello medioevale, con il borgo e la Chiesa racchiusi entro le mura nelle quali sì inserisce una torre alta dieci metri, parte restante dell'antica rocca eretta da Ludovico Alidosi nel XIV secolo. Il più piccolo nucleo abitativo di Pedriaga, situato leggermente più a valle rispetto al colle della Pieve, conserva ancora intatta una torre ben più alta e maestosa. Si tratta di una imponente costruzione a base quasi quadrata, internamente ad ambiente unico. I lati misurano rispettivamente m. 8,50 e m. 7 e raggiunge l'altezza di quattordici metri, suddivisi in più piani. I paramenti murari in sasso a vista, sono forati solo dalle rare aperture che presentano però una ricerca di simmetrie attestante la connessione tra la funzione di difesa e la funzione abitativa . Un doppio coronamento di mattoni , disposti a più fasce,con elementi a t ed elementi a dente di sega, contribuisce ad ingentilire la possente architettura della casa-torre. Si innestano alla torre alcuni corpi-di fabbricati più bassi, aggiunti probabilmente in un secondo tempo quando le diminuite necessità di difesa portarono ad un maggior sviluppo dèlla funzione abitativa. Si viene così a definire attualmente, un aggregato con distribuzione ne planimetrica quasi a croce, dove un braccio è costituito dalla grande torre, e gli altri tre dai restanti fabbricati, i quali presentano in parte murature di sasso a vista ed in parte paramenti intonacati. Tutti i manti di copertura sono in coppi, le strutture di solaio e del tetto sono in legno ed in parte conservano ancora le pianelle di mattoni. Per l'antichità dell'impianto delle pregevoli costruzioni e le caratteristiche costruttive che ancora si conservano, legate all'uso predominante dì materiali locali quali il sasso a vista, il complesso dei fabbrìcatì della torre di Pedriaga si segnala come documento di notevole interesse per la storia dell'architettura appenninica medioevale dì tipo abitativo-fortifìcato».
http://web.tiscali.it/torrepedriaga
CASALECCHIO DE' CONTI (castello o palazzo Prati)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«...1085. è ricordato il castello di Casalecchio e la rispettiva curia o corte. ... 1085. è citato il luogo "qui vocatur Farneto in Casalicli castro, territorio bononiensi, iudicaria motinensi". 1308. Sono rifatte le fosse ed altre fortificazioni al castello di Casalecchio dei Conti. 1310. Vengono mandati rinforzi a numerosi fortilizi tra cui un capitano e dieci soldati a Casalecchio. 1316. Bologna decide l'affidamento dei propri castelli alle Società d'Arte, che mandano a Casalecchio un capitano e due soldati. 1321. Viene inviato un presidio al castello di Casalecchio dei Conti». Oggi il complesso si presenta completamente ristrutturato. La torre presso la porta d'ingresso conserva tuttavia caratteristiche medievali.
http://geo.regione.emilia-romagna.it/schede/castelli/index.jsp?id=5411
CASALFIUMANESE (torre dell'Orologio)
a c. di Renzo Bassetti
Castel de' Britti (rovine del castello)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Menzionato nel 776 in un atto di donazione del duca di Persiceto Giovanni e di sua sorella Orsa (copia manoscritta risalente al XII secolo[139][140]), come castro Gissaro quod dicitur Britu (ovvero, castello Gissaro - in quanto eretto su di un rilievo gessoso - dei Britti), Castel de' Britti (a volte citato come Castrum Britonum, era in origine un borgo fortificato rientrante fra i vasti possedimenti della Grancontessa Matilde di Canossa. Nel corso della storia, per un certo numero di volte fu sottoposto a devastazione: in particolare, nel 1137 fu assediato ed espugnato, saccheggiato e distrutto dall'imperatore Lotario III; nel 1175, fu incendiato da truppe dell'arcivescovo Cristiano di Magonza, arcicancelliere dell'imperatore Federico I Barbarossa; nel 1361 i soldati del comune di Bologna lo abbatterono. In seguito fu ricostruito e distrutto nuovamente. Del castello rimangono pochissime testimonianze, porzioni delle mura di cinta e lo scheletro dell'arco d'entrata situato davanti alla chiesa trecentesca consacrata a San Biagio».
https://it.wikipedia.org/wiki/San_Lazzaro_di_Savena#Rovine_di_Castel_de.27_Britti
Castel de' Britti (villa Rangoni Machiavelli, già Malvezzi)
«Si può ammirare nella pianura l'edificio, oggi d'abitazione, che fu il monastero camaldolese di S. Michele di Castel de' Britti, un severo castelletto murato con torre merlata che divenne proprietà del Collegio Montato per gli studenti marchigiani a Bologna, e, sulla collina, quanto resta del castello di Castel de' Britti, cioè un troncone della porta d'ingresso e la chiesa parrocchiale, mentre il castello neomedievale che sorge lì vicino, villa Rangoni Machiavelli, è una creazione ottocentesca che vuole ispirarsi al Palazzo della Signoria di Firenze».
Castel del Rio (palazzo Alidosi)
«Della prima residenza della famiglia Alidosi, “Castrum Rivi” chiamata ora il “Castellaccio” sorta fra il XIII e il XIV sec. non resta quasi nulla, a differenza del Palazzo costruito nel XVI sec. Discordia fra gli storici in merito al nome dell’architetto che progettò il maniero, sono stati citati il Bramante e Francesco da Sangallo. La costruzione fu commissionata inizialmente dal cardinale Francesco Alidosi, con l’intento di sottolineare la solidità del potere, fu poi proseguita da Cesare e Rizzardo Alidosi. I lavori iniziarono con grande disponibilità di mezzi e di manodopera. Il progetto iniziale prevedeva la realizzazione di un Palazzo-fortezza, con quattro bastioni a losanga molto pronunciati che racchiudevano all’interno un grande cortile con un loggiato composto da ventiquattro colonne di un solo pezzo di arenaria e al centro un pozzo. Un grande fossato circondava il palazzo e un ponticello a tre arcate consentiva di attraversarlo per entrare dall’unico ingresso realizzato. A sud, verso il paese, un magnifico giardino fu detto il Giardino delle delizie , nei sotterranei, oltre alle cantine erano presenti due prigioni per gli uomini e una per le donne. Il Palazzo rimase però incompiuto per mancanza di fondi e dei quattro bastioni previsti ne furono realizzati solo due. Vero gioiello rinascimentale, ancora visitabile, è il Cortiletto delle Fontane dove sono accolte tre bellissime fontane a conchiglia, tre colonne di arenaria sorreggono un loggiato e sotto le vele della loggia otto nicchie circolari accoglievano i busti degli esponenti più importanti della famiglia. Il Palazzo è stato interamente restaurato ed è ora sede comunale, ospita inoltre nelle sue stanze la biblioteca, il museo della guerra e il museo del castagno».
http://casteldelrio.provincia.bologna.it/storia/il-palazzo
Castel del Rio (ruderi del Castellaccio)
«L'antico Castrum Rivi (chiamato ora il “Castellaccio”), sorto su di un poggio che domina l'attuale paese, nominato nel 1179, fu feudo incontrastato della famiglia Alidosi fino al suo abbandono nel 1500. Della rocca a pianta rettangolare restano l'imponente rudere del maschio a pianta rotonda, parte della cortina di mezzogiorno ed uno spigolo di torre quadrata, oltre alle fondamenta e a tratti di camminamento sotterraneo. Prima di insediarsi nel borgo di Castel Del Rio, la famiglia Alidosi abitò per oltre due secoli nel fortilizio detto il Castellaccio, situato vicino al paese, che crollò quasi completamente nel 1542 causa del terremoto, delle copiose piogge e, sembra, in seguito a lavori di restauro e di consolidamento mal fatti».
http://castelliere.blogspot.it/2015/03/i-castelli-di-giovedi-19-marzo.html
Castel San Pietro Terme (cassero, torre dell'Orologio)
«Il Cassero è il monumento che segna ufficialmente la nascita di Castel San Pietro nel 1199, come baluardo a difesa del territorio di Bologna. Fu realizzato dapprima in legno e poi trasformato più volte a seconda delle esigenze delle milizie che, secolo dopo secolo, lo hanno conquistato e utilizzato quale baluardo principale contro i nemici, fino ai primi anni del 1500, quando Bologna e Imola passarono sotto lo Stato Pontificio e Castel San Pietro perse definitivamente la sua funzione militare. Il Cassero (dall'arabo qasr, castello, castrum romano) attualmente è una costruzione massiccia, ornata da merli ghibellini, opera di vari interventi. A partire dal 1734 si trova un primo documento dove si parla del teatro all'interno del Cassero. Il teatro venne ristrutturato nel 1830. Usato come alloggio militare durante la Prima Guerra Mondiale, nel 1916 fu colpito da un fulmine e quindi fu indispensabile un nuovo intervento di ristrutturazione. Il progetto prevedeva il recupero della struttura originaria " ... abbattendo, almeno in parte, quanto era stato addossato a questo antico monumento, che conserva tutta intera la sua primitiva originaria eleganza. Nel posto del Teatro, fra le mura dell'antico Cassero coi suoi merli rimessi a giorno, verrebbe un ampio salone per uso concerti, conferenze, comizi, Università popolare e quant'altro abbisogni la pubblica vita moderna. ...Il grande salone avrebbe lo spazio per accogliere comodamente oltre 300 persone sedute...". Un ulteriore significativo intervento è stato quello realizzato fra gli anni 1970 e 1980, caratterizzato dalla collocazione di una struttura metallica a gradoni di allestimento interno. ...
La Torre dell'Orologio. Nella parte sovrastante al Cassero vi è la torre dell'orologio, della quale si hanno notizie certe nel 1300. "In origine - scrive il Gurrieri - non poteva avere né cupolino né campane, perché la cima serviva per i fuochi ad uso militare in tempo di guerra". Nelle zone abitate e nelle frazioni circostanti, soprattutto nella prima collina, era presente un sistema di torri che con questo sistema, in breve tempo, poteva far giungere un messaggio alla città di Bologna, dalla quale Castel San Pietro dipendeva. Nel 1784 fu messo sulla torre un orologio e le campane, che ancora oggi scandiscono il lento, ma inesorabile trascorrere del tempo. Il Cassero si trova al centro della città. La sua torre è ben visibile sia di notte che di giorno a chilometri di distanza. La torre, al momento, non è visitabile in quanto vi possono accedere solamente gli addetti ai lavori. è allo studio un progetto per un consistente intervento di ristrutturazione complessiva del Cassero che sarà realizzato nei prossimi mesi».
http://www.comune.castelsanpietroterme.bo.it/index.php?q=infocraft/testo_libero/115
Castel San Pietro Terme (mura, torrioni)
«Delle vecchie mura che circondavano il paese - edificate nella loro forma più imponente attorno al 1400, con un camminamento che portava all'interno del castello principale - rimangono solamente uno dei torrioni situato a est del Cassero e un tratto di mura lungo via Castelfidardo e lungo il Sillaro. Un altro torrione, situato a monte del Cassero, fu fatto saltare in parte durante la seconda guerra mondiale e definitivamente abbattuto successivamente per il degrado in cui versava. Torrioni e vecchie mura circondavano la zona Montagnola del centro storico. Attualmente queste strutture si sono ridotte a poche testimonianze storiche».
http://www.comune.castelsanpietroterme.bo.it/index.php?q=infocraft/testo_libero/115
CASTELLO D'ARGILE (torre dei Marsigli)
«è una torre poco conosciuta e citata, forse perché si trova nei pressi di una via (dedicata ad Attilio Ferrari) attualmente di passaggio quasi esclusivamente locale. Ma si trova in quel punto probabilmente perché, nel tempo in cui fu costruita, si trovava su un percorso stradale più importante ( anche se tortuoso, dovuto alle più antiche presenze di "lame", paleoalvei e "Gorghi"di Reno) di collegamento provinciale, usato da chi proveniva da Bologna, attraverso la via delle Lame, poi sulla via d'Erba di Argelato , costeggiando la chiesina di S . Giacomo, imboccava la via dei Ronchi, passava davanti al convento dei frati minori di S. Francesco, e magari si fermava nell' "hospitale" che si trovava nei pressi (oggi osteria "della Stella"). Dalla torre si proseguiva poi per il centro di Mascarino (alias Venezzano), con la sua chiesa, e un bivio che conduceva, svoltando a sinistra, verso Pieve di Cento, o , procedendo verso nord, Asia e il "poggio di Massumatico" (oggi Poggetto), importate sede vescovile con relativo palazzo; imboccando la stradina a destra si arrivava alla chiesina di S. Andrea, e, più oltre, a S. Benedetto e a S. Pietro in Casale. è di probabile costruzione quattrocentesca, come altre torri simili presenti nel bolognese; ma, essendo stata solo superficialmente esaminata finora, non si può dire con certezza. è stata probabilmente adibita a "colombara", come usava nei secoli scorsi, ma originariamente poteva aver avuto anche funzioni di difesa e avvistamento (di nemici in arrivo o di piene del Reno, non molto distante...). è citata nella Carta dei Beni culturali della Provincia per le sue "eleganti decorazioni in cotto e i tre cordoli con elementi disposti a dente di sega e a T e i coppi invetriati posti agli angoli e intorno alla finestrella". Confrontando le foto, abbiamo notato una notevole somiglianza con la torre detta "Colombarola" che si trova a S. Giorgio di Piano. ... La torre dei Marsigli è oggi di proprietà di un coltivatore diretto del luogo, che la usa come ripostiglio e vano accessorio della casa che sorge a lato ; uso che probabilmente è stato praticato per secoli anche dalle famiglie di coloni/mezzadri che lavoravano la terra quando era di proprietà dei "signori" bolognesi. è l'unico esemplare di torre rimasto nel territorio comunale. ...».
http://www.pianurareno.org/?q=node/38 (a cura di Marta Barbieri)
CASTELLO DI SERRAVALLE (castello o Palazzo di Cuzzano)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Castello di Serravalle è un piccolo borgo medievale situato nella splendida cornice dei colli bolognesi. Da sempre, terra di confine, fu conteso innumerevoli volte da molte popolazioni: prima dai Longobardi e dai Bizantini, poi dai modenesi e dai bolognesi. In epoca Romano-Bizantina, in questo luogo sorgeva una fortificazione chiamata Verabulum, cioè luogo che chiude l’anello o le fortificazioni, facente parte di una complessa linea strategica lungo il confine dell’Esarcato di Ravenna. La fortezza romana venne poi distrutta dai Longobardi e se ne perse ogni traccia. Il borgo medievale sorse tra l’VIII e il IX secolo d.C. Esso si presentava ben diverso da come è oggi: molto più piccolo, era costituito da due costruzioni affiancate e separate dalla strada che lo attraversava; al centro del castello era presente il cortile d’arme, comune in tutti i castelli. Si racconta addirittura, che nel 800 d.C. Carlo Magno, nel suo viaggio verso Roma, sostò a Serravalle una notte con i suoi armati. Da sempre luogo strategico, situato sul confine su una delle due strade esistenti all’epoca, fu conteso per tutto il medioevo fra Bologna e Modena. Nel 1200 passò sotto i bolognesi che lo riedificarono nel 1227 costruendo la rocca, le mura e il fossato. La strada principale del borgo ripercorreva l’antica strada romana e per accedere al castello bisognava passare un ponte levatoio e attraversare il mastio. Al piano terra della torre, su di un bassorilievo del portone, è scolpito il “custode del castello” che tiene in mano la chiave simbolo del possesso; questa figura era particolarmente simbolica perché se i nemici fossero arrivati a vederlo, avrebbe voluto dire che il castello era caduto in mano ad essi, essendo il mastio l’ultimo baluardo.
Le mura seguivano la strada principale, attorno ad essa nacquero i primi edifici, la chiesa e la casa del comune del 1235. Quest’ultima fu fatta edificare da Jacopino di San Lorenzo in Collina, primo capitano di Serravalle e della montagna che si conosca in Italia. Egli abitava in questo edificio e amministrava il borgo. In caso di pericolo radunava il popolo nell’Arengo, cioè la piazzetta davanti ad esso. L’antico cortile d’arme si trasformò in un porticato, attraversato dalla strada principale e utilizzato come luogo di ritrovo e di mercato e, in caso di assedio, come riparo per i cavalieri. Nel 1249 Castello di Serravalle partecipò attivamente alla battaglia della Fossalta, mandando circa 130 soldati a combattere. La battaglia che fu vinta dai bolognesi, divenne famosa per la cattura di re Enzo, figlio dell’imperatore Federico II. Castello di SerravalleNel 1288 Serravalle fu elevato al rango di podesteria, e il podestà ebbe sotto il suo potere tutti i comuni delle vallate del Samoggia e del Lavino. Nel 1316 il castello fu dato in custodia alle società del Grifone e dei Falegnami di Bologna. Nel XIV secolo venne costruito l’ultimo giro di mura, che seguivano l’andamento del crinale della collina e all’interno di esse furono edificate nuove costruzioni, tra le quali torri, case e strutture difensive. Nel 1304 venne eretto il Cassero che è tutt’ora, l’accesso principale al castello e la strada cambiò perciò direzione. Il Cassero si presenta come una torre senza coperto, in modo che dall’alto dei camminamenti e dei merli i soldati potessero controllare il passaggio di cose e persone. Nel 1325 la guerra tra Modena e Bologna culminò con la battaglia di Zappolino, divenuta famosa dal poema tragicomico della Secchia rapita scritto da Alessandro Tassoni nel 1600. ...».
http://www.scopriserravalle.it/artestoria-2/il-borgo-di-serravalle
Castelluccio (castello Manservisi)
«Il Castello Manservisi fu edificato nel corso del XVI secolo dai Conti Nanni-Levera. Nel XIX secolo fu ceduto alla famiglia Manservisi che ne modificò la struttura originale caratterizzata da linee sobrie per trasformarla in una fiabesca dimora. Vennero effettuati interventi di ispirazione neo-gotico con citazione che ci rimandano all’architettura toscana, si trova nell’Appennino Emiliano toscano, tra Bologna e Pistoia, a Castelluccio di Porretta Terme. Il castello è formato da un complesso di edifici, collocati in un grande parco con alberi secolari e che si estende fino al Museo Laborantes, il più grande Museo etnografico della montagna bolognese. L’edificio fu infatti coronato da una merlatura a coda di rondine, furono tamponate antiche finestre architettavate per aprirne altre monofore e di bifore. Fu inoltre modificata la volumetria generale dell’edificio, addossando alla facciata ovest la torre di pianta circolare, coronata da beccatelli e da una merlatura ghibellina. Gli esterni dell’edificio possono essere considerati un compendio dell’artigianato della pietra scolpita a mano, che operò sull’Appennino sul finire del XIX secolo e gli inizi del secolo successivo, ma anche dell’opera di artigiani del ferro battuto a mano, che confezionarono grate, lampioni, mensole, anelli per legare i cavalli. Pregevoli esempi di artigianato locale non mancano anche all’interno cassettoni di legno, pareti con rivestimenti lignei, rosoni di ceramica invetriata, stucchi. Il castello fu donato da Alessandro Manservisi ad un ente che per decenni lo utilizzò come colonia per bambini e bambine che provenivano da varie parti d’Italia, poi l’edificio fu adibito a ristorante. Dal 2010 le strutture del Castello sono gestite dalla Associazione no profit Castello Manservisi che, dopo una fase di abbandono, ne ha curato e cura la manutenzione e il ripristino».
https://castlesintheworld.wordpress.com/2014/12/14/castello-manservisi/
CODRONCO (ruderi del castello)
«Del castello di Codronco (Castrum Codronchi) restano solo pochi ruderi tra cui una torre rotonda, brevi tratti di cinta muraria ed una stanza interrata. Le vicende del castello, costruito nel 1216 seguono la storia tormentata di questo territorio di confine. Nel 1280 i bolognesi distrussero il castello di Codronco che venne però ricostruito dagli imolesi tre anni dopo e nuovamente occupato e fortificato dai bolognesi nel 1298. Infine, tornò in possesso della Chiesa imolese nel 1311 e vi restò fino al 1349. Fu poi soggetto a diverse signorie per poi passare definitivamente alla Santa Sede».
http://www.madeinimola.it/home_madeinimola.php?n=nav&l=it&id=11202002
CREVALCORE (castello di Palata Pepoli)
«è un edificio a pianta quadrata con una torre centrale che si innalza nella facciata principale. Intorno si estende un parco molto grande con alberi secolari e fitti cespugli. Gli ambienti, alcuni dei quali con affreschi, sono distribuiti simmetricamente intorno al cortile centrale, delimitato da un porticato per ogni lato. Nell’archivio comunale di Crevalcore sono conservati due cabrei del XVII secolo (i cabrei sono raccolte di mappe dei possedimenti terrieri) che ci consentono di affermare che i Pepoli, signori di Bologna, possedevano intorno al 1500 almeno la metà dell’attuale territorio di Crevalcore. Esso era diviso in 85 poderi. Intorno al 1540, nel territorio di Palata, poco distante dal luogo dove sorgeva la Chiesa di San Giovanni Battista che i nobili bolognesi avevano fatto erigere agli inizi del 1500, Filippo Pepoli fece iniziare la costruzione di un imponente palazzo con torre e cortile interno. Il Palazzo o Castello dei Pepoli a Palata, sorto come luogo di soggiorno, di caccia e di svago, dimostrava la potenza e il prestigio della famiglia proprietaria. Esso divenne il centro del vasto possedimento terriero, dove si esercitavano attività agricole e allevamento di grandi quantità di bestiame. Nel corso del 1800 il Castello passò ai principi della famiglia Torlonia che divennero proprietari anche di larga parte del territorio della frazione di Palata Pepoli. Successivamente, l’intera proprietà venne frammentata e venduta. Attualmente il Castello appartiene a privati e, dopo anni in cui è stato lasciato all’incuria e al degrado, sono partiti i lavori di restauro. Intorno al Castello e alla chiesa di San Giovanni Battista sorse e si sviluppò il borgo di Palata Pepoli. Oggi questa località, che si trova a 13 Km dal capoluogo è diventata una prosperosa borgata».
http://www.iccrevalcore.net/Progetto%20Crevalcore/il_castello_di_palata.htm
DOZZA (rocca di Caterina Sforza, o Malvezzi-Campeggi)
a c. di Renzo Bassetti
Le foto degli amici di Castelli medievali
Fontana di Sasso Marconi (villa Fontana o palazzo Sanuti)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Località Fontana è un borgo posto dopo la Rupe in direzione Marzabotto, di notevole interesse è il Palazzo Sanuti nel quale fu ospitata la prima sede comunale e distrettuale di Praduro e Sasso (dal 1797 al 1811). Il Municipio fu trasferito nell’attuale Capoluogo soltanto verso la fine del 1800. La villa fu fatta costruire da Nicolò Sanuti, nobile e ricco cavaliere, che ebbe una parte notevole nella vita politica bolognese della metà del Quattrocento: fu componente del senato della città. Nel 1447 fu nominato primo Conte della Porretta da papa Nicolò V. Durante i viaggi di trasferimento dal suo feudo a Bologna soleva soggiornare in questa sua possente e salda costruzione posta ai piedi della Rupe, nella cui storia egli incise in modo rilevante: nel 1477 fece, fra l’altro, ampliare la grotta in cui era custodita l’immagine della Madonna del Sasso. Alla divisione dell’asse ereditario dei Sanuti, l’edificio toccò ai monaci benedettini di S. Procolo di Bologna, che lo tennero fino a tutto il Settecento per la verità in modo poco curato. Espropriato per le vicende politiche successive alla venuta dei francesi, fu acquistato da Annibale Rossi la cui figlia Augusta sposò Pio Comelli, ai cui discendenti ancora appartiene. In particolare è da ricordare la figura di Gian Battista Comelli che fu autore, all’inizio di questo secolo, di un pregevole volume storico sulla Rupe e sul Santuario della Beata Vergine del Sasso nel quale è riportata anche una cronaca dettagliata degli avvenimenti relativi al famoso crollo della Rupe avvenuto nella notte di San Giovanni del 1895. Il Palazzo, dotato di solide mura e loggiati, è ancor oggi sostanzialmente conservato nelle sue strutture dopo la ristrutturazione effettuata dalla famiglia Comelli. Ha un aspetto che è un po’ quello della dimora rustica e in parte del fortilizio: presenta ancora all’esterno tracce di un fregio affrescato con il ritratto del Sanuti e della sua celebre seconda moglie Nicolosia Castellani, forse dei figli di Nicolò avuti dalle precedenti nozze e di altri loro familiari: le immagini sono ormai sbiadite, ma ancora visibili. Sempre sulla facciata è riprodotto lo stemma Sanuti con le parole: [Nicolaus] “Santus Porrecte Comes” e una Madonna in terracotta da attribuirsi alla scuola di Michele da Firenze. All’interno è visibile un affresco raffigurante la “Vergine con il Bambino”. della metà del XV secolo. L’edificio quattrocentesco, fortunatamente risparmiato dal passaggio devastante della guerra, ha un bel cortile dove sorge la fontana che ha dato il nome all’intera borgata».
http://www.sassomarconifoto.it/index.php/territorio/frazioni/fontana
«La villa si trova nella frazione Gaiana, adiacente a Poggio Grande, a circa 5 km. da Castel San Pietro Terme, ma facilmente raggiungibile seguendo gli Stradelli Guelfi (da Bologna), oppure la provinciale San Carlo (provenendo dalla SS.9 via Emilia). è uno splendido edificio pre-rinascimentale, con 2 torri inglobate e 1 torre staccata al di sopra del viale d'accesso. Di queste solo la base tronca della torre maggiore è conservata. Notevole il materiale cartografico e fotografico che raffigurano il complesso di Gaiana, che pare sempre essere appartenuto, sino a tempi recenti, alla famiglia Legnani. Molto materiale sulla villa-torre di Gaiana è contenuto nel volume Le fonti geoiconografiche del territorio bolognese orientale, pubblicato nel novembre 2000».
PRIMA E DOPO IL SISMA DEL MAGGIO-GIUGNO 2012
«La parte più antica del castello di Galeazza è la torre. è stata costruita alla fine del XIV secolo da Galeazzo Pepoli, condottiero nella battaglia di Marino del 29 Aprile 1379. Le sue truppe hanno difeso il Papa Urbano VI e vincendo, hanno liberato Roma dalla minaccia dell'invasione dei Bretoni, i quali consideravano il loro papa Clemente VII il vero capo della chiesa. Insieme ad Alberigo da Barbiano, Pepoli ha sbaragliato i nemici, sia uccidendoli che facendo prigionieri tutti gli uomini dell'esercito avversario. I prigionieri venivano poi fatti sfilare per le strade di Roma in catene per la gloria dei vincitori. Dopo 122 gradini, dal piano terra alla terrazza, i visitatori vengono ricompensati con la solenne veduta della fertile campagna circostante, dei parapetti in mattone e del tetto in tegola di terracotta. Dalla terrazza si possono ancora salire 37 gradini all'interno di una torre più sottile, chiamata Anna, come la moglie di Galeazzo Pepoli. In cima alla torre Anna si sale su di un piccolo balcone e da questo punto è possibile guardare le cime degli alberi, il terrazzo e i merli Ghibellini della torre sottostante, il parco del castello e il giardino, e la chiesa adiacente con il convento. Quando non c'è foschia è possibile vedere gli Appennini verso Sud e le Alpi a Nord, altre torri e campanili nell'immensa pianura che si perde all'orizzonte. Anche se il castello è stato costruito a più riprese nei secoli, le aggiunte più recenti sono state fatte nella seconda metà del XIX secolo. Intorno al 1870 la torre è stata comprata da Alessandro Falzoni Gallarani, un gentiluomo di Cento, famoso per il suo buon gusto e l'amore per l'arte e la cultura. Falzoni Gallerani voleva creare una residenza estiva di lusso per la sua numerosa famiglia, così ha fatto costruire accanto alla torre un solenne castello con armoniosi particolari neogotici. Il castello così costruito crea una corte di fronte alla proprietà ed una specie di cancello, attraverso cui i visitatori camminano sotto torrette ed una torre fino all'entrata del parco. ...».
http://www.galeazza.com/galeazzaonline/home.php?language=it
«Nella sua politica di espansione verso il contado il comune di Bologna, alla fine del XII secolo (sembra nel 1194), costruì il castello e la torre di Galliera in una posizione che, in quel momento, rappresentava il punto più avanzato dei suoi confini verso il territorio ferrarese degli Estensi, con i quali erano frequenti i contrasti. Da quel momento, e per tutto il XIII secolo, Galliera divenne un luogo molto importante per il comune di Bologna. La strada che partendo dal centro della città si dirigeva verso nord prese il nome di strada di Galliera e veniva regolarmente inghiaiata, anche la porta da cui usciva detta strada si chiamò porta Galliera. La località divenne sede di Podesteria e la sua giurisdizione si estendeva sopra 26 comunità. Il castello e la torre di Galliera furono il primo punto di un sistema difensivo dei Bolognesi verso il territorio ferrarese. Infatti, successivamente fu costruita la torre del Cocenno, poche miglia a nord di Galliera, nel punto di confluenza del canale Cocenno (proveniente dal Centese) con il canale Riolo che, passando accanto alla torre di Galliera, collegava la città di Bologna con il Ferrarese unendosi al “canale Palustre”, che nasceva dal Po in località Porotto. Nel 1242 fu costruita, sempre ad opera del comune di Bologna, la torre dell’Uccellino (nella terra di Lusolino) a 5 miglia da Ferrara e 25 da Bologna, sempre sulla riva di un corso d’acqua, e nel 1305 fu edificata la torre Verga (non più esistente) in un luogo che oggi si trova al bivio delle strade che conducono a Mirabello, Poggio Renatico e Madonna Boschi, ma che in quel periodo era territorio del comune di Galliera. Nel 1250 l’organo legislativo del comune di Bologna deliberò che fosse posta una campana sulla torre dell’Uccellino, una sulla torre del Cocenno ed un’altra sul lato settentrionale della torre di Galliera, “e ciò affinchè i comuni delle terre interessate possano e debbano, quando venga segnalato un pericolo, correre ad appostarvisi, e i nemici del comune di Bologna non si arrischino di entrare nel nostro territorio”. Il sistema difensivo bolognese, ben descritto dallo storico Amedeo Benati (Strenna Storica 1989) fu completato con la costruzione, nel 1301, della torre dei Cavalli, nella zona di Molinella. ... La torre è alta circa metri 21,75 ed ha una base di metri 9,40 x 7,70. Ha tutte le caratteristiche delle torri bolognesi ed assomiglia particolarmente alla Garisenda ed alla torre Galluzzi. La sua porta aerea si trova a circa mt. 1,75 dal suolo, ma in origine doveva essere a circa mt. 6, come quella della Garisenda. Infatti le ripetute alluvioni delle acque torbide del Reno, trattenute dall’argine denominato Coronella, hanno innalzato nei secoli il livello del suolo circostante per cui 4-5 metri del corpo della torre sono interrati. ...».
http://www.pianurareno.org/?q=node/37 (a cura di Franco Ardizzoni)
«La torre Conserva è un edificio di fine Quattrocento o inizi Cinquecento, che si scorge sulla sinistra percorrendo la strada S.Alberto, da S.Pietro in Casale verso S. Vincenzo, appena dentro il territorio di Galliera ed è posta al n. 5 della omonima via Torre. è una casa-torre sviluppata su tre piani dell’altezza complessiva di circa 18 metri e con una base leggermente rettangolare di circa mt.8x6, ai cui lati sono state addossate due ulteriori costruzioni. Costruita probabilmente dai Malvezzi, antica famiglia senatoria bolognese, i quali nel XV secolo, possedevano molte terre nella zona a partire da S. Alberto (oggi in comune di S. Pietro in Casale), attraversando parte del comune di Galliera, e verso il territorio ferrarese fino alla località Raveda, nei pressi di Mirabello. Allora il fiume Reno non aveva l’attuale percorso, ma da S. Agostino proseguiva verso nord immettendosi nel Po all’altezza di Porotto ed il territorio bolognese arrivava fino alla torre Verga (oggi non più esistente) appunto vicino all’attuale Mirabello, per cui i Malvezzi potevano coltivare ed amministrare le loro terre senza troppi impedimenti, non avendo l’ostacolo del fiume. La torre si trova a poca distanza dal Palazzo della Tombetta, villa padronale costruita dalla stessa famiglia e sede della tenuta Tombetta, un vasto tenimento di 570 tornature che nel 1801 Francesco e Giuseppe Malvezzi vendettero ad Antonio Aldini e che nel 1812 andò a far parte del Ducato di Galliera. Nella carta della pianura bolognese, pubblicata da Andrea Chiesa nel 1740-42, la torre è indicata con il nome “Malvezzi”, ma in altre pubblicazioni più recenti viene nominata come torre Conserva, come Tombetta o come Raffia Vecchia, anche se questo nome si riferisce al podere di fronte ad essa, dall’altro lato della strada. Infatti in documenti conservati presso l’archivio parrocchiale di Galliera a metà Ottocento sono indicati il “Predio Conserva”, che è quello in cui si trova la torre, ed il “Predio Graffio”, cioè quello di fronte. La Torre, che fino a metà degli anni settanta era ancora intatta e discretamente conservata (vedi foto), si trova oggi purtroppo allo stato di rudere e la sua sorte appare irrimediabilmente segnata. Con gli oltre quattro secoli di vita, durante i quali avrà sopportato ogni sorta di violenza, di trasformazioni e di ricostruzioni, resistendo a guerre ed alluvioni, ha ora dovuto arrendersi allo stato di abbandono ed all’incuria, così come succede a molte case di campagna che, non essendo più abitate, crollano su se stesse come funghi troppo maturi. Infatti la parete nord è ormai completamente crollata, portandosi nel crollo metà della torre in senso verticale, mentre la parete sud, che rappresenta la facciata principale, risulta ancora miracolosamente intera, ma manca ormai del tetto, e lascia intravedere i tamponamenti eseguiti in chissà quali momenti della sua storia. Così si può osservare che, sulla sinistra, vi era un’ampia apertura fra il secondo ed il terzo piano ed un’altra esisteva oltre il terzo. Sulla destra della facciata, sempre fra il secondo ed il terzo piano, ma più in alto di quella di sinistra, è ben visibile un’apertura ad arco, identica a quella della porta al piano terreno e sulla stessa linea verticale. Nella parete principale della torre esistono tre finestre, di cui due hanno doppio battente mentre la terza (fatto curioso) ne ha uno soltanto. Le finestre sulle due costruzioni laterali non sono sulla stessa linea di quelle della torre ed anche le dimensioni sono differenti. Evidentemente sono state fatte in periodi diversi. Sulla facciata è ancora presente lo stemma del Ducato di Galliera, creato da Napoleone Bonaparte nel 1812, di cui la torre ed il terreno circostante hanno fatto parte. ...».
http://www.pianurareno.org/?q=node/34 (a cura di Franco Ardizzoni)
Grizzana Morandi (il Medioevo non medievale della Rocchetta Mattei)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La Rocchetta Mattei data la posa della prima pietra il 5 novembre 1850. Fu costruita dal conte Cesare Mattei sui resti di un antico insediamento fortificato facente parte dei possedimenti di Matilde di Canossa. In questo luogo, eletto dal Mattei dopo lunghe ricerche, egli si trasferì definitivamente nel 1859, dirigendone personalmente la fabbrica e “tenendo al suo comando artefici d’ogni mestiere”. Fino alla fine della sua vita Cesare Mattei proseguì i lavori, apportando continue modifiche e interventi che si svilupparono in diverse fasi e vennero definitivamente portati a termine, dopo la sua scomparsa, dal figlio adottivo Mario Venturoli. Per il Conte Mattei la “sua” Rocchetta fu il luogo nel quale fece il viaggio verso un sapere ben preciso: egli dedicò quasi tutta la vita allo studio di una scienza medica empirica, denominata Elettromeopatia, che praticava presso il castello e che lo portò a raggiungere una fama mondiale nel ventennio 1860-1880. Il progetto di restauro. Emblema inconfondibile della Valle del Reno, la Rocchetta Mattei è ancora oggi punto di riferimento fondamentale nella zona e meta amatissima. L’intervento di recupero non poteva non considerare, sin dalla sua genesi, queste caratteristiche; già dall’acquisizione del castello l’operazione si è intesa volta non al solo restauro del bene architettonico, ma ad una più ampia valorizzazione del medesimo, al fine di realizzare un polo multifunzionale a livello nazionale e internazionale, tappa irrinunciabile nell’ambito del percorso culturale, artistico ed eno-gastronomico del nostro Appennino. L’intervento, di tipo conservativo, si è sviluppato in un costante ascolto di ciò che il luogo suggerisce, nel rispetto del significato che la Rocchetta rivestì all’epoca in cui venne edificata e della sua matrice storica e antropologica, in armonia con il paesaggio in cui si colloca. Sono stati portati a perfetto restauro circa i 2/3 del complesso, occorreranno tuttavia ancora alcuni anni di lavoro per restituire al castello una piena funzionalità, salvaguardando al contempo, attraverso un’opera sensibile e attenta, la ricchezza delle suggestioni che gli ambienti e i percorsi della Rocchetta offrono al visitatore. L’accesso alla Rocchetta Mattei è consentito per il momento e fino a nuove comunicazioni ai soli addetti ai lavori. Cenni geografici. La Rocchetta Mattei si trova nell’Appennino Tosco-Emiliano, a 45 chilometri da Bologna, sulla strada statale che collega il capoluogo emiliano a Porretta, appena superato il paese di Riola, nella frazione di Savignano, Comune di Grizzana Morandi. Sita su un rialzo roccioso, quasi un gigantesco piedistallo naturale, alla confluenza dei fiumi Limentra e Reno, essa domina le vallate di entrambi e guarda il pittoresco gruppo di Montovolo e Monvigese».
«Già dall'esterno si possono notare le differenti influenze architettoniche che rendono Rocchetta Mattei uno dei posti più interessanti d'Italia. Gli interni sono ancora più folli, visto che il creatore del castello fu l'eccentrico Cesare Mattei meglio conosciuto come il padre dell'elettromeopatia. Il castello di Rocchetta Mattei si trova a Grizzana Morandi (BO) e fu costruito per volere del conte Cesare Mattei sui resti di una vecchia fortezza dove si trasferì nel 1859. Lo studioso dedicò quasi tutta la vita allo studio dell'Elettromeopatia in questo castello che modificò molte volte nel corso degli anni rendendolo un labirinto di scale a chiocciola, mosaici, loggiate e stanze decorate. La fusione di differenti stili architettonici come il gotico-medievale e quello moresco rendono il castello un luogo davvero ipnotico. Ogni camera sembra creata appositamente per scopi specifici, come ad esempio la Sala dei 90 che Mattei fece costruire appositamente per ospitare un banchetto in occasione dei suoi 90 anni, che non festeggiò mai visto che morì all'età di 87 anni. Dopo la morte del conte il castello passò al figlio adottivo Mario Venturoli Matteino che vi abitò fino al 1956, quando a causa delle difficoltà di mantenimento lo vendette a prezzi stracciati alla famiglia Stefanelli che modificò la struttura creando pozzi e finte prigioni in stile medievale. Nel 1986 il castello venne definitivamente chiuso e abbandonato al suo degrado fino al 2005, quando fu venduto alla Fondazione Carisbo che ne ha curato il restauro. Bisognerà attendere l'ufficialità ma di certo c'è che dopo anni la Rocchetta sarà restituita al pubblico, con le sue cupole arabeggianti, le guglie e le scalinate alla Esher».
https://www.fondazionecarisbo.it/fondazionecarisbo/rocchettamattei.html - http://www.zingarate.com/italia/emilia-romagna/bologna...
«La costruzione di steccati, palancati e di cancelli per i nuovi borghi sorti attorno all’antico nucleo storico di origine romana fra cui la “Porta Pusterla” si deve al IX sec. La zona degli isolati entro le mura contigue a Porta Montanara e via Bixio venne inurbata da parte di comunità di Bergullesi (prima stanziati nella zona di porta Spuviglia dal 1187) e “Castelli Appenninici”; gli insediamenti si svilupparono lungo l’attuale via Bixio, via Saragozza e Via Garibaldi lato est con tipologie a schiera e area di pertinenza verso via Saffi e Rivalta; più vicino all’area della Cattedrale, la comunità dei “San Cassianesi” che seguirono il Conte Albertino di S. Cassiano trasferitosi in città nel 1187 che in particolare edificarono lungo l’attuale via Garibaldi lato ovest. Tra il 1334 e il 1335 le cinque porte della città passarono a quattro; tali Porte dovevano essere costruite in Muratura così come i baraccani e almeno qualche parte della cinta muraria, che aveva sostituito dal 1142 quella della città antica. Delle quattro porte rimaste dal 1335 la Pusterla era la più piccola, era coronata in alto su tre lati da quattro merli ghibellini per lato, compresi gli angolari e da muro continuo sul lato volto verso la città. Non è però chiaro se questo lato avesse in origine la muratura continua, così come appare oggi dopo i restauri. Il nome di porta Pusterla le deriva dalla posizione, nelle fortificazioni infatti la Pusterla era situata nel lato posteriore dell’ edificio e costituiva una uscita secondaria e di sicurezza; il nome di Montanara le deriva invece dalla strada che in uscita dalla città portava a sud verso i monti. Durante il 1400 con il governo di Taddeo Manfredi vennero costruite le cinta murarie, che fino al 1449 era fatta di steccato e palancato, da parte delle singole cappelle cittadine; successivamente provvide a rifare e ammodernare le singole porte che non erano in grado di resistere all’ attacco delle nuove artiglierie. Sotto la guida di massaro Bartolo Feraldi si costruì la parte di mura e di torrioni tra la demolita Porta Alesa (in testata all’ odierna via Mazzini) e Porta Pusterla e fino alla Rocca con appalto del 1459. In quegli anni dovette essere ricostruita anche la Porta Pusterla. che fu completata nel 1487. Nel 1500 sotto il governo di Cesare Borgia, nominato “Duca di Romagna” dal Papa ci furono opere di fortificazione suggerite da Leonardo da Vinci, sulla base del rilievo cartografico della città da parte del Maineri: egli indicò i contrafforti da costruire lungo le mura, marcò il tratto da rettificare tra la rocca e la Porta Montanara; inoltre provvide a redigere una pianta del reticolo viario, in cui indicò le misure di ogni strada e le aree libere. In questa fase verosimilmente viene leggermente modificata la morfologia di via Bixio per permettere una miglior mobilità delle truppe militari all’interno della città, in prossimità della porta. ...».
http://fabrica.ba.cnr.it/ita/index.php?id=progetto&id2=casi_di_studio&id3=porta_montanara&pag=02
redazionale
Medelana (Casamento o castello Mercatelli o villa Ada)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«L`edificio del Casamento venne costruito intorno al Quattrocento e costituiva un importante complesso della località di Medelana. Dalla sua struttura possiamo notare le finestre abbellite e decorate che conferiscono un particolare fascino alla costruzione. Attualmente è in ottimo stato ed aperto ai turisti» - «Il podere denominato “Possessione” include l’insediamento storico chiamato “Castello” il quale viene documentato sia dal Catasto Gregoriano del 1817 che dal Catasto Pontificio. Il complesso del “Castello” è costituito da quattro edifici disposti attorno ad uno spazio centrale adibito a corte agricola e da vaste superfici di terreni di varia natura: seminativo, bosco ceduo e castagneto. L’edificio più importante sia per dimensioni che per funzioni, il cui uso originariamente era residenziale, possiede l’aspetto di un piccolo castello articolato su vari piani: un seminterrato, tre piani fuori terra ed una piccola torretta. I restanti tre edifici delimitanti i tre lati della corte agricola interna possiedono le seguenti caratteristiche architettoniche e funzionali: il primo fabbricato nasceva ad uso esclusivamente rurale ed è composto da un piano terra ad uso stalla, da pollai e da un piano primo ad uso fienile; il secondo fabbricato era ad uso rurale promiscuo infatti è costituito dall’ abitazione rurale che si sviluppa su due piani da una parte e dall’altra dai servizi agricoli con ricovero e deposito attrezzi al piano terra e fienile al piano primo. Infine il terzo edificio anch’esso di tipo rurale promiscuo come il precedente nasce dall’aggregazione di due fabbricati: quello che si affaccia verso la corte interna era destinato ad abitazione per il custode e possedeva anche delle cantine, l’altro, infatti, che si affaccia verso Marzabotto, ha le caratteristiche di una piccola fabbrica ad uso rurale e possiede una piccola stalla, dei pollai, una legnaia ed un ampio fienile posto al piano primo. La Villa ed i suoi edifici annessi hanno subito, nell’arco del tempo, varie trasformazioni con modifiche considerevoli ed aggiunte ai volumi originari; esse sono documentate solo in parte e, risalenti a tempi abbastanza recenti, si hanno solo le planimetrie catastali per poter operare un confronto. ... All’inizio del XX secolo il podere fu acquistato dall’ing. Ivan Mercatelli il quale diede all’edificio la veste di castelletto postliberty, che costituisce l’immagine odierna, denominandolo Villa Ada. Come per Villa Ada, anche gli annessi agricoli limitrofi vengono rappresentati nella cartografia del Catasto Pontificio, sebbene con dimensioni inferiori rispetto a quelle dei fabbricati attuali. L’edificio con il fronte longitudinale parallelo alla strada comunale è successivo rispetto agli altri e lo si può datare probabilmente intorno al 1848 se ci si basa sul ritrovamento di una iscrizione posta sul pilastro di divisione tra l’abitazione e la porzione agricola. Si suppone che nel 1884 fu ristrutturato».
http://www.visititaly.it/info/957285-casamento-di-medelana-marzabotto.aspx -http://www.comune.marzabotto.bo.it/upload/marzabotto...
MEZZOLARA (palazzo Sforza, ospizio Volpino)
«Palazzo Sforza. La costruzione di questo palazzo fu iniziata nel ‘500 dalla famiglia del ramo bolognese degli Sforza che qui possedevano delle terre, ma non fu mai terminata. A giudicare dall’impianto di base del palazzo, si può immaginare quale sarebbe stata la grandiosità dell’edificio. A confermare la partecipazione degli Sforza alla vita della comunità mezzolarese resta il loro stemma che appare accanto a quello dei Fabbri nel paliotto del primo altare a sinistra, entrando, nella chiesa parrocchiale. Dei beni degli Sforza è rimasto il nome della strada comunale che va dalla via di Dugliolo alla via Schiassi . Contemporaneamente, la via Sforza si chiamò anche Via di S. Liberata , prendendo il nome dall’ Oratorio seicentesco dedicato a tale Santa, proprietà, nei sec. XVIII-XIX, dei bolognesi Bolognini-Amorini e situato al termine della strada. L’Oratorio, sconsacrato dopo il 1945 in cui aveva subito danni per i bombardamenti, fu in seguito adibito a civile abitazione. ... Il Volpino. Quasi di fronte alla Chiesa, oltre il piazzale, ci appare l’edificio che un tempo fu sede dell’Hospitale de Volpino o Hospitale Volpini, in piene funzioni a metà del Duecento. Gli hospitalia nel Medioevo non avevano la funzione degli ospedali moderni, ma davano ospitalità e ristoro a viandanti, pellegrini e malati. Sorgevano quasi sempre in prossimità di ponti e guadi di fiumi, dove il passaggio era obbligato e poteva essere difficoltoso per le condizioni delle acque. Erano amministrati da pie confraternite e da un rettore, in generale un religioso. L’ospizio mezzolarese portava il nome del territorio circostante e, mentre la Chiesa di S. Michele apparteneva alla giurisdizione di S. Martino in Argine, il Volpino è segnato sotto la Pieve di Budrio dal 1300. Nell’edificio attuale appaiono evidenti tracce quattrocentesche, come il loggiato con gli archi della parte superiore, in numero doppio rispetto a quello inferiore, motivo architettonico presente in alcuni edifici di Budrio risalenti allo stesso periodo. Oggi l'edificio è adibito a residenza privata».
http://www.prolocomezzolara.it/luoghi-di-interesse?id=25:palazzo-sforza&catid=3 - ...volpino&catid=3
«La Villa Rusconi appare in tutta la sua imponenza al centro del grande e bellissimo parco omonimo a lato della via Riccardina. Attualmente la Villa è di proprietà del Comune di Budrio che ha iniziato un importante lavoro di restauro che restituirà la villa a un nuovo utilizzo da parte della comunità. La struttura di base appartiene al tardo ‘400. Dopo molte modifiche operate attraverso i secoli, all’inizio del ’700 i documenti ce la restituiscono ampia e spaziosa, con una torre che la sovrasta e un arioso portico antistante l’ingresso. Nel 1813 la famiglia Rusconi acquistò la villa dai Marchesi Malvezzi e verso il 1840 fu aggiunto il coronamento di merli che alterarono l’aspetto originario. A quell’epoca risalgono anche le prime notizie su un piccolo Oratorio all’interno della proprietà. Si parla nei documenti di un antico Oratorio preesistente e restaurato dai Rusconi; quasi certamente si trattava del vecchio Oratorio della Beata Vergine della Rosa. Attualmente l'edificio è di proprietà del Comune di Budrio e, nonostante varie proposte susseguitesi negli ultimi anni, è attualmente inutilizzato, soprattutto a causa del fatto che richiederebbe ingenti risorse per il restauro interno».
http://www.prolocomezzolara.it/luoghi-di-interesse?id=26:villa-rusconi&catid=3
«La Rocca Isolani di Minerbio fu edificata all’inizio del Trecento e successivamente ricostruita nel Quattrocento a seguito di un incendio. Nel 1527 venne saccheggiata dai Lanzichenecchi imperiali sulla strada del Sacco di Roma e perciò rimaneggiata e ampliata con l’adiacente Villa negli anni immediatamente successivi su disegno del Vignola, proprio per ospitare nel 1530 l’imperatore Carlo V per la sua incoronazione a Bologna. Del 1536 è, sempre del Vignola, l’elegante Colombaia con il suo eccezionale piano inclinato in forma elicoidale. Altro grandissimo vanto della Rocca Isolani sono gli affreschi di Aspertini, realizzati fra il 1538 e il 1542, in tre ambienti della Rocca: la Sala di Marte, la Sala dell’Astronomia e la Sala di Ercole. Queste sale sono state aperte al pubblico per la prima volta nel 2008, in occasione della importante mostra dedicata a Bologna ad Amico Aspertini, di cui la visita alla Rocca di Minerbio ha costituito uno dei punti di eccellenza. ...» - «Nella sala di Marte le pareti sono scandite da erme a monocromo a cui corrispondono dei peducci con figure maschili e femminili. Al centro della volta è rappresentato il dio Marte. Questi affreschi dovevano probabilmente incorniciare scene, oggi purtroppo perdute. Nella sala dell'Astronomia le nicchie ospitano le figure delle Muse e delle Arti Liberali. Quattro telamoni sostengono un'illusionistica balconata dipinta sulla volta da cui si affacciano le figure a mezzo busto di Diana e Apollo. Nella sala di Ercole, nonostante il tempo abbia profondamente rovinato gli affreschi, sono riconoscibili ampie vedute di paese come sfondo alle imprese dell'eroe raccontate in primissimo piano. La colombaia. Costruita nel 1536, ed attribuita per le sue forme architettoniche e soprattutto per la bellissima scala lignea elicoidale interna al noto architetto Jacopo Barozzi detto il Vignola, subì gravi danni durante un terremoto nel 1591. I lavori di restauro sono quindi ricordati in una lapide. Di forma ottagonale, l'esterno è ritmato da tre ordini sovrapposti di lesene toscane che gli conferiscono un aspetto di estrema eleganza, insolita se si pensa che questo era essenzialmente una struttura produttiva, costruita per ospitare nelle cellette interne fino a tremila colombi. Oltre a costituire infatti una notevole fonte di cibo, ne veniva utilizzato anche lo sterco per concimare le campagne circostanti rendendole in questo modo decisamente più produttive. La villa del Triachini. Affiancato all'antica rocca, l'edificio fu costruito a metà del '500 dall'architetto bolognese Bartolomeo Triachini e assunse la denominazione di "Palazzo Nuovo". Il piano terra è carattezzato da una loggia passante, mentre i piani nobili erano raggiungibili in origine soltanto dalla scala esterna (quella interna risale all'800). La facciata nord presenta il motivo della loggia che diventerà ricorrente in tutte le ville bolognesi del '500. Ugualmente la facciata sud doveva presentare una loggia chiusa però nel '700 per sostituirla con un salone e chiudendo quindi le finestre corrispondenti al secondo piano».
http://www.isolani.it/it/la-rocca-introduzione-e-storia.html - http://www.comune.minerbio.bo.it/storia/pagina4.html
Molinella (palazzo delle "Biscie")
«Il Palazzo delle Biscie è un edificio storico di Molinella, in provincia di Bologna. Si tratta di un palazzo storico risalente al 1400 circa, con annessa torre di avvistamento. La sua prima funzione fu quella di avamposto militare dato che la torre sorvegliava la strada in direzione di Bologna. In seguito assunse la funzione di mulino ad acqua, sfruttando le acque del cosiddetto Canalazzo che derivava dall'Idice a Guarda e scorreva in direzione della palude di Marmorta. Più tardi diventò di proprietà dei Malvezzi Campeggi che ne fecero una casa di caccia, poi nel '700 passò alla proprietà di un certo "Busciene" da cui forse ne deriva il nome, storpiato dal dialetto locale. Ci sono leggende sul curioso nome "Biscie" (con la i dialettale aggiunta) una delle quali racconta che sulle pale dritte della ruota del mulino, un giorno di maggio si infranse un groviglio di bisce d'acqua in amore, "sparpagliandole in ogni dove". Il mulino diventò allora per tutti il Palazzo delle Biscie! Probabilmente subito dopo la Seconda Guerra accolse sei famiglie di sfollati e in seguito venne annesso ad un podere rurale e poi cadde in rovina. Nel 1998 fu acquistato e restaurato rigorosamente da Sergio Frascari che lo riportò all'antico stato architettonico».
https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_delle_Biscie
Molinella (torre di Santo Stefano)
«Le prime vaghe notizie risalgono al XII secolo, ma solamente in una nota del Ghirardacci del 1322 e poi in altre cronache locali troviamo il nome di Molinella, della torre e del castello di S. Stefano a proposito di lavori di rinforzo. Le cronache degli ultimi dieci anni del secolo XIII sulle lotte fra la Signoria estense e il Comune di Bologna citano i nomi di luoghi vicinissimi al nostro paese, come Castel Cavalli, Barattino, Riolo, Durazzo, ma mai quello di Molinella, il cui castello (e le strutture di agglomerato di famiglie) si devono essere affermati nel primo ventennio del secolo XIV. La curia o castello di Cavalli, che deve essere considerata il primo luogo abitato delle nostre zone, si trovava a circa cinque chilometri ad est di Molinella, mentre Durazzo e Riolo erano ancora più vicini: ora queste località sono scomparse lasciandoci scarse vestigia del loro passato. Molinella venne indicata per la prima volta come Torre di Santo Stefano della Molinella nel 1322. La Torre che sorge al centro della città non è la primitiva, costruita all'inizio del XIV secolo. Quella infatti fu rasa al suolo, assieme al castello adiacente di S. Stefano, nel 1390 dalle truppe di Gian Galeazzo Visconti. La Torre che oggi vediamo costruita sulle fondamenta della precedente fu terminata solamente verso il 1404. In quel secolo, è da ricordare la battaglia della Molinella (o della Riccardina) che fu combattuta il 25 luglio 1467, con esito incerto, fra le truppe della Repubblica di Venezia, coalizzate con gli Estensi e i fuoriusciti Fiorentini e comandate da Bartolomeo Colleoni e le truppe della "Lega italica" (Milano, Firenze, Napoli, Bologna) guidate da Federico di Montefeltro, duca di Urbino. Nel '500, Molinella divenne parte dello Stato della Chiesa, senza conoscere il fenomeno della partecipanza agraria, tipico della zona. ...».
http://www.comune.molinella.bo.it/3/15/vivere-a-molinella/cenni-storici
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il piccolo borgo di Mongiorgio appartiene al comune di Monte San Pietro, in provincia di Bologna. Lasciata la strada per Calderino, deviando a destra per la strada che porta nella valle del Samoggia ecco apparire la collinetta con il Castello di Mongiorgio. Castello risalente al X secolo, e nonostante i danni provocati dal lungo abbandono, è sicuramente una costruzione interessantissima. Al suo interno si trova anche la seicentesca chiesa di S. Sigismondo e S. Pietro. Si deve faticare un po' però per abbandonare l'inganno provocato dalla visione in lontananza di alcune costruzioni merlate di stile neogotico: sono edifici successivi che non hanno nulla a che vedere con il castello. Finalmente, scrutando oltre una folta vegetazione, si scorge la porta d'ingresso, sovrastata dalle feritoie che consentivano il sollevamento del ponte levatoio. Ridotta in macerie, dopo il crollo avvenuto nel 1976, la torre quadrangolare. Mongiorgio godette di particolare importanza tra il X e il XVI secolo e fu Comune nel XIII secolo» - «Lungo la strada che porta nella valle del Samoggia si trova il piccolo borgo di Mongiorgio con il castello risalente al X/XI secolo, che è tra le costruzioni civili più interessanti della zona. Purtroppo, numerosi sono stati i danni provocati dal lungo abbandono. All'interno del complesso si trova anche la seicentesca chiesa dei Santi Sigismondo e Pietro. Nel mezzo di una folta vegetazione, si nota la porta d'ingresso del castello sovrastata dalle feritoie che consentivano il sollevamento del ponte levatoio. La torre quadrangolare fu ridotta in macerie dopo il crollo avvenuto nel 1976. Mongiorgio godette di particolare importanza tra il X e il XVI secolo e fu Comune nel XIII secolo».
https://www.facebook.com/notes/il-nostro-sussidiario-illustrato-dellitalia... - http://collezioni.genusbononiae.it/products/dettaglio/16177
«Non molto è rimasto del castello di Monteveglio. L’antica rocca della Cucherla è totalmente scomparsa e del castello vero e proprio è rimasto il portale, sormontato dal cammino di ronda con merli a coda di rondine (cosiddetti ghibellini), oltre al grande torrione merlato che difendeva il portale. Delle altre torri, mura e costruzioni fortificate restano solo poche tracce. Sorte diversa, fortunatamente, ha avuto l'Abbazia, il più insigne monumento di Monteveglio, che con la chiesa è stata totalmente restaurata pochi decenni fa, e che è rimasta quasi intatta, ad eccezione di un chiostro. ...».
Ozzano dell'Emilia (torre di San Pietro)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«...Proseguendo ecco giungere al borgo, già castello preceduto dalla sua antica Torre, al centro del quale si evidenzia la chiesa parrocchiale e plebana di S. Pietro, col suo fabbricato annesso, già residenza comunale sul finire del '700 mentre, ancora prima della piazzetta, il vecchio fabbricato già scuola e bottega di alimentari con osteria, e dirimpetto, la fontana pubblica inaugurata agli inizi del '900. Il più antico documento rinvenuto sul “Castello di Ozzano” risale al 1099 e si ha la conferma che il luogo fosse molto attivo ed avere una nutrita comunità, oltre che ad una sviluppata economia. Anche l'assalto subito nel 1175, per opera delle truppe dell'imperatore Federico Barbarossa, fa ritenere che il Castello di “Uggiano” fosse tra i più strategicamente importanti della zona; e quindi da saccheggiare ed incendiare. Pare infatti che nella sua Torre si trovasse una guarnigione bolognese incaricata della sorveglianza territoriale e allo scopo di prevenire attacchi alla città di Bologna. Si dice inoltre che la Torre sia coeva a quella di Varignana e che con la medesima fosse comunicante, e che qui stanziasse il famoso cavaliere, miracolato dalla Beata Lucia, prima di partire per le Crociate . La torre è sempre stata utilizzata come torre campanaria: tanto per le segnalazioni religiose quanto per segnalazioni civili o calamità naturali. Segnalato come Stemma comunale nel 1851, venne ufficialmente adottato solo dal 1881. All'interno del castello si trovavano due chiese: una intitolata a S. Pietro, l'altra a S. Lorenzo. ...» - «Dell'antico castello, oggi rimane solo la Torre d'accesso (1175-76) recentemente ristrutturata. La Torre, di proprietà comunale, è sempre stata utilizzata come torre campanaria: tanto per segnalazioni religiose quanto per segnalazioni civili o calamità naturali. Segnalato nel 1851 come Stemma comunale, venne adottato ufficialmente solo dal 1881. Ai piedi della torre è stato realizzato con percorso didattico, il giardino archeologico, inaugurato il 16 giugno 2002».
http://ozzanoturismo.comune.ozzano.bo.it/it/node/210 - http://www.comune.ozzano.bo.it/internet/Vivere-la-citta...
«Bella struttura rinascimentale anche la caratteristica palazzina Malvezzi, sita nella zona chiamata Palesio, a pochi km dal centro di Castel San Pietro Terme verso Bologna. Si tratta di una dimora nobiliare eretta intorno alla seconda metà del XVI secolo, la cui presenza è ampiamente testimoniata dai famosi disegni del Danti realizzati nel 1578. Risulta essere una costruzione mai realmente portata a conclusione, prima di proprietà della casata Legnani per passare, in un secondo momento, alla casata dei Malvezzi, tuttora attuali proprietari. Collocata in una splendida zona collinare e affiancata dal torrente Quaderna, si ha notizia che il palazzo signorile era originariamente attorniato da un ampio parco e da lussureggianti giardini. Questo vasto parco era raggiungibile da quattro piccole strade di campagna che formavano un curioso incrocio proprio dinanzi alla villa Malvezzi, tratto tipicamente caratteristico dello stile in voga per i palazzi fuori città durante il Rinascimento. La Palazzina Malvezzi rispecchia perfettamente la tipologia delle case signorili tipiche del paesaggio bolognese qualificando il territorio con il suo nobile aspetto».
http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-bologna/cartina-monumenti-castel-san-pietro-terme...
PIEVE DI CENTO (casa degli Anziani)
«La "Casa degli Anziani" è uno degli edifici più antichi di Pieve: del 1272, dalle colonne in legno. Era una antica locanda, ricovero di pellegrini e posta di cavalli. La casa fronteggia la piazzetta del Pozzo delle Catene, uno degli scorci più caratteristici della città. La colonna, in marmo, è sormontata da un capitello corinzio, il cui originale, oggi conservato nella Pinacoteca Civica, risale ai secoli XI-XII; indicava forse il centro del cardine mediano di un territorio susseguente alla divisione romana in centurie».
http://www.sarata.it/pieve_di_cento.htm
«Ad est, in fondo a via Gramsci, appare la restaurata Porta Asìa (dal nome della vicina borgata Asilia), la più popolare delle quattro porte pievesi, ispiratrice di numerosi canti folkloristici. La sostituzione della struttura lignea con quella in muratura risale al 1342. Porta Asia non è una semplice struttura di difesa, ma consiste in due corpi distinti: un avancorpo con ponte levatoio e portella pedonale e un retrocorpo di difesa, un piccolo castelletto fortificato a cui le macchine offensive, le merlature, le strutture a sporgere conferivano un deciso aspetto guerresco. Purtroppo la caduta delle merlature, il deperimento delle strutture in legno, l'ottocentesca mimetizzazione con le case retrostanti ne hanno in parte modificato l'aspetto. Restaurata nel 1981, Porta Asia ospita oggi il Centro di documentazione sulla lavorazione della canapa. Vi sono conservate fotografie, documenti, attrezzi di lavoro, tutti donati dai cittadini, che testimoniano l'importanza della lavorazione della canapa nell'economia locale fino a pochi anni fa».
PIEVE DI CENTO (porta Bologna)
«A sud, alla fine di via Matteotti, Porta Bologna accoglie il visitatore che proviene da quella città. Originariamente in legno, fu ricostruita poi in mattoni verso la fine del XIV secolo, quando tutte le porte furono adeguate nei mezzi difensivi e nei criteri di costruzione alla Rocca, il che conferì a Pieve l'aspetto di un castello fortificato. Porta Bologna fu trasformata alla fine del '700 in abitazione; dopo vari interventi parziali, nel corso del 2004, con un forte intervento di recupero conservativo, Porta Bologna ha ritrovato l'antico splendore e andrà ora ad integrare le sale di esposizione museali, sia permanenti che temporanee».
http://www.sarata.it/pieve_di_cento.htm
«Almeno a partire dal XIII secolo, Pieve fu circondata da un fossato e da un terrapieno fortificato con palizzata, con quattro porte in legno ad uso di torri armate. Il fossato e il terrapieno furono smantellati alla fine del secolo scorso, mentre le porte, modificate nel corso del tempo, ancora oggi sorvegliano gli ingressi alla città. Ad ovest, in fondo a via Garibaldi, è visibile la settecentesca Porta Cento, la prima ad essere costruita in muratura (1337), in sostituzione della precedente struttura lignea. Andata purtroppo distrutta in gran parte in seguito ad un incendio, fu ricostruita nel Settecento nella forma attuale».
PIEVE DI CENTO (porta Ferrara)
«A nord, al termine di via G. B. Melloni (storico ed ecclesiastico pievese vissuto nel '700), si staglia Porta Ferrara, del 1342, di cui sono stati messi recentemente in luce i merli bentivoglieschi. Assieme al contiguo ex-macello, è oggi sede della Scuola di Liuteria e della Scuola di Artigianato Artistico pievese. A fianco della Scuola è presente la sezione espositiva del Museo Civico dedicata alla liuteria».
http://www.sarata.it/pieve_di_cento.htm
PRIMA E DOPO IL SISMA DEL MAGGIO-GIUGNO 2012
«Situata in prossimità di Porta Bologna, la Rocca venne costruita a seguito degli impegni reciproci intercorsi fra il Comune di Bologna e i pievesi dopo le contese del 1380. è esattamente in questo periodo che la rocca cambia connotazione e, da generica struttura fortificata, passa ad essere un complesso militare isolato con permanenza esclusiva di una guarnigione armata e non più legata a forma di isolamento di origine feudale. L'impianto fisico attribuito nel disegno complessivo ad Antonio di Vincenzo (lo stesso che progettò la cattedrale di S. Petronio a Bologna) è planimetricamente riconducibile alla figura semplice ed elementare del quadrato, a sua volta sottopartito in nove quadrati dove trovano posto gli elementi principali della fortezza: il mastio e le porte. La stessa ubicazione isolata sulla linea dei terragli e dei fossati, in condizione di completa difendibilità sia dalle offese esterne che da quelle che potevano venire dal contiguo abitato, ne fanno un esempio di grande interesse tra gli apparati fortificati di pianura, e ne sottolinea la complementarietà e al contempo l'estraneità e indipendenza della struttura fortificata rispetto all'agglomerato urbano. All'inizio degli anni '80 sono stati avviati per conto del comune di Pieve di Cento interventi di restauro all'intera rocca. Condotti nel rispetto dei criteri generali che da sempre l'hanno caratterizzata, non cancellando quindi quegli aspetti consolidati del "rudere". Si ha oggi un edificio sicuro e visitabile, nonché contenitore permanente del Museo Civico del paese».
Poggio Grande (villa-palazzo De Buoi, o palazzo Rodriguez)
«Il palazzo si trova in aperta campagna, nella frazione di Poggio Grande, a poche centinaia di metri dalla chiesa. Poggio Grande dista circa 4 km. da Castel San Pietro ed è raggiungibile percorrendo la provinciale San Carlo, oppure gli Stradelli Guelfi, seguendo poi le numerose indicazioni per la frazione. E' un palazzo del '500, a base quadrata, con 4 torri abbozzate negli angoli, come testimonianza del legame tipologico architettonico della dimora difensiva medievale. Al centro spiccano 2 torrette, di cui una campanaria e l'altra per l'orologio. In origine il palazzo era al centro di un vasto parco e giardini (modello rinascimentale), con vari edifici come il "gallinaro", la "fabbreria" e la "conserva" per gli alimenti. Era di proprietà della famiglia Dè Buoi. Il palazzo De Buoi oggi è conosciuto come palazzo "Rodriguez" o "palazzone"» - «Splendido esempio di villa rinascimentale, il palazzo De Buoi è situato nella prima periferia di Castel San Pietro, lungo la provinciale San Carlo, in località Poggio Grande. Eretta nel XVI secolo, la dimora nobiliare si presenta a pianta quadrata con quattro torrioni accennati posti agli angoli che richiamano la tipologia della roccaforte difensiva tipica del Medioevo. Nella parte centrale risaltano, invece, due piccoli torri: una è la torre campanaria, l’altra è destinata a contenere l’orologio. Come si può evincere dal nome, i proprietari della villa signorile era la casata dei De Buoi anche se attualmente il palazzo viene chiamato palazzo "Rodriguez" o "palazzone. Secondo i parametri del caratteristico prototipo rinascimentale, il palazzo era originariamente circondato da un ampio parco dove erano collocate varie costruzioni accessorie come il "gallinaro", la "fabbreria" e la "conserva" per gli alimenti. Palazzo De Buoi è denominato "Rodriguez", in quanto la figlia di Tommaso De Buoi, Marzia Eleonora, morendo a soli vent'anni, lasciò al marito Annibale Rodriguez-Laso la proprietà, insieme al cognome De Buoi».
http://www.comune.castelsanpietroterme.bo.it/14/43/citta-e-territorio... - http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti...
Ronchi (castello o villa dei Ronchi)
PRIMA E DOPO IL SISMA DEL MAGGIO-GIUGNO 2012
«Il “castello”, in realtà, comprende alcuni edifici del XVI secolo (sedicesimo secolo - 1500): il Palazzo Padronale, che rappresenta la parte più antica, le Torri, la chiesa di San Matteo, le stalle, i magazzini. Entrando nel complesso dei Ronchi, si passa attraverso un grande cancello di ferro battuto, sostenuto da due colonne sormontate da due leoni di pietra, simbolo della famiglia Caprara, proprietaria del castello fino al 1821. Il Castello dei Ronchi, anche se è così comunemente chiamato, non è un vero e proprio castello, perché i due massicci torrioni, che risalgono al 1700, furono pensati come elementi scenografici (spettacolari), e non come torri fortificate per la difesa. La parte più antica è il Palazzo Centrale, detto anche Palazzo Padronale, che risale alla seconda metà del XV secolo (quindicesimo secolo 1400); in un documento notarile del 1501 viene citato come “domus magna” (= grande casa). In origine l’edificio non aveva la torretta centrale, che fu aggiunta successivamente. è una costruzione di mattoni a “pietra a vista”, a due piani, il piano terra e il primo piano o piano nobile, con due file di finestre. In alcune finestre si può distinguere l’antica forma ad arco. Il Palazzo è collegato ai due torrioni da alcuni edifici, che probabilmente erano stalle e scuderie. Il Castello dei Ronchi era una grande residenza di campagna di proprietà dei conti Caprara, nobile famiglia bolognese, che aveva ai Ronchi grandi proprietà terriere. Alla fine del XVI secolo il palazzo subì grandi trasformazioni: venne innalzato, scomparvero le merlature, vennero aperte le attuali finestre e chiuse le precedenti e, soprattutto, vi fu aggiunto l’avancorpo centrale a forma di torre. Anche la parte interna fu trasformata per renderla adatta alle “vacanze” estive dei conti Caprara, con tutte le comodità del tempo. Nel periodo che va dal 1580 al 1620 le stanze del palazzo furono decorate con fregi ed affreschi. Nel 1702 fu iniziata la ricostruzione della chiesa di San Matteo ... Nel decennio 1770-1780 iniziò la costruzione dei torrioni, ma alla morte del conte Francesco il progetto venne ridimensionato: non si abbatté il palazzo e si costruirono le ali di una corte a portici e sul lato nord una corte chiusa con le scuderie. Nel 1815 il conte Francesco Caprara cedette la Villa dei Ronchi alla figlia Vittoria, che la vendette nel 1823. Nel 1985 l’Amministrazione Comunale di Crevalcore ha acquistato l’intero complesso; il palazzo centrale è adibito a Centro Culturale per iniziative e mostre. ...».
http://www.iccrevalcore.net/Progetto%20Crevalcore/la_villa_dei_ronchi.htm
RONCO (ruderi del Castellaccio)
«Nei dintorni di Sassoleone, vale a dire nella zona montuosa del Comune di Casalfiumanese, si trovano i resti di tre castelli. Si percorre la via Maddalena, strada intercomunale che inizia due km a monte di Fontanelice. Dopo aver oltrepassato il ponte sul Santerno e l'antica chiesa di Filetto, la strada comincia a salire tortuosa e poco dopo la località di Risaldino, ma prima di giungere alla chiesa della Maddalena, sul lato destro si erge un piccolo monte ai piedi del quale si trova una vecchia residenza di interesse architettonico (non visibile dalla strada asfaltata). Risalendo il piccolo monte adiacente si possono osservare i resti di antiche mura parzialmente ricoperte dalla vegetazione: è quello che rimane del Castellaccio di Ronco. Il Castellaccio di Ronco (Castrum Ronchi) venne costruito nel 1254 dagli imolesi e distrutto nel 1420 dalle truppe pontificie comandate da Braccio da Montone. Gli abitanti di questo luogo vennero in discordia con quelli del Castello di Codronco (Castrum Codronchi), costruito nel 1216. Gli abitanti del Ronco si allearono con il Comune guelfo di Bologna e quelli di Codronco con il Comune ghibellino di Imola. I bolognesi distrussero il castello di Codronco nel 1280 che venne però ricostruito dagli imolesi tre anni dopo e nuovamente occupato e fortificato dai bolognesi nel 1298. Infine, tornò in possesso della Chiesa imolese nel 1311 e vi restò fino al 1349. Fu poi soggetto a diverse signorie per poi passare definitivamente alla Santa Sede».
http://www.sitai.provincia.bologna.it/stai.380000122-0.html
SAN GIOVANNI IN PERSICETO (castello della Giovannina)
«Il castello denominato “(della) Giovannina” è situato sulla strada che da Persiceto conduce a Ferrara, in prossimità di Cento. È opinione popolare che il palazzo fortificato prenda il nome da Giovanni II Bentivoglio, che fu signore di Bologna dal 1462 al 1506 e le cui opere di bonifica della bassa bolognese diedero nuovo impulso a territori un tempo semipaludosi. Nel 1488 i Persicetani riconoscenti donarono al signore di Bologna una vasta tenuta comprendente ben otto possessioni e posta nel territorio di “Morafosca e Villa Gotica” (a nord-est dell’attuale frazione di San Matteo della Decima). Da allora in poi la tenuta, dal nome del benefattore, si chiamò “Zoanina” o “Giovannina”. Nel 1544 la “Giovannina” passò ai Pepoli che, undici anni dopo, la cedettero a loro volta al conte Ercole Aldrovandi (1526-1593). E proprio nel rogito notarile del 1555 si trova menzionato, per la prima volta, un edificio chiamato la “Palazzina”. Questa casa costituì probabilmente la struttura originaria sulla quale fu impostata la costruzione dell’attuale palazzo turrito. Sappiamo infatti che il conte Ercole, nel suo testamento del 1565, manifestò la volontà che fossero portati a compimento i lavori di una “fabbrica” da lui stesso iniziata alla “Giovannina”. Il definitivo completamento dall’edificio deve però essere avvenuto in più momenti e attraverso svariate ristrutturazioni. Nel 1780 la disagiata situazione finanziaria indusse la famiglia a cedere la tenuta al conte Carlo Caprara. Dopo diversi passaggi di proprietà, nel 1892 il palazzo fu acquistato dal facoltoso Alessandro Calari, esponente di primo piano della borghesia bolognese. Con tipico spirito imprenditoriale, egli avviò subito generali opere di risistemazione idraulica e di riassetto fondiario della tenuta, valorizzandola e rendendone più proficuo lo sfruttamento agricolo. Incaricò inoltre l’ingegnere bolognese Giuseppe Ceri (1839-1925) di effettuare una radicale ristrutturazione dell’edificio. Dopo la morte di Alessandro i lavori furono portati a termine con grande entusiasmo dal figlio Oreste, conferendo al palazzo il suo aspetto attuale (evidentemente ispirato ad un ideale e stereotipato modello “castellano”). Dal 6 maggio 1950 la Giovannina è tutelata dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici dell’Emilia Romagna e viene attualmente utilizzata come sede di aste d’arte o ricevimenti di matrimonio e di gala.
La costruzione ha pianta quadrilatera ed è munita di quattro poderosi torrioni angolari, sormontati da un coronamento di merli ghibellini. L’articolazione degli spazi è su due piani, attraversati, secondo l’uso bolognese, da una doppia loggia passante sovrapposta, ai lati della quale si aprono i vari ambienti. La facciata è movimentata da un abbozzo di torre passante in corrispondenza del portale d’ingresso. In seguito al restauro effettuato tra il 1897 e il 1902, i torrioni furono rialzati di 5 metri e l’intero edificio fu modificato secondo il gusto estetico del periodo, romantico e neomedievale. Di questo periodo sono gli affreschi in stile liberty che decorano le sale del pianterreno e i quattro ambienti ricavati nei torrioni angolari all'altezza del piano nobile. Nonostante i rimaneggiamenti, il palazzo mostra comunque ancora la tipica struttura cinquecentesca delle residenze fortificate di campagna. L’intero complesso doveva quindi risultare poderoso e ben munito, con la sua cinta di mura rinforzata da quattro baluardi e circondata da un fossato che poteva essere oltrepassato solo tramite un ponte levatoio. Nutrita appare inoltre, per l’epoca, la dotazione di armi da fuoco, a ulteriore dimostrazione di una preventivata possibile funzione anche militare dall’edificio, situato per di più proprio nella zona confinaria tra lo Stato della Chiesa (in cui era allora compreso il territorio bolognese) e il Ducato Estense. l palazzo è in parte circondato da un muro di cinta, alzato e munito, ad opera del Ceri, di finti bastioni alle estremità del lato sud. Lungo il lato opposto è inoltre affiancato dalla serra, dalle scuderie e da una massiccia torre merlata. Immediatamente dietro la villa si trova poi un ampio parco, mentre alla sinistra del palazzo sorge l’oratorio di San Donnino, grazioso edificio di pianta rettangolare con abside circolare, costruito per volere del conte Ercole Aldrovandi, sulla base delle sue disposizioni testamentarie del 1565. ...»
San Martino in Soverzano (castello dei Manzoli o di San Martino)
«In località Soverzano, vicino Minerbio sorge circondato da un rado boschetto il castello di San Martino, anche detto dei Manzoli. La struttura vide le sue origini nell’anno 1411 quando il cavaliere bolognese Bartolomeo Manzoli volle la costruzione dello stesso quale dimora aristocratica attorno all'antica torre degli Ariosti (che a sua volta, sorgeva al limitare della palude fin dal duecento). Il maniero, pur essendo nato come dimora aristocratica, è stato munito di difese di tipo militare, come mura, merli e fossati. Il castello presenta infatti pianta rettangolare con uno spazioso cortile interno; ai quattro angoli sorgono torri difensive e l’aspetto di difesa accentuato dal largo fossato che lo circonda, nonché dai ponti levatoi e dall'imponenza della torre maggiore. Ebbe la funzione di residenza signorile per breve tempo nel 1500 (dal 1514 al 1532) quando Leone X concesse a Marchione Manzoli la giurisdizione di San Martino con titolo di conte. Il Castello fu restaurato e decorato nel '500 e nel '600, ma gli interventi di restauro si ebbero nel 1883-85, quando era proprietà dei conti Cavazza, ad opera di Alfonso Rubbiani e Tito Azzolini che pur alterando alquanto le parti interne, mantennero un maggior rigore nel ripristino dell'esterno del castello che appare sostanzialmente immutato rispetto alla costruzione del 1500. Le cortine e le torri merlate che lo caratterizzano conferiscono un aspetto decisamente fiabesco al castello che è collocato in un parco secolare. A fianco del castello si teneva un' importante fiera annuale fin dal 1584, e per ospitarla al coperto venne costruito nel 1684 il lungo portico che fiancheggia la spianata che porta al castello e che costituisce con lo stesso e il borgo circostante un complesso architettonico di indubbio fascino. Nel corso degli ultimi anni è stata ripresa la tradizione della fiera che si tiene ogni anno il primo sabato e domenica di ottobre».
http://www.comune.minerbio.bo.it/storia/pagina5.html
SASSATELLO (ruderi del castello)
«“Castrum Saxadelli” oppure “Sassatelli” è citato nel 1060 a seguito di un assedio da parte dei Faentini, che fallirono la conquista. Occupato nel 1198 dai bolognesi, due anni dopo la rocca fu espugnata ai Guelfi da parte dei Ghibellini della Val di Senio, capeggiati da Alberto Caporella. Riporta questo evento il Ghirarducci: “L’anno di nostra salute MCC essendo Pretore di Bologna Rolando Rossi Parmigiano, Alberto Araldo Caporella Montanaro huomo facinoroso et di gran seguito occupò il castello di Sassatello; il perché giudicando i Consigli espediente di provedergli, tosto vi mandarono Rolando Pretore con alcune bande di soldati; ma Alberto vedendosi di gran lunga inferiore, et Rolando arrivargli sopra, tosto se ne fuggì in una spelonca (Grotta del Re Tiberio n.d.r.) fra quei monti vicini con tutti i suoi seguaci; mà seguitato dal Pretore e scoperto, col foco et col fumo lo cacciò fuori, et fattolo prigione, con tutta la sua compagnia, fece che Alberto, come capo, fosse per un piede appiccato ad un’albero, et postogli un grave sasso al collo et così miseramente morì. Venuto Sassatello nelle mani del Pretore, acciochè esso nello avvenire non fosse più ricetto dè seditosi, col fuoco lo distrusse”. ... In mano ai bolognesi, nel 1277 fu assediato dai ghibellini faentini anche in questo caso senza esito favorevole. Nel 1296 venne espugnato da Maghinardo Pagani. Il castello fu di Riccardo e Lamberto Sassatelli, nel 1371 dice l’Anglico: “castrum Saxadelli, ad cujus Custodiam moratur unus Castellanus…” . Nel 1414 Giovanni XXIII (antipapa) lo diede a Ludovico Alidosi di Imola. Nel 1435 venne preso da Guidantonio Manfredi, ma già nel 1437 ritornò agli imolesi. I ruderi del castello sono ancora visibili salendo su uno sperone di gesso sulla sinistra idrografica del fiume Senio presso Borgo Rivola. è visibile un tratto delle mura della rocca, anche le mura esterne della casa colonica sono quelle della cinta del castello».
http://www.venadelgesso.org/caseborghi/sassatello/sassatello.htm
SASSO MARCONI (palazzo de Rossi)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Bartolomeo de' Rossi scelse con molta cura il luogo dove avrebbe fatto sorgere la sua sontuosa dimora, ove dame, paggi e cavalieri avessero la possibilità di passare ore di piacere e di riposo, godendosi la deliziosa vita in campagna, lontani dagli affanni della guerra. La volle alle porte di Bologna, vicino al fiume Reno, circondata da una ricca tenuta agricola, nella valle sotto le ultime colline dell'Appennino ed il bel calanco, tante volte dipinto dai pittori bolognesi. Il Castello fu costruito su due livelli in modo da avere una parte più soleggiata ed una parte ombrosa e fresca, vicino al canale del Reno che garantiva l'acqua per tutte le necessità del Castello e del Borgo, che nacque lì vicino Il Castello ed il Borgo erano autonomi, avevano tutto quello che serviva: bellissimi raccolti, peschiere, scuderie, stalle, frutteti, mulini e segherie. Gli abitanti, curavano l'agricoltura e tutto ciò che era necessario alla sua conduzione. Le loro case-botteghe si affacciano ancora sulla piazza del Borgo dominata dalla dimora padronale e dalla Torre Colombaia. è difficile dimenticare il Castello così unito alla natura circostante con i caldi colori della pietra e del cotto, con le sue leggere volte a vela ed il suo grandioso e armonioso cortile d'onore. Le corti, le sale, i loggiati ariosi e le grandi finestre aperte sulla campagna circostante e sul meraviglioso giardino all'italiana asimmetrico, ci portano lontano nel tempo e ci offrono una stupenda scenografia di spazi ampi ed eleganti che si inseguono disegnando scorci suggestivi su questa atmosfera magica. L'elegante costruzione tardo-gotica fu terminata dai figli di Bartolomeo, Nestore e Mino, nel 1500. Personaggi famosi che vi hanno soggiornato a lungo: Giovanni II Bentivoglio e la sua famiglia furono ospiti di gran riguardo, poi nell'inverno 1506-1507 il pontefice Giulio II venne accolto con tutto il suo seguito tra suntuosi pranzi e festeggiamenti. Altre furono le visite papali: Leone X nell'inverno 1515-1516, Paolo III Farnese pontefice del Concilio di Trento, fu ospite nel 1543 del Conte Ludovico de' Rossi. Ludovico de' Rossi va ricordato per la gran cura con cui ripristinò il Castello nelle parti danneggiate o distrutte nel 1527 dal passaggio dai famosi Lanzichenecchi che anche qui devastarono, uccisero e saccheggiarono. Il figlio di Ludovico, il coltissimo Gian Galeazzo, fu grande amico e benefattore di Torquato Tasso e lo volle suo ospite nel 1586. Alla fine del Settecento Camillo Turrini de' Rossi eliminò l'antica Torre che era posizionata sul lato del Castello e cambiò il giardino che era adornato da rose, da piante di limoni ed aranci, trasformandolo in un giardino all'italiana come era di moda in quel periodo. Da Castello fortificato divenne il "Palazzo de' Rossi" tramandato agli eredi fino ai nostri giorni».
http://www.palazzoderossi.it/ilPalazzo.htm
SASSOLEONE (torre del "castello")
a c. di Renzo Bassetti
SCANELLO di LOIANO (palazzo Loup)
«Palazzo Loup, più anticamente Villa della Fratte, è un’antica dimora settecentesca che sorge in località Scanello, comune di Loiano a 30 Km da Bologna sulla statale della Futa. Le tracce del suo passato sono precedenti, essendo stato costruito sui ruderi del Castello di Scanello di origine medioevale, all’epoca in cui questi terreni erano di proprietà di Matilde di Canossa, successivamente donati all’arcivescovo di Pisa. Nella sua storia transitarono nobili famiglie come i Calderini, i Taruffi e i Massa che ebbero l’onore di ospitare, nel 1805, il papa Pio VII che, nel suo viaggio verso Roma, sostò presso la Villa per ristorarsi dal lungo viaggio che lo aveva condotto a Parigi per l’incoronazione a imperatore di Napoleone Bonaparte. Il nome Loup rimane a memoria dell’illustre proprietario Luigi Loup , nobile agronomo Svizzero, uomo di mentalità aperta ed innovatrice, acuto ed attivo nella vita politica del tempo, che seppe trasformare la tenuta di Scanello in un esempio di azienda agricola moderna e razionale. Sotto la sua “reggenza”, si celebra quello che gli storici riconoscono come il “Convegno Segreto di Scanello”, tenutosi nel 1859, volto all’unificazione doganale e monetaria dei vari regni e ducati che formavano la struttura politica del centro-nord italia alla vigilia della riunificazione del Regno sotto la sovranità di Vittorio Emanuele II. Vi presero parte i più importanti personaggi della scena politica del tempo: Marco Minghetti, Bettino Ricasoli, Luigi Carlo Farini, Leonetto Cipriani, Rodolfo Audinot. Luigi Loup, il proprietario dell’epoca del Palazzo che ha assunto il suo nome, mise a disposizione la sua residenza per il convegno con il quale si compì un passo importante verso l'unificazione nazionale, in virtù della breve distanza della residenza dal confine bolognese e fiorentino, ma anche per il forte rapporto di amicizia personale e di identità di vedute che lo legava ai più importanti personaggi bolognesi del Risorgimento. Quando ospitò il convegno aveva quarantotto anni ed era stato da pochi giorni inserito nella Commissione per la revisione del debito pubblico. Con quel convegno si compiva un passo importante verso l'unificazione nazionale, ma soprattutto venne decisa l’adozione della lira quale moneta unica italiana, che avrebbe avuto corso regolare fino al 1°marzo 2002. Una targa apposta da Luigi Loup al piano nobile della residenza testimonia lo storico incontro. ...».
http://www.palazzo-loup.it/ita/la-nostra-storia
TOSSIGNANO (ruderi del castello)
«L'origine del nome "Tossignano", secondo Florio, storico imolese, è da fare risalire ai toscani, quando, verso l'anno mille giunsero in Romagna, terra di conquista. Due ipotesi fanno invece risalire ad epoche precedenti la frequentazione di questo luogo. La prima fa riferimento alla sconfitta delle orde di Gianserico, re dei Vandali, da parte degli imolesi nel 458 (anche se, a quanto pare, questi non fu mai in Romagna). La seconda e più probabile ipotesi fa invece riferimento all'anno 872, quando era di proprietà della chiesa imolese, da questa venne distrutto nel 966 a seguito di una ribellione, poi dalla stessa riedificato. Nel 1005 era governato da Alberto di Tossignano, sotto la protezione dei fiorentini. Tra il 1062 ed il 1070 fu a lungo contesa tra i fiorentini e gli imolesi e da questi ultimi conquistato. Alla fine del XII secolo, dopo una ribellione degli abitanti fu ripreso dagli imolesi che permisero agli abitanti di costruire Borgo Tossignano nella sottostante vallata. Nella seconda metà del 1200 fu occupato dai Bolognesi poi da Pietro Pagano da Susinana che lo consegnò agli imolesi. Nel 1294 era di Maghinardo Pagani che, dopo un anno, dovette lasciarlo ai guelfi faentini. Nel 1296 Uguccione Sassatelli lo difese con successo contro Maghinardo Pagani. Nel corso del 1300 il castello passò continuamente di mano tra i bolognesi e gli imolesi. Nel 1408 fu espugnato dal cardinal Cossa. Nel 1412 passò a Ludovico Alidosi, a cui lo tolse, nel 1433, Guidantonio Manfredi. Due anni dopo, questi lo consegnò alla santa Sede, per poi passare al comune d Imola e, nel 1473, a Caterina Sforza, la quale provvedette ad un importante restauro. Nel 1499 fu conquistato da Cesare Borgia, poi passò ai veneziani che lo cedettero a Giulio II nel 1509. Nel 1527, Clemente VII lo diede all'imolese Ramazzotto de' Ramazzotti, il quale, nel 1537, dovè cederlo, dopo aspri scontri, al nuovo papa, che lo distrusse per sempre. Il castello era munito di fortissime mura con torrioni, mastio e casa di abitazione per il Castellano e i suoi difensori. ll Guicciardini considerava Tossignano, per la sua posizione e la sua Rocca, uno dei paesi più formidabili della regione, oggi non restano che pochi ruderi».
http://www.venadelgesso.org/caseborghi/tossignano/tossignano.htm
«Varignana, la frazione che sorge a circa una decina di chilometri da Castel San Pietro Terme, su di un colle che sovrasta la via Emilia, ha origini storiche forse precedenti allo stesso capoluogo. Da stampe e disegni pervenuti fino a noi, risulta evidente la presenza di una consistente cinta muraria lungo tutto il perimetro della frazione, sovrastate da una Rocca che aveva funzioni di difesa. Delle mura restano purtroppo pochissime testimonianze, mentre è ancora presente la rocca, di proprietà privata. La torre di Varignana si trova al centro della frazione e può essere visitata solo dall'esterno. Delle vecchie mura non restano che vaghe testimonianze ricoperte in parte dalla vegetazione» - «Ad una decina di chilometri dal Capoluogo e a solo tre dalla Via Emilia, si trova il borgo di Varignana, nel medioevo una vera e propria rocca fortificata, edificata ad una altezza di 188 metri slm. Le origini sono molto antiche, pare risalenti agli umbri. Di sicuro era già conosciuta nel I/II secolo. Meta dei pellegrini nel medioevo, perché posta sulla Flaminia minor, è ancora oggi meta di turismo per la chiesa di San Lorenzo con la notevole cripta dell’VIII/IX secolo composta da tre navate con sei colonne di marmo e capitelli. Al lato vi era un campanile costruito sul piede della torre diroccata nel 1925. La torre romana è ancora ben visibile ma non visitabile».
http://www.cspietro.it/index.php?q=infocraft/testo_libero/115 - https://www.prolococastelsanpietroterme.it/book/export/html/73
VERGATO (castello di Montecavalloro)
«Il castello di Montecavalloro non esiste più dal lontano trecento, ma sono ancora ben salde le mura del complesso di Costonzo, recentemente restaurato, e la vicina torre di Monzone, costruita come ricca residenza di un famoso medico medievale. Per raggiungere quel luogo suggestivo occorre seguire la Porrettana fin quasi a Riola dove un bivio porta in entrambi i borghi con una strada sterrata con la quale, volendo, si può raggiungere Castelnuovo passando davanti alla chiesa abbandonata di S. Giorgio di Montecavalloro. Nelle antiche mappe il luogo è indicato come "Monte cava l'oro": ma non è certo se si tratti di un gioco di parole o di reale antica presenza del prezioso metallo…».
http://www.bolognaplanet.it/artecultura.asp?ID=84
«Le mura del castello avevano un perimetro di 950 metri; terminavano da una parte con due baluardi e una torre, mentre agli angoli opposti erano due mezze torri. La vasta estensione perimetrale delle mura è testimonianza dell'importanza della roccaforte, all'interno della quale vi erano forse terreni coltivabili, che assicuravano grande autonomia in caso d'assedio nemico. Nel centro vi erano altre fortificazioni ed una grande torre. Questo grande e fortissimo castello dominava, dall'alto del colle ove oggi sorge la chiesa del paese, le vallate del Volgolo e del Samoggia. Nel 1377, l'ordine di demolizione del castello emesso dal Senato di Bologna, venne probabilmente eseguito solo parzialmente e una nuova area del colle di Zappolino venne destinata alla costruzione di nuove abitazioni (l'attuale località "Castello" che comprende Cà Ospizio, La Pozza ed Il Portone.) Il terremoto dell'aprile 1929 diede il colpo di grazia alle ultime stanche vestigia di quella che fu una delle più importanti roccaforti del territorio bolognese, causando il crollo dell'antico torrione pentagonale (visibile nel disegno di Vittorio Lenzi) e della chiesa. Oggi dell'antico castello restano solo alcuni tratti delle mura e gli archi d'ingresso (di fronte ai quali è ancora riconoscibile un vecchio sentiero detto "il Cavarolo"), nonché quella che è una delle costruzioni più antiche della zona: Cà dei Casini, che dietro ad una facciata del 1200 nasconde quella che forse fu una delle prime costruzioni di Zappolino, e sotto il cortile della quale sono stati trovati reperti antecedenti l'epoca romana; è quindi probabile che questa sia stata la prima costruzione, attorno alla quale si sviluppò il nucleo fortificato».
http://www.zappolino.it/castello.htm
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