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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI RIETI
in sintesi
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località in gran parte distrutta dai sismi dell'ottobre 2016
«La cinta muraria di Accumoli era il più poderoso monumento medievale della cittadina. Lunga 2.770 m, alta 8 e larga quasi 2, con quattro porte bastionate e forti torrioni di guardia, circondava tutto l'abitato, rendendolo quasi inespugnabile. Già quasi interamente diroccata ai tempi del Cappello (sec. XIX ), oggi ne restano solo alcuni tratti sotto la parte bassa del paese, con gli stipiti e gli archi di due porte (in direzione del Pescara o Porta S. Maria e di Libertino o di S. Nicola), cadenti e soffocati dalla vegetazione (urgente un intervento conservativo), e nella parte alta, nei pressi del palazzo Cappello, alcuni poderosi bastioni e le vestigia di altri. All'inizio di via Piave rimane una spalla di muro della porta a ponente o di S. Pietro; alla parte opposta, poco discosto dall'abitato, lungo tratto di mura con resti della porta a tramontana o di S. Leonardo (nei pressi della variante che scende verso la Salaria per Ascoli Piceno). Torre Civica. Manufatto del XII sec., il più antico di Accumoli e unico nel suo genere in tutta la valle del Tronto. Larga in pianta, quadrata e poco slanciata, reca sulla facciata principale lo stemma di un signorotto locale: barra traversa con un piccolo leoncino sovrastato da un leone pù grosso con gran cimiero. All'epoca del Cappello quel signorotto era identificato con Marco Benincasa, che avrebbe spadroneggiato per qualche anno in Accumoli nella seconda meta del sec. XIII. La torre e il simbolo del passato civile e guerriero di Accumoli».
http://www.comune.accumoli.ri.it/index.php?option=com_content&view=article&id=34&Itemid=153 - 35&Itemid=154
Accumoli (palazzi: Cappello, del Guasto, del Podestà, Marini)
località in gran parte distrutta dai sismi dell'ottobre 2016
«Il palazzo baronale, denominato in alcuni documenti d’archivio anche Palazzo inferiore, viene costruito nel secolo XIV dalla famiglia Mareri che in quel periodo domina su tutto il Cicolano. Nel 1532 l’edificio è venduto, insieme all’abitato, al cardinale Pompeo Colonna e nel 1662 a Maffeo Barberini. Attualmente ospita, nei piani superiori, le sedi della Biblioteca Comunale e della Pro-Loco e, in quelli inferiori, alcune attività commerciali. Su un portale del palazzo, nella via XX Settembre, è visibile lo stemma della famiglia Colonna».
«Innestato alla sinistra della Torre Civica si erge il Palazzo del podestà. È un organismo orizzontale, a conci di arenaria squadrati e lisci, scandito al piano terra da due arcate, tipiche dei palazzi pubblici medioevali. Oggi è sede di uffici comunali. Un altro monumento è il Palazzo del Guasto del XV secolo. Qui tra il 1427 e il 1433 predicò S. Bernardino come si evince dal monogramma su una delle sue finestre. Palazzo Marini. Grande struttura tardomanierista adattata al pendio della strada. Si caratterizza per un portale incorniciato da bugnato a punta di diamante e da colonne tortili con capitello ionico a zampe di elefante. D'ispirazione tardomanierista partenopea sono anche gli affreschi presenti nelle sale interne. Notevoli i soffitti a cassettoni e il monumentale camino. Al culmine dell'abitato nei pressi dell'antica rocca si erge Palazzo Cappello, un edificio del XV secolo a cinque piani. La struttura cinquecentesca ingloba una parte costruita o ricostruita in un periodo successivo riconoscibile dalla tecnica costruttiva. Infatti la parte originale è tutta in pietra a vista squadrata e con finestre monumentali mentre la parte aggiunta. L'edificio è stato usato come caserma dei Carabinieri a partire dal 1864 a 3 anni dalla costituzione dello stato Italiano e quindi probabilmente una delle prime caserme della nuova Italia. Ci sono 3 accessi all'edificio di cui due monumentali uno dal lato Est a livello delle cantine e che raggiunge il primo piano con uno scalone in arenaria da cui si può entrare nel palazzo a mezzo di una ampia scala elicoidale, che permette di scendere alle cantine di secondo livello o salire al piano nobile. Questa scala interamente costruita in loco con gradini in arenaria incastrati nel muro ed appoggiati al centro seguendo un'elicoidale, è una rarità architettonica, probabilmente unica e che da sola vale la pena di fare una visita al paese. Dall'entrata monumentale a Nord/ovest, riservata alle carrozze, si accede attraverso un ampio passaggio con volta piena a tutto sesto al cortile interno, caratterizzato da un loggiato su tre ordini con colonne in arenaria e capitelli corinzi nei primi due ordini, mentre il terzo,costruito in seguito, con più semplici capitelli dorici. Dal cortile si accede al loggiato a mezzo di una scala monumentale costruita anch'essa in un secondo periodo. Si racconta che l'ultimo piano, i cui interni sono rimasti grezzi fino al 1996, sia stato costruito con l'intento di toglier un'ora di sole al tramonto al sottostante Palazzo Marini».
http://www.silazio.com/scheda_itinerario.php... - http://it.wikipedia.org/wiki/Accumoli#Architetture_civili
Antrodoco (ruderi del castello di Piscignola)
«Il Castello di Piscignola un tempo apparteneva alla nobile famiglia aquilana dei de Nardis, e di fatto partecipò nel 1254 alla fondazione della città dell’Aquila. Situato nel territorio comunale di Antrodoco nel 1927 passò anch’esso alla provincia di Rieti, ma il legame abruzzese si rivendicava ancora negli ultimi anni. Il toponimo aveva subito nel tempo diverse variazioni: da Rocca Piscinale a Piscigna a Piscinola (diminutivo del termine latino piscina = vivaio di pesci) andava a cogliere il significato che un tempo ribadiva lo stemma lapideo del castello raffigurante dei pesci, apposto sull’architrave dell’ingresso e purtroppo trafugato nell’autunno del 1980. Un’antica sorgente ai piedi del castello alimentava stagionalmente il Ruscello Corno: una profonda erosione del suo fosso segnava l’abbondanza che un tempo avevano le sue acque, sicuramente ricche e pescose, ridotte ai nostri giorni soltanto a rivoli stagionali. Quelle poche mura rimaste in piedi erano in completo disfacimento, ormai la loro funzione protettiva era rivolta unicamente agli arbusti che vi crescevano all’interno. Si salvava soltanto una piccola volta a botte che fungeva da ricovero ad un gruppo di asini. I pascoli in quota animavano quell’interessante conca di natura carsica, i loro campanacci risuonavano nella vallata dando vitalità ad uno dei più bei pianori della zona. Di questo castrum abbiamo notizia nel Catalogus Baronum (siamo nell’anno 1167) dove si dice: Todinus de Colimento tenet […] Roccam Piscinalem (Catalogus Baronum, a cura di E. Jamison, in “Fonti per la Storia d’Italia”, Roma 1972, n. 1172). L’Antinori ci fa sapere che nel 1185 Gentile Vetulo aveva Rocca Piscinale in Valle d’Antrodoco” e che nel 1384 Piscignola risulta ancora abitata (A. L. Antinori, Corografia, ms. metà sec. XVIII, in Biblioteca Provinciale dell’Aquila, vol. XXXVII, p. 38). Ma successivamente da un diploma di re Ladislao del 1408 apprendiamo che a tale data il Castrum Piscignolae doveva considerarsi distrutto e abbandonato dagli abitanti (vedilo in A. Clementi, Momenti del medioevo abruzzese, Roma 1976, p. 106); tanto che nel 1488 Piscignola e Racino non formavano che un castello (Antinori, op. cit., vol. XXXVII, p. 40). (Il testo riportato in corsivo è una citazione tratta dalle Note Illustrative dei Sentieri Montani della Provincia dell’Aquila, 1996)».
http://naturagrezza.blogspot.it/2014/08/il-castello-di-piscignola-da-rocca-di.html
Antuni (borgo, ruderi del castello del Drago)
«Completamente abbandonato e quasi inaccessibile fino al 1990, l’antico borgo di Antuni sta riacquistando sempre maggior interesse grazie all’opera di restauro degli edifici più importanti quali il Palazzo del Drago e la corte bassa. Terminato il restauro nel dicembre del 1999, i lavori hanno avuto seguito grazie ai fondi del Giubileo 2000. Infatti, negli anni seguenti, iniziarono i lavori di recupero delle mura, poste nella parte destra dell’abitato, dell’antica mulattiera che conduceva al centro del borgo, della torretta, e di molti insediamenti abitativi. Oltre ai numerosi ruderi delle case che formavano il nucleo centrale di Antuni sul colle sorge anche l’antico Eremo di San Salvatore posto su una parete che guarda a picco sul lago. Così, durante la visita di questo paese scomparso, ci si può rendere benissimo conto di che posizione godeva e quanti colpi d’occhio offre tutt’ora sul vicino Lago del Turano. Lungo l’itinerario è possibile ancora vedere le mura delle abitazioni e ricostruirne mentalmente sia l’aspetto che la posizione. Risalendo la scalinata che conduce all’ingresso del borgo, sulla sinistra, si incontra una cappellata dedicata alla madonna e poco oltre una pietra recante la scritta “Quando il sole muore a ponente e il cielo si tinge di rosa sale leggera una Ave Maria e ferma un istante il corso affannoso della vita”. Questa pietra ci da il benvenuto alla Comunità Incontro di Don Gelmini che nel borgo antico di Antuni ha una delle sue sedi. La comunità è ospitata nel Palazzo (o castello) del Drago che con la sua mole è certamente il complesso più interessante da vedere. Completamente ristrutturato, si presenta per buona parte modificato, non solo nel suo aspetto ma anche nei suoi elementi architettonici e, come abbiamo già detto, per le finalità di utilizzo. Il Palazzo del Drago, a cui si accede passando sotto un archetto, era composto da un gran numero di sale, molte delle quali affrescate, da scalinate di pietra e contava in tutto ben 365 finestre. Tutta la struttura è visitabile solo esternamente e, nella facciata è rimasto nell’aspetto originale solo il portale d’ingresso. Facendo il periplo del palazzo, oltre a notare gli ambienti dove si svolgono le attività della Comunità Incontro, è possibile osservare anche gli antichi bastioni, rimasti nel loro aspetto primitivo e i contrafforti che si affacciano sul lago».
http://www.lazionascosto.it/antuni.html
Bocchignano (castrum di Bucciniano)
«Una graziosa frazione di Montopoli, l’antica Buccinianum, dalla pianta rotonda, sorge arroccata su un’alta rupe con le case serrate e in posizione altamente strategica sulla confluenza di tre torrenti. Le prime notizie documentate della sua esistenza risalgono al settembre dell'anno 939 (dal Chronicon Farfense di Gregorio da Catino), quando alcune parti del castello e e delle relative pertinenze vengono donate da Teodoranda, vedova del feudatario Ingelbald alla vicina Abbazia di Farfa. Dotato di tre cinta di mura il castello era ritenuto solidissimo e inattaccabile ma ben due volte nella storia fu costretto a disonorevole resa dopo un assedio che vinse gli abitanti la prima volta per sete e la seconda col fuoco... Così già nella seconda metà del XII secolo era diruto. Nel 1300 rivede una seconda vita ma ben presto una inutile guerra contro la vicina Fara Sabina la indebolisce e agli inizi del XV secolo ne approfittano gli Orsini saccheggiandola e danneggiando pesantemente mura, torri e palazzi. … La porta che si apre nella prima cinta muraria di Bocchignano (delle tre che proteggevano l’abitato) introduce alle strette vie del borgo e alla chiesa di S. Giovanni. In posizione strategica sulla cima di una collina alla confluenza di tre torrenti, l'antico castrum Buccinianum trae l'origine del toponimo secondo alcuni studiosi dalla buccina, antica tromba di guerra realizzata con un corno di vacca (da cui buccinianum). Un’altra ipotesi individua nel luogo in cui sorse il castello un tempio della dea Vacuna (da cui Vacunianum e per deformazione Bocchignano)».
http://www.tesoridellazio.it/pagina.php?area=I+tesori+del+Lazio&cat=Borghi&pag=Montopoli+in+Sabina+%28RI%29+-+Bocchignano...
Cantalupo in Sabina (palazzo Cesi-Camuccini)
«Il palazzo fu edificato per volere del cardinale Pierdonato Cesi, vescovo di Narni, sui resti della Rocca di S. Eustachio e dei Savelli, eretta a sua volta sui muri di un edificio romano ancora visibili nelle fondamenta del palazzo. Tra il 1570 e il 1697 infatti fu feudataria di Cantalupo la famiglia Cesi, che ottenne il territorio come dote di Paola Savelli a Marcantonio Cesi, nipote del cardinale Pierdonato, vescovo di Narni. Sarà però il nipote Paolo Emilio ad ultimare il Palazzo Baronale e ad iniziare anche la costruzione della chiesa di S. Biagio, su una preesistente chiesuola campestre. L'architetto, Giovan Domenico Bianchi, ripeté il disegno realizzato per il castello di Acquasparta ma invertendo l'ordine dei prospetti. La facciata del Palazzo di Acquasparta diviene quindi la parte postica del Palazzo di Cantalupo e le fornici del Portico e della Loggia posteriore nell'edificio umbro costituiscono la fFacciata del Palazzo Camuccini, che si presenta così come un portico cinquecentesco a due piani sovrapposti, portico e loggiato, con decorazione di pilastri dorici e ionici, che supportano l'attico. Il fabbricato è decorato da finestre sui tre piani, nella parte posteriore la struttura poggia sulle due grandi torri quadrate appartenenti all'antico castello feudale. L'interno è composto da vaste e bellissime sale per un totale di 38 stanze più cantina ed altre otto stanze sotterranee. Tra il 1862 e il 1870 venne allestito un museo che rimase aperto al pubblico fino al 1943. Purtroppo molte delle opere che lo rendevano il miglior museo della Sabina non ci sono più a causa di furti, alienazioni, occupazioni militari. Da un documento del 1935 il Museo, così come l'aveva voluto Giovanni Battista Camuccini, si presentava come segue: al piano terra 5 sale con pareti affrescate da Federico e Taddeo Zuccari (Diana che punisce Atteone mutandolo in Cervo, il Ratto d'Europa, Apollo e Dafne, Il cardinale Cesi che riceve omaggi dai fratelli Zuccari). Nella prima sala erano opere di Vincenzo Camuccini quali: La Morte di Virginia, il S. Orso, la Giuditta, la Pietà, il Padre Eterno. Nel mezzo della scala il Busto Marmoreo di Vincenzo Camuccini. Nella Quarta sala la Biblioteca e l'archivio Baronale di Cantalupo. Numerosi altri dipinti nelle stanze al piano terra. Al primo piano, nel loggiato, erano statue e bassorilievi di pregio. Degna di nota poi la sala d'armi, con circa 200 armi ad asta, alabarde, partigiane, coltelli da breccia, picche, lance, ronchetti ecc. e 8 armature. Vi erano conservate anche armi Turche, Cinesi, Persiane, del Caucaso, Indiane e molte altre. Era presente la camera da letto con mobili antichi tra cui uno scrigno ed una cassa del '500, su cui erano scolpite in altorilievo le fatiche di Ercole; altre tele raffiguranti dame del '500 e del '600. Stoviglie ed utensili di epoca romana, medaglie del sec. XV, frammenti di terracotte, busti, una raccolta di anelli d'oro e di bronzo; mobili antichi, due filatoi, un'antica portantina per dame. ...».
«Di rilevante importanza sono: la pieve di S. Lorenzo e quella di S. Leonardo di Cartore, menzionate nell'elenco delle pievi della Bolla Papale di Anastasio IV del 1153, ma nella Bolla papale di Lucio III del 1182 hanno uno status differente: vengono indicate come pieve di S. Lorenzo in Cartore e Monastero di S. Leonardo in Selva. Le due strutture si trovano in due luoghi diversi, il primo presso il villaggio di Cartore, il secondo sul monte che sovrasta il villaggio. La pieve esercitava la sua giurisdizione su un vasto territorio; essa comprendeva, infatti, le chiese degli attuali paesi di S. Anatolia e Spedino. Nella seconda metà del XVI secolo, S. Lorenzo era definito abbazia, infatti era retta da un abate. Per la costruzione di questa abbazia furono utilizzati materiali di reimpiego provenienti dal tempio romano che doveva trovarsi nei pressi del monastero stesso. Attualmente, del nucleo medievale, rimangono i resti della Chiesa di San Lorenzo, la torre difensiva di sezione 4,5 metri per 4,6 metri e mura perimetrali che in alcuni punti raggiungono i 7 metri di elevazione».
http://www.prolocoborgorose.it/Tutto%20Paesi/Tutto%20Cartore/Le%20chiese.htm
«Il piccolo comune di Casaprota si trova su un itinerario secondario della Salaria prereatina in un ondulato paesaggio di media collina. Secondo quanto riferisce Giulio Silvestrelli, il fundus Casìprote apparteneva alla potente Abbazia di Farfa, che era un po' la “padrona” di una grande quantità di territori e di beni della zona. Nel caso di Casaprota, il dominio si estendeva a tutto il territorio e, quindi, alla stessa struttura organizzativa, che finiva cosi per seguire tutte le vicende della “imperiale abbazia” e dei suoi abati, autentici principi nel loro regno monastico. Tanto è vero che il Chronicon Farfense, scritto da Gregorio da Catino, una preziosa fonte di notizie sul periodo di massimo splendore dell’abbazia, riferisce che l’abate Campone, che governò tra il 936 e il 966, assegnò il territorio casaprotano ai propri più vicini familiari, la moglie Liuze e i figli. Un nepotismo tipico dell’epoca medioevale. La situazione di dominio farfense venne meno con il declino della potenza dell’abbazia. A quei punto i casaprotani dovettero riorganizzarsi, anche per difendere il loro territorio. Nacque così un castrum, attraverso l’incastellamento che richiamò la gente del contado in un’unica aggregazione urbana e sotto un’unica autorità. Ma il venir meno di quella formidabile fonte di notizie che è la Cronaca di Farfa lascia solo immaginare il percorso che la storia del paese compì dal momento dell’incastellamento in poi: un percorso simile a quello di altre società vicine. La naturale evoluzione amministrativa e istituzionale del castrum fu la costituzione di un libero comune, e da libero comune Casaprota visse la sua esperienza nel Medioevo più ricco, prima del periodo delle signorie.
Questo passaggio avvenne alla fine del XIV-XV secolo, quando il paese divenne possesso feudale prima dei Soderini e subito dopo della famiglia romana degli Orsini. Questi ultimi vissero, nei due secoli successivi, rapporti familiari a volte piuttosto complessi, coinvolgendo anche il piccolo centro che, difatti, venne a trovarsi prima nelle mani degli Orsini di Mugnano (seconda metà del XV secolo), poi di quelli di Monterotondo (XVI secolo). Fino a quando, a causa della progressiva riduzione della popolazione (nel 1600 contava meno di 200 abitanti), e delle forti spese di manutenzione che il castello comportava, gli Orsini stessi rinunziarono al suo possesso nel 1641. In questo stesso periodo il castello venne acquistato dalla famiglia Gentili che lo tenne per alcuni decenni, prima di trasferirlo in nuove mani, e precisamente nella proprietà dei Vincenti: fu proprio un Vincenti, il conte Giacinto, che nel 1866 condusse i maggiori lavori di restauro sullo storico edificio. Il Castello. Fra gli edifici storici di Casaprota il Castello rappresenta senz’altro il monumento di maggior pregio. Collocato nella parte più elevata del piccolo colle, a proteggere e dominare l’abitato che si svolge lungo le pendici della piccola altura. Se il castello sia stato costruito o soltanto ampliato e ristrutturato dai Soderini, è cosa che non si sa con sicurezza ma che si può facilmente immaginare. Della originaria costruzione, tuttavia, resta soltanto la struttura di base. L’aspetto del palazzo è piuttosto semplice, una semplicità che gli conferisce anche un tono di rurale eleganza, sottolineata dalle sfinestrature realizzate nel XVI secolo. Alle spalle del castello si eleva una torre circolare trecentesca, che una cinta di beccatelli movimenta e ingentilisce. ...».
«Il centro storico di Casperia è uno straordinario esempio di architettura medievale: la struttura del paese è «a bulbo di cipolla», con strade a cerchi concentrici che via via si restringono, inerpicandosi sui versanti del colle sino a culminare in piazza S. Giovanni Battista ove si erge l’omonima chiesa parrocchiale. L’abitato è raccolto nelle mura del 1282 – definite da Giuseppe Filippucci Giustiniani "un vero capolavoro di architettura militare e di consumata arte difensiva del XIII secolo" – in cui si può accedere (esclusivamente a piedi) solo attraverso Porta Romana (ad ovest) e Porta S. Maria (a nord-est); quest’ultima è detta anche Porta Reatina o Porta Caprara, dove si può ammirare anche un orologio che segna l’ora canonica medievale. Talmente importante era per gli aspresi la cura delle mura di cinta, che negli statuti del 1397 era prevista la pena di morte per coloro che vi aprissero un varco sufficientemente grande per il passaggio di una persona. Della prima cinta muraria, risalente all’XI secolo, resta l’arco di via Garibaldi, denominato "Arco Vecchio" o "Arco di Mezzo". Amplissimo il panorama che da piazza Umberto I (comunemente chiamata dalla popolazione "piazza Macello") si apre sulla valle del Tevere dominata all’orizzonte dal Monte Soratte. Da un’estremità all’altra delle mura, a nord-ovest per via Rivellini, si giunge davanti a Caprignano con i colli umbri all’orizzonte; mentre a sud-est, per via Nardi Bruschi, ci si può sporgere dal torrione che domina il piazzale Oddo Valeriani e godere la vista del cuore dei Monti Sabini. Torrioni, camminamenti, rivellini, feritoie, casematte, percorsi obbligati sono i testimoni della storia e delle origini medievali di Aspra. L’abitato di Casperia è uno dei pochi paesi in Europa il cui centro storico è totalmente e naturalmente inaccessibile alle automobili. Percorrendo tutta via Orazio Massari si compie un semicerchio tra i due ingressi».
http://it.wikipedia.org/wiki/Casperia#Struttura_urbana
«Il palazzo, costruito alla fine del secolo XVI dalla famiglia asprese dei Bruschi (feudataria degli Orsini) si trova a ridosso della parte settentrionale della cinta muraria del secolo XIII inglobando anche uno dei cinque torrioni rimasti. Il palazzo conta oltre cinquanta stanze e una cappella in cui si celebravano anche due messe al giorno. Un omaggio alla potente famiglia guelfa degli Orsini è rappresentato dai due orsi in pietra che si trovano a lato del portale del palazzo. Nel 1781 il palazzo ospitò il cardinal Corsini durante la sua visita pastorale. Da allora la camera, arredata appositamente per l'illustre ospite, prese il nome di "Camera del cardinale". Durante la dominazione napoleonica i Bruschi restaurarono il palazzo secondo lo stile impero: colonne nell'ingresso, ricchi stucchi decorativi, galleria con volta e pareti dipinte, rinnovo dell'arredamento con mobili e consolles in stile impero, decorazioni alle pareti con papiers peints tipicamente francesi. Dopo il Congresso di Vienna le terre e il palazzo dei Bruschi furono confiscati dallo Stato Pontificio poiché Giuseppe Bruschi, sindaco di Aspra dal 1809, si era schierato con la Repubblica Romana e con Napoleone. Il palazzo e i beni furono acquistati dalla famiglia Petrocchi e passarono, dopo il 1870, alla famiglia Pompili-Maldura. Nel 1871 il nuovo proprietario del palazzo, Costante Maldura, acquistò una delle due pregevoli statue romane rinvenute a Paranzano. Alla fine del secolo XIX il palazzo e le proprietà passano da Costante Maldura alla figlia Elena, pittrice dilettante, i cui quadri floreali sono ancora presenti in alcune stanze del palazzo. Nel 1929 il palazzo passa, per eredità, alla famiglia Forani: nuova ristrutturazione interna e sistemazione del parco collinare in cui molte specie vegetali tipiche del clima mediterraneo sostituirono secolari ulivi. Viene anche costruita la strada carrozzabile per l'accesso al palazzo dal lato nord-ovest. Alla fine degli anni sessanta, Giuliana Forani ristruttura i magazzini situati tra il torrione e il palazzo trasformandoli nella sua residenza abituale, più comoda e semplice rispetto al palazzo. Nel 2003 segue una nuova ristrutturazione ad opera degli eredi di Giuliana Forani: i locali degli ex magazzini e il torrione vengono trasformati nelle unità abitative della casa vacanze».
http://it.wikipedia.org/wiki/Casperia#Palazzo_Forani
«Castel di Tora, tra Carsoli e Rieti, lungo la vallata del Turano, ora imponente borgo dominante l'omonimo lago, trae le sue origini agli inizi dell'anno Mille all'epoca del fenomeno degli "incastellamenti" ed è menzionato per la prima volta nei documenti farfensi del 1035 con il nome di "Castrum Vetus de Ophiano" (Chronicon Farfense). Per secoli è stato chiamato "Castelvecchio" (aggettivo castelvecchiese) nome mutato dopo l'unità d'Italia nel 1864 in quello di Castel di Tora, a ricordo di un antico pagus sabino romano detto Thora Thiora. L'Abbazia di Farfa possedette il territorio di Castel di Tora che lo ebbe in dono dai Rusticelli-Guidonisci, signori longobardi di Tora nel 1092, insieme al monte Antuni, l'antico "Castrum Antoni", prospiciente roccaforte. La strategica posizione dei due castelli, opportunamente integrata da torri di avvistamento, è un chiaro segno della loro funzione difensiva all'epoca dell'invasione saracena del IX e X secolo. Successivamente la proprietà fu dei Buzi-Brancaleoni e quindi dei Mareri, ai quali fu confiscata nel 1241 da Federico II di Svevia alla cui morte nel 1250 ritornò ai Mareri. Corradino di Svevia, ultimo degli Hohenstaufen, vi si rifugiò dopo la sconfitta dei Piani Palentini (località situata tra Cappelle dei Marsi, Cese e Scurcola Marsicana), il 23.08.1268, prima di proseguire verso Vicovaro, nel disperato quanto vano tentativo di sottrarsi alla cattura da parte delle truppe angioine. La proprietà rimase ai Mareri, in quanto la confisca di Carlo I d'Angiò dei feudi dei Mareri nel Regno non colpì Castel di Tora ed Antuni situati nella Massa Torana del Patrimonium Sancti Petri. Nel 1440 il feudo di Castelvecchio passò agli Orsini e dal 1558 al 1570 agli Estouteville. Da tale data Castel di Tora ritornò agli Orsini sino al 1634 per poi passare ai Borghese (signori di Castelvecchio). In seguito alla rivoluzione francese si verificò l'abolizione dei feudi. Il borgo di Antuni, invece, fu dei Brancaleoni fino al 1583, quindi dei Cesarini e poi dei Mattei sino al 1676. Di quest'epoca resta la testimonianza di un dipinto (1601) del pittore fiammingo Paul Bril, dall'aspro paesaggio con due castelli a guardia della gola formata dal Turano. La proprietà passò quindi ai Lante della Rovere sino al 1729, poi ai Gentili e nel 1800 ai Principi del Drago. Il borgo fu bombardato nel 1944 dagli aerei americani e nel 1950 completamente abbandonato dagli abitanti, di patronimico per lo più Franchi e Federici in chiara memoria del caposaldo imperiale. Dopo oltre 40 anni di abbandono ed incuria il borgo di Antuni era ridotto ad un cumulo di rovine ed ormai morto, quando nel 1992 il palazzo del Drago fu acquistato dal Comune di Castel di Tora per impiantarvi un centro di recupero per tossicodipendenti. Dal 1990 sul Monte è insediata la Comunità Incontro di don Pierino Germini e dal 1996 è stata iniziata e portata a termine, negli anni 2000-2002, l'opera di restauro e recupero del Castello del Drago...».
http://www.comune.castelditora.ri.it/territorio/cenni_storici/cenni_storici.htm
Castel San Pietro Sabino (castello Bonaccorsi)
«Le origini storiche del castello di castel San Pietro in Sabina, nei pressi di Poggio Mirteto, risalgono con probabilità a prima dell’Anno Mille nei documenti datati al 988 del Chronicon Farfense della vicina abbazia di imperiale di Farfa. Incerte sono invece le notizie relative alla struttura architettonica. Documenti più recenti citano la potente famiglia Farnese e successivamente i vari infeudamenti dalla Camera Apostolica a Principi ed Abati delle famiglie Orsini, Mattei ed infine al conte Flavio Bonaccorsi. L’area prescelta per la costruzione del castello è nella parte sommitale del piccolo borgo, attualmente con la facciata principale aperta sulla piazza del paese. Scavi archeologici hanno dimostrato che la costruizone poggia le fondamenta sui resti di un’antica villa romana, della quale è ancora funzionante una terma. Nel suo aspetto attuale è difficile riuscire a stabilire le fasi costruttive medievali del castello a causa del completo rifacimento in veste più palazziale e gentile piuttosto che militare occorso tra Sei e Settecento ad opera dei Bonaccorsi. Sono infatti sparite tutte le prerogative di difesa militare, in favore di una più elegante architettura disposta attorno ad un piccolo cortile interno. Degne di nota sono alcune delle sale interne dei tre piani del castello, decorate con soffitti lignei a cassettoni e da affreschi alle pareti eseguiti nel corso del XVIII sec. e raffiguranti scene di marine, paesaggi rupestri ed una veduta raffigurante il castello prima della ristrutturazione».
http://www.castellidelazio.com/castellodipoggiomirteto.htm
Castel Sant'Angelo (borgo fortificato, porte)
«...Ilpaese domina tutta la vallata circostante del Velino. In questa splendida valle, rigogliosa e dalla natura incontaminata, sorgono numerosi siti archeologici, incastonati tra prati e boschi millenari. Il territorio comunale, in gran parte montuoso, è attraversato per intero, in senso longitudinale con andamento nord-est/sud-ovest, dal sistema vallivo del fiume Velino lungo il quale si snoda il percorso della S.S. Salaria. Vista la predominanza calcarea il carsismo risulta ben sviluppato. Nella zona sono infatti presenti fenomeni di carsismo epigeo con doline e inghiottitoi. Al centro di Castel S. Angelo, comune che racchiude 14 frazioni (Canetra, Castel Sant’Angelo, Cotilia Terme, Mozza, Pagliara, Paterno, Pie di Castello, Piedimozza, Ponte Alto, Ponte Basso, Ponte Santa Margherita, Vasche, Ville, Ville Ornaro), si erge imponente la vecchia Torre di epoca medievale. Il paese di Castel S. Angelo conserva ancora del suo passato, la torre dell’antico castello, resti delle mura merlate e la struttura tipica e suggestiva dei borghi medioevali. L’antico insediamento fortificato di Castel Sant’Angelo si trova poco lontano dal lago di Paterno ed è ancora parzialmente cinto da splendide mura. Al paese si accede da una porta con arco a sesto acuto. Percorrendo un corridoio coperto ci si inoltra tra le strette vie del borgo e, seguendo la via principale, si giunge nella parte più alta del colle dove si trovano i resti del cassero con l’alta torre di avvistamento detta “torre quadrata”.
L’origine dell’abitato di Castel Sant’Angelo risale all’alto medioevo ma non è accertabile sulla base di documenti. Gli edifici e le strade conservano una fisionomia rude e suggestiva rimasta quasi intatta. I suoi abitanti sostennero numerose lotte soprattutto nella guerra accesasi tra Re Ferrante d’Aragona da un lato e i Baroni ribelli dall’altro, spalleggiati da papa Innocenzo VIII, dall’Aquila e da molte altre terre della Valle del Velino e del Cicolano. Gli abitanti di Castel Sant’Angelo per non venir meno alla fede promessa al re, mossero al contrattacco aiutati dalle genti di Cittaducale, Cantalice e dello stesso re. Numerosi storici tramandano della permanenza della famiglia Mareri nel castello, dove raggiunse l’apice del suo splendore nel 1530. Quando l’imperatore Carlo V assegnò in dote alla figlia Margarita d’Austria alcune terre d’Abruzzo, la stessa sorte subì Castel Sant’Angelo e le ville vicine. Madama d’Austria fece costruire molini da grano, da concia e introdusse l’industria della carta. Dopo la morte di Madama d’Austria nel 1586, Castel Sant’Angelo seguì le sorti di Cittaducale per molti anni. Circa un secolo più tardi Castel Sant’Angelo venne a contatto con la nuova realtà repubblicana che stava emergendo nei confinanti territori dello Stato Pontificio, già occupati militarmente dalle truppe della Repubblica Francese. Il secolo fu segnato da alterne vicende politiche di resistenza. ...».
http://www.comune.castelsantangelo.ri.it/?page_id=221
Castel Sant'Angelo (torre del castello)
«La Torre e le Mura medioevali. L’antica Torre è il simbolo del paese. Imponente si erge sopra la frazione di Castel S. Angelo e domina l’intera valle del Velino. È quanto rimane dell’antico castello dal quale si poteva controllare tutta la zona. Dall’alto della torre venivano effettuati gli avvistamenti per prevenire qualsiasi tipo di attacco da parte di bande. Alla Torre si arriva percorrendo un caratteristico sentiero all’interno del paese tra vicoletti e archi in pietra. Il Castello. Il castello, che dominava la Via Salaria, ospitò per un breve periodo Beatrice Cenci (proveniente dal suo castello di Petrella Salto). Beatrice Cenci è legata a truci vicende medievali. Il maniero, posto in una zona elevata sulla sinistra della via Salaria (procedendo in direzione L’Aquila), era inespugnabile. Era circondato infatti da mura merlate e torrioni. Oggi resta una sola torre e di un’altra si può ammirare solo la base. Altri elementi architettonici che si notano testimoniano che quel castello era pronto alla difesa e all’attacco. Dall’alto delle torri del castello o dai rilievi si poteva comunicare nei tempi bui, con Cittaducale e Antrodoco. Nel tempo, a ridosso del castello vennero costruite alcune abitazioni, più tardi circondate da un’altra cinta difensiva. I caratteri medievali di questo caratteristico e affascinante borgo fortificato sono rimasti quasi inalterati».
http://www.comune.castelsantangelo.ri.it/?page_id=225
Castelmenardo (borgo medievale)
«Castelmenardo, situato sulle cime del monte San Mauro, è senza dubbio il paese che meglio conserva l’originario impianto medievale. Edificato dopo le incursioni saracene del X secolo, è stato strutturato con le case addossate le une alle altre, disposte a schiera per formare una barriera difensiva su tre lati. Del castello-fortino eretto nel X secolo dal Conte Mainardo, esponente della nobile famiglia dei Marsi, dal quale prese il nome il borgo di Castelmenardo, resta solo un torrione. Il paese dominato dalla chiesa di Santa Croce, risalente al secolo XVI, è un labirinto di viuzze, archetti, logge e portali decorati che conservano intatto il fascino proprio dei luoghi della memoria. Nei pressi del nucleo abitato sono visibili i resti della chiesa rurale di Santa Marta in Colle, edificata nel XII secolo, mentre più distante, immersa nei boschi del monte San Mauro, sorge la chiesa di San Mauro. Di quest’ultimo complesso religioso si ha una citazione in alcuni documenti del 1134, ma la sua antichità è dimostrata anche da quattro iscrizioni poste sulla facciata a capanna della piccola chiesa; alla semplicità delle pareti esterne in pietra locale corrisponde la sobrietà di un interno, abbellito da un unico dipinto posto sull’altare e raffigurante San Mauro. Nascosto tra la densa vegetazione dei monti che circondano Castelmenardo sta l’eremo di San Nicola di Fano, monte posto al centro della valle Cicolana, tra due catene montuose tra le più significative dell’intero Appennino, per la sua conformazione è stato da sempre considerato il Monte Sacro dagli abitanti dell’interna valle Cicolana ed il nome stesso, Fano, è significativo di ciò. Scendendo dal borgo medioevale, lungo il torrente Apa, si incontra Ponte Ospedale, nei pressi del quale vi è un vecchio mulino e dove sono visibili i resti del vecchio ponte di epoca romana. L’origine antichissima di Castelmenardo non trova riscontri in nessuna delle fonti classiche, ma sono documentate dall’esistenza dell’abitato nel VII secolo a.c., costruito in muratura e persino con l’ausilio di coppi per i tetti dove la posizione dell’abitato, difeso naturalmente su 3 lati, possiamo considerarlo ancora oggi un tipico abitato degli Equicoli autoctoni del territorio. Il paese medioevale trova la sua ubicazione com’era prima del terremoto di Avezzano, 1915, ma le diverse mura e torri sono difficilmente rintracciabili. L’ingresso principale al castello, nella direzione del torrente Apa, era a Porta di sotto, costituita da una fuga di quattro agilissimi archi. Al centro del borgo si ammira un’altra fuga d’archi, più bassi dei precedenti, ma spesso, le attuali costruzioni sorgono su archi dell’età di mezzo per cui Castelmenardo resta, nella sua configurazione, il più medioevale del territorio. Ad est del paese, a circa 20 metri dalla chiesa di S. Maria del Colle, si trova il fortino, costruito nel X secolo, chiamato " Aia dei Saraceni ", che rappresenta un rialzo di circa 100 metri con sopra una costruzione scoscesa, a forma circolare, di otto metri di diametro, ubicato in posizione ideale per l’avvistamento. Nel territorio di Castelmenardo si trova l’ospedale di San Giovanni, il quale era centro di ricovero per i poveri, i pellegrini e di malati, risalente al X secolo, periodo in cui il Cicolano divenne colonia dei benedettini. Il termine Ospedale è rimasto in riferimento al ponte sulla strada provinciale che attraversa l’Apa».
http://www.isaporidelborgoantico.it/storia.php
Cittaducale (borgo medievale, torre angioina)
«Alle pendici meridionali del Terminillo, Cittaducale domina dal verde colle di Cerreto Piano la media valle del Velino. Fa parte di un gruppo di centri che gli Angioini fondarono tra il XIII e il XIV secolo per consolidare i confini settentrionali del Regno di Napoli. Come sappiamo dal Regio Diploma del 1308 fu Carlo II d’Angiò a volere la sua fondazione e a sceglierne il nome in onore del figlio Roberto, duca di Calabria. Un anno dopo, il re Roberto, nel frattempo succeduto al padre, sceglieva per la nuova città la pianta del “castrum” romano, fondata sull’incrocio di due strade perpendicolari che, intersecandosi, formavano la piazza principale. Cittaducale fu così divisa in quattro zone, al popolamento e alla costruzione delle quali concorsero altrettanti gruppi di famiglie provenienti da ville e castelli del contado. La città fu cinta di mura e accanto all’ingresso principale, l’odierna Porta Napoli, fu eretta la Torre Angioina o Cassero di S. Magno, dalla singolare pianta semicircolare all’esterno e rettangolare all’interno. Agli inizi del XVI secolo Cittaducale divenne sede vescovile emancipandosi dalla Diocesi di Rieti e ricevette il titolo di città. Non molto più tardi nel 1539 fu ceduta in feudo dall’imperatore Carlo V alla figlia Margherita d’Austria per le sue nozze con il duca Ottavio Farnese. La città andò così a formare insieme a Leonessa e altri possedimenti i cosiddetti Stati Farnesiani d’Abruzzo. Tra il 1569 e il 1572 Margherita fissò la sua residenza proprio a Cittaducale che divenne la capitale dei suoi domini e conobbe il momento più alto della sua storia. Nel 1735, ormai estintosi il casato dei Farnese, Cittaducale tornò al Regno di Napoli, del quale fece parte fino all’Unità d’Italia. Al di là dell’originario impianto urbanistico, Cittaducale non conserva molto del borgo medievale a causa dei numerosi terremoti e rimaneggiamenti che hanno profondamente trasformato il volto della città. Tutte le chiese sono state ricostruite in stile barocco dopo il violento sisma del 1703. Tra le poche testimonianze superstiti ci sono le Mura, recentemente restaurate dalla V Comunità Montana. Altre vestigia isolate sono le finestre a bifora che scopriamo qua e là passeggiando per le vie del paese. In Piazza del Popolo si trovano i principali monumenti, a cominciare dal Palazzo della Comunità con la Torre Civica che, restaurato dal Vignola, accolse Margherita d’Austria. Durante la breve ma luminosa parentesi nei saloni del palazzo si rappresentarono commedie, si svolsero balli e feste mascherate. I numerosi interventi subiti dall’edificio hanno pressoché cancellato la sua struttura originaria, anche la torre è stata oggetto di non poche modificazioni. ...» - «La Torre Angioina con Porta Napoli, denominata anche Cassero di San Manno, è una delle torri difensive ancora ben conservate di Cittaducale, posta in particolare a guardia dell’accesso principale della città, facilmente raggiungibile dal Palazzo della Comunità. Infatti la cittadina conserva ancora intatto il suo carattere urbanistico del tardo medioevo, con la pianta ellittica che venne modellata ricalcando l’antico Castrum romano con le due strade perpendicolari che, incrociate ad angolo retto, formarono la piazza centrale attorno alla quale sorsero i principali edifici pubblici».
http://www.5cm.rieti.it/index.php?option=com_content&view... - http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=95423
redazionale
Collalto Sabino (castello Sederini)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il castello Sederini di Collalto Sabino si trova in una delle posizioni più elevate della Sabina e del Lazio. Ha origini antichissime, derivanti dalla necessità delle popolazioni alto medievali di quest’area della Sabina di trovare rifugio in posizione sicura dalle continue incursioni saracene del IX secolo. Fu così che dopo il Mille attorno le prime ed incerte strutture di difesa si sviluppo l’abitato cinto di mura e torri ed arroccato attorno al castello. In questa epoca, testimoniata da documenti, è accertata la proprietà del castello da parte dell’onnipresente abbazia di Farfa. Passato a Carlo II d’Angiò fu da questi ceduto per vicende politiche e giurisdizionali alla chiesa. Il castello infatti si trova proprio ai confini dello Stato della Chiesa e l’Abruzzo, che dopo vicende belliche del Duecento entrava a far parte dell’orbita Angioina e del Regno di Napoli. A lungo fu di proprietà dei Savelli che nel XVI secolo lo vendettero agli Strozzi e poi ai Soderini. Questo lo cedettero alla metà del XVII secolo a Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII. Nel corso dell’Ottocento fu acquistato dal conte Corvin-Prendowski e negli Anni Venti ai Giorgi-Monfort. La struttura architettonica originaria del castello risale al XII-XIII secolo e, nonostante le ininterrotte trasformazioni occorse nei secoli seguenti, è ancora abbastanza identificabile. La planimetria segue una forma a V ed è formata da due diversi corpi di fabbrica separati e diversi nella loro architettura. Uno orientato a sud-est con il portale d’ingresso recante lo stemma Barberini con ponte levatoio tra due possenti torrioni quadrangolari con merlature. L’altro più massiccio e semplice, con alte mura munite di feritoie e con bastioni circolari collegati con camminamenti sommitali di ronda. All’interno delle mura esterne, oltre il ponte levatoio si imposta il cortile, delimitato su tre lati dal corpo di fabbricati abitativi e sovrastato a nord dall'imponente mole della fortezza. Nell’ala orientale della bella corte si trova il vecchio corpo di guardia della milizia a presidio del castello mentre nell’ala occidentale si trovano le antiche cantine, granai e rimesse. Dalla corte infine partono due rampe recanti epigrafi dei Barberini, dei Corvin-Prendowski e dei Giorgi-Monfort che conducono al castello vero e proprio. Dalla sala d’ingresso che reca un grande camino con lo stemma Barberini si giunge al Salone d’Onore ornato con un camino con simbolo dei Soderini e dipinti di Rosa da Tivoli, dello Spagnoletto, del Fieravino e una grande tela di Luigi Garzi. Sempre allo stesso livello si trova il salotto con una piccola esposizione di porcellane e la cucina con decorazioni di genere nel soffitto. Notevole è la biblioteca in stile veneziano ed una saletta con una raccolta di armi ed armature. Dal cortile inoltre si dipartono altri percorsi. Il primo al giardino ed al parco ornato con numerosi esemplari di piante rare, accessibile per mezzo di una rampa. Il secondo invece all’interno del maschio del castello accessibile per mezzo di un ponte levatoio. All’interno si trovano gli ambienti della milizia, il deposito delle munizioni, le postazioni da tiro ed una sala anticamente utilizzata per celebrare processi e forse anche per torturare i prigionieri. Ai piedi del Maschio si aprono le prigioni. Degno di nota, nel lato meridionale della corte, l’edificio dell’orologio dell’epoca dei Barberini, mentre nel lato settentrionale si imposta una latrina a caduta libera».
http://www.castellidelazio.com/castellodicollaltosabino.htm
«“Colle dato in feudo” sorgeva in un territorio ben più ricco d’acqua rispetto ad oggi. Storicamente importante per tutto il Medioevo, è stato uno dei primi incastellamenti della zona ed è stato datato non prima dell'XI. ... Collefegato, anticamente, era uno dei centri più importanti del Cicolano e, sotto di esso, si svilupparono via via gli attuali paesi di Borgorose (originariamente “ il borgo del castello di Collefegato”) e Villerose (originariamente “le ville del castello di Collefegato”). In seguito alle scorrerie dei Saraceni ... fu edificato un borgo sulla sommità di un colle completamente disabitato e cinto di mura con un’estensione massima di circa 8000 mq. (a circa 800 metri di altitudine) che prese appunto il nome di Collefegato (il termine fegato deriva dal latino ficatum cioè “affidato”, ovvero colle dato in feudo). L'insediamento fortificato concesso in feudo, inizialmente ad un ignoto personaggio da un ente religioso o laico, anch'esso rimasto sconosciuto passò sotto il controllo del conte Gentile Vetulo di Rieti, nella metà del XII secolo. Successivamente il castrum venne concesso da Carlo d'Angiò a Ugo Stacca, proveniente dalla Provenza Orientale. Dopo la morte di quest'ultimo, avvenuta tra il 1272 e il 1273, il feudo ritornato agli Angioni venne affidato all'aquilano Fidanza, legato alla potente famiglia dei Camponeschi. Nel 1338, rimasto coinvolto nelle sanguinose lotte tra Pretatti e Camponeschi, che si contendevano il controllo della città de L'Aquila venne assaltato e preso da Buonaggiunta da Poppleto, seguace dei Pretatti. Da Fidanza, catturato e sottratto alla furia omicida dei suoi avversari per volere di Buonaggiunta, il castello passò a Giuntarello da Poppleto. Agli inizi del XV secolo, con il matrimonio tra Paola da poppleto e Francesco Mareri, il feudo venne inserito tra i possedimenti della famiglia Mareri, poi seguirono i Cesarini ed infine i baroni Ciambella de L'Aquila. Dell'antico borgo restano solo alcuni ruderi del castello, costituito da un corpo centrale di mt. 120 x 60, attorniato da tre torrioni; intorno ad essi si sistemavano i soldati, i servi, gli artigiani. Ad occidente del castello è ubicata la chiesa medievale, 18 x 10 Mt., di cui resta il campanile. Accanto all’altare si ammira l’affresco de “La Madonna del latte” risalente al 1471, restaurato nel 1947. Le abitazioni, che oggi formano il moderno paese, lungo le pendici del colle furono costruite dopo il disastroso terremoto del 13 gennaio 1915. Le rovine architettoniche e le strutture esistenti fanno di questo piccolo villaggio uno dei punti di riferimento nello studio delle tradizioni storiche dell'intero Comune».
http://www.prolocoborgorose.it/Tutto%20Paesi/Tutto%20Collefegato/home%20page%20collefegato.htm
Collelungo Sabino (Rocca dei cavalieri)
Risalente al XII secolo, il castello è ubicato al km. 56 della via Salaria, a Collelungo Sabino frazione di Casaprota, nei dintorni di Roma, in prossimità dei principali itinerari naturalistici e religiosi della Valle Sabina (abbazia di Farfa, santuario di S. Vittoria, Greccio). Privato, ottimamente restaurato, è attualmente sede di un prestigioso relais.
http://www.roccadeicavalieri.it
«Il castello di Corvaro, comunemente chiamato “Rocca” (anche se le rocche appariranno solo intorno al XV secolo) era un vero e proprio castello che si elevava ai margini della piana del Cammarone e aveva una posizione strategicamente militare. Nel 1168 il castello forniva 1 milite, contava 24 famiglie per un totale circa di 360 persone. Era in potere di Rainaldo Sinibaldi, nipote di Gentile Vetulo, barone che deteneva il confinante castello di Collefegato. Nel 1279 era in possesso di Sibaldo di Aquilone (o Sinibaldo de Aquilano). Nel registro di re Roberto d’Angiò del 1316 tale castello risultava essere della Contea di Albe. Era costituito da tre zone principali: l’abitazione del signore, gli alloggiamenti delle truppe e i depositi dell’attrezzatura militare. L’abitazione del signore si trovava nella parte alta dell’edificio ed aveva una superficie interna di 30x10 mq; le mura di cinta cingevano il borgo all’altezza di Via Cupa, abbracciando una superficie interna di circa 10000 metri quadrati, con quattro torri a base circolare, situate tutte sul lato est, più facilmente espugnabile. L’ingresso principale del castello si trovava al centro delle quattro torri ed era costituito da Porta Calata, ancora visibile; le altre porte erano: Porta di Capulaterra, Porta Cautu, Porta di Piazza, Porta Valle-Riu, dislocate in diversi punti lungo la cinta muraria, di cui non si conservano i resti».
http://www.prolocoborgorose.it/Tutto%20Paesi/Tutto%20Corvaro/home%20corvaro.htm
Fara Sabina (castello di Postmontem o Torre Baccelli)
«Torre Baccelli, unico e affascinante resto del castello di Postmontem, è adagiata su una piccola collinetta boscosa, raggiungibile facilmente per mezzo di una stradina e poi di un breve sentiero. Per arrivare su questa collina lontana dal tempo, si percorre la S.S. 4 Salaria fino ad Osteria Nuova, voltando poi in direzione dell'Abbazia di Farfa. Giunti a Farfa, si prosegue in direzione di Località Baccelli, girando a sinistra al primo incrocio. Per arrivare alla torre, si debbono percorrere alcuni chilometri fino all'invaso ENEL. Il castello di Postmontem appare per la prima volta nelle fonti nel 994, come possesso dell'Abbazia di Farfa, su cui impulso fu probabilmente fondato. Il castello, che domina una delle principali strade di accesso al monastero benedettino, nel 1100 fu concesso in locazione a Rustico di Crescenzo in cambio del castello di Corese, oggi Corese Terra. La permuta non ebbe peraltro lunga durata, dato che nel 1118 Postmontem apparteneva di nuovo a Farfa. Nel XIV sec. l'insediamento fu gradualmente abbandonato ed il suo territorio unito a quello di Fara Sabina. Oggi del castello resta la torre, squarciata lungo uno spigolo; la visita diretta delle strutture non è agevole per la folta vegetazione e per il pericolo di crolli; ma, anche a una certa distanza, resta la suggestione della torre che domina, possente, la vallata del Farfa e gli oliveti secolari che caratterizzano il paesaggio agrario della Sabina».
http://www.apt.rieti.it/itinerario.php?id=83&categoria=Rocche%20e%20castelli
Fiamignano (resti del castello di Poggio Poponesco)
«La storia di Fiamignano è strettamente legata alle vicende del castello di Poggio Poponesco. Secondo lo storico Dionigi di Alicarnasso, in questo territorio doveva localizzarsi la città romana di Vesbula, come testimonierebbero i ritrovamenti archeologici ed epigrafici riutilizzati in loco per la costruzione nel 1568 del convento dei Cappuccini, edificato su resti di mura poligonali. Di Vesbula si sa assai poco, pertanto rimangono ignoti il periodo e la causa della sua scompara, avvenuta forse a causa di un terribile terremoto che nel 364 sconvolse gran parte dell'Impero. Nel 591, con la conquista Longobarda operata da Ariolfo, Duca di Spoleto, Fiamignano così come il resto del territorio viene annesso al ducato di Spoleto, costituendo così il castaldato Cicolano. Nel secolo IX, in seguito alle invasioni saracene, avvenne una totale trasformazione della topografia della zona. I vecchi insediamenti furono abbandonati e cominciarono a sorgere nuovi centri, incastellati in posizione privilegiata per la difesa. Documenti vivi della storia del territorio sono la rocca di Poggio Poponesco, che sorse su speroni rocciosi del monte serra, sulla cui cima era situata la chiesa di Sant'Angelo "In cacumine montis". Intorno alla alta torre del castello di Poggio Poponesco furono costruite case in pietra a protezione della fortificazione e la chiesa di Santa Maria. A valle di Poggio Poponesco si sviluppò il castrum di Fiamignano, uno dei tanti castelli che caratterizzavano la zona in quel periodo. In località Mercato (che sorge al di sotto del castello di Poggio Poponesco), vi erano la curtis e l'antico foro, era il luogo di scambio e di esercizio delle funzioni religiose. Nel 1226, durante le lotte fra l'imperatore Federico II di Svevia e la Chiesa, il feudo comprendente Fiamignano passò dai Mareri alla famiglia Colonna. Più tardi, con il cambiamento della politica papale nei confronti degli Angioini (di cui i Mareri erano saldi sostenitori), i Mareri cercarono di rientrare in possesso delle loro terre, ma le truppe ribelli distrussero completamente il castello di Poggio Poponesco nel 1283 (oggi rimangono soltanto i resti della torre difensiva e parte delle mura di difesa). Dopo la distruzione, cominciò a svilupparsi l'attuale paese di Fiamignano che con l'avvento di Carlo II d'Angiò, tornò di nuovo ai Mareri, compreso in un territorio molto ridotto rispetto al feudo originario, fino al 1523 quando Maria Costanza Mareri lo vendette al cardinale Pompeo Colonna, vescovo di Rieti. Successivamente passato ai Barberini, rimase ad essi fino al 1700. Fiamignano e mercato furono per molto tempo una unica entità e solo nel 1853 si ufficializzò la denominazione del comune. Nel 1927 il comune di Fiamignano passò dalla provincia di L’Aquila a quella di Rieti».
http://www.provincia.rieti.it/jsps/292/Menu_Colonna_Sinistra/326/Comuni/498/Fiamignano.jsp
Fiamignano (resti del castello di Rascino)
«A circa 1200 metri di altezza sorge questa complessa struttura sviluppata in due nuclei abitativi. Il primo, in alto intorno alla rocca, è costituito da una cinquantina di elementari edifici formati da un solo ambiente e ricavati dalla roccia affiorante. Il secondo, in basso, è di minori dimensioni ma presenta nuclei abitativi maggiormente articolati. Nel corso della sua storia partecipò alla fondazione dell’Aquila venendo incorporato nel suo contado. Nel Trecento, in seguito a due incendi, fu abbandonato trasformandosi da centro stabile in centro temporaneo utilizzato per la pastorizia transumante e per la coltura cerealico».
http://www.restipicalazio.it/I_comuni/Rieti/Fiamignano.html
Fianello (borgo fortificato, torre longobarda)
«Una volta entrati nel Borgo, attraverso l’unica Porta carraia, percorrendo Via Granieri in discesa, ci si porta direttamente in fondo al paese sino alla Porta Meridionale (detta “da piedi”), ad arco in pietra rosa dalle cave di Cottanello; pietra preziosa con la quale sono state costruite anche le colonne della basilica di S. Pietro a Roma. Ai lati dell’arco si notano ancora i fori dove veniva infilato il palo di chiusura della porta, che dava accesso all’esterno del Borgo attraverso un terreno scosceso, percorribile solo a piedi o con asini. Tale terreno, nei secoli, è pian piano franato; finché, sembra intorno al 1700, venne eretto l’attuale parapetto che chiude l’antica porta. ... Con le spalle alla porta meridionale, sulla destra, si apre la Piazzetta di porta da piedi sulla quale affaccia la vecchia Torre meridionale, occupata, alla fine del medioevo, da due appartamenti e da un frantoio (dismesso intorno agli anni 1960). Oggi ospita la “Taverna del Vecchio Frantoio” e accoglie una mostra permanente di reperti geologici ed archeologici e arredi ed utensili della civiltà contadina. ... Risalendo per Via Granieri, a metà strada, sulla sinistra, si possono ancora ammirare due antichi comignoli perfettamente conservati. Poco più avanti, sempre sulla sinistra, si potrà ammirare il Forno Monumentale, che risale al 1400, tutt’ora funzionante e che ospita anche la vecchia abitazione del fornaio, al secondo piano, accanto ad una stanza costruita sopra la cupola del forno. Il pavimento, in acciottolato, è emerso durante i lavori di restauro, perché era stato ricoperto con cemento. Continuando a salire per Via Granieri, si costeggia, a sinistra, l’imponente Palazzo Savelli-Orsini fino a giungere nella Piazza che ospita, oltre che la splendida facciata del Palazzo, con “fuga di archi” e balconcino a sbalzo; la chiesa di S. Giovanni Battista costruita dagli Orsini nel 1571 su di una preesistente chiesa d’impianto tardo romanico, accanto alla quale si erge la Torre pentagonale longobarda. I Longobardi introdussero in Italia la torre che, oltre ad essere un elemento di difesa o di avvistamento, aveva una funzione “cultuale”. I Longobardi, infatti, nella loro terra di origine erano dediti al culto della fertilità, che si esternava in pietre monolitiche infisse nel terreno, alte circa cinque metri (menhir), che rappresentavano il simbolo fallico, mentre la cripta (di origine celtica, introdotta in Italia dai Longobardi) rappresentava l’equivalente femminile del menhir. Sulla Piazza, inoltre, si affaccia un altro frantoio, con le macine in pietra ancora posizionate nel loro originario assetto. La Piazza, da una parte termina con un affaccio sulla campagna, mentre proseguendo dall’altra parte, verso l’uscita, a sinistra, si può visitare il locale della vecchia osteria che oggi ospita il Centro culturale “Il Cantinone” ... La Torre medievale longobarda, che prima era forse isolata ed aveva funzioni difensive e cultuali (dall’originario menhir), è un raro esemplare di torre pentagonale con volta a vela (sec. VII d. C). ».
http://www.fianello.it/percorso_culturale_FIANELLO_in%20SABINA.pdf
Fianello (palazzo Savelli Orsini)
«L'edificio, nel suo complesso, è poggiato su un terreno in forte pendio, tanto che dalla quota del prospetto opposto esiste un dislivello massimo di circa tre metri. L'atrio, posto ad un livello superiore di circa 90 centimetri rispetto alla quota della piazza, ha la particolarità di porre subito in comunicazione, mediante rampe di scale assai ripide, gli ambienti scantinati e quelli del piano superiore. Gli scantinati, voltati a botte o a crociera e con finestrature che danno per la maggior parte sulla vallata aprendosi sul basamento scarpato del fabbricato, presentano ancora chiari segni della loro primitiva utilizzazione: depositi di olio e vino, che sicuramente venivano lavorati negli stessi ambienti (buche scavate nel terreno e rivestite di laterizi). Al piano superiore si accede, dall'atrio, attraverso due rampe di scale divergenti a forbice, con il pianerottolo iniziale in comune, sviluppantesi immediatamente dietro la facciata principale del palazzo, che presenta una serie di aperture archivoltate e che, come già detto, è un'aggiunta tardo-rinascimentale. Per quanto riguarda una documentazione storica del palazzo, non abbiamo alcun riferimento preciso, in quanto i vari autori parlano sempre del paese (castello) e mai del palazzo in maniera specifica. è probabile, comunque, che il periodo più felice del palazzo corrisponda a quello che è considerato il periodo più fecondo del borgo: tra il 1450 ed 1650; quando, cioè, il palazzo stette in mano agli Orsini. Gli architetti che possono aver influenzato la configurazione attuale del palazzo sono il Sangallo ed il suo allievo Guidetti. Le due facciate hanno matrici nettamente diverse, ma accomunate da un'interpretazione provinciale. Nella facciata sud, che è più antica nell'impaginazione ed ottenuta dalla fusione di più nuclei a schiera, si sente l'influenza del Sangallo. Della prima fase di costruzione della facciata sono le decorazioni in pietra delle finestre, mentre più tarde le decorazioni in stucco rappresentanti i diavoli. La facciata ad est è probabilmente contemporanea o di poco successiva a quella a nord ed è databile verso la fine del 1400. Dopo che il palazzo passò agli Orsini, fu costruita l'attuale facciata sulla piazza verso la fine del 1500; fu ricostruita la chiesa di S. Giovanni Battista e fu definita la configurazione attuale della piazza, ciò proprio per la volontà degli Orsini di testimoniare la loro potenza».
http://www.fianello.it/percorso_culturale_FIANELLO_in%20SABINA.pdf
FOGLIA (castello Valignani Orsini)
«In posizione dominante, a guardia dei diverticoli della consolare Flaminia e dei guadi del Tevere, il Castello di Foglia è documentato fin dal 980, ma il territorio collinare su cui si erge fu popolato già dai prischi Sabini, secoli prima della fondazione di Roma. Alcune campagne di scavo hanno interessato nel corso della seconda metà del XX secolo l’area della necropoli di Foglia. Da qui provengono numerosi, importanti reperti che costituiscono il ricco patrimonio del Museo Civico di Magliano Sabina, che ha sede a Palazzo Gori. L’allestimento del museo prevede l’articolazione in sezioni dedicate all’Età del Bronzo, all’Età del Ferro, alla Cultura Sabina arcaica, all’Età ellenistica. Dall’alto del poggio su cui sorge il castello medievale di Foglia si apre uno scenario di suggestiva bellezza. Il profilo severo del Soratte fa da quinta al ventaglio di dolci colline del versante umbro, di terre tufacee del viterbese, di boschi e roccia viva del versante sabino. Intorno all’anno Mille, il castello visse la sua stagione più florida, controllando gli accessi da nord a Roma. Per questo suo carattere, di evidente rilevanza strategica, fu scelto come munito ricovero da Federico Barbarossa e dal papa Alessandro IV. Distrutto nel 1241 nel corso di uno scontro armato fra Roma e i fuoriusciti ghibellini di Viterbo, in un’ottica politica di impronta nepotista, papa Niccolò III, al secolo Giovanni Gaetano Orsini, figlio del potente senatore Matteo Rosso, lo infeudò ai suoi familiari che ebbero qui il fulcro dei loro domini nel Lazio settentrionale. Nel corso del Cinquecento, il castello fu fatto segno ad un radicale intervento di ricostruzione, che ne mutò l’aspetto in quello di una ricca residenza signorile di impronta rinascimentale».
http://www.historiaweb.it/wp-content/uploads/2013/11/Sabina-segreta-1.pdf (a c. di Ileana Tozzi)
Frasso Sabino (castello Sforza Cesarini)
«La prima attestazione dell'esistenza del castello di Frasso è del 955, quando viene definito locus. Contrariamente a quanto ritenuto, il locus non esclude il castrum. Il castello è comunque sicuramente edificato nei primi decenni dell'XI secolo. Nel 1055 Alberto figlio di Gebbone donò la sua quota del castello all'abate Berardo I. Probabilmente la parte spettante a Farfa fu alienata o usurpata nei primi decenni del secolo XII, quando il monastero subì una crisi profonda, dato che nel privilegio di riconferma concesso da Innocenzo III nel 1198 nessuna quota risulta più in possesso di Farfa. La signoria sul castello dovette essere esercitata dai Brancaleoni, anche se sfuggono totalmente le modalità dell'affermazione della loro egemonia sull'area. Nel 1388, Giovanni e Francesco Brancaleoni ne risultano i signori. Se Farfa non aveva esercitato il dominio signorile sul castello, non mancò di rivendicare agli inizi del Quattrocento i suoi diritti sul territorio ed in base ad un'ambigua interpretazione della donazione compiuta da Gebbone, che come si è visto corrispondeva soltanto ad una quota di cosignoria, raggiunse una transazione con il comune rurale che aveva richiesto l'8 ottobre del 1426 la conferma della locazione perpetua secondo i confini delineati dalla già citata donazione. Nel 1441 il castello fu occupato da Battista Savelli ed i Brancaleoni donarono il castello di Frasso alla sorella Simodea, che era andata sposa ad Orso Cesarini. Il feudo fu recuperato, però, soltanto per l'intervento del cardinale Giuliano Cesarini che versò una somma di danaro al Savelli per lasciare libero il castello. Battista dal suo canto tentò nuovamente di occupare Frasso nel 1447, incontrando la ferma opposizione di papa Niccolò V. La controversia non si estinse, ma fu fonte di continui urti. Nel 1528, ad esempio, Giovanni Battista Savelli ed i suoi uomini attaccarono e misero a sacco Frasso e Ginestra asportandone derrate alimentari per un ammontare di 3.000 ducati. Nel 1573, infine, si raggiunse un accordo tra i Cesarini di Frasso ed i Savelli di Poggio Nativo, che videro considerevolmente ampliato il territorio spettante al loro castello. La signoria dei Cesarini su Frasso ebbe termine in un modo abbastanza complesso e movimentato in ragione del matrimonio di Livia Cesarini, oblata nel monastero romano dei Sette Dolori, con Federico Sforza celebrato nel 1573, suscitando scandalo, scalpore ed una lunga controversia durata parecchi decenni per definire con i Colonna i diritti di primogenitura tra Livia e Cleria Cesarini che si chiuse con un compromesso nel 1709. Considerato ancora come luogo baronale nel novembre del 1817 dal decreto del cardinal Consalvi, dato che la duchessa Geltrude Sforza Cesarini, come tutrice e curatrice del figlio don Salvatore Sforza Cesarini, soltanto il 30 dicembre del 1817 rinunciò ai suoi diritti feudali su Frasso. Nel 1827 il castello ebbe la sua autonomia ... La dominante mole della rocca dei Cesarini, davvero notevole rispetto alla dimensione dell'abitato, conserva ancora un alto bastione cilindrico con basamento a scarpa munito di beccatelli nella parte terminale. La rocca e l'intera struttura dell'abitato, sono state oggetto di continue modifiche che ne hanno cancellato la forma primitiva; anche la torre ha subito sorte analoga con l'abbattimento della parte più alta».
http://www.gosabina.com/comuni/frasso-sabino/storia-di-frasso-sabino.asp - da-visitare-a-frasso-sabino.asp
«La frazione, con circa 200 residenti, si allunga da est a ovest su un crinale sovrastante il lago del Salto in posizione panoramica rispetto alla valle del Salto ad un'altitudine di circa 800 m s.l.m. Il nome del paese ne ha fatto ipotizzare un'origine saracena, alla quale viene attribuita l'ascia scolpita sullo stipite all'ingresso della chiesa di San Sisto. È tuttavia opinione più comune che il paese sia stato fondato ad opera di esuli della città siciliana di Agrigento, con la quale in epoca recente si è dato luogo ad un gemellaggio ed a iniziative culturali incrociate. Il borgo si trovava nei pressi dell'antica frontiera tra lo Stato Pontificio e il regno delle Due Sicilie, poi divenuto fino al 1923 confine regionale tra Abruzzo ed Umbria, fin quando nel 1927 l'intero comune di Pescorocchiano passò alla neonata provincia di Rieti nel Lazio. Dalla piazza principale, dominata dal Palazzo Iacobelli, si diramano due strade: una attraversa la parte pianeggiante del paese, mentre l'altra sale tortuosa alla parte più alta, con la rocca, che conserva i resti di un antico castello medioevale e il belvedere. Presso la rocca si trova anche la chiesa parrocchiale di San Sisto, il cui campanile è stato ricostruito dopo il crollo a seguito del terremoto della Marsica del 1915. Nella parte bassa del paese si trova la chiesa di Santa Maria, edificata agli inizi del XIX secolo per volontà della famiglia Iacobelli e ristrutturata agli inizi del XX secolo. Il patrono del paese è san Sisto, in onore del quale si tengono ogni anno dei festeggiamenti nel mese di agosto» - «...Il castello, quel che resta del castello è importante per stabilire una data certa dell'esistenza di Girgenti qui nel Cicolano. Documenti consultabili all'Archivio di Stato di Rieti attestano la presenza di un castello di Girgenti già nel 1183 assegnato al barone Sinibaldi da re Ruggero. Dunque a quella data doveva già esistere una comunità di origine siciliana. Ma si trattò di una vera colonizzazione o di deportazione? Resta l'interrogativo. ...».
https://it.wikipedia.org/wiki/Pescorocchiano#Frazioni - http://www.suddovest.it/cms/?q=node/439
Greccio (borgo fortificato, torri)
«...Le prime notizie certe risalgono al X-XI sec. quando i frammentari possedimenti dell'Abbazia di Farfa vennero riuniti e si procedette all'incastellamento delle curtis. Il monaco benedettino Gregorio da Catino (1062-1133) fa riferimento alla località di Greccio (curte de Greccia) nel suo Regesto Farfense. Dai resti degli antichi fabbricati si rileva che Greccio divenne un castello medievale fortificato circondato da muraglie e protetto da sei torri fortilizie. Ebbe a sostenere fiere lotte coi paesi confinanti e subì la distruzione ad opera delle soldatesche di Federico II nel 1242. Nel XIV sec. è più volte ricordato nello statuto municipale di Rieti e nelle carte dell'archivio della cattedrale, come sede di podestà. Subì alterne vicende fino al 1799 quando fu di nuovo distrutto e saccheggiato ad opera dell’ esercito napoleonico. Il borgo è circondato da stupendi boschi di querce ed elci che offrono al visitatore l'opportunità di lunghe passeggiate su sentieri sicuri e suggestivi, fino alla cima del Monte Lacerone a 1204 mt. s.l.m. Qui San Francesco d'Assisi, era solito ritirarsi in preghiera e meditazione in una capanna protetta da due piante di carpino. In questo stesso luogo, nel 1792, per volontà popolare, venne costruita una cappellina commemorativa a Lui dedicata, "la Cappelletta". L'antico Borgo Medievale che gode di un ottimo panorama, conserva parte della pavimentazione del vecchio castello (XI sec. circa ) e tre delle sei torri di cui la maggiore trasformata nel XVII sec. in Torre Campanaria. La chiesa parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo sorge a fianco della torre campanaria sulla sommità di una scenografica scalinata e risale al XIV sec. La chiesa, a una navata, venne ricavata da una parte del castello ... Altri luoghi interessanti, oltre alla diruta chiesa di Santa Maria, oggi restaurata e destinata a Museo Internazionale del Presepio, ai resti delle antiche torri, ad una delle porte d'ingresso ...».
http://www.presepedigreccio.it/index.php?module=loadContenuto&id=16&padre=0
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Le uniche testimonianze indirette riguardo la storia di Grotti sono tratte dai compendi storici o saggi che trattano la zona del Cicolano. Da queste fonti i dati riguardo la rocca si riferiscono al XIV secolo in poi. Per un periodo precedente, si può far riferimento ad una notizia, riportata nel compendio storico del dottor Marchesi, da cui emerge che la rocca delle Grotte fu una delle zone cristianizzate dal vescovo d'Amiterno san Vittorino, vissuto probabilmente durante il regno di Domiziano dei Vespasiani di Rieti (circa 96 d.C.) e morto martire presso Cotilia. Dal III secolo si passa direttamente al XIV secolo: ci sono notizie riguardanti un saccheggio della rocca delle Grotte durante la discesa di Ludovico il Bavaro nel 1338, come risulta dal compendio del dottor Marchesi; qualche anno più tardi al tempo della venuta di Luigi re d'Ungheria nel regno di Napoli, Grotti, secondo Lugini, è al centro di una lotta con i castelli circostanti. Sempre nel compendio storico del Marchesi, Grotti appare di nuovo nel XVI secolo, durante la discesa dell’esercito francese inviato da Carlo VIII: si legge che duecento francesi stanziati nell’abbazia di S. Salvatore tentarono di saccheggiare il castello delle Grotte, ma furono ostacolati dagli abitanti che li misero in fuga: molti dei soldati caddero dalle Vene molti affogarono nelle acque del fiume Salto. L’antica rocca è abbarbicata su un balzo roccioso e si estende da est ad ovest lungo un unico sentiero. La grotta delle zitelle si trova nella parte centrale dell’insediamento. É una cavità all’interno della parete rocciosa, piuttosto in alto, circa cinque metri, rispetto alle varie abitazioni, chiusa da un muro merlato oggi in parte ancora visibile. La caratteristica principale di questa grotta è l’inaccessibilità pertanto è stato supposto che essa sia stato un luogo di difesa. Tale tesi è supportata dal ritrovamento di alcuni sassi la cui natura lascia intendere la funzione difensiva. Il nome stesso indica l’abitudine di rinchiudervi, entrando attraverso delle scale appoggiate alla roccia, le vergini del luogo per proteggerle in situazioni di pericolo. Nella parte orientale della rocca c’era il probabile posto di guardia in una nicchia piuttosto difficile da raggiungere situata fra le due torri. La torre superiore denominata le carceri di forma quadrata si trova sul punto più alto del balzo superiore. La torre sottostante, di forma circolare, accostata ad uno sperone roccioso più in basso, è un tutt’uno con il muro di cinta orientale che insieme a quell'occidentale protegge l’unico sentiero. I resti, che costituiscono la parte più cospicua, sono le abitazioni. Esse si trovano in entrambi i lati del sentiero, costruite sul pendio ripido o, sfruttando le grotte del balzo superiore, che fungono da parete o anche da tetto. La più ampia abitazione è quella sotto la grotta delle zitelle, che utilizza la cavità alla base della parete. ...».
http://www.grotti.eu/storia.htm
Labro (castello Nobili Vitelleschi)
«Il Castello di Labro fa parte di quel gruppo di insediamenti fortificati fondati, per iniziativa signorile, tra X e XI sec. sulle pendici Sud-Ovest dei Monti Reatini, dominati dal Terminillo. Fu edificato dalla consorteria dei Nobili, probabilmente imparentata con i conti di Rieti e con i conti dei Marsi, grandi incastellatori dell'area appenninica occidentale. La potente famiglia dei Nobili controllò incontrastata per molti secoli una costellazione di castelli dislocati lungo la fascia che, partendo dai Monti Reatini si affaccia fin nella Valle del Tevere, ai margini delle aree di influenza delle città di Rieti, Spoleto, Narni e Terni. Labro dominava l'importante via di fondovalle che collegava Leonessa alla conca di Terni, attraverso un paesaggio, ancor oggi, ricco di suggestione, caratterizzato dai Monti Reatini a Nord-Est e dal lago di Piediluco ad Ovest, sul quale si staglia imponente la trecentesca rocca albornoziana. Alla metà del XII sec., a causa dell'espansione normanna, i Nobili di Labro donarono a San Giovanni in Laterano la quarta parte di Labro, di Moggio, di Morro, di Apoleggia. La donazione fu all'origine, in seguito, di una lunga controversia tra Berardo di Labro ed il capitolo della basilica romana. Il castello fu poi inglobato (tardo XIII sec.) nel contado reatino, quando i signori furono costretti dal comune cittadino all'inurbamento; nel corso del Cinquecento fu ceduto ai Vitelleschi. L'attuale impianto risale, nelle sue linee essenziali, alla metà del XIV sec., quando il castello, troppo ampio e difficilmente difendibile, fu raso al suolo. Le case, una quarantina, furono ricostruite e addossate le une alle altre per potenziare la fortificazione. Si calcola che la popolazione dovesse corrispondere grosso modo a circa 200 persone. Più tardi i Vitelleschi trasformarono la dimora quattrocentesca in uno splendido palazzo baronale, più volte rimaneggiato e restaurato. Per giungere a Labro si percorre da Rieti la S.S. 79 in direzione di Terni per circa 27 km».
http://www.apt.rieti.it/itinerario.php?id=79&categoria=Rocche%20e%20castelli
«Aspetto caratterizzante dell'urbanistica leonessana è il prevalente impianto medioevale: massicci portici sulla piazza principale - nella quale si trova la bella fontana farnesiana commissionata da Margherita d'Austria - e nobili palazzetti del XVI e XVII secolo testimoniano un fiorente sviluppo economico di Leonessa nel Rinascimento. Leonessa ha i suoi monumenti più significativi nelle chiese di S. Maria del Popolo, di S. Francesco e S. Pietro, nonché nel Santuario di S. Giuseppe, il Santo cappuccino nativo del luogo e protettore di Leonessa. Segni dell'antico villaggio di Ripa del Corno, fondato nel 1278, per ordine di Carlo I d'Angiò sono la fonte della Ripa e l'antica Torre Angioina a pianta ottagonale che sovrasta il vecchio borgo. Percorrendo l'antico Corso, attuale via della Ripa, spicca allo sguardo la Fontana Farnesiana, collocata nella piazza principale. La vasca presenta, alternativamente su quattro lati, stemmi scolpiti a rilievo circondati da elementi nastriformi. Degli stemmi tre sono leggibili e sono: quello del Comune di Leonessa ed un altro con il campo attraversato diagonalmente da una banda: il quarto invece è di impossibile definizione. Al centro della vasca un balaustro ancora una volta ottagonale, ornato a riquadri alterni con quattro delfini e quattro mascheroni,sostiene il coronamento piramidale costituito da tre figura femminili alate e culminante con una base circolare sormontata da una sfera. I mascheroni, le figura alate e la sfera ospitano le bocchette per l'acqua. La fontana, costruita in pietra fiorentina, ha forma estremamente lineare; essa sarebbe il dono che Margherita d'Austria, moglie di Ottavio Farnese, fece alla città di Leonessa. In realtà l'opera, pur inserendosi nell'attività di rinnovamento della città iniziata dopo la vista di Margherita d'Austria nel 1452,fu voluta e commissionata dai Priori dell'epoca. Risulta infatti dalle fonti che,ottenuto il permesso dalla Duchessa nel 1547, fu ordinata la costruzione della fontana al maestro Nicola di Joanni Carlo da Firenze, con l'impegno di consegnarla dopo un anno e di procurarsi due scultori e di costruire un acquedotto in pietra che l'alimentasse. A dominio della piazza si trova la Chiesa di San Pietro. ... Uscendo dalla chiesa si costeggia l'antico palazzo comunale fino ad arrivare alla duecentesca Porta Aquilana, conservata integra nel corso dei secoli. Continuando il cammino lungo il Corso, impreziosito da splendi palazzi signorili del XVI e del XVII secolo, si arriva alla Chiesa di S. Maria del Popolo ... La passeggiata prosegue lungo la via di S. Francesco e ammirando la nobiltà dei palazzi e la severità del Monastero delle Clarisse si giunge a Porta Spoletina, adornata di due fontanelle con un bassorilievo rappresentante un leone, così detta perché si apriva sulla strada che conduceva appunto a Spoleto nello Stato Pontificio».
http://www.leonessano.it/visita_leonessa.htm
«La torre fu fatta edificare, sui ruderi di un’altra, nel 1278 da Carlo I d’Angiò, contestualmente al nucleo dell’attuale Leonessa. La costruzione fu voluta da sovrano francese, intorno al vecchio castello di Ripa di Corno (di cui rimane la Fonte), per rafforzare i confini del suo regno».
http://www.leonessa.org/iti4.htm
MAGLIANO SABINO (torre Civica, palazzi)
«Il patrimonio storico culturale di Magliano Sabina è tutto da scoprire. Le vestigia e le attività del presente, infatti, rivelano ben presto una profondità storica sorprendente. Basta una semplice passeggiata nel centro storico, tra chiese e palazzi per rendersene conto. Dalle Mura Castello si scorge un panorama strepitoso, che dal Soratte spazia ai vicini Cimini fino sconfinare nella Valle del Tevere verso le colline dell'Umbria. A breve distanza una cripta (visitabile su richiesta), con l'affresco del miracolo del latte di san Francesco avvenuto a Magliano e i graffiti di Federico d'Aragona, di passaggio nella città. Il gioiello architettonico, risalente a circa 900 anni fa, è sotto il pavimento della Madonna delle Grazie (visitabile su richiesta) che custodisce una preziosa pala della Madonna della Misericordia, circondata da origini leggendarie (sarebbe il bottino di guerra di un capitano della Repubblica Veneta originario di Magliano, Mariano Falconi), ma storicamente attribuita a Pancrazio Jacovetti Da Calvi. Lungo via Roma il palazzo umbertino della famiglia Solimani Mariotti (privato), nella piazza il Palazzo Vannicelli, sede del Comune fronteggiato dalla Torre civica incastonata, quest'ultima, nel Seminario vescovile. Fu quest'ultimo il secondo il Italia dopo il Concilio di Trento ed ebbe per rettori san Giovanni Calasanzio e, nel XIX secolo, san Giovanni Bosco, oggi ospita la comunità religiosa delle Redentoriste "Venerabile Maria Celeste Crostarosa" (clausura). Sulla sua facciata la lapide che ricorda la visita del beato papa Giovanni Paolo II il 19 marzo 1993 a Magliano Sabina. Per raggiungere la Cattedrale dei Sabini si può percorrere via Cavour e all'incrocio con via Cardinal De' Lai si incontrano due portali, rivelatori della presenza a Magliano di una nobiltà rinascimentale di prestigio, come avrà già fatto intuire il popolo maglianese ritratto sotto la protezione della Vergine nella pala della Madonna della Misericordia. I palazzi privati ai quali si accede attraverso questi ingressi appartenevano alle nobili famiglie Solimani - la stessa del palazzo umbertino di via Roma - e Micarozi, l'architrave del cui portale rivela esser stata l'abitazione di Ottavio, un physicus, cioè un alchimista».
Marcetelli (borgo fortificato, palazzo Barberini)
«Il castello di Marcetelli dovrebbe esser sorto sullo scorcio del XII e agli inizi del XIII secolo, forse per rinsaldare quest’area di frontiera, che generò nel tempo controversie consistenti con Marcetelli che fu incluso per breve tempo nel Regno Meridionale, per tornare poi in modo definitivo nello Stato della Chiesa. è possibile che fu fondato dai Mareri interessati a fortificare i loro possedimenti nella zona. Infeudato il 17 luglio del 1271 a Guglielmo di Accrochemoure, che lo detenne sino al 1279, anno in cui lo rassegnò alla curia angioina. Ridotto allo stato di casale, privato del nucleo fortificato, ancor oggi visibile in parte in un colle a sud dell’abitato, fu occupato illegittimamente dai Colonna. Dopo alterne vicende che videro i Mareri tornarne in possesso nel 1655 il castello fu venduto al cardinal Barberini per 25.000 scudi dai Mareri oberati di debiti. Nel 1817 Marcetelli con 410 abitanti, era considerato un luogo baronale della baronia di Collalto nel distretto di Rieti. Nel 1853 prima dell’Unità d’Italia a Marcetelli gli abitanti erano 591, riuniti in 128 famiglie. Oggi gli abitanti sono circa 130» - «Da visitare il piccolo, ma ben conservato, centro storico di Marcetelli che presenta l'originario impianto medioevale. Nella piazza della Porta sono situati una Fontana ottagonale ed il Palazzo appartenuto alla famiglia dei Barberini, con sotto la porta settentrionale del castrum, di fattura romana post rinascimentale. L'imponente e tozzo edificio, secondo le tradizioni orali del luogo, recava l'arma dei Barberini che successivamente sarebbe stata tolta».
http://www.saltocicolano.it/images/itinerari/Le%20terre%20di%20confine.pdf - http://www.prolocomarcetelli.it/prima3.html
Montasola (borgo fortificato, torre)
«Insediamento preesistente al X secolo, sotto il dominio "Regesto Farfense" della "Curtis Lauri", con le prime invasioni saracene gli abitanti del Castello si rifugiarono sul colle più alto chiamato "San Pietro", dove oggi sorge l’attuale Montasola. Divenuta possesso dei Crescenzi e successivamente della Santa Sede dopo circa un secolo di lotte intestine il papa Urbano V (nel 1368) assegna la città alla famiglia Orsini. Questa ne detiene il dominio per un altro secolo prima che gli venga portato via dalla famiglia Savelli. I due secoli successivi vedono alternarsi al potere gli Orsini, i Colonna ed i Savelli sin quando, nel 1609, la città viene tolta definitivamente ai Savelli e passa alla Camera Apostolica entrando a far parte dello Stato Pontificio , di cui ne seguirà le sorti fino all’Unità d’Italia. Ad ogni evento storico seguirono distruzioni del villaggio e, delle numerose torri che lo circondavano, oggi rimane poca testimonianza, in quanto inglobate negli edifici ricostruiti. Altre rovine sono avvenute a causa dei terremoti ,frequenti nell’area, ed in particolare in occasione di quello di Avezzano avvenuto nell’anno 1915» - «Il borgo conserva tuttora la struttura medievale con la grande porta d’ingresso sormontata da un architrave in legno e le vie a spirale che portano in cima alla "Rocca", ritenuto il punto più alto della Bassa Sabina. Intorno, oltre alla torre con base a scarpa, si trovano avanzi delle mura di cinta».
http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Montasola/Storia - http://www.appasseggio.it/index.php?it/103/catalogo-poi/CatalogoPOI/1198
Monte San Giovanni in Sabina (borgo, torre)
«Monte San Giovanni in Sabina è un comune in provincia di Rieti con una popolazione di circa 722 persone ed una superficie di 30,70 Kmq. I Monti Sabini, nei quali è situato il territorio del Comune di Monte San Giovanni, costituiscono i contrafforti occidentali del Montepiano Reatino e separano la Piana di Rieti dalla media valle del Tevere. Si entra nel paese attraverso la porta-torre dell'antico castello, e tra vicoli e viuzze di aspetto caratteristico, si sale verso la parte più elevata del castello di Monte San Giovanni, una possente torre quadrangolare, ora restaurata e dedicata a ricordo dei caduti di tutte le guerre. Lasciato il paese, proseguendo sulla strada provinciale per Poggio Catino, ci si inoltra nel cuore dei Monti Sabini, sulle pendici del Monte Tancia, la parte più interessante, dal punto di vista naturalistico, del territorio di Monte San Giovanni. La gran parte degli abitati che ancora oggi punteggiano la catena dei Monti Sabini sono nati nel Medioevo, intorno all'anno Mille. Gli abitati più solidi, hanno resistito e sono popolati ancora oggi. Una storia quindi ricca di successi, ma anche di molte sconfitte, scandita dal lavoro, dalla fatica degli uomini, e perciò più intensa, più viva. Ancora oggi nell'abitato di Monte San Giovanni in Sabina, emergono con evidenza i segni del suo passato. La torre, simbolo in antico del potere signorile, rappresenta uno dei segni più caratteristici del comune; la cinta muraria, anche essendo stata assorbita gradualmente dall'espansione dell'abitato, delimita con chiarezza lo spazio fisico dell'antico castello, un grappolo di case racchiuso tra le mura e dominato dalla rocca, con poche aperture, le porte, che le raccordavano con l'ambiente esterno.
La prima notizia dell'esistenza del castello di Monte San Giovanni, è contenuta in un contratto di vendita del 1240 conservato presso l'Archivio di Stato di Rieti. In questo anno infatti, Giovanna de Radolfis, ultima discendente della consorteria dei Camponeschi, i grandi colonizzatori delle aree dei Monti Sabini, vendette a Napoleone Orsini i castelli di Poggio Perugino, di Monte San Giovanni, di Montenero e delle Macchie, oggi scomparso, insieme al giuspatronato su di un quarto della chiesa o abbazia di S. Maria de Monte, che era situata nei pressi di Castiglione di Cottanello. Quando gli Orsini acquistarono tutta questa area, l'insediamento era dunque ormai completato. L'opera di conquista agraria e di riorganizzazione territoriale era stata compiuta dai Camponeschi, una consorteria di cui conosciamo molto poco, ma che era stata particolarmente attiva tra il X e il XII secolo nelle aree dei Monti Sabini, da Castiglione di Cottanello fino a Casaprota, per poi scomparire rapidamente senza lasciare molte tracce. Non si hanno fonti scritte della fondazione di Monte San Giovanni e del castello delle Macchie, anche se si può fissarne la data in periodi non molto lontani da quelli dei castelli vicini come Salisano, fondato intorno al 953-961; Mompeo nel 991; Montenero 1038-1085; Muscini, oggi scomparso, nel 1085. A questo periodo di forte spinta verso la conquista di nuove terre, risalgono con molta probabilità i terrazzamenti che impedivano il dilavamento dei terreni che ancora oggi caratterizzano il paesaggio della zona, e il vecchio mulino della Mola, mosso dalla forza idraulica sul torrente Canera. Monte San Giovanni divenne gradualmente il centro principale degli Orsini. In questo periodo furono anche prosciugati numerosi laghetti che punteggiavano le vallate nei pressi del Castello delle Macchie e della Chiesa di San Sebastiano, con indubbio sviluppo delle aree coltivate. Monte San Giovanni rimase in possesso degli Orsini fino agli inizi del XVII secolo, quando il castello tornò alla camera apostolica, che nella seconda metà del Settecento ne concesse in enfiteusi i beni camerali dapprima ad Adriano Antoniazzi e successivamente ad Antonio Flavi».
http://www.sabina.it/comuni/montsgiov.html
Monte San Giovanni in Sabina (ruderi del castello di Fatucchio e della rocca di Tancia)
«Due insediamenti fortificati, la Rocca di Tancia e di Fatucchio, i cui ruderi dominano ancora la via che collega Rieti con la valle del Tevere, sorsero sul Tancia all'inizio del X secolo, l'epoca dell'incastellamento, a cui risale la quasi totalità dei castelli della Sabina. Dopo il crollo dell'impero carolingio con la conseguente frammentazione del potere, sorsero numerosi "castra" per iniziativa dei signorotti locali o dei monasteri, che ebbero la funzione di proteggere la popolazione atterrita dalle incursioni dei Saraceni, ma anche quella di organizzare nuovi centri di potere e di organizzazione agricola. è questo il fenomeno che lo storico Toubert chiama "incastellamento" e di cui la Sabina è il principale esempio. Con questo sistema i Signori si assicuravano i loro profitti feudatari, il potere e l'esercizio della giustizia. D'altro canto gli abitanti si sentivano protetti dalle scorrerie dei Saraceni o di altri possibili invasori. Ai sudditi riuniti nel castrum veniva offerta una certa quantità di terra da coltivare per il proprio sostentamento e per pagare le gabelle al feudatario. Le fonti ricordano prima il Castello di Tancia, fondato tra il 967 e il 975; quindi il Castello di Fatucchio, che compare nei documenti dal 988. I due castelli rimasero nelle mani dell'Abbazia di Farfa fino al XIV secolo, quando passarono agli Orsini, e da questi cambiarono più volte proprietari, fino al 1609, anno in cui entrarono nei possedimenti del Comune di Monte San Giovanni. La rocca di Tancia era abitata ancora nel XIV secolo, ma poco alla volta si spopolò, come il castello di Fatucchio, sia per la crisi che colpì alla fine del Medio Evo l'Appennino centrale, sia per l'abbandono delle colture dovuto al maggior interesse dei proprietari (gli Orsini) verso la pastorizia. ... Sul Tancia nacquero nel X secolo due insediamenti fortificati a cavaliere della strada di collegamento tra la valle del Tevere e la conca reatina. Il primo ad essere ricordato è il castello del Tancia, fondato tra il 967 ed il 975. Non molto tempo dopo, nel 988, compare nelle fonti anche il castello di Fatucchio. Di questi due abitati restano oggi soltanto le rovine, dominate dalle torri semidiroccate, l'elemento principale e caratterizzante delle fortificazioni dei castelli sabini, che racchiudeva in sé simbolismi accentuati, rappresentando in modo tangibile il potere signorile ed il controllo dello spazio, spesso erroneamente identificate come torri longobarde. I documenti farfensi di X ed XI secolo mostrano il forte dinamismo di questi insediamenti. Sono ricordate le chiese di S. Croce e di S. Vito, mulini ad acqua lungo il fosso di Tancia, vigneti intorno al castello di Fatucchio, numerose aree destinate alla semina dei cereali, testimonianze preziose di questo periodo per certi aspetti pionieristico, agevolato da condizioni climatiche non particolarmente sfavorevoli.
I due castelli rimasero saldamente in possesso di Farfa, anche se spesso l'abbazia ne cedette quote di cosignoria castrense, perdendone il controllo per alcuni periodi, tanto è vero che la rocca di Tancia venne in possesso del Camponeschi, che però alla metà del XII secolo ne cedettero nuovamente a Farfa il controllo, sottomettendosi di fatto alla potente abbazia benedettina. Da allora il castello rimase solidamente in mano al monastero sabino, che, nel 1345, insieme al suo territorio, fu dato in locazione dall'amministratore apostolico di Farfa Arnaldo d'Albiac al nobile romano Ugolino di Pietro de Toldelgariis per un prezzo di 20 libbre di provisini del Senato, una moneta romana, e per un canone di affitto annuo di 5 fiorini d'oro. ... La rocca di Tancia era ancora abitata alla fine del XIV secolo, ma poco alla volta si spopolò, come il vicino castello di Fatucchio, non soltanto per la crisi più generale che colpì sulla fine del medioevo la gran parte degli insediamenti in quota dell'Appennino centrale, ma anche per un maggior interesse delle famiglie baronali romane, come gli Orsini, verso la pastorizia transumante, più remunerativa dell'utilizzo agricolo delle aree marginali, con una spinta quindi verso un abbandono delle colture, addensatesi intorno ai centri abitati più importanti e più popolati, ed una sempre crescente espansione dei pascoli. Passati dall'abbazia di Farfa agli Orsini, i due castelli di Tancia e di Fatucchio cambiarono più volte di proprietario, dapprima per matrimoni, dagli Orsini passò ai Caetani, poi per vendite, dai Caccia ai Capizzucchi, che nel 1609 rivendettero la tenuta di Tancia al comune di Monte San Giovanni. Abbandonati i castelli dagli abitanti, la via del Tancia non perse interesse, tutt'altro. Essa restò nel tempo una importante direttrice commerciale tra la conca reatina e la valle del Tevere, preferita anche dalle compagnie di ventura nella seconda metà del 1300 per le loro scorrerie, non a caso Rieti cercò di assicurarsene il controllo comprando i castelli di Poggio Catino e Catino nel 1478, per poi doverli rivendere Panno successivo per difficoltà finanziarie».
MONTEBUONO (borgo fortificato, torri)
«Il centro storico di Montebuono ha origini tipicamente romane, esso infatti doveva essere una fortificazione o un accampamento militare romano, il suo schema costruttivo, tipico del Castrum romano, è infatti, presente in tutto l'abitato che, a pianta quasi rettangolare, è posto su di un ripiano roccioso a circa 325 m. sul livello del mare. Montebuono affonda le radici della sua storia nella Roma imperiale come testimoniano i resti imponenti della villa di Marco Agrippa (63-12 a.C.), console, amico e genero di Augusto. Le torri tutte intorno al borgo si ergono maestose e alcune di esse sono trasformate in residenze prestigiose. Dal belvedere, fuori le mura, si può ammirare il panorama fatto di colline dai tanti colori di verde» - «Terra di villae in epoca romana, incastellata in età medievale, fu del pari Montebuono che lega la sua storia nella monumentale chiesa di San Pietro ad centum muros sorta intorno al 1100 su quanto restava di una villa rustica che la tradizione locale chiama Terme di Agrippa. Un frammento epigrafico, qui rinvenuto, reca infatti il nome di M. Vipsanio Agrippa in cui si volle identificare l’antico proprietario della villa dei Licinii. Quale che sia la gens che nella pars dominica della propria villa poté godere dell’ospitalità generosa di questa terra mentre i magazzini della pars officinalis erano stipati dai beni prodotti del lavoro servile, certo è che l’abitato medievale di Montebuono nacque da queste remote presenze. Al tempo dell’incastellamento, il pagus e le villae si spopolarono, ma la campagna fertile non venne abbandonata: contadini e pastori si ritirarono nel castrum dal rigoroso impianto ortogonale, delimitato dal circuito delle fortificazioni, prestando la loro opera al servizio degli abati di Farfa. Durante la cattività avignonese, il castello di Montebuono fu assoggettato al comune di Tarano. Fu poi feudo dei Savelli, passando alle dirette dipendenze dalla Chiesa nel 1580. ...».
http://www.comune.montebuono.ri.it... - http://www.historiaweb.it/wp-content/uploads/2013/11/Sabina-segreta-1.pdf (a c. di Ileana Tozzi)
Montenero Sabino (castello Orsini o baronale)
«Situato tra le insenature dei rigogliosi Monti Sabini, fu costruito intorno alla metà dell'XI secolo su uno sperone roccioso dalla particolare forma allungata. Il suo nome compare per la prima volta nel Regesto Farfense nel 1023 e sembra derivi o dalla fitta vegetazione, caratterizzata da un fogliame verde scuro, che ricopre l'intera zona circostante, o dalla particolare pietra detta "focaia" presente in numerose cave. Difficile risulta la ricostruzione delle complesse vicende storiche che si alternano nei secoli, viste le molteplici vicissitudini e i numerosi passaggi di proprietà che caratterizzano la storia di questo piccolo borgo. In origine proprietà della famiglia dei Lavi, passò poi tra la fine del sec. XIV e l'inizio del XV agli Orsini e nel 1644 ai Mattei del ramo di Paganica, durante la cui signoria il papa Clemente X trasformò il feudo in Ducato. Gli ultimi feudatari furono i marchesi Vincentini di Rieti ai quali Montenero fu venduto nel 1755».
http://www.sabina.it/comuni/montenero.html
Montopoli di Sabina (torre ugonesca)
«... L'entrata del paese è
quella attraverso la Porta Romana o Maggiore, di stile rinascimentale, così
come l'antico prospiciente Palazzo degli Orsini. L'antica civettuola Piazza
Comunale è la piazza principale, graziosa in tutto l'aspetto, la forma
triangolare come l'abitato, contiene al centro una fontana ottagonale
artisticamente concepita con getti d'acqua provenienti da bocche metalliche
a forma leonina e, con sulla sommità, una coppa, anch'essa metallica di
pregevole fattura, in cui tre ordini di zampilli riversano l'acqua entro una
stessa coppa con spruzzi vaghi ed iridescenti. Nel punto del paese
diametralmente opposto alla piazza comunale vi è un vasto piazzale con il
parco giochi ed il Parco Caduti con il monumento alla loro memoria,
raffigurante
una artistica vittoria alata. Volgendo lo sguardo in alto si può ammirare
l'edificio più antico del paese, la massiccia Torre Ugonesca fatta costruire
da Ugo I abate di Farfa intorno all'anno Mille. Percorrendo la
circonvallazione, attraverso un passaggio, si può raggiungere il Borgo, una
lunga piazza intitolata all'umanista Pietro Oddi, famoso poeta e
commentatore di opere classiche, nato e vissuto a Montopoli intorno al 1425.
Sul lato di questa piazza si erge imponente la rupe che domina l'intero
abitato e sulla quale sorgono la Piazza Campo di Fiori, la Torre Ugonesca,
l'antico Palazzo della Signoria (trasformato poi in Palazzo Felici) con
l'antistante suggestiva piazzetta Montecavallo sulla quale confluiscono le
tre primitive vie dell'abitato, Via Pacifica, Via San Bonaventura, Via
Colonna» - «Torre Ugonesca. Fu eretta tra il 997 e il 1038 nel
punto più alto del territorio comunale. L'edificazione avvenne per volere
dell'abate Ugo I di Farfa e delI'imperatore Enrico II con l'obiettivo di non
lasciare indifesa l'abbazia di Farfa. A pianta quadrata, in muratura
regolare, la torre è priva di merli di coronamento ed è munita di una porta
a mezza altezza e di una feritoia arciera. Dalla torre il panorama è
superbo: si vedono l'Abbazia di Farfa, la vallata del fiume Farfa, i monti
che sovrastano la Sabina, la vallata del Tevere, il Monte Soratte. ...».
http://www.prolocomontopoli.it/ilpaese.html - http://www.appasseggio.it/index.php?it/103/catalogo-poi/CatalogoPOI/1183
Morro Reatino (torre di Morro Vecchio)
«Ai margini della conca reatina, poco prima che il Velino s'immetta nel piano di Canale, su un piccolo rilievo sorge la Torre di Morro Vecchio, nobile testimonianza di un castello abbandonato. Un castello senza nome, che ebbe una certa importanza militare per la posizione strategica che consentiva il controllo delle vie d'acqua e di terra tra la Valle di Rieti e quella del Nera. è probabile che questo castello sia stato fondato dai Nobili di Labro, che esercitarono in questa zona un'egemonia territoriale per tutto il Medioevo. Il sito è rilevante dal punto di vista archeologico: presenta uno stato di conservazione delle strutture molto buono e ha permesso di recuperare, durante ricognizioni di superficie, numerosi reperti. Si tratta di frammenti di ceramica a vetrina pesante, risalenti all'XI sec., di produzione romana e scorie di fusione di metalli ferrosi. Dunque, un insediamento non solo legato all'agricoltura e all'allevamento, ma anche centro di produzione artigianale e luogo di scambio per merci importate, che venivano probabilmente vendute in un piccolo mercato locale. Recenti scavi archeologici hanno riportato in luce parti delle antiche strutture, tra le quali il Palazzo Signorile. Per giungere alla torre si percorre da Rieti la S.S. Ternana fino alla località Ponte Crispolti dove si svolta a sinistra e si prosegue lungo la strada per 5 km, fino al paese di Colli sul Velino. Prima di iniziare la salita, in corrispondenza del ponte sul canale di Santa Susanna, sulla sinistra si può osservare la Torre di Morro Vecchio».
http://www.informaturismo.it/content/view/114
OLIVETO (castello, palazzo Parisi)
«Oliveto, insieme ad Ornaro Alto ed Ornaro Basso, è una delle tre frazioni di Torricella in Sabina. Oliveto sorge su una collina a circa 620 m. (s.l.m.) nell'area che in epoca romana fu il centro abitato dai Trebulani e dai Mutuesci, sviluppato economicamente per le numerose attività agricole e commerciali. Già un codice farfense del VII sec. d. C. parla dell'Oppidum (piccola città fortificata) di Oliveto, sorto sulle rovine di "Trebula Mutuesca". Castrum Oliveti (il Castello di Oliveto) si trova menzionato nel Regesto farfense allorché, nel 1085, un certo Cencio figlio di Taibrando fece dono di questo territorio all'Imperiale Abbazia di Farfa. Nel 1390 l'abate Nicolò II lo diede in feudo ai Brancaleoni, che lo tennero fino al 1584; il 24 aprile di quello stesso anno, Domenico Jacobucci, figlio di Margherita Brancaleoni e Lorenzo Jacobucci, vendette il castello al cardinale Pier Donato Cesi. L'erede del cardinale, Domitilla Cesi, autorizzata dal papa Alessandro III con chirografo del 25 giugno 1658, vendette i castelli di Oliveto e Posticciola ai Barberini; in seguito, con lettera chirografa del 18 dicembre 1682, il papa Innocenzo XI autorizzò Maffeo Barberini a vendere Oliveto e Posticciola ai Santacroce. Nel 1696, con ogni probabilità, fu dedicata la chiesa di Santa Prassede al Fosso, come risulta dall'iscrizione posta sulla sommità dell'affresco ivi contenuto e di recente restaurato (1996): si può, dunque, ritenere che fu completata sotto il principato dei Santacroce. Il prìncipe Valerio Santacroce, autorizzato dal papa Benedetto XIV con chirografo del 13 settembre 1750, vendette i castelli di Oliveto e Posticciola ai Belloni, l'eredità dei quali, poi, fu assunta dai Cavalletti. Dopo la caduta dello Stato Pontificio, con la "breccia di Porta Pia" nel 1870, Oliveto fu accorpato al Comune di Torricella in Sabina, del quale, tuttora, è frazione. Oggi Oliveto è un piccolo centro che ha subìto i duri contraccolpi dello spopolamento, ma conserva bellezze storico-artistiche e naturali che lo rendono mèta ambìta per trascorrere le ferie estive e i fine settimana, anche a motivo delle numerose attività culturali, sportive e ricreative, promosse dalla locale Pro Loco. Di particolare interesse sono il Palazzo Parisi e la cinquecentesca Chiesa del Santissimo Salvatore, rifatta internamente negli anni 1929-31».
http://www.comune.torricellainsabina.ri.it/joomla/storia-oliveto.html
«La nascita del "castrum Arnaria" risale probabilmente ai secoli X-XI e dovette gravitare in origine tra i possedimenti dell'Abbazia di Farfa. Le prime notizie sul castello risalgono al 1254, anno in cui il castello di Ornaro risulta essere in possesso dei Brancaleoni di Romanea, in mano ai quali rimase sino al 1480, anno in cui Brigida, figlia di Giovanni Andrea Brancaleoni lo portò in dote alla famiglia Orsini di Castel S. Angelo, sposando Troilo, figlio di Giovanni Orsini. Nel 1513 fu occupato da Girolama Santacroce, vedova di Troilo Orsini, e successivamente restituito per volontà di Leone X; venne poi usurpato da Violante Orsini a Fanciotto d'Orsì, del ramo Orsini di Monterotondo. Fu devoluto allo Stato Pontificio nel 1604, alla morte di Enrico Orsini e con la transazione del 1641 i discendenti rinunziarono a continuare il processo di rivendicazione. Nel 1600 aveva 40 fuochi. Rimase alla Camera Apostolica che, in seguito, concesse in enfiteusi le rendite e i beni camerali del feudo a diverse famiglie ornaresi: i Lucantoni (1779), i Costantini, i Maoli, i Salzeri, i Lattanzi. Già comune autonomo, durante l'occupazione francese è incluso dapprima (1798) nel dipartimento del Clitunno, cantone di Poggio Mirteto, per divenire poi appodiato a Poggio S. Lorenzo (1810). Con la restaurazione e la riforma del 1816, è incluso nella provincia di Sabina, delegazione di Rieti, distretto di Rieti, come appodiato di Monte S. Giovanni in Sabina. Nel riparto territoriale del 1817, e in quelli successivi del 1827 e 1831, risulta appodiato a Belmonte in Sabina; dal 1873 è confluito in Torricella in Sabina di cui tuttora costituisce frazione».
http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=11552 (a cura di Adriana Barbafieri)
«Le sue fondamenta sembra siano poste su un antico tempio romano dedicato a Minerva intorno al XII secolo. La fondazione del castello di Canemorto, l'attuale Orvinio, è probabilmente abbastanza tarda ed appartiene all'ultima fase dell'incastellamento. Fu fondato probabilmente nel XII secolo dagli ultimi discendenti dei conti dei Marsi nei pressi della potente abbazia benedettina di S. Maria del Piano. Il dominio sul castello fu poi dei signori di Canemorto, esponenti minori della nobiltà rurale sabina, i quali mantennero il possesso dell'insediamento fortificato fin sullo scorcio del medioevo quando al loro posto subentrarono dapprima gli Orsini, che riunirono Orvinio ed i castelli colonnesi di Pozzaglia, Pietraforte, Montorio in Valle e Petescia, oggi Turania, in un unico feudo, successivamente riframmentatosi. Agli Orsini seguirono poi gli Estoutville per matrimonio, i Muti e, dal 1632 in poi, i Borghese; la residua influenza di Farfa sul territorio fu del tutto abolita da Sisto V che, nel 1689, tolse all'Abbazia ogni giurisdizione su Canemorto. Il palazzo baronale, di origine tardorinascimentale, fu ampiamente restaurato e trasformato in una residenza signorile alterandone in parte le caratteristiche architettoniche. L'edificio, che mantiene ancora un aspetto imponente, è circondato da un lungo muro di cinta ad ampia scarpa, coronato da merli, poggiato direttamente sulla roccia modellata artificialmente, intercalato da una serie di torri che ne scandiscono la cortina. Il monumentale portale con decorazioni a bugne dà accesso ad un vasto parco, mentre una poderosa torre cilindrica centrale domina l'intero complesso. Gli ambienti del pianterreno sono coperti con volte a crociera costolonate e a sesto ribassato, mentre nelle ampie sale superiori vi sono soffitti lignei a cassettoni con affreschi tardo cinquecenteschi. All’interno vi sono diverse pareti affrescate da grandi quadri raffiguranti le varie gesta della dominazione dei Baroni Muti e questi riprodotti: sul trono, portati in trionfo con la portantina per le vittorie riportate nelle guerre contro abitati limitrofi ad Orvinio, quando muovevano in guerra contro i paesi viciniori e nemici, ecc. Nel castello esistono, ed anche bene conservate, le autentiche due portantine adoperate dai Baroni Muti. In seguito ad alcuni scavi furono rinvenute alcune lance ed alabarde appartenenti certamente agli armigeri dei proprietari dell’epoca feudale; anch’esse come le portantine, sono attualmente conservate nel castello stesso. Al suo interno esistevano trabocchetti che funzionavano ed erano in esercizio all’epoca feudale e dell’oscurantismo del tempo dei tratti di corda e delle sonore nervate. Le pareti ed il pavimento dei locali sottostanti corrispondenti ai trabocchetti stessi, erano munite di spade taglienti e punte e pali di ferro acuminati affinché i miserandi predestinati dalla sinistra sorte, allorché sprofondavano nelle botole, rimanessero infilzati.Nel 1913 proprietario del Castello era il comm.re Filippo Todini che ricavò una grande cantina utilizzando i sinistri locali sottostanti ai trabocchetti. Importante restauro e' quello effettato dall'architetto Remo Parodi Salvo intorno agli anni 1915-18. Ora è residenza privata dei marchesi Malvezzi».
http://castelliere.blogspot.it/2011/06/il-castello-di-domenica-26-giugno.html
Pescorocchiano (castello di Macchiatimone)
«Il castello di Macchiatimone può essere considerato uno dei complessi medievali più rilevanti della valle del Salto. Le rovine del castello, abbandonato nel XVII secolo, dominano una profonda gola che il fiume Salto si è aperto nella roccia calcarea, agli inizi dell'odierno lago del Salto. Le origini del castello non sono ben conosciute e risalgono soltanto alla metà del XII secolo. Del resto lo stesso toponimo di Macchiatimone sembra evocare una origine più antica, almeno per le prime fasi del dissodamento dell'area. Il termine 'macchia' indica infatti i grandi varchi aperti dalle asce dei diboscatori all'interno della vegetazione, non l'inverso come spesso si ritiene, il bosco prevaleva ovviamente nel paesaggio medievale, ma il toponimo in sé, seppur indica la conquista agraria di una determinata area e, probabilmente, il nome di colui che l'avviò, non dà ovviamente informazioni su quando questo processo ebbe inizio, né sulla contemporanea fondazione o meno di un insediamento fortificato. Oltre non mi sembra si possa andare, almeno in questa fase dell'indagine. Non sono molto chiare le tappe della frantumazione dei possessi di Gentile Vetulo, dato che le notizie successive risalgono al secondo quarto del XIII secolo, quando Macchiatimone assunse notevole rilevanza, diventando un importante frammento della struttura difensiva organizzata lungo la valle del Salto da Federico II. Ricordato ancora nel Quaternus de reparatione castrorum nostrorum di Carlo I d'Angiò, quando ormai aveva perduto il carattere demaniale. Secondo lo statuto, Macchiatimone poteva essere riparata dagli uomini della baronia del defunto Giordano di Pescorocchiano e da quelli della baronia di Gentile da Pescorocchiano e dai suoi consorti. Nel 1239 fu nominato castellano di Macchiatimone, per incarico di Federico II, da Enrico de Morra gran giustiziere dell'imperatore, Bartolomeo di Castiglione. Bartolomeo di Castiglione era un personaggio di notevole rilievo. Figlio di Tolomeo di Castiglione, capitano per Federico II nella contea di Arezzo e giustiziere d'Abruzzo e di Val di Crati, e fratello di Giacomo, arcivescovo di Reggio Calabria. Proprio la nomina di Bartolomeo a castellano di Macchiatimone dà conto dell'importanza che questo castello aveva assunto nelle strategie militari dispiegate da Federico II nel Reatino e nel Cicolano, per piegare rapidamente le resistenze che si erano venute coagulando intorno a Rieti, città fedele al papato, sia pur soggetta da non molto tempo, ed alcuni rappresentanti della nobiltà locale, meno pronti dei Mareri a cogliere con sagace e pronta intuizione il mutare degli eventi.
Non sono affatto chiari da questo momento in poi gli accadimenti che hanno condotto Macchiatimone da castello del demanio imperiale sotto Federico II a castello inserito nella baronia di Collalto, insediamento situato nella baronia di Collalto, insediamento situato nello stato della Chiesa. Una espansione di cui è difficile individuare con precisione le tappe, ma che affonda probabilmente le sue origini già in età federiciana, quando Pandolfo di Collalto era signore del vicino Pescorocchiano, riuscendo successivamente a conquistare la fiducia degli angioini. Quali che siano le tappe della perdita di rilevanza, da un punto di vista militare, di Macchiatimone, compreso dal 1273 nel giustiziariato dell'Abruzzo ultra flumen Piscariae, l'unico punto certo è che quando l'8 maggio del 1279 Pandolfo di Collalto alla mostra dei feudatari regi tenuta a Sulmona dichiarò gli insediamenti da lui controllati nel regno meridionale, tra essi, oltre a Pietrasecca, Poggio Cinolfo, Montefalcone ed un terzo di Rocca di Sotto, citò Macchiatimone che era valutato 6 once, 7 tarì e 6 grana. La permanenza di Macchiatimone all'interno della baronia di Collalto non ha lasciato molte tracce nella documentazione medievale, come del resto è avvenuto per la stessa baronia. Una documentazione tanto scarna da consentire una ricostruzione lacunosa e frammentaria della genealogia dei signori di Collalto, senza consentire di andare molto oltre. Ma è indubbiamente durante la signoria dei Collalto che nel territorio di Macchiatimone si avviarono consistenti processi di conquista agraria e di trasformazione dell'insediamento. Nel 1329 è ricordata la nomina da parte di papa Giovanni XXII di Gentile figlio di Giovanni Vacontis di Poggio Cinolfo, tra gli altri benefici canonico della chiesa di S. Eleuterio extra muros di Rieti, a preposito della chiesa di S. Ippolito de Macclatemone. Questa notizia consente di comprendere come ormai nel territorio controllato dal castello di Macchiatimone fosse già avviato un processo di dispersione dell'habitat, cioè di conquista di nuovi spazi agrari, scandito dalla nascita e dall'affermarsi di nuove strutture religiose, come la chiesa di S. Ippolito, la cui prepositura era sufficientemente ambita tanto da essere necessaria una nomina diretta da parte di un papa, non menzionate nelle bolle pontificie di riconferma concesse da Anastasio IV e Lucio III ai vescovi reatini nella seconda metà del XII secolo».
http://www.metropolis.it/comuni/storia.asp?LUNG=9000&pag=3&ID=57049
Petrella Salto (palazzo baronale e palazzo Mareri)
«Palazzo Baronale. Il palazzo baronale, denominato in alcuni documenti d’archivio anche Palazzo inferiore, viene costruito nel secolo XIV dalla famiglia Mareri che in quel periodo domina su tutto il Cicolano. Nel 1532 l’edificio è venduto, insieme all’abitato, al cardinale Pompeo Colonna e nel 1662 a Maffeo Barberini. Attualmente ospita, nei piani superiori, le sedi della Biblioteca Comunale e della Pro-Loco e, in quelli inferiori, alcune attività commerciali. Su un portale del palazzo, nella via XX Settembre, è visibile lo stemma della famiglia Colonna. Palazzo Mareri. Il palazzo è situato nella Piazza di Santa Maria della Petrella, allacciato con alcuni portici ed il lato sud al campanile della chiesa. Sembra che la sua sistemazione definitiva risalga alla fine del XIV secolo quando, sotto il governo di Lippo Mareri, fu ampliata la chiesa di Santa Maria. Tutt’oggi è ancora ben visibile una parte del palazzo a forma di torre risalente al periodo tardo medievale anche se vi sono alcune stratificazioni risalenti ai secoli successivi al XIV. All’interno della casa è presente un antico camino di notevole fattura».
http://www.comune.petrellasalto.ri.it/notizia.asp?T=2&S=3&N=4 - http://www.comune.petrellasalto.ri.it/notizia.asp?T=2&S=3&N=5
Petrella Salto (ruderi della rocca di Petrella o di Beatrice Cenci)
«Le prime notizie sulla Rocca di Petrella risalgono alla metà del XII secolo quando era feudo in capite di Gentile Vetulo, che morì prima del 1170. Le tappe del successivo frammentarsi dei possessi di Gentile Vetulo e del subentrante Mareri, che divenne la più potente famiglia della nobiltà rurale dell’area, non sono molto chiare. Nella seconda meta del XIII secolo Petrella, la cui Rocca fu presidiata a lungo da una guarnigione regia, fu tolta ai Mareri e concessa in feudo al provenzale Guillaume Accrochemoure, al quale subentrò Pietro Colonna. Nel 1295 Carlo II d’Angiò fece restituire il castello a Tommaso Mareri ed ai suoi fratelli e da quel momento Petrella tornò nella loro baronia, divenendone il centro principale. Nella 1511 la Rocca fu protagonista di un grave fatto di sangue che riguardò la famiglia Mareri. Il conte Gianfrancesco Mareri non aveva rispettato la promessa di dare in dote il castello di Staffoli a Giacomo Facchini che aveva sposato la figlia naturale del conte. Per questo motivo il genero si vendicò con l’aiuto di un servitore a cui Gianfrancesco aveva fatto uccidere il fratello perchè sospettato di essere l’amante della contessa e nottetempo, entrato nella Rocca con più di duecento armati, il Facchini strangolò nel letto il conte e la contessa e fece uccidere tutti i suoi figli ed i suoi ospiti. Dalla strage si salvò la sola figlia Maria Costanza, di pochi anni, che gettata dalla Rocca rimase fortunosamente impigliata con le vesti ad un ferro sporgente dalla stessa e recuperata successivamente dagli abitanti di Petrella. La signoria dei Mareri finì nel 1532. La Rocca di Petrella è anche legata indissolubilmente ad un altro tragico avvenimento, nel 1598, l’uccisione di Francesco Cenci ad opera di Olimpio Calvetti, castellano della Rocca, e di Marzio Catalano su istigazione della figlia Beatrice, amante del Calvetti. Il processo, celebrato a Roma sotto il Pontificato di Clemente VIII, vide la condanna a morte di Beatrice, di Lucrezia e di Giacomo Cenci che furono crudelmente giustiziati a Roma, presso Castel Sant’Angelo, nel settembre 1599».
http://www.comune.petrellasalto.ri.it/notizia.asp?T=2&S=3&N=1
Poggio Catino (castello di Catino)
«Quel che rimane del castello di Catino, ampliato e trasformato più volte come testimoniano le architetture, con la sua restaurata alta torre medievale dalla forma pentagonale, sorge sui resti del primitivo castrum, costruito su un luogo strategico e facilmente difendibile. Sfruttando la prossimità di una profonda dolina (localmente “catino”), su un dirupo verticale da un lato e un forte pendio roccioso sul lato opposto, l’avamposto fortificato ha quasi certamente origine longobarda, trovandosi proprio sul confine del Ducato di Spoleto lungo l’importante strada che collegava, insieme alla Salaria, la Sabina con Rieti. Notizie confuse ci riportano quindi una origine longobarda sul finire del VII secolo, notizie riferite proprio nella colossale opera di frate Gregorio da Catino: il Regesto Farfense, il documentum che testimonia un periodo che va dall'epoca longobarda al secolo XI. D'altra parte viene però citato con precisione nel Chronicon Farfense (un’altra opera dello stesso Gregorio, che riporta cronache e storie dei suoi tempi, ovvero IX-X sec.), quando l’abate di Farfa, Berardo (1047-1089), acquista 2/5 di Catino per poter costruire un nuovo oppidum nei terreni circostanti (l'odierna Poggio Catino). Un'alta torre medievale e i ruderi del suo castello si ergono dominando la piana del Tevere e la Sabina... di fronte il Monte Soratte, come un silenzioso custode, assiste alla sua movimentata storia di tragici delitti e tradimenti... Il Chronicon Farfense di Gregorio da Catino riporta, quindi, come in quegli anni Catino e i suoi terreni, dopo il parziale acquisto da parte dell’abate di Farfa Berardo (1047-1089), entrarono pian piano a far parte dei possedimenti di Farfa e vi rimasero fino al XII secolo. Nella prima metà del XII sec. il Castello di Catino e il suo Poggio (odierno Poggio Catino) si costituirono in un libero comune anche se fu sempre soggetto al dominio di una famiglia del luogo: i S. Eustachio. Dal 1308 il castello passò infatti a Teobaldo di S. Eustachio, ma la famiglia tenne i possedimenti solo fino al 1476 quando a causa di un fratricidio proprio nella torre, Sisto V incamerò Catino e Poggio Catino. Il possesso del feudo si alterna poi, come avvenne per molti altri castelli della Sabina, tra gli Orsini e i Savelli e alcune famiglie patrizie minori. Gli Olgiati ne presero possesso solo nel 1614. Il nucleo originario del castello si trova nel punto più alto dell'abitato attuale, il cui tessuto urbanistico coincide all'incirca con quello medievale. Tra i resti del castello, ristrutturato per lo più tra il XIV e il XV secolo, svetta, alta più di 20 metri, una torre pentagonale bassomedievale spesso romanticamente definita come "longobarda"».
http://www.tesoridellazio.it/pagina.php?area=I+tesori+del+Lazio&cat=Castelli+e+fortezze&pag=Poggio+Catino+%28RI%29...
«Tra la vegetazione ed il lago si presenta alla vista ciò che resta dell’antico castello ed all’interno l’incantevole borgo ben conservato. Il castello di Poggio Vittiano, compreso nella signoria feudale di S. Salvatore Maggiore, compare in fonti scritte del XIII secolo. Nel 1252, ad esempio, è ricordata la chiesa di S. Maria di Poggio Vittiano, ma la fondazione è indubbiamente più antica. Nel 1817 era appodiato (negli Stati pontifici, frazione del territorio comunale retta da un priore locale) di Castelvecchio (oggi Castel di Tora) nel governatorato di Roccasinibalda, con 150 abitanti, successivamente divenne appodiato di Varco. Nel 1853 aveva una popolazione di 186 persone, suddivise in 38 famiglie. Il borgo è stato recentemente oggetto di un efficace intervento di riqualificazione che ha avuto il merito di ricomporre alcune sovrapposizioni stilistiche comparse in passato nel centro incastellato. Le tre chiese presenti nel centro, S. Anastasio, S. Liberatore e S.Maria Assunta, sono tutte di origine medioevale. Dall’esterno del paese, nei pressi di una piccola chiesa rurale che poggia su uno sperone di roccia tufacea, è possibile godere di un suggestivo panorama di questo versante».
http://www.saltocicolano.it/itinerari-da-scoprire/virtual-tour/Default.asp?it=3&vt=27
Poggiomirteto (borgo, castello, porta Farnese)
«L’abitato di Poggio Mirteto è distinto in due parti nettamente separate dalla maestosa Porta Farnese, all’interno di questa si trova l’antico borgo, le cui case medievali degradano sulle pendici del colle, cinte da dagli avanzi delle trecentesche mura e disposte ai lati di un dedalo di vie strette e tortuose, cordonate e scalettate, che conducono alle antiche porte. Appena all’interno di Porta Farnese, su una breve strada, incombe la mole massiccia e severa del o crociate mentre il grande portale ottocentesco fu fatto erigere dal cardinale dal cardinale Lambruschini. All’esterno di Porta Farnese - ornata dallo stemma del paese e dall’arma della potente famiglia laziale - si apre la vasta piazza pianeggiante, dominata dalla Cattedrale del’Assunta, costruita a partire dal 1641, terminata nel secolo successivo e restaurata nel 1843 e della Chiesa di San Rocco, contornata da edifici relativamente recenti e abbellita dal monumento ai Caduti eretto al suo centro, opera del Balestrieri. ... Porta Farnese, detta Porta di Piazza prima di prendere il nome dalla famiglia dominante, che l’abbellì come attualmente si mostra, era una delle quattro porte che si aprivano nel recinto difensivo di Poggio Mirteto. è stata aperta nel ‘400 insieme alla Porta di Sotto poiché aumentarono le abitazioni con quelle fabbricate dai “Montorsesi” e si dovette successivamente aumentare, per ragioni di sicurezza, anche la cinta di mura; i due ingressi andarono ad aggiungersi a Porta Giannetta, ancora esistente e a Porta Superiore o Romana, successivamente demolita. Tali porte insistevano in un sistema murario di difesa ritenuto molto valido, tanto è vero che Alfonso d’Aragona, duca di Calabria, condottiero dell’esercito napoletano, non osò assalire il castello limitandosi a tenere sotto controllo la reazione dei suoi abitanti al passaggio dei suoi armati. Sulla Piazza dei Martiri della Libertà si aprono diversi edifici e monumenti fra cui S. Rocco, la Cattedrale dell’Assunta, il Municipio e quindi Porta Farnese.
Porta Farnese chiude prospetticamente la piazza dei Martiri dei Libertà. La sua costruzione, voluta da Alessandro Farnese, ed inquadrabile nella nobilitazione e riorganizzazione urbanistica che il Commendatario volle dare alla città, fu iniziata nel 1573 e terminata nel 1577. Il Cardinale Alessandro Farnese, abate Commendatario, aveva restaurato e ampliato anche il palazzo abbaziale che fu completamente trasformato. Chiamato anche la ”Rocca” o Palazzo Episcopale, con la sua mole domina sull’abitato e sul territorio circostante e questa d’altra parte era la funzione per cui fu costruito, quale sede dell’autorità, a partire dal primitivo castello duecentesco e poi, con modifiche ed aggiunte successive, fino a divenire la sede degli abati di Farfa. Il castello rappresentava il cardine ed il fulcro delle opere difensive del borgo costituite, oltre che dal castello stesso, dalla cinta muraria con i suoi bastioni e dalle porte Giannetta e Romana. La struttura originaria del castello, interna ed esterna ha subito nel corso dei secoli diversi e successivi rimaneggiamenti, soprattutto quando nel ‘400 mutò la sua funzione originaria per divenire sede principesca dell’abate commendatario di Farfa, poi nell’Ottocento quando furono aggiunti i corpi di fabbrica ad accogliere il seminario e subito dopo quando ospitò una guarnigione militari ed i sotterranei adibiti a prigione, funzione questa rimasta fino alla Seconda Guerra Mondiale. Numerosi altri interventi marginali riguardarono l’apertura o lo spostamento di finestre, l’apposizione di fregi marmorei e la ristrutturazione della porta principale d’accesso. Nel 1588 fu murata Porta Romana, che era stata, in origine, costruita sulla parte orientale delle primitive abitazioni e fu creata una porta spostandola verso il Palazzo abbaziale. Nella prima metà del ‘600 sembra che sorgesse anche la casa Comunale, ampliata, più tardi, nei primi del 1700. Si può dire che in tutto il 1600 lo sviluppo di Poggio Mirteto sia in pieno fervore di operosità e, con lo sviluppo edilizio, anche tutti gli altri aspetti della vita civile assunsero importanza».
http://web.tiscali.it/microsislavori/poggio-m/arte.htm
Poggiomirteto (torre dell'Orologio)
«Oltrepassata la Porta Farnese si apre un suggestivo scorcio sulla Torre dell'Orologio della metà del Cinquecento, custodisce le campane, originariamente appartenenti alla Chiesa di San Paolo del XIII secolo, sulle quali è incisa la data dell'anno 1290. Sulla destra si trova la Chiesa di San Giovanni Decollato, risalente al 1600, costruita dall'architetto Angelo Savi, e l'imponente mole del Palazzo Episcopale. Oltre la Torre dell'Orologio si trova la ex Chiesa della SS. Trinità del XV secolo, oggi Sala Farnese. Proseguendo, attraverso vicoli, archi e piazzette, si giunge ad un'altra imponente porta di accesso al nucelo medievale detta "Porta di Sotto" dalla quale si può ammirare un incantevole panorama sulla Valle del Tevere ed il Monte Soratte».
http://it.wikipedia.org/wiki/Poggio_Mirteto#Architetture_civili
Poggiovalle (ruderi del castello)
«Il paese di Poggiovalle si presenta con una veste suggestiva che rimanda al suo glorioso passato medievale. La tradizione orale vuole infatti, che il castello sia stato una delle mete preferite di Giovanna d'Angiò. La chiesa di Santa Maria Assunta: questa chiesa viene ricordata tra le 102 parrocchie del Cicolano che, insieme 69 monasteri e 12 castelli, faceva parte della diocesi reatina. Fu ricostruita interamente in seguito al devastante terremoto del 1915. Sotto il paese vi sono le rovine della pieve di Santa Maria in Valle, costruita lungo la strada che da Ville portava a Collorso. La chiesa parrocchiale di Poggiovalle rimase tale anche dopo quel borgo fu incastellato. Il castello: edificato nel XIII secolo, sappiamo che nel 1279 apparteneva a Stefano Colonna. In seguito entrò a far parte dei domini dei Da Poppleto, signori del castello di Corvaro e ne costituì l' eredità per i suoi discendenti, i Mareri. Sorse ad ovest del Monte Rosa, era tre sezioni: quella d''essere una grande sala, poi trasformate in chiesa fino al terremoto del 1915. Del castello rimangono, sfortunatamente, sono alcuni resti tra cui la chiesa centrale, che conserva affreschi su pilastri relativi a immagini sacre, ed utili in pietra della rocca, che sembrano raccontare la storia tragica grandiosa dalla sua ascesa alla sua caduta».
http://www.corvaro.it/vacanzemontagna/index.php/Paesi/Poggiovalle.html
«La città di Rieti vanta due diversi circuiti murari, il più antico di età repubblicana, il più recente eretto intorno alla metà del XIII secolo. La cerchia più antica si estendeva lungo una linea perimetrale oblunga, includendo la parte più elevata dell'urbs: i suoi confini si estendevano approssimativamente ad Ovest dall'Arco del Vescovo ad Est all'attuale via Tancredi, a Nord lungo il terrapieno su cui si erge il monastero di San Paolo, a Sud lungo l'asse viario costituito da via Pescheria e via San Pietro Martire, che interseca via Roma. Lungo questo circuito, che alternava al terrapieno dei tratti murari ancora frammentariamente visibili nelle costruzioni posteriori che ne hanno riutilizzato i materiali, si aprivano ad occidente la Porta Quintia o Cintia, ad oriente la Porta Interocrina o Carana, a meridione la Porta Romana, aperta sul viadotto di accesso alla città. Durante l'alto medioevo, si registra nel lato settentrionale l'apertura della Porta San Giovanni, lungo via Pennina. I toponimi di Porta Cintia e Porta Romana hanno seguito lo sviluppo urbanistico, venendo ad indicare negli interventi successivi di ampliamento le nuove porte di accesso alla città, l'una risalendo a settentrione, l'altra, addirittura, eretta nel 1586 extra pontem, includendo al suo interno anche l'abitato del Borgo. L'attuale esedra, che isola la porta rendendola simile ad un arco trionfale, risale agli interventi di sistemazione urbanistica operati dall'architetto Bazzani nei primi decenni del XX secolo. Il circuito medievale delle mura si sviluppò a partire dalla metà del XIII secolo lungo l'asse settentrionale, estendendo i bastioni da est ad ovest fino a ricongiungersi con il corso del fiume, che costituiva insieme con il tratto artificiale della Cavatella una valida difesa naturale. Gli antichi documenti medievali conservano i nomi di varie porte d'accesso alla città, scomparse nel corso dei secoli: a partire da Sud, lungo il corso della Cavatella, oltre alla Porta Romana a tutt'oggi esistente, si aprivano la Porta Sant'Antonio e la Porta Arringo o Aringo; più all'interno, era la Porta di Ponte, in corrispondenza con la torre del Cassero, demolita nel 1883; ad Est, nei pressi della Porta d'Arce, si susseguivano Porta Cordale, Porta San Benedetto e Porta San Leonardo, mentre il lungo lato settentrionale era scandito dalla Porta Leporaria e, dopo Porta Cintia, ad Ovest, dalla Porta Sant'Agnese, detta altrimenti Porta Santi Apostoli. Il lato settentrionale delle mura era caratterizzato inoltre all'interno da una carbonaia, all'esterno da un antemurale lungo il cui tracciato scorrono adesso le vie alberate che fungono da circonvallazione alla città. Con il trascorrere dei secoli, mantennero la loro primaria importanza le porte di accesso rispetto agli assi viari di maggior transito ed interesse strategico: Porta Romana, lungo la via di collegamento con Roma, Porta d'Arce, la più munita dal punto di vista militare aprendosi nei pressi del confine con il Regno di Napoli, Porta Cintia, aperta verso le città umbre».
http://www.rieti2000.it/r2k/dove/lasabina/2.htm
«Il Palazzo, edificato nel XIII secolo, durante gli anni fu più volte interessato da rifacimenti e modifiche e oggi conserva la facciata settecentesca, opera di Filippo Brioni, con il portico e il campanile a vela, la struttura originaria del Duecento e le finestre della prima metà del Cinquecento. Il Palazzo ospita al suo interno il Museo Civico, che comprende un'interessante raccolta archeologica, con reperti appartenenti al periodo tra il IX secolo a.C. e il V secolo d.C. e una Pinacoteca con dipinti che vanno dal XIII al XIX secolo. La prima raccolta del Museo Civico risale al 1865, in seguito arricchita grazie a diverse donazioni di materiali molto importanti per la comprensione e la ricostruzione dell'ambiente culturale del territorio di Rieti. La Pinacoteca ospita dipinti come la Madonna col Bambino e Santi di Luca di Tommè, Re David e Santa Cecilia di Lattanzio Niccoli, San Gregorio in Gloria di Giovan Battista Benaschi, San Leonardo libera un carcerato di Antonio Gherardi, oltre ad una raccolta di scultura che comprende una Madonna col Bambino del Trecento, una Pietà in terracotta quattrocentesca e un gesso del Canova».
http://www.ipalazzi.it/palazzo/p_3150.html
Rieti (palazzo o castello Vicentini)
«Palazzo Vicentini è sede della Prefettura della città. L’edificio si eleva su tre piani ed è uno dei patrimoni storici più importanti di Rieti. La sua edificazione o ristrutturazione è attribuiti per alcuni a Jacopo Barozzi da Vignola. Il Palazzo si affaccia sulla piazza con una presenza rinascimentale: la facciata presenta l’ingresso ornato da un bugnato affiancato da due inferriate per lato. I piani presentano cinque finestre incorniciate e, al primo piano, il timpano offre l’insegna della famiglia Vicentini. La facciata che si rivolge alla cattedrale possiede un’elegante loggia disposta su due ordini di archi che si apre ad un giardino, oggi aperto al pubblico. Le stanze interne che ospitano gli uffici della Prefettura offrono pitture del 1932 in cui viene rappresentato Marco Terenzio Varrone e Tito Flavio Vespasiano. Al primo piano, occupa un posto di rilievo il camino cinquecentesco costituito da marmi policromi. Su di esso è impresso il nome di uno dei proprietari della famiglia».
«L’imponente Palazzo Potenziani Fabri, prestigiosa sede della Fondazione Varrone, domina il profilo meridionale della città. Eretto ai margini dello sperone roccioso su cui sorse la Reate sabino-romana, è il risultato di una secolare sequenza di interventi edilizi volti ad unificare fabbricati preesistenti. Il primitivo nucleo del palazzo risale al XIII secolo: a quest’epoca risalgono gli elementi strutturali di più edifici che recano traccia degli interventi di consolidamento seguiti al terremoto del 30 novembre 1298. Nel corso del XVI secolo, le singole unità, di cui era stata a lungo proprietaria la famiglia Pasimelli, passarono nelle mani dei Fabri, per essere fuse in un unico complesso edilizio. Alla committenza dei Pasinelli, qui residenti fra il XIII ed il XV secolo per almeno duecento anni, si deve la decorazione a fresco di due sale al primo piano, nonché il quattrocentesco soffitto ligneo a lacunari di una sala al pianterreno, fittamente dipinto con motivi zoomorfi e fitomorfi che s’intrecciano intorno agli stemmi Caselli e Pasinelli. Si tratta di alcune fra le più antiche e meglio conservate pitture parietali a Rieti, purtroppo ignote alle fonti d’archivio ma stilisticamente riconducibili all’ultimo quarto del XIII secolo. La proprietà del palazzo passò durante la prima metà del XVI secolo alla famiglia Fabri. Sono con ogni probabilità i nuovi proprietari a promuovere nella seconda decade del XVII secolo l’unificazione dei preesistenti edifici in un unico, imponente palazzo ...».
http://www.fondazionevarrone.it/navigator.php?ID=SEDE
«Il castello di Rigatti fu fondato probabilmente nel XII secolo, come tende a far ipotizzare la comparsa nel 1153 della pieve di S. Maria in Rivogatti, ed appartenne ai Mareri, pur essendo colocato l di là della frontiera normanna. Federico II privò Tommaso dei suoi feudi, perché, dopo essere stato un fedele funzionario imperiale, aveva nel 1247 cambiato partito cedendo la Romagna, di cui era vicario, al pontefice. I castelli però furono immediatamente resi a Tommaso nel 1250 alla morte di Federico da papa Innocenzo IV. Nel 1271 il castello, che faceva parte della baronia di Filippo Mareri, fu sequestrato insieme agli altri e concesso al milite provenzale Guglielmo Acrochemoure, che lo restituì alla curia regia nel 1279. Il castello tornò poi ai Mareri e restò in possesso della famiglia, finché Muzio, subentrato al fratello nel governo del feudo, fu arrestato insieme al figlio Lelio nel 1612 e nel 1615 fu condannato a morte dal tribunale del governatore di Roma e giustiziato per aver offerto ospitalità e concesso protezione ai banditi della zona, mentre i suoi feudi, Ascrea, Bulgaretta, Marcetelli e Rigatti, furono confiscati fino al 1623 quando ne furono nuovamente investiti i figli del fratello Cesare che aveva sposato Eleonora Orsini. Nel 1633 Rigatti fu venduto a Matteo Sacchetti ed eretto a marchesato. Nel 1715 Clemente XI, con un suo chirografo, autorizzò la vendita ai marchesi Vitelleschi. Nel 1817 Rigatti, 302 gli abitanti, era un appodiato di Castel di Tora. Nel 1853, appodiato di Ascrea, la popolazione del paesino assommava a 278 persone che formavano 61 famiglie in 58 abitazioni sotto la chiesa parrocchiale della ss. Concezione. Presenti soltanto una rivendita di sali e tabacchi ed una mola grano dei Tiberi».
http://www.comune.varcosabino.ri.it/territorio/cenni_storici.html
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il castello di Rocca Sinibalda deve la sua costruzione al cardinale Alessandro Cesarini che incaricò il celebre architetto senese Baldassarre Peruzzi di erigere una robusta fortezza dalla forma di un’aquila dalle ali chiuse. I Cesarini divennero signori di Rocca Sinibalda nel 1510 quando l’imperatore Carlo V confiscò i feudi della famiglia Mareri, tra i quali anche Rocca Sinibalda, donandoli a Giangiorgio Sforza Cesarini. Nel 1556 papa Paolo IV Carafa decise di sequestrare tutti i beni dei Giuliano Cesarini, rientrandone però nel 1559 ancora in possesso. Nei secoli seguenti numerosi furono i passaggi di proprietà, vedendo numerose signori e relative corti insediarsi all’interno delle mura del castello. Si ricordano infatti i Crescenzi, i Mattei, i Lante della Rovere, i Muti, i Lepri, il duca Braschi-Onesti, il marchese Parent du Cavillet, il marchese Renses, la marchesa russa Usckull. In tempi più recenti fu acquistato nel 1990 dall’americana Mary Caresse Crosby ed ancora dal barone siciliano Giuseppe De Stefani. Il castello fu costruito negli anni 30 del XVI secolo in una importante posizione strategica a guardia della valle del Turano su una più antica costruzione sempre dei Cesarini, nota come castelluccio anche se documenti più antichi rivelano tracce di un qualche fortilizio già a partire dal 1084. L’architetto scelto fu quel Baldassarre Peruzzi, attivo a Roma quale architetto civile in chiese e palazzi, ma a Siena, sua città natale, aveva già progettato e costruito parte del formidabile sistema difensivo della città. Fu questa la prima volta in cui venne sperimentato un forte in cui le murature cessavano di avere una mera funzione difensiva in virtù invece di una difesa attiva, trasformando le mura - grazie all’avvento delle macchine da fuoco -, in una vera macchina bellica. Allo stesso modo la parte superiore fu invece costruita in forma palazziale, con oltre cento stanze disposte quasi tutte lungo l’asse maestro del castello. L’ingresso al castello oggi avviene da una lunga rampa cordonata sorvegliata dalle poderose mura che conduce al cortile con al centro un pozzo in collegamento con le sottostanti cisterne. Dal cortile per mezzo di una bella e comoda rampa elicoidale si può scendere nelle cantine o salire nelle ampie e spaziose sale dei piani superiori. Il piano nobile è composto da un’infilata di enormi saloni decorati da pregevoli affreschi eseguiti dal XVII al XVIII secolo. Il lungo corridoio termina in una magnifica loggia terminale con vista sulle montagne. Notevole risulta il grande sperone del castello, in laterizio ed in forma ricurva quasi a simboleggiare la testa ed il rostro dell’aquila».
http://www.castellidelazio.com/castellodiroccasinibalda.htm
«Il paese [Varco Sabino] fu costruito nel XV secolo dagli abitanti del vicino paese di Mirandella che era stato completamente distrutto da un violento terremoto. Molto scarse sono le notizie riguardanti la storia di questo piccolo centro della Sabina che deve la sua importanza soprattutto al valico posto a breve distanza, da cui prende il nome e che anticamente collegava la Sabina con l'Abruzzo, attraverso i monti Carseolani. L'attuale comune di Varco Sabino fu costituito nel 1853. La fondazione di Varco, che tra l'altro non raggiunse mai lo stato di castrum, dato che non era protetto da fortificazioni, è abbastanza tarda, anche se nella zona dovevano essere presenti forme di popolamento sparso che gravitavano intorno alla chiesa rurale di s. Angelo de Varco, attestata per la prima volta in un registro di chiese dipendenti dal monastero di s. Salvatore Maggiore redatto nel 1252. Nell'elenco dei castelli e dei villaggi usurpati a s. Salvatore agli inizi del Trecento con la forza dai de Romania non compare Varco, anche se questo fatto non è risolutivo. Da segnalare ad esempio che nel 1353 Innocenzo VI concesse a Angelo di Francesco da Varco un canonicato in attesa di prebenda nella chiesa collegiata di s. Pietro di Cassel, diocesi di Thérouanne, nel dipartimento attuale del Pas-de-Calais, ad attestare non solo la presenza di un insediamento, ma anche il notevole rango sociale raggiunto. La villa di Varco agli inizi del XVI secolo contava una trentina di focolari ... Anche per Rocca Vittiana valgono le stesse considerazioni già dette per Poggio. Per le fasi più antiche si conosce soltanto la presenza nel 1238 di un notaio dal nome Matteo, originario del luogo, e nel 1252 delle chiese di s. Tommaso, di s. Felice e di s. Giacomo, tutte appartenenti a S. Salvatore Maggiore, le ultime due, rurali, in un altro documento di un anno posteriore vengono attribuite a Poggio Vittiano. Nel 1282 gli abitanti di Rocca Vittiana, insieme a quelli di Poggio Vittiano, Offeio e S. Martino, per sottrarsi alla signoria del monastero di s. Salvatore, giurarono fedeltà, obbedienza e vassallaggio per il tramite del proprio sindaco al comune di Rieti nella persona del podestà Guglielmo da Orvieto. Nel 1817 era appodiato di Castelvecchio nel governatorato di Roccasinibalda con 127 abitanti. In seguito fu appodiato di Varco e nel 1253 contava 174 persone suddivise in 31 famiglie che abitavano in 27 case».
http://www.comune.varcosabino.ri.it/territorio/cenni_storici.html
Roccantica (Rocca de Antiquo e borgo medievale)
«...La prima testimonianza dell’esistenza di Roccantica risale addirittura al 792 d.C. quando Palombo figlio di Rattone dona all’abbazia di Farfa una porzione della chiesa di S. Valentino situata, appunto, sul Fundo Antiqum. Nell’840 il Fundus entra per intero nel possesso dell’Abbazia e, sotto la spinta delle razzie saracene, il borgo si circonda di mura già prima dell’anno 1000 ed il toponimo si modifica da Fundo in Rocca acquisendo la sua attuale denominazione (Roccha de Antiquo). Il punto di svolta nella storia di Roccantica si ha pochi decenni dopo quando, nell’ambito della lotta che oppone Benedetto X e Niccolò II per assurgere al Soglio di Pietro, Niccolò, inseguito dai Crescenzi sostenitori di Benedetto, si rifugia proprio a Roccantica dove i roccolani schierati a sua difesa oppongono una resistenza così eroica che quando il principe normanno Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo, raggiunge Roccantica per liberare Niccolò trova solo 12 superstiti. Niccolò, confermato papa, non dimentica né l’alleato normanno né i suoi salvatori: così il Guiscardo viene nominato duca di Puglia, Calabria e Sicilia mentre i roccolani superstiti si vedono premiati con l’infeudazione della Rocca con il beneficio di molte esenzioni, immunità e franchigie che si protrarranno fino al XVIII secolo. Un altro momento che conta nella storia di questo borgo è il 26 maggio 1326 quando, dopo più di due secoli di governo della chiesa di San Valentino, Roberto di Albarupe, Rettore della Sabina, cede alle pressioni degli abitanti di Roccantica e concede loro una summa di leggi scritte, ovvero uno Statuto, testimonianza della forza e della capacità politica dei roccolani. Nel 1415 papa Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa, poi antipapa, tant’è che la Chiesa non tenne conto del nome da lui utilizzato che fu ripreso da Papa Roncalli) concede il borgo in rettoria a Francesco Orsini. Gli Orsini ne conservano il possesso fino alla morte di Flavio, ultimo Orsini del suo ramo, nel 1698 anche se la vedova di Flavio, Maria de la Tremouille-Normoutier, continua a detenere il feudo fino alla sua morte nel 1722. Roccantica torna così sotto la giurisdizione della Camera Apostolica ... Roccantica, circondata da boschi e sovrastata dal Monte Pizzuto, la più cima della Sabina, offre al visitatore un dedalo di vicoli medievali che si possono percorrere in discesa, attraverso gradoni paralleli, partendo dal punto più alto, contraddistinto dall’antico torrione di difesa, giù fino alla grande piazza alla base del paese che ne costituisce oggi la via di accesso principale. Nel seguito, brevemente, qualche nota sui principali monumenti: Torrione di difesa e vedetta: a sezione quadrata, campeggia su una triplice cerchia di mura. La prima cerchia con gli ancora ben visibili contrafforti, la seconda con le tre porte: il Portone (o Porta Reatina), Porta Nuova e la Porta dell’Arco. Di questa cerchia è integro un torrione e visibile un lungo tratto. La terza cerchia di mura è interamente inglobata nelle case; un tempo in quest’ultima cerchia s’apriva la Porta Romana tramutata poi dagli Orsini nell’ingresso rinascimentale detto Le Colonne. Castello-Monastero della Clarisse e Chiesa di S. Chiara: Il monastero fu eretto nel 1583 su resti di un castello su un area donata da Maddalena Ferraguti e ad istanza di Flaminia della Rovere, vedova di Paolo Orsini, sotto la sovrintendenza di San Filippo Neri. Fu soppresso da Napoleone Bonaparte, ripristinato nel 1816, poi definitivamente disciolto dopo il 1864 e trasformato in abitazioni private».
http://www.salutepiu.info/roccantica/?doing_wp_cron=1359964792.4100689888000488281250
«Le rovine di Roccabaldesca si possono ammirare su una collina a sud di Salisano; fu fondata nel V sec. dai Tebaldi, famiglia romana da cui deriva il nome. Nell'VIII sec. fu feudo dell'Abbazia di Farfa e nel XIV sec., come risulta dal libro dell'Episcopato Sabino, ebbe una produttività economica pari a quella di Salisano. Alla fine del XVI sec., questo centro venne abbandonato a causa dell'insalubrità del clima, e soprattutto dell’assenza di caratteristiche difensive, per cui la Rocca era soggetta ad invasioni e saccheggi da parte di briganti della zona. Tale evento si verificò negli anni compresi tra il pontificato di Sisto V e quello di Clemente VIII, gli abitanti si rifugiarono nei castelli vicino, vi rimasero finché Clemente VIII non ripristinò l'ordine. In seguito a ciò, gli esuli fecero ritorno alla Rocca, ma vennero subito gravati da tributi e, trovandosi nell'impossibilità di pagarli, vennero condannati al carcere o costretti a sopportare ogni sorta di vessazione da parte dei commissari apostolici. Fu così che, nel 1592, una rappresentanza della Rocca si presentò al Palazzo comunale di Salisano per esporre i problemi e, nel gennaio dello stesso anno, come risulta da una delibera conservata nell'Archivio Storico di Salisano, gli abitanti di Roccabaldesca vennero accolti nel territorio. Oggi restano, dell'antico abitato, il mastio a pianta pentagonale, tratti di mura e basi di torri. Recentemente sono stati realizzati degli scavi curati dalla Sovrintendenza archeologica del Lazio, che hanno riportato alla luce interessanti reperti tra cui dei mosaici».
http://www.sabina.it/comuni/salisano1.html
«A sinistra del noto bivio di Quattro Strade, sempre direzione Avezzano, si raggiunge la frazione di Santa Anatolia, ai confini del Cicolano con il territorio dei Marsi, che prende il nome dalla martire Anatolia. Qui infatti, nel X secolo, si rifugiarono gli abitanti della città di Tora, presso la quale la Vergine romana Anatolia affrontò il martirio al tempo dell'imperatore Decio, esattamente il 9 luglio del 251 d.C. Attualmente la santa si festeggia nei giorni 3 e 10 luglio per ricordarne il martirio. In questo periodo il paese è meta di numerosi pellegrini provenienti da tutta Italia. Il Borgo fu dapprima Castello dipendente dalla baronia di Carsoli e poi Castello proprietà degli Orsini della Contea di Tagliacozzo. Si hanno notizie sulla sua esistenza da vari storici, ma non si conosce la sua esatta ubicazione. Il suo stemma è l'immagine di Santa Anatolia con la palma in mano in campo azzurro. La sua costruzione risale al XII secolo con la dominazione dei Normanni; nel 1168 appartiene al conte Ruggero e fa parte del Contado d'Albe. Le vicende per il possesso del castello si legano alle varie dominazioni straniere che si alternano in Italia fino all'abolizione del feudalesimo, decretata il 2 agosto 1806. L'odierno abitato si divide in due parti: la parte alta posizionata su di un colle e la parte bassa che si svolge attorno al Santuario».
http://www.comuneborgorose.ri.it/Santa.aspx
Spedino (castello non più esistente)
«Da Corvaro, percorrendo la Statale, direzione Avezzano (AQ), a 903 metri slm si raggiunge il piccolo borgo medievale denominato Spedino e come tutti i borghi medievali esso è situato su un colle che domina la vallata sottostante. Di notevole interesse culturale è il Castello di Spedino situato a sud dell'altopiano del Latuscolo. Dai resti di questa fortezza e, precisamente, dal diverso spessore dei muri e dei torrioni a pianta circolare, si ipotizza che questo castello sia stato costruito a più riprese la sua edificazione risale all'XI secolo; nel 1168 apparteneva ad un conte chiamato Ruggero e faceva parte del contado di Albe, nel 1316 a Pandolfo di Roberto di Collalto e alcuni Chierici; nel 1427 ne era proprietario Odoardo Colonna, figlio di Lorenzo ( fratello del pontefice Martino V), a cui venne tolto nel 1436 dal Capitano Giacomo Caldora; a lui succede il figlio Antonio nel 1439, che viene spodestato da Giov. Antonio Orsini, conte di Tagliacozzo nel 1441. Dalla sua morte, avvenuta nel 1456, sino all'abolizione del feudalesimo, decretata il 2 agosto 1806, il castello ebbe diversi detentori. Con il terremoto di Avezzano, avvenuto il 13 gennaio 1915, la fortezza andò distrutta».
http://www.comuneborgorose.ri.it/Spedino.aspx
«Si entra in Stimigliano passando da una porta ad arco a tutto sesto che era attentamente sorvegliata dai soldati in servizio nel corpo di guardia ubicato nell'adiacente costruzione cilindrica. All'interno della stessa è ancora visibile la feritoia attraverso cui si poteva controllare il ponte levatoio. Poco avanti, sulla sinistra, si osserva il magnifico portale bugnato cinquecentesco di ingresso al castello Orsini. Sulla sua architrave è scolpito un verso dell'Eneide di Virgilio. Il castello ha origine strutturale intorno al XIV secolo, per opera dei figli di Giordano Orsini, ai quali fu dato dalla Chiesa il potere su Stimigliano per i meriti che il loro padre aveva acquisito combattendo al servizio del cardinale Albornoz, impegnato nel ristabilimento dell'autorità pontificia nella Sabina che era stata percorsa, negli anni precedenti, da violente ribellioni alle quali avevano attivamente partecipato anche gli abitanti del paese. Certamente Stimigliano, per la sua felice posizione geografica, rappresentava un feudo davvero importante, giacché dalle sue mura era possibile controllare agevolmente i movimenti che si svolgevano in questa parte della Sabina affacciata sul Tevere. È molto probabile che il castello sorga sui resti di un'antica villa romana. Esso è costituito da tre corpi principali che si dispongono a "C" intorno a un cortile interno. Sul lato destro rispetto alla Piazza Vittorio Emanuele, si erge un torrione a pianta quadrata che è visibile a molti chilometri di distanza. Il suo aspetto originario è stato stravolto, così come quello dell’altra torre del complesso, anch’essa a pianta quadrata e che oggi accoglie un orologio. In particolare sulla sua sommità i merli ghibellini sono rimasti come unici elementi decorativi. All'interno del castello, ampliato e abbellito, nel XVI secolo, dal marchese Enrico Orsini, si possono ammirare le sale riccamente decorate con affreschi eseguiti dagli Zuccari o, più probabilmente, da uno dei loro allievi. Dal cortile si accede nella cappella gentilizia, dedicata a San Giuseppe inaugurata nel 1595 come riportato sull'epigrafe posta nella cappella stessa, e di cui la proprietà attuale ne possiede alcune quote. Si può ammirare all'interno un affresco raffigurante la Fuga in Egitto. Dopo alterne vicende, sempre strettamente legate alle mutevoli fortune degli Orsini, Stimigliano tornò alle dirette dipendenze della Camera Apostolica nel 1604, anno della morte del marchese Enrico Orsini. Nel XVIII secolo, i Conti Negroni, nuovi proprietari del castello, apportarono ulteriori modifiche alle strutture architettoniche della residenza che è rimasta praticamente immutata fino ai nostri giorni, anche dopo l'acquisto effettuato dalla famiglia Bartoli nel 1832. è poi da ricordare che nel XVII secolo il castello di Stimigliano, fu, per alcuni anni sede del governo della Sabina Tiberina. Il prelato aveva il titolo di preside generale. Attualmente il castello, sul quale si trovano sul web annunci di vendita di alcune sue porzioni in vari siti di agenzie immobiliari, non è visitabile».
http://castelliere.blogspot.it/2012/06/il-castello-di-domenica-10-giugno.html
«Conserva l’impianto di borgo medievale, rappresentato dall’imponente Torre del XIV sec. che spicca nel mezzo del centro abitato. ... Le prime notizie sul Castello di Torano risalgono agli inizi del XII secolo, quando un certo Annolino, figlio del defunto Oderisio, cedette, nel settembre del 1113, la sua quota di consignoria castrense, corrispondente ad un terzo, al vescovo di Rieti Beneincasa. L'episcopio reatino perse, però, rapidamente la sua porzione di Torano, posto a guardia di una importante via di comunicazione tre Roma, le aree interne dell'Appennino e l'Adriatico. Sotto gli Angioini, Torano fu donato nel 1271 a Pietro de Insula; l'anno dopo, però, con una permuta, fu devoluto alla curia regia. Il Castello passò poi a Gentile di Amiterno, che lo deteneva ancora nel 1361. Ne divennero poi signori i Camponeschi, potente famiglia aquilana, ma nel 1358, devoluto alla curia regia per la ribellione di Lalle Camponeschi, fu concesso da Filippo, principe di Taranto, ad Orsone Orsini. I Camponeschi tornarono nuovamente in possesso del Castello, facendone la loro base per contrastare l'egemonia dei Pretatti, costituita da tempo in quell'area. Il confronto decisivo si ebbe il 15 luglio del 1381 presso Torano quando si affrontarono i due schieramenti. Francescantonio Pretatti ebbe la peggio e, ferito tre volte, fu catturato. Immediatamente condotto a L'Aquila fu processato e giustiziato, e con la sua morte si estinse anche l'intera casata. Passato ai Poppleto, agli inizi del Quattrocento, fu poi venduto agli Orsini. Divenuto proprietà dei Colonna, nel 1520, il feudo toranese fu concesso da Fabrizio, al cavaliere romano Pietro Caffarelli, la cui famiglia in seguito ne cedette una quota ai Rota. Il castello di Torano fu costruito per difendersi dalle incursioni e i massacri Saraceni. Attualmente ciò che rimane dell’antico castello è la torre, del XIV secolo, che si erge maestosa, quasi regina del luogo ad ovest di Bocca di Teve. La sua altezza raggiunge i 30 metri ed è a pianta quadrata. Isolata, a sud del resto del complesso medievale, presenta a circa 10 metri di altezza, nel suo lato ovest, l’ingresso con un bel portale di fattura gotica a cui si accedeva attraverso un ponte levatoio. Il tipico borgo medievale dalle mura di cinta multiple è fornito, come appare dai ruderi, di ben 12 torrioni (rispettivamente 5 a sud-ovest del “mastio”, 3 a nord e 4 ad ovest) è situato su un colle tra Torano-Piazza e Torano-Villa. Al castello vi si accedeva a nord-est attraverso un’unica porta a due archi e sul frontone del primo si ammira un affresco raffigurante il martirio di S. Barbara. Sul “mastio”, ora privo di copertura, erano presenti delle vaste crepe nel lato nord che sono state riparate in questi ultimi anni. Le armi da fuoco, le macchine balistiche, le catapulte e le balestre, venivano immesse e maneggiate attraverso 2 feritoie a forma di croce, una nel lato est e l’altra nel lato ovest. Sotto al “mastio” vi erano anche le prigioni».
http://www.prolocoborgorose.it/Tutto%20Paesi/Tutto%20Torano/home%20page%20torano.htm
Torri in Sabina (borgo, castello)
«Il territorio di Torri in Sabina è ricco di testimonianze storiche. Questa abbondanza è dovuta al fatto che Torri in epoca romana era un importante municipium (Forum Novum) dove tra l’altro, secondo un’antica leggenda avrebbe soggiornato e predicato San Pietro. In epoca medievale faceva parte dei “castra specialia” della Chiesa, fortificato e munito di un sistema difensivo molto efficiente. La testimonianza più rilevante dell’importanza che assunse Torri in epoca sia romana che medioevale è data dalla presenza dell’antichissima Chiesa di Santa Maria in Vescovio che fu la cattedrale dei Sabini fino al XV secolo. Realizzata presumibilmente tra l’VIII e il XIII secolo, la chiesa sorge in località Vescovio (dove sorgeva Forum Novum) in una zona pianeggiante punteggiata di ruderi e cipressi. ... Nel centro storico di Torri in Sabina, dove sono ancora visibili le fortificazioni difensive munite di torrioni, sorge la Collegiata di San Giovanni Battista che conserva al suo interno un prezioso fonte battesimale risalente al VII secolo e alcune pregevoli tele. Oltre alla Collegiata un’altra importante Chiesa è quella dedicata a San Nicola di Bari che accoglie tra le sue mura rilevanti opere artistiche come l’affresco che raffigura la “Madonna che stende le braccia protettrici sui confratelli della Confraternita del Gonfalone”. Altro monumento importante a Torri è il castello, munito di un grande sistema difensivo, la cui fondazione risalirebbe intorno alla metà del XIII secolo».
http://www.lazionascosto.it/rocchettine.html
Torri in Sabina (castello di Rocchette o rocca Bertalda)
Torri in Sabina (castello di Rocchettine o rocca Guidonesca)
«Nel cuore della Sabina si trovano le fortezze gemelle di Rocchette e Rocchettine, nei pressi dei comuni di Montebuono, Vacone e Torri in Sabina, a pochi chilometri dal confine con l'Umbria. Le fortezze sovrastano la gola del fiume Laia, affluente del Torrente Imelle che, a sua volta, confluisce nel Tevere. Non si hanno notizie precise sui fondatori di queste due rocche e sulle famiglie alle quali appartennero prima di passare alla giurisdizione del comune di Torri in Sabina. Rocchettine ha una storia più recente: la costruzione delle mura e del fortilizio sono contemporanee a quella della vicina Rocchette (XIII secolo d.C.). Anticamente erano chiamate Rocca Guidonesca (Rocchettine) e Rocca Bertalda (Rocchette) ed il loro scopo era quello di sorvegliare e difendere l'arteria di comunicazione tra Rieti e la valle del Tevere. Le due rocche furono, inizialmente, possedimenti del vescovo della Sabina per poi passare sotto il dominio diretto della Chiesa. Alla fine del XVI secolo furono occupate dalla famiglia Savelli che le tenne per un lungo periodo di tempo. Agli inizi del '500, unitamente ad altre torri, erano feudo degli Orsini che le tennero fin quando non si estinse il casato. Nel 1728, quindi, passarono alla Camera Apostolica. All'epoca Rocchettine era già abbandonata. Con il tempo Rocchette finisce per decadere da centro fortificato a centro rurale, mentre Rocchettine mantiene pressoché inalterate le fortificazioni originarie pur nell'abbandono totale. Dopo un periodo di oblio, si arriva al novembre 1817, quando, a seguito della riorganizzazione della Sabina, il cardinal Consalvi, con un decreto, assegna al comune di Torri in Sabina il territorio in cui sorgono Rocchette e Rocchettine. Attorno alle mura di Rocchettine è possibile tuttora individuare i resti di alcune case relative all'abitato che vi sorse dopo la decadenza della fortezza. Una di queste case sembra risalire alla fine del XVII secolo e la buona fattura della costruzione ha portato gli studiosi a ritenere che fosse abitata da una famiglia abbiente. La fortezza presenta una grande torre circolare, sul lato sud, probabilmente edificata durante il periodo di dominazione da parte dei Savelli, periodo al quale risalgono le modifiche apportate alle mura (mensole e feritoie a scopo difensivo). Nel lato nord, invece, si nota una torre a base quadrata, risalente alla prima fase di edificazione della fortezza, inglobata successivamente nella nuova cinta muraria. Vicino al complesso fortificato si trova la chiesa di San Lorenzo, trasformata completamente in seguito ai lavori di ricostruzione eseguiti nel corso del '700. Escludendo la chiesa, tutto il complesso fortificato è stato edificato ricorrendo a materiali reperiti in loco, come la pietra calcarea».
http://itinera.myblog.it/archive/2011/10/03/rocchette-e-rocchettine.html
Torricella in Sabina (castello Brancaleoni)
«...Nel Registro Farfense il paese si trova già menzionato dal 1019 come "portione de ipso castello quod dicitur Torricella" (fu un certo Tedmario, figlio di Giasone, a donare il castello al monastero farfense) così come è citato nel 1047, nel 1059, nel 1066, nel 1079, nel 1086 sempre come Castellum Turricellae, forse in omaggio alla forza feudale della torre, eretta da parte dei primi feudatari. è pur vero che, in un antico libro parrocchiale, il sigillo porta ancora il motto "Turris Celiae" a conferma della leggenda sulla bella Celia. Con certezza si sa che l'attuale torre è un resto di un castello dei Brancaleone, proprietario del feudo comprendente anche i castelli di Stipes, Frasso e Ginestra, nel XIV secolo. Fu poi feudo dei Cesarini che vi eressero il palazzo patrizio, ancora oggi visibile, addossato alla torre stessa. Il torrione che fa cintura alla chiesa parrocchiale e che ne racchiude l'abside, ha avuto, nel medioevo una funzione militare per protezione alle invasioni barbariche. ... Nel secolo scorso, si aggregarono a Torricella la frazione di Ornaro staccatasi dal comune di Belmonte Sabino e il soppresso comune di Oliveto Sabino, dando origine alla costituzione dell'ancora attuale comune».
http://www.gosabina.com/comuni/torricella-in-sabina/storia-di-torricella.asp
Vacone (castello Orsini Spada Clarelli)
«Il Castello medievale di Vacone è situato sulla sommità del colle su cui sorge il paese omonimo in piena Sabina. Questa zona è caratterizzata da una natura incontaminata, un’economia rurale e soprattutto dall’assenza di inquinamento pur essendo situata a solo un’ora di macchina da Roma e dal suo aeroporto. Il Castello è costituito da due edifici, una corte-belvedere e un giardino. È stato ristrutturato una decina di anni fa. L’edificio padronale è costituito da 2 piani fuori terra che insistono su una superficie di circa 350 mq. Il primo piano seminterrato (ex cantine), coperto da un soffitto con volte a botte, è stato utilizzato, per molti anni come ristorante e se ne conservano ancora le attrezzature. Il secondo edificio (di servizio), insiste su una superficie di circa 125 mq ed è diviso da quello principale da una corte interna. Si sviluppa su 3 piani e non ha piani seminterrati. L’estremità nord presenta una torretta di guardia accessibile dal 2° piano. Inoltre al primo piano e al piano terra ha un’appendice in cui erano sistemate le stalle e gli ambienti di servizio. Un cenno particolare merita il giardino esposto a nord, non grande, ma occupato per circa la metà della sua superficie dalla chioma eccezionale di un leccio plurisecolare che costituisce uno dei maggiori pregi naturalistici e ambientali offerti dalla zona. L’edificio principale è caratterizzato da grandi saloni coperti a volta o con soffitto in legno a cassettoni dipinti con decorazioni originali di un’eleganza severa. I pavimenti sono per lo più in cotto del’epoca. La copertura del tetto è con falde a padiglione e manto a coppi. Il Castello si presta per essere trasformato in albergo di charme o centro benessere e/o congressi. Le origini del castello si perdono in età preromana: non si esclude infatti l’esistenza sull’acropoli del colle di un antichissimo santuario dedicato alla divinità sabina Vacuna (da cui il nome del paese). Nel Medioevo il castello è stato citato nel 1027 tra i doni dell’Abbazia di Farfa da parte di Susanna di Landolfo e di Taxia. Pasò poi agli Ogdoline, che nel 1237 lo vendettero a Papa Gregorio IX. Nel 1364 divenne proprietà degli Orsini e nel 1518 Cecilia Orsini lo portò in dote ad Alberto Pio di Savoia. Nel 1595 lo ereditarono i Caetani che lo stesso anno lo vendettero agli Spada. Nel 1724 infine il Castello fu venduto al nobile reatino Nicolò Clarelli, i cui discendenti lo hanno abitato fino agli anni più recenti cedendolo alla famiglia Cirillo nel 1990».
http://www.castellidelazio.com/castellodivacone.htm
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