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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO
in sintesi
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Albosaggia (torre di palazzo Paribelli)
«Venne costruito intorno al XI
secolo dai Capitanei feudatari di Sondrio. La particolare disposizione delle
sue stanze e la presenza di una torre centrale (Torre di Torzone) fanno
supporre che la sua funzione principale fosse quella difensiva come molti
altri edifici presenti sul territorio valtellinese. La torre, che prendeva
il nome dal vicino torrente Torchione, insieme ad altri castelli e torri,
faceva probabilmente parte di un sistema difensivo. In seguito l’edificio
venne trasformato in dimora signorile e fu residenza stabile dei signori
Carbonera che lo ampliarono. Solo nel 1584, in seguito al trasferimento a
Sondrio dei Carbonera, venne acquistato dalla famiglia Paribelli, attuale
proprietaria a da cui porta il nome. I Paribelli lo sottoposero ad ulteriori
modifiche al fine di adattarlo alle esigenze della famiglia, come
testimoniato dallo stemma che sovrasta il portale tardo cinquecentesco
attraverso il quale si accede all'ampio porticato. Il fronte principale si
affaccia sulla valle e, come denunciano con chiarezza le murature,
corrisponde ad una delle parti più antiche del complesso. All'interno del
palazzo sono stati rinvenuti importanti affreschi risalenti all'epoca
medioevale ed un affresco del primissimo Cinquecento raffigurante la
"Madonna con Bambino e il Martirio di Beato Simonino" di Battista Malacrida
di Musso; quest'ultimo è conservato nella Sede della Banca Popolare di
Sondrio. I locali del Palazzo sono piuttosto spogli, tranne che per alcuni
elementi di pregio tra i quali un grande camino in pietra posto al piano
terreno in un grande salone a volta reticolare.
è tuttavia salendo al primo
piano che si raggiunge la stanza più bella e famosa del palazzo: la
cinquecentesca stüa voluta per ragioni di rappresentanza da Giovanni Giacomo
Paribelli che nel 1581 aveva ottenuto il diploma di nobiltà dall’imperatore
Rodolfo II. Si tratta di una stanza completamente rivestita di legno, con le
pareti e il soffitto riccamente intarsiati e intagliati forse ad opera di
Arnold Thiefeld, presente a quel tempo in valle. Era certamente l’ambiente
più signorile della residenza, dove non a caso figurano scolpiti nel legno
gli stemmi dei Carbonera e dei Paribelli, e veniva riscaldato da una bella
stufa “forata” da coppelle in pietra ollare che veniva alimentata tramite
un'apertura ricavata in una stanza adiacente. Il castello è circondato da un
grande giardino sui cui sorge l'oratorio dei Santi Nicola Tolentino e
Vincenzo Ferrerio, costruito nella seconda metà del '400 dai Carbonera,
ristrutturato nel 1558 e, successivamente, nel 1621 dai Paribelli che lo
adibirono a cappella sepolcrale».
http://castelliere.blogspot.com/2011/11/il-castello-di-sabato-5-novembre.html
Andalo Valtellino (ruderi del castello)
«Il Comune di Andalo è uno tra
i più piccoli di tutta la Valtellina con i suoi 6,668 kmq. Dal fondovalle:
205 m. s.l.m. si estende lungo il versante orobico fino a toccare i 2259 m.
del Pizzo Stavello. Il territorio presenta, nel suo piccolo, tutte le
caratteristiche del borgo orobico agricolo: coltivazione di mais, estensioni
coltivate a foraggio, necessario per allevare il bestiame, bosco ceduo e
pascolo salendo in quota. ... Oltre l'abitato, presso i ruderi del castello
medioevale si trova la chiesa di S. Giorgio con un affresco del 1557
raffigurante la Crocifissione. ...».
http://blackite73.iobloggo.com/471/andalo-valtellino
Ardenno (castello di San Lucio)
«Di un castello di San Lucio,
menzionato da testimonianze storiche, che venne eretto, probabilmente dai De
Capitanei, nell'attuale località di San Lucio, o in località Castello (uno
sperone chiuso ad ovest dal fosso del Gaggio), non restano ora, dopo la
distruzione nel 1249, che scarsissime ed incerte tracce. Esso si inseriva in
un sistema di fortificazioni che comprendeva anche una torre a Forcola ed
una fortificazione a Buglio, di cui resta traccia solo nei documenti, ed un
castello in Val Masino, che rimase in piedi fino al Seicento. ...».
http://www.webalice.it/massimodeicas/ardenno/
«Il palazzetto Besta di Bianzone, immerso nelle sua silenziosa decadenza, si presenta come esempio di dimora nobiliare alpina rinascimentale. La sua storia e le sue origini, il suo eminente valore artistico e la sua dignitosa riservatezza, difesa dal verde che la circonda, creano fra questa antica dimora cinquecentesca ed il visitatore un rapporto molto particolare. Circondato da due ettari di terreno, ha conservato i suoi tratti originari con i suoi snelli comignoli, le lunette del cornicione di gronda, le simmetriche aperture contornate di pietra verde e la colombaia ai margini della proprietà, anch'essa con affreschi e decorazioni documentando quello che un tempo, doveva sembrare uno splendore irraggiungibile in contrasto con la povertà dei contadini. Varcando il cancello che dà sulla via Algherone, si entra nel cortile dal quale si riconosce la caratteristica forma a “U” della pianta del palazzo di matrice medioevale. Il corpo di fabbrica trasversale, immediatamente di fronte all'ingresso, presenta al piano terra una nicchia affrescata, anch'essa in stato di avanzato degrado. Il pozzo marmoreo esagonale che si trova all'interno e che potrebbe risalire al ‘700, doveva essere in passato di grande effetto. Al primo piano, si trova un interessante loggiato, costituito da cinque campate con archi a tutto sesto impostati su pilastrini in pietra verde di Tresivio, e da una struttura orizzontale con volte a crociera, sormontato da una torretta con orologio coronata da un cupolino barocco che domina il cortile sottostante.
A sinistra, si staglia il corpo principale del fabbricato. Di forma
rettangolare (i lati sono di circa 32 per 20 metri), con l’ingresso sul lato
maggiore rivolto a mezzogiorno, questa parte dell'edificio è costituita da
murature in pietra intonacate e si sviluppa su tre piani, oltre alle
cantine. Entrando dal portone del corpo principale del palazzo, ci si
imbatte in una ripida scala, con una graziosa volta affrescata a grottesche
che conduce ai piani superiori. A sinistra della scala, l'ingresso in una
cucina con una particolare volta a ombrello e un grande camino. Adiacente,
un piccolo locale foderato di legno. Ancora al pian terreno, i vani ricavati
dalla chiusura del porticato ospitavano l'antico torchio e altri attrezzi
agricoli. Al primo piano, si trova il salone principale. Rettangolare, di
circa 4 per 8 metri, illuminato da tre ampie finestre sul lato di
mezzogiorno che danno sul cortile, ricorda, con la sua volta ad “ali di
pipistrello”, la sala da pranzo del palazzo Besta di Teglio. Sulla volta
sono raffigurati alcuni episodi della Gerusalemme Liberata di
Torquato Tasso. Il secondo piano, dissestato gravemente, ha vani con
pregevoli soffitti a cassettoni, mentre il piano cantinato è a volte. Il
tetto a due falde e a padiglione, recentemente restaurato, con la struttura
in legno e un manto di copertura in ardesia, ostenta i caratteristici
comignoli a torretta sagomata propri dell’epoca oltre che dell’architettura
valligiana. Meno rilevante è invece il basso edificio ad uso agricolo,
costruito nel XIX secolo, che prolunga il corpo di fabbrica del lato a sud.
Dal 2004, il Palazzetto Besta con i suoi 15.000 metri quadrati di terreno è
diventato proprietà del Comune di Bianzone».
http://www.ecomuseoterrazzeretiche.it/files/interesse_details.aspx?id=13
(a cura di Vanda Cerveri)
«Ecco come Ercole Bassi, ne
La Valtellina, Guida illustrata, del 1928, presenta Biolo: "Sopra
Ardenno vi è la frazione di Biólo (cooperativa di cons. agric.), la cui
chiesetta possiede una tela coll'Assunzione, di Ant. Canclini da Bormio,
della fine del 500, coi primi caratteri del barocco, che non è dei migliori
di questo artista; e dipinti di P. Ligari. Sotto Biolo si scorgono gli
avanzi di un castello". L'allusione della Guida fa forse riferimento
ad una fortificazione edificata dai Capitanei non distante dal Castelliere
di Scheneno, del quale parla lo storico Giustino Renato Orsini, che vi
ipotizza insediamenti risalenti all'ultimo neolitico o alla prima metà
dell'età del ferro. Il luogo che giustifica l'ipotesi è il Caslàsc (Caslaccio),
riportato su antiche carte pagensi, nei pressi dell'attuale Scheneno, sotto
Biolo, quindi ad una quota approssimativa di 520 metri, sullo sperone posto
proprio all'imbocco della Val Masino. Il toponimo, secondo lui, come quello
di Caslido (località sul versante meridionale della Colma di Dazio), rimanda
al concetto di "castelliere", ben distinto da "castello" (che si riflette,
invece, nelle voci dialettali "castèel" e "catég"). Un castelliere è, in un
certo senso, l'antenato del castello: si tratta di un piccolo villaggio
fortificato, costituito da una torre centrale e da una cerchia di mura, di
cui sono rimaste tracce, che rimandano ad epoche preistoriche, nell'Istria e
nella Venezia Giulia. In epoca romana queste strutture furono utilizzate
come fortilizi, spesso trasformati, infine, in epoca medievale, nei più
conosciuti castelli. Se l'Orsini ha ragione, dunque, la zona di Scheneno era
abitata già sin dalla fine dell'età della pietra. Ma si tratta solo di
un'ipotesi toponomastica. Per quanto riguarda la storia più antica di Biolo,
invece, siamo abbastanza sicuri che il suo territorio si sottraeva, in età
medievale, alla dipendenza feudale dal vescovo di Como, cui invece era
assoggettatata Ardenno. ...».
http://www.paesidivaltellina.it/ardenno/biolo.htm
(a cura di Massino Dei Cas)
Bormio (castello Alberti e castello di San Pietro)
«Proseguendo lungo quella che
un tempo era detta Via Indipendenza e prima ancora Via Magna, raggiungiamo
l’imponente e massiccia torre Alberti (fine XIII secolo), detta anche Torre
Marioli o Torre di Dossiglio. La torre raggiunge l’altezza di 24 metri. è
realizzata in pietre bugnate e nella parte alta conserva tutt’intorno delle
mensole a triplice aggetto. In origine all’interno della torre si trovavano
delle stanze in legno che sono andate perse durante una ristrutturazione,
nel corso della quale la torre si "arricchì" di nuove aperture. Si
conservano comunque tracce delle vecchie finestre e delle feritoie. La torre
è rimasta famosa per aver ospitato personaggi storici importanti come Bianca
Maria Sforza, che andata in moglie all’imperatore Massimiliano I d’Asburgo,
nel 1493 si apprestava a compiere il viaggio che l’avrebbe congiunta al
futuro sposo dimorante ad Innsbruck. Nel 1496 Ludovico il Moro soggiornò
nella torre con il suo nutrito seguito. Attraversando il cortile a lato
della torre Alberti, raggiungiamo Palazzo Alberti, edificio di origine
medievale che subì nel corso dei secoli diversi rimaneggiamenti. La
sovrapposizione di stili diversi è ben visibile in tutta la facciata:
finestre strombate, inferriate, resti di decorazioni a graffito dovevano un
tempo ornare delle finestre. Su tre lati dell’edificio vengono conservate
ancora delle antiche e belle meridiane. Risulta essere particolarmente
curiosa la meridiana della facciata est (1656) che si propone al passante
con un motto: "Questo è signori miei l’obbligo vostro, spender quel tempo
ben ch’io qui vi mostro".
Un portale a sesto acuto, sovrastato da pittura riportante la data 1632 -
anno dell’istituzione del collegio gesuitico - e da frammenti di affreschi,
fra i quali si riconosce una parte mutila di un martirio di San Sebastiano,
introduce nel palazzo. Appena varcata la soglia ci si presenta un affresco
con lo stemma del re di Francia e del duca di Milano, Luigi XII, riportante
il biscione milanese ed il giglio di Francia. La scritta "Ludovicus Rex
Francorum, Mediolani Dux 1509",
ricorda i dodici anni di dominio francese dopo la sconfitta del Moro
nel 1500. Una scala con pareti ornate da graffiti ci conduce in quella
che anticamente doveva essere la cappella del Palazzo: è qui
conservato un pregevole affresco raffigurante l’Adorazione dei
Magi, purtroppo mutilo a causa della trasformazione del locale, nel
quale l’originaria copertura piatta del soffitto fu sostituita
con una volta. Affinità stilistiche con l’affresco
conservato presso la chiesa del Santo Crocifisso, ci permettono di
attribuire l’affresco al pittore milanese Bartolino De Buris, che
lo realizzò intorno al 1480. Al piano superiore si conserva una
"Stùa" in legno con pareti intarsiate. L’architrave della
porta d’ingresso riproduce la scritta "Hodie Mihi Cras Tibi"
(oggi a me, domani a te) e la data 1605, accanto alla raffigurazione ad
intarsio di uccelli ed altri animali. Nel 1611 palazzo Alberti fu
ceduto dalla proprietaria Caterina Degli Alberti - unitamente a delle
rendite - alla Comunità di Bormio per essere utilizzato a favore
dell’educazione scolastica. Il collegio, condotto dai Gesuiti dal
1632 alla soppressione dell’ordine nel 1773, venne poi gestito
dai Barnabiti. Nel corso del 1600 l’edificio subì una
serie di rifacimenti che trasformarono l’edificio da abitazione
privata ad istituto di uso pubblico. Fu in quest’epoca che si
decise di sostituire la chiesa con un’altra più capiente e
spaziosa. Infatti la chiesa di San Bernardo anche se ristrutturata nel
1606, era diventata piccola ed insufficiente alle esigenze di culto.
Due lapidi ne ricordano l’antica ubicazione al civico n.
26».
http://www.alpinia.net/libri/bormio/magg1.htm
Bormio (palazzo e torre De Simoni)
«L’edificio, che oggi al suo
interno ospita il museo civico, apparteneva un tempo alla nobile famiglia
dei De Simoni, il cui stemma, raffigurante una scimmia che regge un ramo ed
un aquila, campeggia ancora oggi al di sopra del portone d’ingresso. Il
Palazzo De Simoni si compone di tre corpi principali in muratura con pietre
angolari e bugne sviluppati attorno alla imponente torre medioevale a base
quadrata. Risale al XVII secolo e fu costruito partendo dall’antico castello
già presente in epoca precedente. Annessa vi è la piccola cappella di
famiglia dedicata alla Beata Vergine del Buon Consiglio a cui si accede
anche tramite un collegamento interno. Questa chiesetta, realizzata nel
1687, fu utilizzata fino al 1974, anno in cui morì Lotti De Simoni, ultima
erede del nobile casato. Il portone d’ingresso, scolpito a rilievo, è in
pietra verde locale e fa da cornice a un imponente portone in larice
intagliato su cui spicca un batacchio e un grosso catenaccio in ferro
battuto. Molto bella la lunetta presente caratterizzata da decorazioni
floreali in ferro battuto, opera di artisti bormini. Internamente il palazzo
ha numerose stue, le tipiche stanze bormine interamente rivestite in legno
in cui vi sono grandi stufe in muratura. Vi è inoltre un brolo interno
snodato su tre piani degradanti racchiuso da alte mura perimetrali e in cui
un tempo vi erano coltivati alberi da frutto. Il Palazzo è sede municipale
del Comune di Bormio».
http://www.bormio3.it/centro_storico_monumenti/palazzo_de_simoni.php
«La Torre della Bajona, o Torre
delle Ore domina la piazza principale di Bormio ed è con il Kuerc uno dei
simboli della Magnifica Terra. Il nome Bajona è dovuto all’enorme campana
che un tempo vi era collocata. Anticamente infatti, il Consiglio maggiore
che reggeva il contado e le adunanze popolari, venivano convocate dal suono
di quest’enorme campana che, date le dimensioni, poteva essere sentita
distintamente a grande distanza anche nelle vallate circostanti chiamando la
popolazione alle adunanze per l’amministrazione del paese. I rintocchi
scandivano anche altre occasioni della vita del Contado quali le feste
popolari, l’avvicinarsi del nemico o lo scoppio di un incendio. La leggenda
narra che con l’avvicinarsi delle truppe viscontee, ormai prossime
all’invasione, per la gran foga con cui venne fatta suonare per ore, cadde
dalla torre frantumandosi. La Bajona venne infatti distrutta nel 1376 in
occasione dell’invasione delle truppe viscontee guidate da Giovanni Cane che
distrusse anche il sovrastante Castello di San Pietro. Le campane
attualmente presenti sono ricavate dalla fusione di quell’unica enorme
campana di un tempo. La Torre appartenne alla famiglia Alberti, nobili di
Bormio, già a partire dal XIII secolo e faceva parte di quella che era
definito “quadrilatero degli Alberti”, una sorta di area fortificata di
proprietà dell’antico casato nobiliare. Nel corso del tempo, la sua
originaria struttura ha subito delle modifiche: venne rialzata inizialmente
nel xv secolo mentre nel 1498 vennero aggiunti agli angoli quattro merli che
servirono da sostegno alla cupola in legno che la sovrastava. Altri
interventi vennero eseguiti a seguito dei gravi danneggiamenti in occasione
dei saccheggi del 1620. Nel 1855 la torre fu danneggiata gravemente da un
incendio che indusse a ridurre ulteriormente le dimensioni della campana. In
quest’occasione vennero costruiti i tre merli ghibellini per facciata così
come ancor oggi li vediamo. Sulla sua facciata, oggi completamente
restaurata, è possibile ammirare una meridiana e un affresco raffigurante
l’antico stemma del comune di Bormio».
http://www.bormio3.it/centro_storico_monumenti/torre_delle_ore_bajona.php
«L'abitato di Caspano mostra,
diversamente da tutti gli altri centri del Comune di Civo, i segni di un
passato nobile grazie ai numerosi palazzi che la famiglia Parravicini volle
edificare, avendo scelto appunto questo luogo come sede stabile per la sua
salubrità e la felice posizione. Il borgo fu famoso tra il '200 ed il '500
tanto da diventare una piccola corte, come ricorda il novelliere Marco
Bandello nelle sue opere. Ma questa ricchezza e nobiltà sono ora un lontano
ricordo. Gli stessi edifici un tempo nobili sono stati significativamente
modificati ad uso della prevalente attività contadina. Il palazzo del
podestà, ad esempio, all'ingresso del paese, è ora deputato ad esclusivo uso
agricolo. Miglior sorte è stata invece riservata agli edifici religiosi dove
l'impronta barocca è qui ben viva e con felici risultati».
http://www.comune.civo.so.it/mainPortal/index.php?option=com_content&task=view&id=160&Itemid=226
Castello dell'Acqua (torre castellare)
«La famiglia dei Quadrio di
Ponte e Chiuro probabilmente fu proprietaria, temporaneamente, anche dei
castelli dei De Laqua, D’Ambria, di Sazzo, di Albosaggia e forse di Caiolo.
... La cappella dedicata a S. Michele si ergeva a ridosso del castello “De
Aqua”. Ancora oggi esiste il cunicolo, ora non più percorribile, che
collegava la chiesa con il Castello; si notava l’imbocco, prima che venisse
murato per questioni di sicurezza, sul lato ovest della parrocchiale all’
inizio della gradinata che porta all’ingresso laterale del presbiterio. Nel
succitato castello, nel 1470, risiedeva ancora un certo Balsarino De Laqua.
... Molto probabilmente svolsero un importante ruolo anche le opere militari
della sponda del Castello costituite dall’omonimo castello dei Dell’Acqua,
dalla Torre di guardia sita in contrada Curtini (di cui esiste tutt’ora la
struttura che è adibita a fienile), e da vari altri edifici di tipo
fortificato sparsi tra le contrade della sponda come a contrada Nesina ed in
Località Le Piatte».
http://www.comune.castellodellacqua.so.it/index.php?option=com_content&view=article&id=22:storia-di-castello-dell-acqua&catid=13:storia&Itemid=51
Castione Andevenno (Castel del Lance e Castel Leone)
«...La città, la Valmalenco,
Andevenno e altre località strategiche vennero fortificate in più riprese.
Sappiamo, ad esempio, che nel 1331 Egidio de Capitanei e Romerio Azario
munirono di un castello e di mura la motta del Lance sopra la zona di
Balzarro (ove i de Capitanei verso il 1080 avevano fondato un convento
tenuto dagli Umiliati), divenuta forse malsicura dopo gli assalti subiti nel
1327, allorché i de Capitanei con gli Interiortoli di Montagna riuscirono a
strappare ai Rusconi di Como, di parte ghibellina, il castello di Grumello
ad oriente di Sondrio. Inoltre gli stessi de Capitanei provvidero a
fortificare l'altura sopra Andevenno, ove ora sorge la Chiesa di S. Rocco,
con un secondo castello, denominato da alcuni castello del Leone, ma che
forse si chiamò più semplicemente Castiglione, ovvero piccolo castello o
castelletto, perché di mole inferiore sicuramente del castello Masegra di
Sondrio e forse di quello del Lance.
è comunque certo che da quella
fortificazione derivò il nome di Castione, località nel territorio di
Andevenno (libero comune per privilegio di papa Giovanni XXI, sin dal 1276)
e che più tardi ne diverrà quadra e poi il centro principale. Documento
significativo di quel piccolo castello è un'iscrizione su pietra, che,
secondo F. Saverio Quadrio, venne trovata in un vecchio muro diroccato e poi
collocata sopra una fontana e che ora fa bella mostra di sè sopra la porta
del Municipio. Essa reca lo stemma dei de Capitanei e la seguente iscrizione
in caratteri gotici: "MCCCXLI. Georgius filius quondam domini Atonis de
Capitaneis Nigris fecit fieri" (1341. Giorgio figlio del fu signor Atto de Capitanei Neri fece fare). ...».
http://www.comune.castioneandevenno.so.it/storia.php?PHPSESSID=09167b82643f1fe9f836a9e39d928a71
(a cura di Battisti Leone)
Castionetto (torre dei Quadrio)
«La massiccia torre che sorge a Chiuro in contrada Castionetto ad una altitudine di 689 mt s.l.m. Alcune caratteristiche costruttive hanno portato degli studiosi a collocare la sua edificazione attorno al XIV secolo, mentre invece appare accertata con maggiore sicurezza l'appartenenza dell'edificio al nobiluomo Stefano Quadrio, fedele dei Visconti, e vincitore della battaglia di Delebio nel corso della quale, fra il 18 e il 19 novembre 1432, le truppe viscontee ebbero ragione dell'esercito della Repubblica di Venezia che aveva occupata buona parte della Valtellina. La torre sorge in posizione importante, sulla soglia del versante sinistro idrografico della Val Fontana, lunga vallata la cui testata fa da spartiacque con la Val Poschiavo in territorio elvetico. Considerata la solidità della struttura, con muri che alla base raggiungono i 2,5 m di larghezza, la torre aveva certamente un ruolo non solo di avvistamento ma anche difensivo. Infatti, nel 1487 la torre, difesa da Zenone Groppello, fu un valido baluardo contro la tentata invasione dei Grigioni. Edificata con grossi blocchi di pietra, ha pianta quadrangolare di circa undici metri per lato. Al suo interno una scala mette in comunicazione i vari piani. La torre non si è ben conservata in tutta la sua altezza e quindi non è stato possibile risalire alla tipologia della copertura. La facciata più importante è quella rivolta a Sud che presenta tre aperture: a piano terreno è il moderno ingresso, ricavato durante le opere di restauro da una preesistente sbrecciatura aperta in epoche recenti. La porta di accesso originaria è invece situata all'altezza del primo piano, spostata un poco sulla destra, mentre al piano superiore s'apre una finestra in posizione centrale. La posizione dell'antico ingresso non deve stupirci perché, per ovvie ragioni e come in tutte le altre torri, l'accesso avveniva tramite una scala di legno o un camminamento retraibile. Alcuni particolari costruttivi e le due fessure sovrastanti l'apertura, fanno pensare che in questo caso la scala di legno potesse essere stata sostituita da un piccolo ponte levatoio. La porticina si presenta particolarmente curata nei perfetti conci di pietra di cui mancavano un tempo solo quelli di sinistra, ora recuperati durante il recente restauro. Appena entrati, un passaggio a volta nella muratura permette di scendere a sinistra, al piano sottostante. Altrettanto bella e curata è la finestra del piano superiore, anch'essa arcuata e bene inquadrata da conci in pietra lavorati a regola d'arte. Piano terreno e primo piano, entrambi di un unico vano, sono ricoperti da magnifiche volte a botte. Senza finestre si presentano i lati orientale e settentrionale, mentre quello occidentale, affacciato sulla media Valtellina, reca un'altra finestra. La massiccia costruzione quadrangolare della torre offre un'impressione di forza e compattezza notevoli, impressione ancor più accentuata dai grossi conci angolari che sono stati lavorati ottenendo delle sporgenze, tondeggianti sul lato corto del masso, che si alternano conferendo un senso di maggiore unitarietà al manufatto. La costruzione è stata recentemente restaurata dopo secoli di abbandono e riaperta al pubblico nel maggio del 2003. Prima che il restauro ne rinfrancasse l’aspetto, sul lato destro della facciata d’ingresso c’era un possente squarcio di cui non si conoscono le origini. ...».
http://castelliere.blogspot.it/2016/02/il-castello-di-mercoledi-24-febbraio.html
Chiavenna (castello dei conti Balbiani)
«Uno dei simboli di Chiavenna è
il cosiddetto castello sulla piazza omonima che in realtà, nel XV secolo, fu
il palazzo dei conti feudatari dei duchi di Milano, i Balbiani di Varenna.
Eppure è stato finora poco studiato, ad eccezione dello storico don Pietro
Buzzetti che nel 1916 pubblicò una interessante descrizione dell'edificio
scritta nel 1477 dall'architetto ducale Guiniforte Solari, il quale fu
soprintendente alla Fabbrica del Duomo di Milano. Dato il suo aspetto
fortificato, il palazzo Balbiani fu spesso confuso con il castello,
collocato sulla rocca gemina retrostante l'edificio, detta del Paradiso e
Castellaccio, ricordata fin dal 973. La dimora dei conti Balbiani fu resa
inservibile al principio del Cinquecento da parte dei Grigioni, dopo una
battaglia con la milizia del temibile condottiero Gian Giacomo de Medici e
un secolo prima rispetto al castello, smantellato per ordine del Papa nel
1639. Del palazzo Balbiani rimase in piedi il perimetro delimitato dalle due
torri cilindriche e la cantina con copertura a volta. Nella seconda metà del
'700, quand'era passato in proprietà alla potente famiglia grigione dei
Salis di Marschlins, presso Coira, se ne iniziò la ristrutturazione, a
partire dalla facciata. In quell'occasione le finestre ad arco divennero
rettangolari, come sono oggi. Ma il lavoro rimase incompiuto, perché nel
1797 i Grigioni furono allontanati dai Cisalpini di Napoleone e i loro beni
confiscati. Il rudere, così modificato in facciata, sarà ricostruito solo
tra il 1930 e l'anno successivo a spese di Giovanni Battista Mazzina, un
emigrante gordonese che, al principio del Novecento, fece fortuna in
Argentina e Uruguay. Con l'intervento architettonico il palazzo divenne una
dipendenza dell'adiacente albergo Conradi & Poste, mentre oggi è abitazione
privata».
http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=/index.php?lev=107&cmd=v&id=3192
Chiavenna (palazzo Pestalozzi-Salis)
«Il Palazzo
Pestalozzi-Castelvetro sorge in piazza Pestalozzi o piazza del Canton, al
limite della contrada di Santa Maria. Al centro della piazza, su cui si
affacciano numerosi palazzi tutti della stessa altezza, ammiriamo una
fontana in pietra ollare sormontata da una scultura raffigurante un cervo
morente, la quale ha sostituito un antico obelisco monolitico, ora posto nel
Parco del Paradiso. La facciata del palazzo è piuttosto semplice e austera
ma impreziosita da finestre decorate in modo raffinato da davanzali e
cornicioni in pietra ollare, le quali creano un felice contrasto con il cupo
intonaco delle pareti. La pianta della facciata non è lineare ma cambia
inclinazione così che i raggi del sole illuminano in modo diverso le pareti
creando un effetto cromatico di luci e ombre. Si entra per un alto portone e
si accede ad un atrio coperto da tre volte a crociera. Qui ammiriamo due
porte che recano due stemmi al di sopra dell'architrave. I due scaloni, uno
dirimpetto all'altro, conducono ai piani superiori e alle cantine. Al primo
piano è possibile ammirare una stüa, ovvero un locale interamente foderato
in legno intarsiato e intagliato, ed un salone affrescato. In questo palazzo
è nato il pedagogista svizzero Giovanni Enrico Pestalozzi e, nel 1571, ha
soggiornato ed è morto il noto letterato modenese Ludovico Castelvetro, il
quale sfuggiva all'inquisizione cattolica. Oggi è sede del Centro di Studi
Storici Valchiavennaschi, attiva associazione che si impegna nella
pubblicazione di opere sulla storia locale. Essendo di proprietà privata non
è visitabile al pubblico, se non in occasione di mostre o eventi particolari».
http://www.waltellina.com/valtellina_valchiavenna/dalla_storia/palazzo_pestalozzi/palazzo_pestalozzi.html
Chiuro (Casa de' Gatti e altri palazzi)
«Casa de' Gatti. Epoca: XVI secolo. L'antico nome di via Rusca, cuntrada bela, era dovuto in buona parte alla presenza di edifici nobiliari caratteristici per forma e importanza, tra i quali non sfugge la Casa de' Gatti di notevole bellezza e interesse architettonico, ora purtroppo in stato di completo abbandono. Basta percorrere via Opifici per vedere emergere il corpo avanzato della torretta adibita a colombaia, alla cui sinistra sono poste delle belle arcate con colonne al piano rialzato, sovrastate da altre arcate decorate al secondo piano. Il portale di accesso situato su via Rusca è realizzato in pietra e porta impresso lo stemma de' Gatti. Nello stesso materiale sono realizzati i davanzali delle finestre, lievemente lavorati ma di taglio semplice. Le strutture sono fortemente degradate, come precedentemente accennato, di conseguenza ne è vietato l'accesso per questioni di sicurezza».
«Palazzo Quadrio de Maria
Pontaschelli (ora Bresesti Balgera). Epoca: XVI-XVIII secolo. L'edificio è
collocato nella periferia nord del centro storico lungo via Borgofrancone,
dove si trova anche la Casa Gandola Quadrio. La forma a T del palazzo è
costituita da una parte del XVI secolo (lato nord-est) e da una aggiunta
databile attorno ai primi decenni del XVIII secolo. L'accesso è situato
sulla via già citata, tramite un bellissimo portale settecentesco che
immette nel cortile, diviso da una passerella sorretta da due arcate
poggianti su due colonne, che collega il piano nobile ad un ampio giardino
su più livelli. Sulla destra del cortile è collocato un porticato formato da
cinque archi sorretti da colonne, dal quale si accede ad uno scalone che
porta ai piani superiori. Di fronte all'entrata, sul fondo del cortile, è
presente un interessante portale a sesto acuto, ornato con lo stemma Quadrio,
sopra il quale spiccano due balconcini settecenteschi decorati stucco.
L'edificio non mostra segni di interventi importanti sulle strutture: si
rileva solamente il recente rifacimento della copertura. All'interno al
piano nobile si segnalano diversi ambienti interamente affrescati con scene
mitologiche e bibliche (prima metà del XVIII secolo) e una stüa con figure e
stemmi scolpiti forse del Seicento (in seguito alienata ed ora conservata in
Inghilterra). Un secondo cortiletto con accesso da un portale a sesto acuto,
sormontato dallo stemma Gaifassi, pochi metri più ad est del primo portale,
è caratterizzato dalla presenza di una loggia in legno a due piani, ora
purtroppo fortemente degradata (stemma Quadrio su un pilastrino)»
http://www.sondrioevalmalenco.it/09_arte/05_palazzi/chiuro.html
Chiuro (castello di Stefano Quadrio)
«Epoca: XVII secolo.
Sicuramente l'edificio di maggior spicco nel centro di Chiuro è l'attuale
Casa Vinicola Negri, meglio conosciuta come Castello di Stefano Quadrio.
Collocato nelle immediate vicinanze della chiesa parrocchiale, al visitatore
che giunge nel paese da corso Maurizio Quadrio presenta una piccola parte
del suo reale sviluppo e nasconde la sua antica funzione dietro la parvenza
di casa nobiliare. Nel corso dei secoli ha subito numerosi interventi di
recupero ed adeguamento alla funzione attuale di abitazione e di azienda
vinicola. Solo percorrendo via Torre si riescono a leggere in maniera chiara
le antiche fortificazioni con la presenza in particolare di una
caratteristica caditoia a cappa. Diversi sono i portali che si trovano lungo
il perimetro dell'edificio, quello sicuramente di maggior interesse è
collocato sulla piazza, di taglio barocco con portone lavorato, che da
accesso all'intero edificio. Da quest'ultimo si accede ad un cortiletto,
alla sinistra del quale si notano due ordini di archi sovrapposti
originariamente utilizzati come camminamenti. Nella parte che dà su via
Ghibellini, una serie di merli collocati su di un muro nasconde un
terrazzo-giardino realizzato probabilmente sugli antichi spalti. La facciata
su questa via presenta diverse decorazioni in stile risalenti al 1929.
Internamente si segnala la presenza di una stüa ottocentesca realizzata dopo
l'asportazione dell'originale (forse venduta al British Museum di Londra?) e
di due camini in pietra verde».
http://www.sondrioevalmalenco.it/09_arte/05_palazzi/chiuro.html
Cosio Valtellino (borgo e casa Vaninetti)
«La contrada Sacco (700
m.s.l.m.) è posta in comune di Cosio Valtellino, nella bassa Valtellina,
all'imbocco della Val Gerola, sul versante sinistro orografico.
L'insediamento si distingue dalle altre contrade orobiche per la posizione
sul versante: in genere infatti queste sono abbarbicate su ripide coste
conquistate alla montagna. Sacco, invece, sfrutta un felice ripiano protetto
dai venti. Attualmente è abitato da circa trecento abitanti residenti e ha
risentito, meno di altri villaggi, lo spopolamento del secondo dopoguerra,
grazie alla vicinanza della cittadina di Morbegno. In 15 minuti è infatti
possibile scendere a valle svolgendo anche un lavoro pendolare. Questo
nucleo si rivela al visitatore di oggi come un tranquillo e silenzioso
paesino, animato solo in estate dal consueto turismo che popola tutte le
vallate alpine. Basta però attraversare i sentieri pedonali, le viuzze
lastricate di ciottoli, per rendersi conto di come, in altre epoche,
l'insediamento abbia vissuto momenti di vivacità culturale, ora impensabili.
Nonostante le trasformazioni radicali subite da molte abitazioni, il nucleo
del villaggio di Sacco, rivela le origini antiche, medioevali: nell'uso
sapiente dei materiali locali, nelle architravi e nelle arcaiche finestrelle
trilitiche, nei ballatoi lignei, nelle corti e nei sottopassi e, in
particolare, nei molti affreschi del secolo XV e XVI posti sull'esterno
delle dimore rurali. Tra tutte queste dimore decorate, già nei primi decenni
di questo secolo, ne veniva segnalata una, sulla "Rivista archeologica della
provincia e antica diocesi di Como" da Giacomo Pini, che si distingueva
particolarmente per l'eccezionale ricchezza delle raffigurazioni e per
l'originalità del soggetto. L'edificio è posto all'interno di una corte, in
contrada Pirondini, in una delle parti meglio conservate del paese. Gli
affreschi ricoprono interamente l'interno di un locale del piano primo e
sono annunciati all'esterno nella cornice superiore in intonaco affrescato,
ad arco, della porta di ingresso, al centro della quale è ben visibile una
testa con tre volti (la Trinità) e una scritta in caratteri gotici: "Benedictus
sit lochus iste, sit pax intranti, sit in tua gratia quam manenti".
L'edificio, fino a pochi anni orsono era adibito a stalla e fienile (stalla
al piano seminterrato, fienile nel locale affrescato e piano primo
abbandonato a causa della caduta o demolizione del solaio) con a fianco da
una parte ciò che rimaneva di una casa diroccata e, dall'altra, una piccola
costruzione a suo tempo utilizzata come metato. ...».
http://www.dariobenetti.it/dbenetti/progetti18.htm
«La storia dei Peregalli a
Delebio inizia nel 1577 quando Antonio Peregalli (Pelegalus) scese dal
piccolo borgo montano di Gerola, per stabilirvisi definitivamente. Nel
centro della bassa valle, grazie ad una moderna vena imprenditoriale, la
famiglia salì velocemente i gradini gerarchici, fino ad assumere il ruolo di
protagonista nella vita economica e culturale, quindi anche artistica del
paese. L’epoca d’oro della famiglia è collocabile tra la fine del XVII
secolo e la prima metà del XVIII secolo. A questo periodo risale la
sistemazione del loro palazzo, sorto sulle rovine di una grangia
cistercense, e reso comodo e raffinato a partire dal 1687 per volontà di
Giovanni Pietro notaio e valido giureconsulto. I Peregalli legano
indissolubilmente il loro nome anche alla storia pre-industriale
valtellinese, furono loro infatti a costruire il primo opificio per la
lavorazione della seta in provincia, opificio attivo fino agli albori del
‘900, dando lavoro a non poche famiglie della Bassa Valle. Annesso al
Palazzo sorge il piccolo tempio di San Gerolamo, un autentico gioiello
dell’arte del XVII secolo che, con ogni probabilità, si deve all’architetto
Pietro Solari di Bolvedro».
http://www.zerodelta.net/guide-di-viaggio/sondrio-e-la-valtellina/morbegno.php
Faedo Valtellino (contrada Gaggi, casa-torre)
«Nel basso medioevo la
comunità di Faedo era legata da vincolo feudale alla potente famiglia
ghibellina dei Quadrio di Chiuro e Ponte, per cui, nella contesa fra Milano
e Venezia per la Valtellina, rimase fedele ai Visconti di Milano.
Alla risolutiva e sanguinosa battaglia di Delebio del 1432, che vide la
rotta delle truppe venete, partecipò anche un contingente di soldati di
Faedo, agli ordini del celebre condottiero Stefano Quadrio. Tale fedeltà
venne ripagata, per cui Faedo, come Tresivio, Albosaggia, Ponte, Chiuro e
Sazzo, fu esonerata dal pagamento dei tributi ai duchi di Milano. Qualche
decennio più tardi un diploma del duca di Milano Francesco Sforza, datato 23
agosto 1476, concedette a Faedo anche l'esenzione dal pagamento di 100 lire
imperiali, sempre per la fedeltà dimostrata. Segni dei secolo che videro in
Valtellina l’aspra contrapposizione dei partiti guelfo e ghibellino restano
nella contrada Gaggi, posta su uno sperone roccioso che cade a picco sulla
Val Venina: qui si possono ancora individuare i resti di una torre, posta in
situazione strategica per avvistamenti e segnalazioni, ma anche per
controllare gli accessi ad una valle economicamente preziosa per le sue
miniere di ferro, già sfruttate in età medievale».
http://www.webalice.it/massimodeicas/faedo/index.htm
(a cura di Massimo Dei Cas)
«...Già dalla piana di
Chiavenna non si può fare a meno di notare, all'imbocco della Val Bodengo,
un isolato cocuzzolo roccioso sormontato da una torre. Si tratta della Torre
del Signame, risalente al X secolo e ben restaurata nel 1998, postazione di
vedetta e segnalazione parzialmente smantellata nel 1500 dai Grigioni. I
boschi che si attraversano per compiere questo anello testimoniano di
un'antica estesa frequentazione: muri a secco, baite, terrazzamenti ormai
ridotti perlopiù a rudere. Notevole la "Cà Pipeta", una baita di inconsuete
dimensioni interamente costruita sotto un larghissimo masso: due piani di
stanze, stalle, dispense e anche una cantina con sorgente interna. Da
Ronscione 310 m, proprio al margine del piazzale di parcheggio, si seguono
le numerose indicazioni che mandano a imboccare una ripidissima mulattiera a
fondo un po' smosso (usata anche per lo strascico del legname a valle). Dove
la salita s'impenna ulteriormente alcune curve conducono ad una limitata
spianata con ruderi di baite: pochi metri prima di queste una scritta a
vernice su di un sasso "Cà Pipeta" indirizza verso destra. Un traverso a
saliscendi conduce, attraverso fitti castagneti, davanti al masso erratico
adattato ad abitazione; proseguendo il traverso, in pochi minuti si
raggiungono due bivi consecutivi separati da una passerella sul fondo di una
valletta umida. Seguendo le indicazioni si sale a destra in direzione della
torre: il sentiero, dopo un passaggio roccioso su cengia artificiale, risale
ripidamente una dorsale boscosa che conduce ad una seconda valletta alla
base delle rocce terminali. Una larga mulattiera a gradoni di tronchi (più
utili al contenimento del pendio che alla progressione) permette di
raggiungere il culmine granitico del colle della Torre del Signame 655 m. La
torre, costruita direttamente sulla roccia, in origine non presentava
aperture e probabilmente ne veniva raggiunta la sommità mediante scale a
pioli: ora una breccia di antica demolizione (protetta da un cancello)
permette di accedere ad una incastellatura metallica interna che consente di
raggiungere la panoramicissima sommità. Tornati sullo sperone roccioso, lo
si percorre sul culmine tra rade betulle, finché una discesa decisa - come
in un corridoio di bosco erboso - conduce sul fondo di una larga valletta
all'Avert Signame 543 m (avert = alpe). Qui si volge a sinistra e si
percorre una conca umida e oscura cintata da muri a secco (limite delle
pertinenze dell'Avert); quindi la traccia inizia di nuovo a scendere fino a
raggiungere i due bivi precedentemente incontrati: si procede diritto
lasciando a sinistra la salita alla torre e a destra il sentiero per la Cà
Pipeta. La via, sassosa e a tratti poco evidente nel fogliame, scende
collegando vari gruppi di baite diroccate nel castagneto da frutto fino a
raggiungere le case di Ronscione, al punto di partenza».
http://www.inalto.org/en/node/8301
Grosio (castello nuovo o Visconti Venosta)
«Sulla sommità del colle che
domina la Rupe Magna sorgono il castello di S. Faustino ed il Castello
Nuovo. Tra i resti murari conservati del Castello di S. Faustino e di alcune
delle strutture ad esso pertinenti si segnala il campaniletto romanico.
Restaurato nella parte superiore verso la fine dell'800, è attiguo alla
piccola cappella che conserva, al centro del presbiterio, due sepolcri
medievali scavati nella roccia: indagini archeologiche in quest'area hanno
permesso di ipotizzare l'esistenza di un edificio di culto (oratorio del
VII-VIII sec. d.C.?), anteriore alla costruzione del castello. Fra il 1350 e
il 1375 sorse il Castello Nuovo, concepito per rispondere a mutate esigenze
strategiche: è caratterizzato da una doppia cortina di mura, giustificata da
necessità difensive, e da un poderoso donjon, cioè una torre interna
fortificata, alla quale veniva affidata l'estrema difesa del castello. Sulla
sommità del colle che si innalza alla confluenza della valle del Roasco con
quella dell'Adda si ergono le imponenti vestigia del castelli di S.
Faustino, il più antico (fondato nel X-XI secolo e perdurato fino al XVI) e
del Castello Nuovo ("castrum novum", fondato nella seconda metà del XIV
secolo.
II Castello Nuovo, Fra il 1350 e il 1375 sorse, per volere dei Visconti e
con il contributo di tutta la Valle, il "Castrum Novum". Questa nuova
costruzione fu concepita per rispondere a mutate esigenze strategiche: è
caratterizzata da una doppia cortina di mura, giustificata da necessità
difensive, testimoniate anche dalla presenza di un poderoso donjon, cioè una
torre interna fortificata alla quale veniva affidata l'estrema difesa del
castello. Ad esclusione di una incursione da parte dell'esercito visconteo
al comando di Giovanni Cane, che calò su Bormio sottomettendola a Milano
(1376), il castello non venne coinvolto in fatti d'arme fino al 1526, quando
il Governo grigionese delle Tré Leghe, nuovo signore della Valtellina, ne
ordinò lo smantellamento insieme a tutte le fortificazioni esistenti in
Valle. La fortificazione fu nuovamente riattata nel corso della Guerra di
Valtellina (1620-1639) e, in particolare, durante la campagna condotta dal
Duca di Rohan nel 1635. Benché ormai allo stato di rudere, il Castello Nuovo
costituisce l'esempio meglio conservato e più interessante tra i castelli
della provincia di Sondrio. Lo scavo archeologico condotto tra 1992 e 1997
su tutta la zona sud-occidentale all'interno del Castello Nuovo (Area 6) ha
portato alla luce i resti di un insediamento sviluppatesi nell'età del
Bronzo e nell'età del Ferro (metà II-fine I millennio a.C.). I reperti
associati alle varie fasi protostoriche delineate, esposti nell'Antiquarium
del Parco, mostrano la presenza, in questo comprensorio dell'estrema
Lombardia nord-occidentale, di aspetti culturali del tutto peculiari,
caratterizzati da alterni rapporti ora con l'area transalpina dell'alta
valle del Reno (Grigioni), ora con l'area sudalpina delle Alpi
centro-orientali (Trentino-Alto Adige)».
http://www.parcoincisionigrosio.it/index.php?q=lang/it/page_title/castelli
Grosio (castello vecchio o di San Faustino)
«Sulla sommità del colle che
domina la Rupe Magna sorgono il castello di S. Faustino ed il Castello
Nuovo. Tra i resti murari conservati del Castello di S. Faustino e di alcune
delle strutture ad esso pertinenti si segnala il campaniletto romanico.
Restaurato nella parte superiore verso la fine dell'800, è attiguo alla
piccola cappella che conserva, al centro del presbiterio, due sepolcri
medievali scavati nella roccia: indagini archeologiche in quest'area hanno
permesso di ipotizzare l'esistenza di un edificio di culto (oratorio del
VII-VIII sec. d.C.?), anteriore alla costruzione del castello. Fra il 1350 e
il 1375 sorse il Castello Nuovo, concepito per rispondere a mutate esigenze
strategiche: è caratterizzato da una doppia cortina di mura, giustificata da
necessità difensive, e da un poderoso donjon, cioè una torre interna
fortificata, alla quale veniva affidata l'estrema difesa del castello. Sulla
sommità del colle che si innalza alla confluenza della valle del Roasco con
quella dell'Adda si ergono le imponenti vestigia del castelli di S.
Faustino, il più antico (fondato nel X-XI secolo e perdurato fino al XVI) e
del Castello Nuovo ("castrum novum", fondato nella seconda metà del XIV
secolo.
Il Castello di San Faustino ("Castello Vecchio"). L'edificio più antico fu
realizzato attorno al X-XI sec. sull'estremità meridionale del dosso ed è
comunemente citato, anche nei documenti, come "Castrum Grosif o, anche,
"Castello di S. Faustino", dal nome del martire romano al quale venne
dedicata, insieme a S. Giovila, la cappella castellana. I resti murari
conservati permettono il riconoscimento del perimetro del castello e di
alcune strutture ad esso pertinenti. Tra queste svetta il campaniletto
romanico, restaurato nella parte superiore verso la fine dell'800, attiguo
alla piccola cappella che conserva, al centro del presbiterio, due sepolcri
medievali scavati nella roccia: scavi recenti in questa area hanno permesso
di ipotizzare l'esistenza di un edificio di culto (oratorio del VII-VIII
sec. d.C.?) anteriore alla costruzione del castello».
http://www.parcoincisionigrosio.it/index.php?q=lang/it/page_title/castelli
Grosio (villa Visconti Venosta)
«Il palazzo Visconti Venosta
sorge a fianco della Chiesa Parrocchiale di S.Giuseppe, al limite del centro
storico di Grosio. La parte più antica della villa, cioè l’ala sinistra,
risale al 1600, mentre la parte centrale e l’ala destra sono state costruite
alla fine del 1800, rispettando lo stile rinascimentale. Fu per secoli la
residenza della famiglia Visconti Venosta ed è stata donata al Comune di
Grosio nel 1982 dall’ultima discendente, la marchesa Margherita Pallavicino
Mossi, affinché fosse adibita a Museo. Si accede alla villa lateralmente,
passando sotto un portico, accanto ad un piccolo e curato giardino. La
costruzione è caratterizzata da un corpo centrale con portico a quattro
arcate, sormontato da loggiato, e da due ali laterali. il portone
d'ingresso. Queste racchiudono un grazioso pozzo, simbolo di nobiltà,
realizzato in marmo reperito in località "Dosa" di Val Grosina. Profondo una
ventina di metri, oltre che per attingere acqua, veniva utilizzato anche per
conservare degli alimenti. Davanti alla villa si estende un ampio parco,
dove crescono maestosi alberi secolari. Sulla facciata esposta a sud–est
spicca una meridiana datata 1706 e su ogni lato si aprono portali profilati
di pietra verde e finestre dai vetri saldati a piombo, con artistiche
inferriate. Passando sotto il portico si raggiunge il portone d’ingresso
della villa. Salendo lo scalone di granito locale, si accede all’ampio
salone di rappresentanza e quindi alla sala da pranzo, alla sala d’armi,
allo studio e alle camere dei Marchesi, alle stanze degli ospiti. Si possono
ammirare pezzi d’arredo, mobili, ritratti, oggetti d’arte sacra, oggetti
ornamentali, cimeli, pezzi da collezione, raccolti dalla famiglia nelle
varie epoche storiche. In particolare sono conservate due ante dipinte a
tempera dal Valorsa».
http://scuole.provincia.so.it/ICGrosio/valorsa/villa.htm
«Dell’antico borgo medievale
restano poche testimonianze in quanto nel corso dei secoli fu più volte
saccheggiato e dato alle fiamme. In via Patriotti si trova la casa
parrocchiale ornata di angeli, testine e motivi floreali, nel cui angolo
destro della facciata è murata la colonna della berlina dove un tempo, i
condannati venivano esposti al pubblico ludibrio e nella medesima via si
trovano la cappella di S. Rocco, del 1630 e l’oratorio del SS. Crocifisso.
Tra i palazzi spiccano Palazzo Omodei del XVIII secolo e le case del
capitano Giacomo Robustelli e Stoppani del XVII e XVIII secolo, davanti alla
quale si trova una delle più belle fontane-lavatoio di tutta la Valtellina.
Ancora in via Patriotti è conservato, un torchio vinario a leva del ’700,
che è stato attivo da quell’epoca fino alla metà degli anni ’70; mentre in
via Molini 47 opera ancora il Mulino Osmetti, l’unico rimasto di una decina
di opifici che fino agli anni ’50 erano funzionanti nella zona. ...».
http://www.centrovolta.it/laviadellenergia/italiano/turismo/grosio.htm
Mazzo di Valtellina (palazzo Lavizzari)
«Fra i numerosi edifici di
Mazzo, borgo che rivestì importanti ruoli nel passato e fu una delle più
antiche pievi delle Valtellina, spicca Palazzo Lavizzari con splendido
salone rinascimentale. Palazzo Lavizzari si trova nel centro storico di
Mazzo in Valtellina, a due passi dall’antica pieve di Santo Stefano, dal
complesso chiesastico di Santa Maria con annesso Battistero romanico, uno
dei più antichi della Valle e, da numerosi altri palazzi appartenuti alle
famiglie che contribuirono, nei secoli passati, a fare di Mazzo uno dei
centri più importanti della Media Valtellina. Il palazzo si articola
compatto intorno ad una corte in lastricato e risulta composto da due corpi
di fabbrica. Quello più antico fa angolo sulla piazza e sembra sia
appartenuto alla famiglia dei Venosta di Match, insediatasi a Mazzo dopo
aver ottenuto in feudo dal vescovo di Como i territori dell’antica pieve.
Quello aggiunto in epoca rinascimentale disegna invece l’angolo occidentale
e comprende gli appartamenti di rappresentanza dei nuovi proprietari del
palazzo, i signori Lambertenghi. Fu un esponente delle famiglia Lambertenghi,
Pietro Angelo, dopo essersi unito in matrimonio con Margherita Venosta, ad
avviare la trasformazione in dimora signorile della struttura esistente e a
promuoverne l’ampliamento e la decorazione dell’ampio salone a pian terreno,
con soffitto a cassettoni datato 1536, che si accompagna al fregio dipinto
nella parte alta delle pareti, datato 1543, con stemmi a tinte vivaci tra
girali vegetali, putti, bestie feroci e figure antropomorfe. Nel 1650 il
palazzo passò ai Lavizzari che ornarono alcune stanze con decorazioni
pittoriche e a stucco. A loro si devono anche alcuni inserimenti barocchi,
come gli stucchi decorativi dell’androne, i balconcini interni in ferro
battuto e il portalino in pietra verde che, dalla corte, consente di
accedere a quella che probabilmente era la cappella del palazzo».
http://www.valtellina.it/info/112/palazzo_lavizzari_mazzo_valtellina_mazzo_valtellina.html
Mazzo di Valtellina (torre di Pedenale)
«Collocata nei boschi sopra
Mazzo di Valtellina, la Torre di Pedenale è un esempio del complesso sistema
difensivo posto a guardia delle vie che conducevano al Passo del Mortirolo.
Di grande interesse storico, urbanistico ed artistico, la torre (secolo XII)
è ciò che rimane di un antico castello edificato dalla potente famiglia
Venosta. Ben conservata, ha una pianta quadrangolare e si sviluppa su
quattro piani, nelle mura sono state ricavate feritoie e finestre aventi
scopo difensivo come già per altre fortificazioni presenti sul territorio.
Attorno ad essa poche case a schiera ed un alto muro su cui si apre una
porta costituiscono l’antica contrada fortificata di Pedenale».
http://www.valtellina.it/info/133/torre_pedenale_mazzo_valtellina.html
Mello (castello di Domofole o della Regina)
«La prima menzione del castello si trova nel poema epico De bello et excidio civitatis Comensis (ed è del 1125; il testo ci informa che il reggitore era Giordano Vicedomini). Questi proveniva da una famiglia di origine comasca legata all’imperatore, ma anche al vescovo di Como. I Vicedomini furono i protagonisti dello scenario politico ed economico della bassa Valtellina. Nel poema epico citato un anonimo poeta, nel descrivere la guerra decennale che oppose tra il 1118 e il 1127 i Milanesi e i Comaschi, ci presenta donna Galliziai, moglie di Giordano Vicedomini, che, partita da Como con alcuni cittadini comaschi, risale il lago per raggiungere il marito e i figli al castello di Domofole. Il gruppo, guidato dalla stessa Galizia, si lascia alle spalle le località pericolose dell’Isola Comacina e di Bellagio, alleate ai nemici Milanesi, poi, dopo una breve sosta a Gravedona, raggiunge prima Olonio e infine il castello di Domofole. La guerra è in una fase avversa per i comaschi: Como è assediata dai Milanesi ormai da molti giorni. Siccome i viveri scarseggiano, l’esercito comasco si organizza per inviare dei giovani valorosi a Gravedona. Lì potranno incontrare i cittadini comaschi residenti in Valtellina che li approvvigioneranno grazie ai fitti e ai censi riscossi sotto forma di prodotti della terra: segale, panìco, vino e formaggio. In questo poema viene anche messa in luce la prosperità della terra valtellinese e il vivace paesaggio agrario: allevamento, boschi e castagneti, cereali e viticoltura. Tuttavia, il castello di Domofole ebbe funzione prevalente di residenza signorile fortificata dei Vicedomini, strettamente legata all’abitato di Consiglio (Concilium) di Mello. E, ancora nel tardo medioevo e nella prima età moderna, Domofole figura come dimora di notai Vicedomini, come appare in alcune date topiche di documenti notarili rogati proprio all’interno del castello. Con l’avvento della dominazione grigione, a partire dal 1512, si registra in Valtellina una modifica delle costruzioni fortificate: vennero mozzate le torri, facendo così perdere la funzione militare e di controllo del territorio. Fu questa una precisa politica voluta dal nuovo governo, tesa ad eliminare qualsiasi possibile focolaio di ribellione e a “riconvertire” il territorio in chiave non offensiva. Il castello di Domofole, come molti altri, subì attacchi, forse nel 1524. Di certo alla fine del secolo era ridotto a un rudere, come confermato dagli Atti della visita pastorale del vescovo Ninguarda.
Risalita la montagna di
Domofole e giunti presso il castello, soffermiamoci ad osservare le
vestigia. L’attenzione ricade subito sulla grande torre centrale in pietra
locale, la parte dell’edificio meglio conservata. La torre si presenta come
costruzione a pianta quadrata, alta circa dieci metri (essendo stata
mozzata), probabilmente in antico divisa in tre piani con assito ligneo. Ha
la porta d’ingresso al primo piano e nessuna apertura nella parte inferiore,
come era usuale (la breccia che si apre a livello del calpestato fu aperta
in epoca imprecisabile, quando il castello aveva ormai perso le sue funzioni
militari). Per accedere alla torre era pertanto necessario l’uso di una
scala retrattile. Sono ben visibili anche i resti delle mura, che in alcuni
punti si ergono ancora imponenti: erano un elemento difensivo fondamentale
del castello. Nel nord Italia, nel corso del XI secolo, i castelli dovevano
essere difesi anche da fossati e circondati da siepi e palizzate: queste
caratteristiche dovettero essere presenti anche a Domofole. Tuttavia, il
principale elemento difensivo di questo castello era la sua stessa
collocazione geografica: a strapiombo sul vallone di San Giovanni.
All’interno delle mura, si leggono i resti dell’antica chiesa di Santa Maria
Maddalena, che è cronologicamente riferibile agli stessi secoli centrali del
medioevo, così come la torre. Alla chiesa, che conserva parzialmente
l’abside e una parete della navata, si accedeva scendendo alcuni gradini
rispetto al pianoro della torre. Invece il seicentesco edificio della chiesa
nuova, intitolato alla medesima santa, si trova nello spazio antistante la
torre. È una chiesa a navata unica, dove sono presenti soltanto alcuni
lacerti dell’affresco che fungeva da pala all’altare: raffigura santa Maria
Maddalena ai piedi della croce. Il castello è provvisto anche di alcuni
sotterranei, forse utilizzati come magazzini per le derrate alimentari. Il
castello è stato restaurato nel 2005 con i fondi della Legge Valtellina n°
102/90, sotto la guida della Soprintendenza archeologica, nella persona del
direttore archeologo dott.ssa Valeria Mariotti. ...».
http://www.adfontes.it/biblioteca/scaffale/cek/domofole.html (a
cura di Gisi Schena)
Mese (castello dei Peverelli o Piperellum)
«La famiglia dei Peverelli o De
Peverellis fu una delle più importanti famiglie nobiliari, che estese la sua
influenza anche su Chiavenna: da essa uscirono personaggi illustri che si
segnalarono nella vita civile e religiosa. Il centro della sua potenza era
il castello o la dimora fortificata Piperellum, edificato forse nel secolo
XII (1190), di cui però nei secoli si persero quasi interamente le tracce,
in parte perché fu distrutto dai Grigioni nel 1500, poi a causa della
funzione a cui fu adibito nei secoli successivi, soprattutto abitativa.
Rimangono ora solo alcuni segni nella contrada chiamata appunto Peverello
(o, in dialetto, Prevïl), fra i quali il più importante è l'arco con uno
stemma nobiliare, che fu fatto restaurare nel 1963 da Bruno De Peverellis, e
un cortile raggiungibile attraverso un arco a tutto sesto. Al castello era
annessa anche una chiesa, che poi venne ampliata nel secolo XVII e rifatta
nel secolo successivo. Tale chiesa, dedicata alla Madonna delle Grazie, fa
ancora bella mostra di sé fra le case della contrada ed è meta di
pellegrinaggi. Quasi inesistenti sono invece le tracce dell'esistenza del
Castello di S. Caterina, voluto da Bonifacio, Vescovo di Como nel Trecento,
e abbattuto durante la guerra dei Trent'anni. Vediamo come arrivarci.
Percorrendo in direzione nord la strada provinciale che corre quasi
parallela alla statale della Valchiavenna sul lato opposto della Mera,
superiamo Samolaco, San Pietro e Gordona. Due chilometri circa oltre Gordona
raggiungiamo Mese. Qui dobbiamo risalire nella parte alta del paese, sulla
strada per l'alpe Scigulin. Poco prima della sbarra che la chiude al
traffico dei veicoli non autorizzati, troviamo una deviazione a destra che
scende leggermente (seguire il cartello che indica la via Peverello).
Raggiungiamo così le case della contrada Peverello, dove possiamo lasciare
l'automobile a pochi passi dalla chiesa e dai resti del castello. In zona
meritano una breve visita anche la
Torre del Signame nelle alture di Gordona, ben visibile da tutta
la valchiavenna, e il tempietto di San Fedelino, nei pressi del lago di
Novate».
http://www.waltellina.com/valtellina_valchiavenna/dalla_storia/castello_piperellum/castello_piperellum.html
Montagna in Valtellina (castello De Piro o Castel Grumello)
«Il castello sorge in posizione
strategica, nel Comune di Montagna in Valtellina, su un promontorio dal
quale si domina la città di Sondrio e un gran tratto della valle. Conosciuto
come Castel Grumello per via del dosso roccioso sul quale è costruito, fu
edificato tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento dalla famiglia
comense dei De Piro, di parte ghibellina e quindi avversa ai guelfi signori
di Sondrio, i Capitanei. Il castello sorge in posizione strategica, nel
Comune di Montagna in Valtellina, su un promontorio dal quale si domina la
città di Sondrio e un gran tratto della valle.
è a una struttura gemina,
vale a dire un fortilizio circondato da mura e composto da due costruzioni
che ancora conservano i merli ghibellini a coda di rondine: quella ad
occidente, come suggeriscono l’ingresso arcuato, le ampie aperture e i
ruderi di una sala con camino, doveva avere carattere prevalentemente
residenziale, pur essendo comunque dotata di una torre con feritoie per il
corpo di guardia. Quella ad oriente, costruita con massi ben squadrati,
aveva funzione militare e comprendeva un’alta torre quadrata di avvistamento
e numerosi ambienti distribuiti su più livelli. Come la maggior parte delle
altre strutture fortificate della valle, Castel Grumello fu demolito nel
1526 dai Grigioni, ma doveva essere uno dei castelli più grandi della
provincia e comunque, stando agli scavi archeologici in corso, più ampio di
quanto si sia creduto finora».
http://www.valtellina.it/info/122/castel_de_piro_al_grumello_montagna_valtellina.html
Montagna in Valtellina (castello di Mancapane)
«Nascosto tra i boschi, il
Castello di Mancapane sorge nel Comune di Montagna in Valtellina a circa 900
mt. di altezza. Una tradizione popolare vuole che al castello fu dato il
nome di Mancapane a causa della mancanza di pane subita dai castellani in
seguito ad un lungo assedio per opera dei comaschi. Tuttavia ha maggiore
fondamento l'ipotesi avanzata dallo storico F.S.Quadrio in base alla quale
il nome deriverebbe dal greco "Catapani", nome originario di un'importante
famiglia guelfa insediatasi nel 1372 nel vicino Castello De Piro al
Grumello, i De' Capitanei. La costruzione risale al XIII secolo con funzioni
di avvistamento e difesa. Situato nella vicinanze del torrente Davaglione è
composto da una torre e da una cinta muraria. Come nella maggior parte delle
fortificazioni l'entrata è a circa 4 mt. di altezza; l'ingresso era pertanto
consentito da una scala removibile in caso di necessità. La torre è alta 21
mt. e non presenta finestre ma solo feritoie, alcune munite di scivolo per
facilitare la caduta di sassi e olio bollente in caso di attacco. Non aveva
funzione abitativa, nonostante al suo interno fosse suddivisa in più piani;
era presente un solo alloggio per la guardia, sono infatti ben visibili sul
muro di cinta le tracce che testimoniano la presenza di un camminamento di
ronda. Una diffusa tradizione locale vuole che il Castello di Mancapane e il
Castello De Piro al Grumello fossero uniti da un cunicolo sotterrano.
Gironzolando nei dintorni è possibile visitare anche il piccolo mulino di
Ca' di Mazza recentemente ristrutturato e riconsegnato perfettamente
funzionante grazie alla forza motrice fornita dal vicino torrente Davaglione».
http://www.waltellina.com/valtellina_valchiavenna/dalla_storia/castello_di_mancapane_montagna_in_valtellina...
«Palazzo Malacrida è un
edificio nobiliare settecentesco, opera dell’architetto Pietro Solari di
Bolvedro, che domina l'abitato di Morbegno. Presenta un imponente scalone
con dipinta sulla volta la scena del “Ratto di Ganimede” di Giovan Pietro
Romegialli. Al piano nobile sono visitabili: il salone d’onore decorato da
prospettive architettoniche e trompe-l’oeil del quadraturista comasco
Giuseppe Coduri, con 6 graziosi balconcini in stucco e il soffitto
affrescato da Cesare Ligari nel 1761; la sala attigua con medaglione delle
“Tre Grazie” sempre del Ligari; l’alcova decorata dal Coduri con fiorami e
finti elementi architettonici, che si affaccia ad una loggia con panorama
sulla Bassa Valtellina; la galleria ed una sala con dipinti del Romegialli.
Una passerella permette di accedere dal secondo piano al giardino
retrostante il Palazzo, disposto su 3 terrazzi digradanti, dai quali si
domina il borgo di Morbegno e la vallata fino alla Costiera dei Cèch.
Caratteristiche sono anche le antiche cantine riaperte al pubblico durante
la manifestazione “Morbegno in Cantina”, solitamente nei primi due week-end
di ottobre. è possibile visitare il palazzo contattando il Comune di
Morbegno o il Consorzio Turistico Porte di Valtellina che organizza visite
guidate».
http://www.zerodelta.net/guide-di-viaggio/sondrio-e-la-valtellina/morbegno.php
«"Piuro è un bellissimo borgo,
che si potrebbe benissimo paragonare a una cittadina per i suoi
architettonici palagi, per i campanili, le chiese ed altre costruzioni, se
fosse anche cinta di mura. Il suo nome deriva dalla parola latina “plorare”,
ossia piangere, a cagione di un lacrimevole disastro che ivi accadde in
antico. Narra infatti una vecchia leggenda che nei tempi andati questo borgo
sorgesse più addentro nella stretta gola della valle, dove una tremenda ed
improvvisa piena del fiume lo travolse, distruggendolo totalmente. In
seguito i superstiti trasferirono le loro dimore nel luogo dove sorgono
oggidì, e mutarono pure al paese l’antico nome di Belforte in quello
attuale: ad eterna memoria della passata sciagura. Piuro è il capoluogo del
territorio circostante, donde vengono gli abitatori per ricevere
giustizia…Gli abitanti sono gente operosa che attende per lo più ai
traffici; e poche piazze commerciali ci sono in Europa dove essi non
esercitino qualche industria; perciò hanno guadagnato grande ricchezza. Ma
la sventura potrebbe di bel nuovo abbattersi su questo paese, prostrandolo
una seconda volta" (Johann Guler von Wyneck, 1616)».
http://it.wikipedia.org/wiki/Piuro
Ponte in Valtellina (borgo, palazzi)
«Il centro storico di Ponte
conserva il numero maggiore di dimore e palazzi nobiliari. Nonostante il
loro stato di conservazione non sia sempre ottimale, è nella sostanza ancora
valida l’intensa descrizione di Leonardo Borgese: "Entriamo in Ponte, paese
non assurdo ma logico, paese che andrebbe tutto descritto pietra per pietra,
casa per casa, palazzo per palazzo. Ponte è un unico organismo, un
conglomerato naturale ed artistico, un nido di celle, un convento e una
fortezza […]". Non potendo qui soddisfare il desiderio di Borgese, ci
limiteremo ad una scelta campionatura. Dei vari Palazzi Piazzi, raccolti tra
le vie Ron, Piazzi e S. Francesco Saverio, tutti di origine cinquecentesca,
emerge per mole il Palazzo ora Giacomoni. Esso sorge in stretta correlazione
con altri edifici dell’isolato, aderendo a ovest al Palazzo Piazzi
Bertoletti e a est, tramite un cavalcavia su via Piazzi, a Casa Quadrio
Brunasi. Dalla strada si scorge solamente il grande corpo parallelepipedo le
cui semplici facciate sono scandite dalla successione regolare della
aperture, prive di cornici, e dal coronamento di oculi nel sottotetto. La
struttura è con buona probabilità seicentesca e rappresenta la volontà della
famiglia Piazzi di dotarsi di una dimora che fosse al passo con le nuove
esigenze rappresentative e residenziali, esigenze a cui i palazzi aviti
evidentemente non rispondevano più. All’interno lo schema distributivo è
tipico: un appartamento doppio con camere in infi lata sui due lati e salone
a due piani affacciato sull’ampio giardino tramite una terrazza. Il salone
presenta decorazioni prospettiche sul soffi tto e cornici dipinte intorno
alle porte e alle finestre. La tipologia abitativa e alcune soluzioni, come
quella del soffi tto ligneo del salone a passasotto (cioè decorato al di
sotto della trama dei travicelli), ancora seicentesca rispetto alle volte
affrescate delle dimore del Settecento inoltrato, sono segnali di una timida
ma reale ricezione delle tendenze dell’architettura residenziale barocchetta.
Anche la torre-altana è indice di una svolta, poiché ormai tipologicamente
estranea alla tradizione delle torri-colombaie. La sequenza delle case dei
Guicciardi lungo l’omonima strada ci riporta indietro al XVI secolo e pone
una serie di quesiti diversi. La residenza principale della famiglia, eretta
nel XVI secolo, si affaccia su via Chiuro e presenta una facciata molto
semplice con un portale in pietra e finestre architravate munite di
artistiche inferiate. Al di sotto della gronda è un bel fregio a monocromo
con sirene, volute e stemmi. ...».
http://www.cmsondrio.it/libri/libro_beniculturali_79_104.pdf (a
cura di Gianpaolo Angelini)
Prosto (palazzo Vertemate Franchi)
«Il complesso che comprende
palazzo, rustici ed un sistema di aree a verde con diversificate
caratterizzazioni funzionali, sorge all´estremità nord dell´abitato di
Prosto, in una posizione isolata rispetto al borgo di Piuro, distrutto da
una frana nel 1618. Grazie alla posizione climaticamente privilegiata,
l´antica Roncaglia, si è potuto dar luogo, oltre al vigneto per la
produzione del Vertemate Vino Passito, al frutteto dominato da un´esedra
monumentale, all´orto, al giardino all´italiana con peschiera in pietra
locale, nel versante a valle del palazzo, e al castagneto nel versante o
monte; queste attività sono state mantenute a lungo, sebbene con alterne
vicende, in un sito abitato pressoché fino al 1985, quando passò al Comune
di Chiavenna per lascito dell´ultimo proprietario. ...
L´edificio, dalle linee eleganti e sobrie, non fa trasparire all´esterno la
ricchezza delle decorazioni e degli arredi degli spazi interni. Varcata la
soglia del portale bugnato, con incisi i nomi dei due fratelli che fecero
costruire il palazzo e con il loro stemma sulla chiave dell´arco, si entra
nell´atrio. Le pareti e i soffitti a volta, come quelli dei locali che vi si
affacciano, sono dipinti a fresco. Solo la sala di Giunone ha le pareti
rivestite in legno con pregevoli intarsi. Nell´atrio-corridoio, che si apre
su un cortiletto che una vite canadese colora di un intenso rosso in
autunno, si incontrano le allegorie dei quattro elementi, cui fanno
riscontro sulla volta Giunone, Cerere, Bacco e Priapo, che stanno a indicare
il rapporto con la terra madre, che dispensa ricchezza e offre protezione
per gli orti, le vigne, gli armenti e le api. Visitando le singole sale, si
coglie il sapore di un tempo perduto.Due commercianti nella seconda metà del
Cinquecento seppero creare in una residenza di periferia, oggi diremmo nella
seconda casa, un ambiente raffinato, senza guardare a spese. Purtroppo non
conosciamo i nomi degli architetti che progettarono e realizzarono il
palazzo. Ignoti sono anche gli artisti che eseguirono i meravigliosi
soffitti in legno. Per gli affreschi si fanno delle supposizioni. Un tempo
li si attribuivano ai fratelli Campi, poi si fece il nome di Giovanni
Battista Castello, detto il Bergamasco. Ora si torna a ipotizzare che i
dipinti a fresco siano dei Campi, con i milanesi Aurelio Luini e Giuseppe
Meda e il bresciano Lattanzio Gambara. ...».
http://www.valchiavenna.com/it/cultura/Palazzo-Vertemate-Franchi.html
Rogolo (resti del castello di San Giorgio)
«Situato all’imbocco della
Valtellina, Rogolo è un piccolo borgo con poco più di 550 abitanti, disposto
a grappolo sul versante orobico della Valle. Rogolo fece parte del comune di
Delebio fino al suo primo costituirsi, cioè nel 1204, e se ne staccò poi,
insieme al vicino Andalo, nel 1610. Svolse nei secoli un suo ruolo autonomo:
testimonianza è la presenza del castello della famiglia Vicedomini che,
distrutto dai Guelfi Vitani nel 1304 e poi ricostruito, venne
definitivamente smantellato dai Grigioni nella prima metà del XVI secolo. Da
alcuni documenti d'archivio si evince che la chiesa del castello è stata
rifatta sui ruderi della chiesetta dei monaci benedettini detti anche "frati
neri". La famiglia Vicedomini acquistò, infatti, tutta la proprietà dai
monaci e costruirono sui ruderi del monastero la loro fortezza. Sul poggio
più alto rimangono i ruderi dell'antica torre a base quadrata, che serviva
per gli avvistamenti e le segnalazioni. Rogolo era la terza località
fortificata che si incontrava risalendo l'Adda, dopo le torri di Olonio e di
Delebio, tutte e tre poste a sud del corso del fiume. Poiché la località
conserva ancora oggi il nome di Castello, è probabile che attorno esistesse
un più ampio sistema fortificato: infatti sotto la torre un occhio attento
può scorgere alcune rotture e un ampio arco a campana per la vicina chiesa
di San Giorgio. La famiglia Vicedomini al Castello amministrava anche la
giustizia, pronunciando sentenze anche nelle cause penali e civili. Oggi, di
quel borgo fortificato, è rimasta la bella chiesetta, forse di lontana
origine longobarda, intitolata a San Giorgio. La chiesa e la dimora
gentilizia attigua sono di proprietà privata ma vale la pena visitarle
proprio per riscoprire i tanti segni degli antichi splendori. ...».
http://www.comune.rogolo.so.it/mainPortal/index.php?option=com_content&task=view&id=173&Itemid=1035#sangiorgio
San Pietro (torretta di Columbeè)
«Non si conoscono, ad oggi,
sicure fonti documentarie di tipo archivistico o bibliografico che
riferiscano circa le fasi di costruzione o trasformazioni dell’edificio.
Sulla base delle indagini strutturali, si può tuttavia affermare si tratti
di una costruzione risalente al Medioevo. La torre di base quadrata di 5
metri di lato e 15 di sviluppo in altezza potrebbe essere stata una torre di
presidio, dato che nei pressi passava l’antica via Francisca verso il lago
di Como oppure di segnalazione considerata la corrispondenza con la Torre di
Segname sulla montagna prospiciente. La tradizione vuole che la torretta di
S. Pietro di Samolaco, anticamente Selvapiana, abbia ospitato Federico
Barbarossa. Fino al 1958 un arco di pietra coperto, alla sommità di
una scala esterna, permetteva l’accesso ad un piano superiore dell’edificio.
Sotto tale arco passava la strada in cui si tenevano assemblee comunali
(sec. XV-XVII). E’ probabile che servisse anche per la conta delle pecore
che venivano avviate al pascolo nell’erbatico del Pian di Mezzola, alla
presenza del Commissario di Chiavenna. Si pensa che nel corso dei secoli la
torre del "Culumbèe" sia stata abbassata ed adattata a casa di abitazione.
La torre si trova nel centro storico di S. Pietro, sulla strada che conduce
alla chiesa. Nell'antica torre recentemente restaurata è stato allestito
nell'ottobre 2008 dall'Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco il
Museo Etnografico».
http://www.valtellina.it/info/8112/culumbee_museo_samolaco_samolaco.html
«Originari di Bellagio, gli
Omodei (o Homodei) si trasferirono a Tirano all’inizio del XIII secolo,
dando vita a una discendenza numerosa. Da Tirano gli Omodei si spostarono
anche in altri paesi della Media Valtellina fra cui Sernio dove, nel 1377, è
presente un certo Ser Alberto, la cui discendenza andò via via accumulando
ricchezza e prestigio. Nel 1623, pur possedendo già in una signorile dimora
in paese e la torre medioevale, Giovanni Antonio Omodei fece erigere una
nuova residenza in contrada Piazza, ad occidente del paese. Ampliato durante
il XVIII secolo con l’allungamento dell’ala nord, il palazzo perse splendore
insieme alla famiglia, estintasi all’inizio del Novecento, e finì per essere
parcellizzato in diverse proprietà e adeguato alle più svariate destinazioni
d’uso. Imponente nelle dimensioni, rispetto alle altre abitazioni del paese,
il nuovo palazzo sorse comunque all’insegna della sobrietà. Solo i fronti
maggiormente in vista, verso la strada e verso il giardino, presentano
infatti qualche dettaglio di rappresentanza. Mostrano invece un volto più
severo i prospetti verso sud e verso est, affacciati su orti e frutteti. Il
palazzo Omodei è visibile solo nelle sue parti esterne».
http://www.valtellina.it/info/118/palazzo_omodei_sernio_sernio.html
«Castel Masegra sorge a Sondrio
in posizione dominante, all'imbocco della Valmalenco. È l'unico dei tre
castelli cittadini sopravvissuto allo smantellamento di tutte le
fortificazioni valtellinesi disposto da parte dei Grigioni nel 1639; ciò è
dovuto al fatto di essere stato all'epoca residenza della potente famiglia
grigionese dei Salis. Il castello ha una fondazione medioevale, testimoniata
ancor oggi dai due torrioni posti a nord est e nord ovest. A quell'epoca il
suo uso era prevalentemente militare e l'ingresso avveniva da ovest, tramite
uno stretto sentiero che saliva dal lungo Mallero. Nel corso dei secoli ha
subito numerosi rimaneggiamenti per adattarlo alle diverse funzioni
dominanti per le quali venne utilizzato. Nel corso del basso Medioevo
divenne residenza delle famiglie de' Capitani, o Capitanei, ed in seguito
Beccaria. In epoca rinascimentale il castello assunse una funzione
prevalentemente residenziale: ciò è testimoniato da alcuni elementi
architettonici esterni, come la loggetta e, nel lato sud, la torretta
adibita a colombaia, ma anche da una pregevole stanza affrescata con la
volta ad ombrello. Con l'avvento dei Grigioni divenne dimora della famiglia
Salis che lo utilizzò come residenza, ma soprattutto come deposito di vini.
Risale a questo periodo l'attuale ingresso dal lato est, che consentiva di
accedere al castello con i carri. Con il ritorno della Valtellina al Ducato
di Milano, il castello entrò in possesso della famiglia Guicciardi, che lo
donò al Demanio. Fu quindi utilizzato come caserma ed in seguito come sede
del Distretto militare, fino agli anni Ottanta. Presso le antiche scuderie è
stato aperto il Museo Storico Castello Masegra che illustra i tre secoli
della dominazione dei Grigioni in Valtellina (1512-1797)».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Masegra
«...Dalla via Mazzoni parte una
deviazione per la via Torre sulla quale prospetta l'edificio della torre
medioevale. Unica traccia superstite del complesso di fortificazioni eretto
in età comunale (XII sec.), la torre presenta una struttura molto semplice
con tetto obliquo. Al piano terreno si trovano anche alcuni ambienti con
volta a botte, mentre su un lato v'è una bella finestra trilitica. L'annesso
edificio rurale conserva un altro esempio di bottega (muro sulla via) ed un
affresco con la Madonna incoronata dalla Trinità (XVII-XVIII sec.). Torre e
casa sono ora sottoposti a vincolo di tutela. ...».
http://www.comune.talamona.so.it/oc/oc_p_elenco_nofoto.php?x=6034544912545b6c2165f9b3414ee2fa#0
(a cura di Gianpaolo Angelini)
«Il palazzo Besta sorge su uno
splendido pianoro che si affaccia sulla valle e sulle Alpi Orobie. È tra le
più belle dimore lombarde cinquecentesche, testimonianza valtellinese di
un’epoca protesa alla ricerca del bello. Venne costruito intorno alla metà
del ‘400, per volere di Azzo I Besta, inglobando edifici già esistenti. La
data 1539 incisa sulla vera del pozzo del cortile potrebbe essere riferita
al compimento dei lavori di costruzione. Azzo II completò l’edificio voluto
dal padre e vi tenne una piccola corte, dove anche grazie alla moglie Agnese
Quadrio, donna colta e raffinata, convenivano artisti, letterati e filosofi.
Alla sua ideazione e al completamento dell’apparato decorativo, pare,
partecipasse anche Andrea Guicciardi, patrigno di Azzo II, uomo di cultura e
Rettore dell’Università di Pavia nel 1498. Il Palazzo rimase dei Besta e dei
loro eredi fino al 1726 quando divenne proprietà del console di giustizia
Pietro Morelli che apportò alcune modifiche interne come la costruzione
delle due stue verso la valle. La proprietà fu in seguito frazionata tra le
famiglie Parravicini e Juvalta, per essere poi smembrata a fine '800 tra
diverse famiglie di contadini che si installarono nell'edificio e lo
adattarono ad abitazione, stalla e fienile. Da incuria e abbandono fu
salvato nel 1911 da Luigi Perrone e Luca Beltrami che lo fecero acquistare
dallo Stato Italiano. Interventi di restauro iniziati nel 1912 terminarono
nel 1927.
L'edificio dalle linee classiche presenta una facciata scandita da un fregio
in graffito e un bel portale marmoreo cinquecentesco. Le finestre di
dimensioni variabili, con artistiche inferriate, sono sormontate da timpani
triangolari, al centro dei quali sono dipinti tondi con profili di uomini
illustri. Nelle lunette del sottogronda sono affrescati gli stemmi di alcune
importanti famiglie telline. Il Palazzo ha tre piani fuori terra che si
articolano attorno ad un cortile quadrato, vero cuore della casa, con due
ordini di logge. Le pareti del cortile interno sono interamente affrescate.
Una fascia decorata a grottesche e medaglioni con i ritratti di personaggi
abbigliati all'antica, in cui molti vogliono riconoscere i ritratti dei
Besta, separa i primi due piani. Sul muro del secondo piano sono dipinte a
monocromo storie dall'Eneide. Il primo piano è costituito da un susseguirsi
di ricche sale: dal salone d’onore, decorato con scene tratte dall’Orlando
Furioso, alla sala da pranzo, alla sala “della Creazione” e alle tipiche
stue valtellinesi. Le stanze del secondo piano, pur presentando apparati
decorativi interessanti rilevano, nelle dimensioni contenute, la loro
funzione originaria, limitata probabilmente alla vita privata della
famiglia. Il palazzo è attualmente destinato a museo e al pianterreno ospita
l'Antiquarium tellinum, che raccoglie al suo interno testimonianze dell'arte
preistorica valtellinese».
http://www.architettonicimilano.lombardia.beniculturali.it/Page/t02/view_html?idp=90
Teglio (torre de li beli miri)
«Situata sul dosso a sud del
paese, in posizione dominante, costituisce il simbolo stesso di Teglio.
Rappresenta l'unico resto di un castello medievale distrutto da ripetuti
attacchi e incendi ed eretto sul luogo in cui in precedenza si trovava un
castello di fondazione romana. In posizione strategica, ebbe, forse, fin dal
tempo delle invasioni barbariche, una funzione di avvistamento e
segnalazione. Poggia su un naturale basamento di roccia, presenta una pianta
quadrata ed è costituita nella parte inferiore da grossi massi le cui
dimensioni diminuiscono man mano si procede verso l'alto. Le finestre sono
incorniciate da tre grossi massi chiari. Da fonti letterarie e da una
raffigurazione del maniero sullo sfondo del vicino oratorio di san Lorenzo,
sappiamo però che il castello di Teglio era articolato in più corpi di
fabbrica , che disponeva di cunicoli sotterranei di un pozzo per
l’approvvigionamento idrico, di camminamenti, di una vasta piazza d’armi, di
recinti di mura, di possenti bastioni quadrangolari e di una torre
cilindrica. Dal promontorio roccioso su cui poggia, si domina un grande
tratto di media e alta Valtellina e delle Prealpi Orobie. La torre è immersa
nel verde della sua pineta dove è possibile fare delle belle passeggiate e
sostare nel silenzio della natura. A est della torre è possibile ammirare
anche la piccola chiesa di S. Stefano che era annessa al castello».
http://castelliere.blogspot.com/2011/11/il-castello-di-martedi-22-novembre.html
«Edificato probabilmente nel
'400 dalla famiglia Lazzaroni e successivamente ampliato, il palazzo cambiò
più volte di proprietà fino all'acquisizione, nel 1881, da parte del notaio
Giuseppe Lambertenghi Il palazzo, ancora abitato dai discendenti, è oggi
anche casa-museo nel centro storico di Tirano e si offre alla visione dei
visitatori con i suoi ambienti suggestivi. Palazzo Lambertenghi (sec. XV-XVI)
rientra nella tipologia della casa-torre: edificio ad un corpo centrale con
due ali laterali, delimitanti una corte, con merli ghibellini ancora
visibili sotto la falda del tetto. Il quarto lato era chiuso da un alto muro
in sasso, con accesso da uno spesso portone in legno, ora sostituito da
inferriata con cancello di elegante forgiatura (inizi sec. XVIII)
provenienti dal Palazzo Lambertenghi in Villa di Tirano. La casa-torre si
sviluppava in verticale e si chiudeva in sè alla prima avvisaglia del
nemico, conservando la propria autonomia economica ed è anteriore alla
costruzione delle mura volute da Ludovico il Moro (1496-98). Lo stemma della
Valtellina aveva riprodotto la casa-torre con merlatura ghibellina (vedi
stemmario Archinto) e fu utilizzato quale emblema della "Magnifica Valle"
fino ai primi dell’800. In passato l’edificio si presentava completamente
aperto nel porticato al piano terra, nel loggiato al primo e nello scalone
di congiungimento ai piani; spazi che nel corso degli anni, cambiando le
esigenze abitative, vennero delimitati da chiusure a vetrate. La casa
appartenne alla stessa famiglia, quella dei Lazzaroni (nobile famiglia
lombarda), dalle sue origini fino alla confisca voluta da Napoleone (1798).
Dopo varie vicissitudini, nella seconda metà del XIX secolo divenne
proprietà della famiglia Lambertenghi, proveniente da Villa di Tirano,
famiglia documentata in Valtellina fin dal secolo XII. L’edificio
(Fondazione Casa-Museo D’Oro Lambertenghi) viene aperto al pubblico al fine
di far conoscere non solo gli interni con le belle stue (rivestimenti lignei
o "boiseries"), come potrebbe essere per un museo tradizionale, ma anche per
far partecipe l’ospite di quel legame sottile che lega gli oggetti e le
collezioni alla vita quotidiana. I beni e gli arredi della casa sono
confluiti in essa per eredità ed acquisti nel corso del tempo».
http://www.valtellina.it/info/4132/casa_museo_d_oro_lambertenghi_tirano.html
TIRANO (palazzo Sertoli Salis)
«Il Palazzo Salis a Tirano è
uno dei più importanti della Valtellina. Palazzo Salis è rimasto attraverso
i secoli sempre di proprietà dei conti Sertoli Salis. Si sviluppa su una
struttura che presenta una facciata di stile tardo-cinquecentesco,
fiancheggiata da due torri, con un portale centrale barocco realizzato su
disegno del Vignola. Dall' ingresso s'infila un portico che conduce al suggestivo giardino
interno "all'italiana", uno dei più significativi della Lombardia e
senz'altro il più noto in Valtellina. All'interno del palazzo, di notevole
interesse troviamo un circuito museale di 10 sale decorate ed affrescate,
tutte recentemente restaurate, tra cui il cosiddetto "Saloncello",
importante sala splendidamente affrescata e punto d’incontro del potere
politico in Valtellina nel XVII e XVIII secolo, oltre alla chiesetta barocca
di famiglia dedicata a S. Carlo Borromeo. Tutte le sale del museo si
affacciano sull’antica corte cinquecentesca detta corte rustica, o “corte
dei cavalli”. L’accesso al museo avviene salendo l’imponente scalone d’onore
e transitando per il Salone d'onore, che presenta un soffitto affrescato con
decorazioni pittoriche settecentesche attribuite al pittore Cucchi e che è
stato restaurato negli anni ottanta sotto la supervisione della
Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici. Palazzo Salis é uno dei
più importanti palazzi della provincia di Sondrio».
http://www.palazzosalis.com/museo.c/Palazzo-Salis-sondrio.html
TIRANO (ruderi del castello del Dosso)
«È ricordato in una pergamena
del 1073 sul pendio del monte Trivigno più a ovest del successivo castello
di Santa Maria. Apparteneva ai vescovi di Como, di cui erano feudatari i De
Judicibus, che furono scacciati dai Capitanei di Sondrio. Comprendeva anche
una chiesa dedicata a San Vigilio. Nel 1624 fu bruciato dalle truppe papali
per fermare l’avanzata francese. Oggi rimangono resti della torre (aveva
circa 6 metri di lato e un’altezza più che doppia) e di alcuni muri con
feritoie».
http://www.castellomasegra.org/saggi/Scaramellini.pdf
TIRANO (torre del castello Santa Maria, borgo)
«Il Castello di Santa Maria fu costruito nel 1497 in posizione rialzata rispetto alla valle, completato con le mura nel 1499 per volontà di Ludovico il Moro, con nuovi criteri di architettura militare e con l’intera cerchia murata e quattro porte (Milanese, Poschiavina, Bormina e quella di Santa Maria) tuttora esistenti. La costruzione della cinta muraria costò 600000 lire ai Comuni della Valtellina, nonostante le loro proteste a causa della guerra e delle pestilenze che li avevano impoveriti. Esso dovette resistere a due assedi: durante la prima invasione dei Grigioni e poi nel 1512 quando la Valtellina fu da essi occupata e i suoi castelli vennero smantellati. Del Castello di Santa Maria rimane la torre con il recinto e la piazza d'armi. I recenti lavori consolidamento e recupero hanno portato alla luce nuovi elementi della struttura architettonica. A quota al quanto inferiore a quello del castello vi era un rifugio per la popolazione ed il bestiame e un deposito di armi e munizioni. Nei pressi del castello vi era una chiesa dedicata a S. Maria la cui esistenza è suffragata da diverse attestazioni documentarie. la sua fondazione doveva essere molto antica se il documento del marzo 1073, riguardante la vendita di alcuni beni. Si può ipotizzare che la chiesa di S. Maria fosse tra le più antiche di Tirano, contemporanea, se non precedente di quella di S.Martino.
La torre di S. Maria sorge su
pianta quadrata, è costituita da grosse pietre miste a scaglie per breve
tratto della zona inferiore, poi in scaglie di dimensioni limitate e di
forma irregolare e perciò legate con molta calcina. Sulla fronte
occidentale, nella parte alta si trova una finestra rettangolare trilitica;
mentre in basso c’è una sbrecciatura che sfonda verso l’interno, la quale
potrebbe coincidere in parte con l’ antica porta d’ingresso, che comunque
resta insicura tanto per la posizione quanto per la forma. La fronte sud
presenta una stretta feritoia verticale a livello del suolo, sbrecciata
sulla destra; all’ altezza di circa 1,50 m è una apertura informe e quindi
anche incerta, seppure possibilmente per intero posteriore anch’ essa
spostata verso destra. Una finestrella rettangolare trilitica sta più in
alto ed a sinistra; sotto la falda sinistra dello scomparso tetto, trovasi
infine una finestra arcuata. La fronte orientale a pian terreno è sfondata
da una breccia passante; superiormente si trova una finestrella rettangolare
trilitica; sopra questa una feritoia. L’esame delle aperture dall’ interno
consente una individuazione ancor migliore della feritoia nella fronte sud
del pian terreno, munita di strombo».
http://www.scuolatrombini.it/castellaccio_dosso/index_castello.htm
«A lato dell’attuale strada
statale dello Stelvio, all’uscita dal borgo in direzione Bormio, si erge la
solida torre Torelli, che non è una fortificazione, anche se ne presenta i
caratteri. Fu fatta costruire verso la metà del XIX secolo come
residenza-studio dal conte Luigi Torelli, statista e patriota tiranese
(1810-1887). Ha cinque piani che terminano con un cornicione aggettante,
coronato da merli ghibellini. È in stile neogotico in voga nell’età
romantica. Fra il secondo e il terzo piano, sulla parete verso la strada
statale, è stato collocato un grande orologio. Oggi la torre è adibita a
magazzino».
http://www.castellomasegra.org/saggi/Scaramellini.pdf
Torre di Santa Maria (torre e castello di Volardi)
«Sorge sotto l’antico castello
dei Volardi e fino all’erezione della Chiesa non fu che una semplice
contrada della quadra Bondoledo. Il nucleo antico è quello dei Volardi. Si
sviluppa sullo stesso piano del Castello, costruito su una posizione
naturalmente forte, sul dosso di una morena staccata nettamente dal pendio
sottostante, in comunicazione ottica con le torri di Melirolo e con quella
distrutta di Marveggia. In tempi successivi col decadere e l’abbandono degli
antichi borghi accrebbe d’importanza con conseguente allargamento, prima con
gli insediamenti a monte della Chiesa Parrocchiale: la contrada vecchia di
via Cortile, per poi gradualmente espandersi fino all’attuale assetto».
http://www.comune.torredisantamaria.so.it/sa/sa_p_testo.php?x=b4a6f258ba62826d91ed57665e6d84b8&&idservizio=10000
«La Torre di Pendolasco è una massiccia costruzione tardo medioevale, a pianta quadrata, che si trova in località Torricello, in una posizione dominante rispetto al paese e al fondovalle. Il toponimo Torricello (da Toresellum) comprende tutta la zona della Torre, le case delle famiglie Pizzatti Casaccia e le vigne sottostanti. La Torre ha un aspetto solido e severo per i conci in granito squadrato di grandi dimensioni. Si ipotizza una sua iniziale funzione difensiva: circondata da un orto cinto dal muro, aveva un pozzo, forse costruito per garantire la riserva idrica in caso di assedi prolungati; non si spiega diversamente questa presenza visto che il paese è ricco d’acqua. Fu poi residenza signorile. Cenni storici. 1490 La torre appartiene alla famiglia dei da Pendolasco. Essi hanno una florida condizione economica e quindi una posizione sociale di prestigio in valle. Anche politicamente occupano un posto di rilievo; le frequenti lotte tra la fazione dei guelfi, a cui appartengono, e quella dei ghibellini spiegano la costruzione, in luogo strategico, di una torre, dove però non vivono. La loro residenza è a Pendolasco (nome che a quei tempi indicava solo la zona posta a sud ovest rispetto alla chiesa di san Fedele). A metà del Cinquecento presso la Torre si stipulano atti di compravendita. ... 1904 La parrocchia di san Fedele, che aveva mantenuto il possesso della Torre anche nel periodo napoleonico in cui molti beni ecclesiastici furono confiscati, la vende al Municipio di Pendolasco, che la adibisce a sede delle scuole comunali. Dopo la seconda guerra mondiale, quando viene costruito il vicino edificio per accogliere la scuola elementare, la Torre diventa sede dell’asilo parrocchiale e poi, per breve tempo, della scuola materna statale.
Deturpato da interventi funzionali agli usi più recenti (scuole comunali, poi scuola materna), l’edificio è oggetto di un recente restauro. Durante i saggi stratigrafici compiuti sugli intonaci dei vani interni sono venuti alla luce affreschi tardo cinquecenteschi ben conservati sotto alcuni strati di calce e tempera. Al primo piano dell’edificio ci sono due “camerae pictae” di grande interesse anche perché i soggetti sono a carattere profano. -1a. camera picta: c’è un fregio con putti separati tra loro da figure di animali e un volto maschile. -2a. camera picta: ci sono figure femminili di cariatidi e figure maschili a grandezza d’uomo e un fregio simile al precedente. Sulla parete nord è già affiorato anche lo stemma della famiglia Sermondi. Ci sono fregi anche negli intradossi delle finestre e specchiature a finto marmo nello zoccolo inferiore. Il soffitto ligneo a cassettoni era stato celato da un controsoffitto ora rimosso. Le due camere sono collegate tra loro da una porta incorniciata da piedritti (struttura verticale con funzione di sostegno) e architrave in pietra. In fondo alla prima camera un portalino dà accesso alle scale in pietra che salgono al secondo piano. Originariamente le scale partivano dal locale a volte posto a pianterreno.
L’Amministrazione comunale di
Poggiridenti sta attuando (2002) un piano di intervento di recupero che è,
nella prima fase, di carattere conservativo. Si pensa di adibire la Torre a
luogo simbolicamente rappresentativo della vita civile del paese,
destinandolo a incontri, conferenze e altri eventi culturali. Mentre
l’esterno dell’edificio è severo e un po’ cupo, le sale interne hanno
riservato interessanti sorprese, nascoste sotto i dipinti dei personaggi
delle fiabe che allietavano le pareti della scuola materna. Le più recenti
indagini stratigrafiche sugli intonaci delle due camerae pictae, eseguite
nel 2000 dal restauratore Giorgio Baruta, evidenziano l’importanza del
ritrovamento degli affreschi. Nella sua relazione egli parla di “nuovo
dinamismo formale e fluidità materia pittorica attuata attraverso vivaci
contrasti di luce, ombra, colore. (…) Si tratta di dipinti eseguiti con la
tecnica del ‘buon fresco’..si vedono con precisione le giornate e le
incisioni dell’intonaco, che sottolineano i contorni delle figure.».
http://scuole.provincia.so.it/smligari/Poggiweb/T_Pendolasco.htm
Tovo di Sant'Agata (castello di Bellaguarda)
«Collocati nei boschi che
coprono la zona ricompresa tra Tovo Sant'Agata e Mazzo di Valtellina il
Castello di Bellaguardia e la Torre di Pedenale sono un esempio del
complesso sistema difensivo posto a guardia delle vie che conducevano al
Passo del Mortirolo. Raggiungerli non è certo semplice, tuttavia il tragitto
da seguire consente di scoprire e conoscere un luogo di rara bellezza
considerato tra i più affascinanti della Valtellina. Iniziamo il nostro
percorso da Tovo Sant'Agata, località posta a circa 5 Km da Tirano; qui,
parcheggiata la macchina, si imbocca la Via San Marco che conduce alle parte
alta del paese. Seguendo le indicazioni "passeggiata" si procede per una
stradina sterrata che costeggia la Chiesa della Beata Vergine del Caravaggio
e l'adiacente Oratorio dei SS. Ippolito e Cassano, entrambi visitabili.
Giunti sulle rive di un torrente, la strada ridiventa asfaltata e,
oltrepassatolo, si imbocca una mulattiera acciottolata, dopo una serie di
curve e svolte segnalate da bolli rossi dipinti sulle piante, si inizia ad
intravedere il profilo del Castello di Bellaguardia. Appartenuto ai Venosta
fino al 1712 è ancora ben conservato nonostante la vegetazione lo stia
invadendo in più punti. Sviluppato su tre piani delimitati da muri merlati,
ha pianta quadrangolare; sul piano più alto svetta la torre di guardia
edificata in un periodo antecedente (1226) all'intero edificio (1340). In
basso, adiacente all'edificio, è collocato il corpo di guardia in cui sono
state ricavate finestre e feritoie. Completano il tutto le imponenti mura
difensive. Il Castello di Bellaguardia, a differenza di altre fortificazioni
presenti in Valtellina, conserva accora tutte le strutture originarie,
grazie agli interventi di restauro cui è stato sottoposto nel corso degli
anni. ...
http://www.waltellina.com/valtellina_valchiavenna/dalla_storia/castello_di_bellaguarda/castello_di_bellaguarda.html
(a cura di M. Ambrosini)
«Grazie alla sua collocazione
sulla Via Valeriana, Traona, già citata in un documento del 829, divenne il
borgo economicamente più sviluppato sulla sponda destra della bassa
Valtellina. A causa della sua posizione di transito venne però anche
pesantemente coinvolta nelle guerre di Valtellina del 1620-1639. Testimoni
del suo antico benessere sono alcune dimore padronali, come il settecentesco
palazzo Parravicini con l’annesso oratorio di Sant’Ignazio di Loyola, casa
Massironi con un cortile ad archi del Cinquecento, casa Bellotti e palazzo
Vertemate. In località Corlazzo è da vedere la chiesa di S. Caterina, sorta
nel XV secolo, che conserva un interessante ciclo di affreschi. Abbarbicati
su un’altura meritano una visita i ruderi del
castello di Domofole, detto anche Torre
della Regina, che ebbe tanta importanza nella storia di Traona».
http://www.valtellina.it/info/3443/traona_252_m_s_m_traona.html
«...Durante la Signoria dei
Visconti e degli Sforza (1325-1500) Tresivio divenne capoluogo della
Valtellina: era la sede del Tribunale Supremo della Valle e il Governatore
ducale doveva venire a Tresivio per amministrare la giustizia in Valle.
Proprio sulla rupe del Calvario, chiamata "Motta", sorgevano il palazzo del
marchese Malaspina, capitano generale della valle per conto dei Visconti, la
chiesa parrocchiale, le chiesette di S. Michele e di S. Giovanni Battista,
il palazzo vescovile e il castello. La traccia più antica relativa al
castello risale però al 1046: esso apparteneva, come gli altri di pieve, al
Vescovo di Como. Le terre di proprietà del castello erano mantenute a spese
di tutti coloro che ne erano difesi e venivano chiamate "castra". ...».
http://www.comune.tresivio.so.it/storia.html?PHPSESSID=e18510e290873841d273d47473c603cc
«Subito all’imbocco
dell’omonima valle sorgono le antiche Torri di Fraele (1930 m.) che erano
uno dei punti di forza del sistema di fortificazioni che doveva proteggere
l’allora Contado dalle frequenti invasioni. Erano a quel tempo il più
avanzato avamposto delle difese bormine ed erano costantemente presidiate da
guardie che si occupavano anche della sicurezza dei viandanti che
attraversavano la Via Imperiale d’Alemagna. Dalla loro vetta venivano
infatti lanciati i segnali di fumo nel caso fossero stati avvistati dei
possibili pericoli. Le torri, a pianta quadrata, vennero costruite nel 1391,
nel pieno del periodo visconteo anche se è legittimo ritenere che possano
essere state ricostruite più volte nel corso dei secoli sovrapponendosi alle
opere che già anticamente proteggevano il valico. Nel 1481 vennero
fortificate e rinforzate ad opera del Duca di Milano ma vennero
successivamente distrutte dai grigioni nel 1513 in occasione della loro
invasione di Bormio. Rimangono ora visibili solo i ruderi di quelle Torri
che erano le sentinelle a protezione del Passo di Fraele (o Passo delle
Scale) anche se una recente ristrutturazione ha permesso di ricostruire
parte della torre occidentale alla quale è possibile accedere da un apertura
al piano terra (l’antica via d’accesso pare invece si trovasse più in alto
in modo da permettere una migliore difesa). Si narra che durante il dominio
degli Sforza, forte dei privilegi acquisiti, l’allora podestà Cisermundo, si
permise di oltraggiare l’ambasciatore inviato dalle Tre Leghe Grigione per
reclamare diritti sul Contado bormiese. Le Torri di Fraele furono il teatro
dello scontro decisivo tra le truppe bormine e quelle degli invasori.
Strenua fu la difesa dei Bormini ma non sufficiente ad impedire l’ingresso
in paese dei Grigioni. In un misto di storia e leggenda la cruenta battaglia
provocò un gran numero di caduti, tanto da far guadagnare al dirupo
sottostante l’appellativo di “Burrone dei morti”».
http://www.bormio3.it/cancano-valle-fraele/torri-di-fraele.php
Villa di Tirano (borgo, ponte medievale)
«Transitando sulla S.S. 36 che
attraversa la Valtellina, in località Villa di Tirano, è possibile fare una
breve visita al "punt di sass". Scopo principale del ponte era collegare
Tirano con Stazzona, quando ancora il corso dell'Adda non era stato deviato
da un'alluvione. La sua costruzione potrebbe risalire all'epoca medioevale
come testimoniano alcuni documenti risalenti al XIII secolo. Una serie di
iscrizioni risalenti al 1683-1684 fanno pensare che sia stato sottoposto a
successive opere di riadattamento. Le misteriose sigle incise sotto
l'indicazione dell'anno, potrebbero essere le iniziali dei Comune di Villa
di Tirano e Stazzona o, forse, di chi costruì il ponte».
http://www.waltellina.com/valtellina_valchiavenna/dalla_storia/punt_di_sass/punt_di_sass.html
(a cura di M. Ambrosini)
VIONE (castello di Polagra, ruderi della torre dei Pagani)
«Anche Vione, geograficamente vicino ai più importanti e noti centri dell'alta Valle Camonica di Temù e di Ponte di Legno, ma collocato non distante dalle principali vie di comunicazione che conducevano, fin dai tempi più remoti, verso il passo del Tonale e il Trentino, seguì, fin dalla sua nascita, le vicissitudini storiche e politiche dei due borghi più grossi. Certamente posteriore all'antichissimo insediamento a Villa d'Allegno, ebbe le sue origini in epoca Longobarda attestate dalla scoperta di una necropoli di quel popolo. Fin da quei tempi, o forse anche in epoca precedente, doveva però sorgere in loco, vista la sua posizione dominante buona parte dell'alta valle, una rocca fortificata o un castelliere intorno al quale, come spesso accadeva, erano poi sorte alcune abitazioni che, poco alla volta avevano formato un piccolo borgo. Come scritto, la posizione dominate del sito, da cui si potevano controllare facilmente le strade e le mulattiere del fondo valle, fece sì che la primitiva rocca venisse trasformata in un grande castello il cui massimo fulgore venne raggiunto intorno al 1200. Questo edificio, nato certamente come struttura militare ma che, come era usuale in quel periodo storico, andò poi a racchiudere e a proteggere anche delle abitazioni civili, fu molto noto in tutta la Valle Camonica e, a dimostrazione della importanza di questa costruzione: vi erano numerose testimonianze che parlavano dell'imponenza della rocca che era conosciuta come il "Castèl dè Polàgra": il "Castello di Polagra". Questo maniero, che fu modificato più volte nei secoli successivi alla dominazione carolingia, doveva essere una costruzione possente e notevolmente fortificata poiché ancora nel 1300 risultava composto da un nucleo principale, fortemente arroccato e da ben sei torri, collegate da alte mura che fungevano anche da difesa all'abitato. ...» - «Il notaio Bernardo Biancardi (sec. XVII) racconta di una "fortissima torre" fabbricata dai signori longobardi di Vione per difendersi dall’assalto dei Franchi "sopra la montagna di Bles". Scrive l’autore che "Si veggono però ancora oggi molte muraglie a calce con pietra picca così impetrite che si rende con rottura più tosto la pietra che la calce medesima". La toponomastica ha conservato la traccia della presenza della fortezza nei nomi di Canalì de la Tor e Tor dei Pagà, utilizzati nei libri delle Vicinie dell’archivio comunale di Vione (secc. XVII-XIX) ed ancora oggi dagli abitanti. Dagli anni ‘70 sono state effettuate nel sito alcune campagne di scavo, di cui le ultime, con la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Brescia, Cremona e Mantova e la partecipazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, hanno portato alla luce le fondamenta di un grande complesso difensivo, risalente almeno al sec. XIII. Presso il municipio di Vione è visitabile la mostra Vione archeologica. Storia ritrovata, dove sono esposti i reperti rinvenuti nel corso delle campagne di scavo degli anni ‘70 e risalenti all’epoca longobarda (secc. VI-VIII)».
http://www.intercam.it/tomo/paesi/vione/vione.htm - http://www.turismovallecamonica.it/it/content/torre-dei-pagani-vione
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