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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI CAMPOBASSO
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
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«Il borgo di Acquaviva Collecroce è un insediamento di matrice croata. A seguito di un devastante terremoto del 1546, viene ripopolato, per iniziativa dei Cavalieri di Malta feudatari di quel territorio, da coloni provenienti dalla Croazia di cui hanno conservato sin ad oggi il patrimonio culturale e linguistico. Collocato nella area costiera adriatica, Acquaviva Collecroce si trova a 413 metri slm fra i monti dell’alto Molise ed il mare Adriatico da cui dista circa 30 chilometri. Pertanto da tale posizione si possono raggiungere agevolmente sia il mare, che i boschi e le montagne dell’alto Molise a mille metri di altitudine. Nelle colline di questo territorio viene coltivato, in particolare, il vitigno autoctono della “tintilia” da cui si produce l’omonimo vino, particolarmente apprezzato in Italia e all’estero. Nella piazza del borgo, un accogliente Caffè Letterario è anche l’occasione per avvicinarsi al patrimonio culturale e linguistico di questa comunità e per partecipare ad eventi culturali, letterari e musicali».
http://www.borgodellefonti.it/il-borgo
«Ben undici famiglie nobili che si avvicendarono col titolo di "Conti", "Marchesi" o "Duchi di Baranello". Il titolare del feudo, durante l'epoca normanna, fu Guidone di Gibelletto a cui successe la famiglia Gaetani. Dopo il 1467, Capece Galeota si impossessò del territorio di Baranello. Tra il 1490 e il 1532 il borgo finì nelle mani della nobile famiglia napoletana, ma di origine normanna, Sanfelice. Con un diploma del 1532, l’imperatore Carlo V concesse il feudo ad Alfonso d’Avalos. Dopo questi ultimi Baranello tornò ai Gaetani, anche se per poco tempo perché Camillo Gaetani vendette il feudo a Fabrizio De Gennaro. Giovan Vincenzo del Tufo, con l'intermediazione di Scipione Imperato si aggiudicò il feudo acquistandolo all'asta. In seguito oberato di debiti, cercò di conservare il feudo, ricorrendo ad una vendita simulata a favore della moglie Cornelia Carafa. Nel 1591, deceduta la Carafa, i creditori del marito ottennero la messa in vendita del feudo di Baranello. L'asta fu aggiudicata a Tommaso Marchese. Angelo Barone residente in Baranello, rilevò il feudo da Tommaso Marchese e, dopo poco tempo, a sua volta, cedette il feudo nel 1606 a Tommaso d'Aquino. Dai d'Aquino, Baranello passò ai Carafa-d'Aragona. Nella prima metà del secolo XVIII Baranello divenne dei Ruffo, grazie ai quali il titolo del feudo di Baranello non fu più marchesale ma diventò ducale. Il titolo di duca di Baranello è attualmente portato dai discendenti dei Ruffo di Bagnara Calabra. Il castello fu posseduto dalla famiglia Ruffo fino al XIX secolo. Fu costruito nel punto più alto del borgo antico svolgendo la sua funzione di difesa e di controllo dell'intero territorio. Esso è inserito all'interno di un complesso edilizio che lo mette in comunicazione con la torre che rappresenta la parte più alta dell'edificio. Essendo stato sottoposto a continue modifiche a livello strutturale è difficile ripristinare le fasi storiche. La presenza di diversi stili relativi a varie epoche rende faticoso analizzare il complesso architettonico».
http://castelliere.blogspot.it/2011/05/il-castello-di-martedi-17-maggio.html
«Tra i colli Verzelli e Totaro sulla destra del torrente Toma lungo il tratturo Celano-Foggia sorge il paese di Bonefro. L'edificio da visitare se ci si trova in questo paese è il castello che si erige sulla sommità del colle su cui sorge la parte antica del paese. Dal popolo spagnolo che lo occuparono nel '500 fu definito il " bel castel fuerte". Il castello di Bonefro risale al 1049 nel periodo in cui fu conquistata dai normanni. La storia circa la costruzione del feudo e del castello è stata oggetto di studio da parte di molti studiosi fino a quando è stato stabilito che intorno al secolo XIV questi assunsero la conformazione definita visibile ancora oggi in alcune parti dell'edificio. Dopo circa 150 anni il castello divenne residenza baronale. Stando a quanto scritto in un documento spagnolo del 1531 il feudo di Bonefro apparteneva "de sancto vito" con annesso il castello costituito da quattro torri angolari e nel mezzo una torre maestra. La quinta torre si presume sia stata eretta nel periodo svevo in un luogo distante da quello in cui sorgeva il castello. Con molta probabilità questa torre aveva funzioni diverse dalle altre inserite nella sezione della fortezza, cioè nacque come torre di vendetta. Questa però cadde in rovina nel 1888. Con il passare dei secoli fu aggregato al nucleo urbano così che un edificio di recente costruzione copre interamente la facciata. Del periodo normanno il castello riporta solo la pianta quadrata e su ogni angolo sorge una torre cilindrica. Delle quattro, tre sono impiantate su muri a scarpa mentre una collocata a sud è posta in un posizione tale che guarda la chiesa madre. Se si osservano le torri si vede che esse poggiano su basi a forma di cono anche se queste originariamente erano molto probabilmente angolari. Le pareti del castello sono fatte da pietre tagliate e pietrisco unite tra loro con la malta; avendo subito diversi restauri e modifiche presentano delle irregolarità. Dall'esterno è possibile osservare una serie di finestre alternate con dei balconi mentre l'ingresso è definito da un arco a sesto acuto in pietra sostenuto da due mensole con colonne laterali in pietra. Dall'ingresso è visibile un cortile sul quale si apre una scalinata che permette l'accesso al piano residenziale. Sul cortile affacciano le camere del castello».
«Nella parte antica del paese, la Terravecchia, sono conservate quattro Porte, vestigia del periodo Feudale: Porta Mulino, Porta Pie' la Terra, Porta Fontana, Porta Nuova. Le prime due sono molto antiche, com'è dimostrato dal tipo di costruzione e dal passaggio molto basso. Davanti alla Porta Mulino, verso l'interno dell'abitato, secondo la tradizione orale si trova la piazza dell'antico paese. In questi ultimi tempi le travature in legno della prima Porta sono state sostituite da armature in cemento armato, mentre Porta Fontana e' stata completamente rimodernata, tanto da essere rovinata la struttura originaria».
http://bonefro.altervista.org/porte.htm
«Che Busso avesse un castello si può desumere solo dalla circostanza che il nucleo urbano sicuramente esisteva in epoca normanna, anche se nel Catalogo dei Baroni del XII secolo il suo feudo non viene riportato. Cercheremo di spiegare il mistero più avanti, dopo aver documentato gli elementi che ci inducono ad affermare la sua esistenza almeno intorno alla metà di quel secolo. ... Nel tempo il nucleo di Busso nella sostanza è rimasto impiantato sul luogo della sua prima edificazione. Della cinta muraria apparentemente nulla è rimasto e tantomeno si trovano tracce evidenti di un castello, tuttavia una serie di elementi catastali ci possono aiutare a immaginare quale potesse essere il sistema di difesa dell’agglomerato. Il punto apicale naturale del colle su cui poggia il paese è occupato interamente dalla chiesa parrocchiale di S. Lorenzo. Della sua esistenza non si ha testimonianza nelle Rationes Decimarum Italiae perché all’anno 1309 si fa riferimento in maniera generica ad un clero di Busso in diocesi di Boiano. Per logica il castello dovrebbe occupare la medesima posizione della chiesa, ma tutta l’area, sebbene sostanzialmente modificata in un epoca imprecisabile, non presenta apparati murari che possano essere ricondotti a strutture castellane. Tuttavia l’impianto quadrangolare del nucleo edilizio che si sviluppa allo stesso livello del piano di S. Lorenzo, dalla parte della facciata laterale occidentale, fa propendere per riconoscere in quel gruppo di case la ripetizione di una struttura quadrangolare che potrebbe corrispondere ad un castello isolato all’interno di una cinta muraria ad andamento vagamente ovale che doveva proteggere l’intera terra abitata. Una ricostruzione dell’andamento della linea muraria che si può tentare proponendo l’antica esistenza di quattro porte di cui oggi non rimane alcuna traccia. Una porta, da capo, doveva trovarsi nel punto intermedio compreso tra la chiesa del Carmine e quella di S. Anna, ambedue costruite fuori del perimetro murario in epoche successive al XVI secolo. Una seconda porta, da basso, doveva trovarsi nel punto diametralmente opposto, nel luogo planimetricamente più basso dell’abitato, in corrispondenza di una via di accesso che seguiva poi l’andamento naturale del terreno per raggiungere una terza porta, forse l’unica carrabile, sul versante occidentale della linea muraria. Di questa porta rimangono solo testimonianze orali relative all’esistenza dell’alloggiamento lapideo di uno dei perni del portone, eliminata in epoca prossima alla nostra per allargare la strada. Il quarto ed ultimo accesso si trova dalla parte opposta alla terza. Ancora oggi il varco viene popolarmente chiamato con il termine di portella. Percorrendo il limite esterno del nucleo abitato in nessun luogo si trova traccia di torri circolari o di muratura a scarpa, lasciando ipotizzare che in epoca angioina (XIII-XIV sec.) non vi siano stati interventi di adeguamento della struttura ad una difesa attiva. La circostanza porta a ritenere che l’iniziativa punitiva di Carlo d’Angiò nei confronti di Ruggero di Busso e la confisca dei suoi feudi abbia determinato un conseguente abbandono del nucleo o, comunque, un suo impoverimento».
http://www.francovalente.it/?p=148 (a cura di Franco Valente)
Campobasso (castello Monforte)
a c. di M. M.
«Le origini di Campobasso risalgono all’Alto Medioevo; la citazione più antica è contenuta in un diploma datato 878. L’area su cui si erge il centro storico - in dialetto: “lu Monte” - era frequentata sin da epoca remota, come testimonia il ritrovamento di mura megalitiche appartenenti ad un recinto sannitico, tuttavia è solo nell’VIII secolo che, probabilmente, si formò un insediamento rurale di una certa consistenza. ... In epoca longobarda una cortina muraria, appoggiata ai resti della fortificazione sannitica, venne a proteggere la zona più alta, un ambito piuttosto ristretto intorno ad una rocca, giungendo fin nei pressi della chiesa di San Giorgio; qualche secolo dopo, a causa dell’incremento demografico, si rese necessaria un’addizione che inglobasse le chiese e i borghi, allora extra-moenia, di San Bartolomeo e di San Mercurio. L’impianto urbano che la città man mano assunse nel Basso Medioevo può essere paragonato ad un ventaglio, con l’abitato adagiato sul lato sud-est del colle, attorno al castello, perno della composizione; si tratta di una variante, di notevole interesse, della più diffusa disposizione concentrica. Le arterie principali, approssimativamente semicircolari - che ricalcano i tracciati dei fossati di murazioni precedenti e testimoniano, quindi, l’ampliamento progressivo -, si avvolgono alle balze del crinale mentre le stradine secondarie - stecche del ventaglio - risolvono i salti di quota, convergendo verso la fortezza. Quasi tutte queste strade conducevano a delle porte urbiche, poste sempre nei pressi di edifici religiosi dai quali presero le denominazioni. Nel XV secolo il conte Cola, Nicola II di Monforte, fu artefice di notevoli trasformazioni. Il castello, danneggiato certamente da eventi bellici e dai terremoti del 1349 e del 1456, venne ricostruito in modo radicale, nascondendo i probabili accrescimenti avvenuti nei secoli precedenti (età longobarda e normanna): una massiccia pianta quadrata - circa 32x44,5 metri - con bassi torrioni circolari agli angoli, racchiuse un mastio, anch’esso quadrangolare, sullo spigolo nord-est, ultima difesa in tempo di guerra e punto di vedetta in tempo di pace. Una cortina di forma ovoidale, dotata di torri semicircolari, includendo oltre al castello le chiese di San Giorgio, Sant’Angelo (San Michele Arcangelo) e Santa Maria Maggiore o del Monte, formò sull’altura una vera e propria cittadella fortificata. Apparteneva alla struttura anche il “torrazzo” oggi chiamato - dal nome degli antichi suoi acquirenti - Terzano, posto a protezione di una porta (situata vicino alla chiesa di San Bartolomeo) che immetteva nell’area militare; una seconda possibilità di accesso era costituita dalla cosiddetta Porta Fida o Fredda situata sul versante meridionale. Per ottenere lo spazio libero necessario alla creazione di questo recinto - atto ad ospitare le truppe e controllare tutto il territorio circostante - furono distrutti gli edifici dell’originario nucleo longobardo e la chiesa di Santa Croce del Battente, con il trasferimento degli abitanti - sopravvissuti al terremoto del 1456 - ad una quota più bassa del declivio.
La cinta urbana che risultò alla fine delle svariate operazioni di ripristino ed ampliamento succedutesi nel Medioevo, nel Rinascimento e anche nei secoli successivi, è oggi difficilmente leggibile. Tuttavia le seppur poche rappresentazioni grafiche, connesse alle ricerche archivistiche e bibliografiche, consentono di poter formulare un’ipotesi di ricostruzione della forma della città di Campobasso chiusa nell’ultima cerchia di mura (aragonese). ... La murazione che cingeva l’abitato, scendeva a sud-ovest verso la chiesa di Sant’Antonio Abate, seguiva la fascia di base del monte e risaliva il precipizio ad est, nei pressi della chiesa di San Paolo. Essa fu in gran parte irrobustita dal conte Cola con l’erezione di un secondo muro, ad una certa distanza dal primo; lo spazio tra i due venne, dunque, coperto con delle volte creando lunghissimi portici detti «Rinforzi», passaggi protetti - sormontati da un camminamento di ronda - che permettevano di spostarsi da un capo all’altro della città, dal quartiere di San Mercurio a quello di San Paolo, di grande utilità nel corso di operazioni militari. In età aragonese, fuori Porta San Leonardo si sviluppò un importante sobborgo, con carattere commerciale ed artigianale; si rese, quindi, necessaria una addizione che lo inglobasse e di conseguenza la porta urbica venne spostata circa settanta metri avanti, alla confluenza delle attuali via Orefici e via Marconi. Conseguentemente parte del precedente duplice anello murario risultò incorporato nelle nuove costruzioni. Pochi tratti di mura “a scarpa” della cinta aragonese si possono ancora distinguere in viale del Castello e in via Marconi, anche se intonacati ed inglobati nelle case attuali. Sopravvivono, poi, alcuni fornici d’accesso: Porta Sant’Antonio Abate (risalente al 1463, come testimonia lo stemma dei Monforte, in alto sulla sinistra, e rinnovata nel XVIII secolo), Porta San Nicola (piccolo andito che immette in una galleria), Porta Santa Cristina o Mancina (cosiddetta perché posta a sinistra - guardando dall’interno - rispetto a Porta Maggiore e alla chiesa di San Leonardo) e Porta San Paolo (sormontata da uno stemma datato 1374).
Non sono più in sito ma la loro ubicazione è ancora individuabile: Porta Santa Maria della Croce (abbattuta nel 1864), Porta San Leonardo o Maggiore o della Piazza (ricostruita nel 1725 dal conte-duca Carlo Carafa e definitivamente demolita nel 1834), Porta Fida e l’altro ingresso (abbattuto nel XIX secolo) alla cittadella fortificata che proteggeva il castello. Quest’ultimo, come attesta la denominazione - utilizzata in alcuni antichi documenti - «luogo delle tre porte», era probabilmente un apparato di sicurezza costituito da più aperture; sono individuabili: la principale, collocata tra il “torrazzo” Terzano e la chiesa di San Bartolomeo (ben visibile nel citato disegno del 1583) e un’altra tra la base del campanile della stessa chiesa (ove rimane un piedritto, un piano d’imposta e il primo concio - uno dei reni - dell’arco) e il muro di cinta. Esistevano, inoltre, delle porte più piccole (postierle); difatti, nel quartiere Sant’Antonio Abate, sopravvive il toponimo: vico del Portello, mentre un altro fornice che immetteva in una galleria (come Porta San Nicola) è ricordato, in un noto saggio del XIX secolo, da Pasquale Albino "vicino alla torre dei Presutti". Tutti gli accessi, fino all’anno 1682, venivano serrati ogni sera da addetti a questa funzione (“portolani”), in possesso delle chiavi relative. ... Intorno alla metà del Settecento, dopo la fine del viceregno austriaco, incominciò un sistematico smantellamento delle mura...».
http://www.associazionefalco.it/alessandro%20cimino/Articolo... (a cura di Alessandro Cimmino)
Campobasso (palazzo Cannavina)
«Il Palazzo venne edificato in un periodo databile tra il Seicento e il Settecento ed era tra i possedimenti dei Carafa, i feudatari della città. Alla morte senza eredi dell'ultimo discendente della famiglia, il Palazzo passò ai Baroni di Campobasso, che ne rimasero proprietari fino al 1742. Da questa data l'edificio entrò a far parte dei beni dello Stato, fino al 1783, anno in cui fu acquistato da don Michelangelo Salottolo. Infine ne divenne proprietaria la famiglia Cannavina. L'ingresso principale dell'edificio è in stile barocco ed è ornato da uno stemma con un albero di pino al centro di tre colli, sui quali si poggiano due leoni. Il Palazzo ha una forma quadrangolare ed è composto da due piani. All'interno delle sale si trovano preziosi mobili, affreschi, tappeti e arazzi. Fa parte dell'edificio anche una Cappella, nella quale è custodito lo stemma dei Salottolo. Un secondo portone d'ingresso si apre su una piazzetta retrostante, nella quale si trovano un pozzo, una terrazza e una pianta di fico. Il Palazzo conserva, inoltre, i ritratti dei personaggi che ne furono proprietari e reperti di guerra, come il cannocchiale appartenuto all'Ammiraglio Nelson. Attualmente il Palazzo è di proprietà privata».
http://www.ipalazzi.it/palazzo/p_2019.html
«Palazzo Japoce sorge nel punto in cui termina Via Chiarizia, confluisce Via Pennino e inizia Salita San Bartolomeo. Costruito tra il XVII e il XVIII secolo, il Palazzo - uno dei più belli della città - deve il suo nome al barone Francesco Japoce, vissuto a Campobasso ai tempi del Viceregno e indicato come uno dei più intraprendenti uomini d’affari del tempo. Egli, infatti, oltre a possedere una panetteria con attrezzi per fabbricare la pasta e un’osteria fuori le mura di Campobasso, fu anche uno dei più attivi promotori della rivendica della propria città al demanio, e uno dei maggiori garanti per le ingenti somme erogate a tal fine. Il Palazzo ha subito nel tempo vari restauri e adattamenti, nonché qualche periodo di abbandono. Delle linee originali rimane ben poco, se si eccettua l’originale e sfarzoso portale in pietra, con modanature concentriche ornate di eleganti foglie d’acanto poste a distanza regolare. Attualmente il Palazzo è di proprietà della Soprintendenza ai Beni Archeologici, Architettonici e Storici del Molise».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/campobasso/palazzo-japoce-campobasso
Campobasso (palazzo Mazzarotta)
«Il Palazzo risale al XVI secolo come sede di una confraternita religiosa e solo nel XVIII secolo diviene residenza della famiglia nobiliare napoletana dei Mazzarotta, le cui origini risalgono all'epoca aragonese. Un ramo di tale famiglia si trasferì infatti a Campobasso e si stabilì nel palazzo, dove è ancora visibile lo stemma con il delfino sul mare ondoso, variante dell'originale in cui era presente un serpente. La struttura interna del palazzo rivela un sovrapporsi di interventi costruttivi che isolano il portale e il loggiato, chiaramente riconducibili all'architettura dell'Ottocento. Oggi il palazzo ospita il Nuovo Museo provinciale sannitico, che in precedenza era locato in diverse sedi».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Mazzarotta
«Arrivate ai nostri giorni, seppure in gran parte rimaneggiate ed incorporate nelle abitazioni, sono alcune torri di scolta, note quasi sempre con i nomi delle persone o delle famiglie che ne divennero proprietarie: Torre Jaluongo, sul verante sud-occidentale del monte; Torre San Mercurio, su vico Carnaio; Torre del barone Petitti, presso Porta Sant’Antonio Abate; Torre dell’abate Ginetti, in via Marconi, vicino a Porta San Nicola; Torre Filiberto Petitti, attigua a Porta Mancina; Torre Presutti, lungo viale del Castello; Torre Ferrante, attigua a Porta San Paolo; Torre Terzano, gia più volte citata. Nelle "indicazioni dichiarative" della pianta di Antonio Pace - al numero 13 - viene ricordata un’altra torre a protezione della Porta di Santa Maria della Croce, "distrutta nel 1805". Le chiese di San Mercurio e di San Bartolomeo, che presentano sulle fiancate feritoie e fori - del tutto simili a quelli delle torri e del castello - per cannoncini, archibugi, e spingarde, erano parte integrante del sistema di fortificazione urbana». «Di fronte all’antica Chiesa di San Bartolomeo, si erge il Torrione Terzano, un’antica vedetta rompitratto delle mura di cinta del Castello. Presso la Torre Terzano e la Chiesa di San Bartolomeo sono ancora visibili gli attacchi di un’antica Porta, che, evidentemente, si apriva proprio al loro interno. Ciò testimonia l’esistenza di una prima, piccola cinta muraria, che abbracciava da vicino l’antica fortezza, il nucleo originario dal quale sarebbe poi sorto il Castello Monforte, fatto erigere dal Conte Cola in epoca angioina».
http://www.associazionefalco.it... (a cura di Alessandro Cimmino) - http://www.altrimedia.org/upload/press_area/cnu_2010/opuscolo.pdf
«La nascita e la crescita di Campochiaro come entità urbana è strettamente legata al fenomeno dell'incastellamento del secolo IX ed alla conseguente costruzione della rocca, identificabile ancora oggi con la torre ubicata nel punto più alto dell'abitato, in un sito strategicamente idoneo per l'avvistamento ed il controllo delle strade che attraversavano la piana sottostante e quelle che collegavano le varie località del massiccio del Matese. Nel periodo longobardo, prima, e normanno, poi, lo spazio circostante la torre fu recintato e munito di torri allo scopo di creare un rifugio in caso di pericolo per le popolazioni che vivevano sul territorio. La necessità di avere una dimora fissa e sicura ha determinato, in seguito, la costruzione delle abitazioni all'interno del recinto. Le torri della cinta muraria medioevale sono ben evidenti sul lato sud ed individuabili soltanto in parte sul lato est in quanto inglobate nelle abitazioni più recenti; sul lato nord, invece, esse mancano del tutto perché la recinzione è posta a strapiombo su una scarpata. L'ipotesi che Campochiaro sia nata come baluardo difensivo è avvalorata ancor più dall'assenza all'interno della cinta muraria di tracce pertinenti ad edifici religiosi. La differenziazione più significativa tra l'agglomerato medievale e quello di più recente formazione, oltre alla delimitazione delle mura, è data dalla disposizione delle strade: nel primo nucleo esse ricalcano un sistema radiale convergente idealmente verso la torre con andamento a gradoni, favorendo una serie di costruzioni organizzate in modo da sfruttare il pendio naturale del colle; nel secondo nucleo, fuori le mura, le strade sono poste, invece, parallelamente alle curve di livello e, quindi, senza gradonate, presenti soltanto nelle piccole arterie di collegamento tra strade poste a quote differenti. Mancano nel nucleo abitativo posto all'esterno delle mura tracce di insediamento di età medievale. È, comunque, possibile che testimonianze più antiche siano state distrutte dal terremoto del 1456, come farebbero supporre alcuni frammenti architettonici risalenti al secolo XIV inseriti nel portale della chiesetta di San Donato. Il periodo compreso tra i secoli XVII e XVIII è quello caratterizzato da un'architettura più articolata ed impegnativa: sorgono, infatti le prime chiese, le prime piazze, le prime abitazioni con caratteri dignitosi. Come è già stato fatto notare, gli edifici religiosi sono ubicati tutti fuori dalle mura di cinta del borgo medievale. La chiesa più importante è la parrocchiale dedicata a Santa Maria Assunta. L'edificio sorge nella zona centrale del paese, alla confluenza di numerose strade, posizione, questa, che definisce l'impianto religioso come punto nevralgico per la vita sociale della comunità».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1613
Campochiaro (torre della rocca)
«La rocca di Campochiaro, edificata tra il IX e il X sec. d.C., è tra le più importanti postazioni strategiche e difensive presenti nella zona di incrocio del tratturo del Matese con il tratturo Pescasseroli-Candela; tali postazioni nascevano proprio per provvedere alla difesa dell'importante centro amministrativo di Bojano. È ben riconoscibile intorno alla rocca una cinta muraria, che originariamente prevedeva nove torri; sul lato meridionale se ne possono scorgere alcune, mentre sul lato orientale non si riescono bene a distinguere, circondate, come sono, da abitazioni costruite successivamente. La torre, che si è meglio preservata dal logorio del tempo, è situata nella parte più alta del paese e nella dicitura comune rappresenta "la Rocca"; l'entrata è posta sul lato opposto alla scarpata, mentre due finestre sono presenti sulla lato rivolto al paese. È un struttura cilindrica a pianta circolare, costruita con conci di pietra di piccole dimensioni; esternamente sono visibili dei travicelli, che con ogni probabilità servivano a sostenere delle travi in legno. Non aveva funzioni abitative, come i castelli, per le famiglie signorili».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/421
«Il paese sorge in una zona collinare a poca distanza dal capoluogo regionale; conserva nel centro storico una suggestiva atmosfera medioevale con i suoi vicoli stretti e interessanti testimonianze del passato. Anticamente il piccolo centro molisano era chiuso all'interno di mura, che lo preservavano da possibili attacchi nemici e vi si poteva accedere tramite tre porte. Le origini di questo paese non sono note, difatti, prima del 1022 non è possibile reperire notizie che lo riguardino. Per ciò che concerne il nome, invece, alcuni avanzano l'ipotesi che derivi dal quello del proprietario del terreno su cui, poi, sarebbe sorto il paese, altri, invece, ritengono che trovi origine da una lastra in pietra posta sulla tomba di un signore del tempo. Come del resto gli altri centri della provincia, anch'esso fu oggetto di dominio di diversi potentati sino all'eversione della feudalità. Il centro abitato, quello di storia più antica, mostra i caratteri medioevali: costruzioni separate da viuzze, il tutto compreso in una muratura di recinzione che, a porte ben serrate, offriva garanzia di difesa. Tutto l'abitato si raccoglie intorno alla Chiesa di San Martino del XVIII secolo dell'architetto Nunzio Margiotta».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1568
Campolieto (palazzo ducale dei Di Capua)
«Il palazzo attualmente si presenta profondamente manomesso dalle ristrutturazione che l'edificio ha subito in epoca moderna dopo il frazionamento della proprietà nel 1942 alla morte dell'ultimo barone. Nel XVIII secolo però il palazzo di Capua era considerato uno delle case patrizie più belle e ricche della zona. L'area su cui sorge la struttura è quella dove si trovava il castello di cui rimangono alcuni tratti della cinta muraria e la cui costruzione risale al periodo normanno (XI secolo) quando signore di Campolieto era Roberto de Russa, un nobile che nel 1096 partecipò alla prima crociata in Terra Santa. Il maniero e il feudo furono concessi nel corso dei secoli a diversi feudadari fino a quando Ferrante II concesse ad Andrea de Capua duca di Termoli Campolieto. I de Capua mantennero il feudo fino al 1584 e ristrutturarono il castello medievale trasformandolo in casa signorile. Della struttura originaria permangono solo l’elegante portale rinascimentale, datato 1551».
http://wikimapia.org/23709352/it/Campolieto-Palazzo-ducale-di-Capua
«Il paese è posto su un'altura in prossimità della costa alla destra della foce del fiume Biferno; il borgo antico presenta caratteristiche tipicamente medioevali e si articola intorno alla suggestiva Chiesa di Santa Maria a Mare. Insieme a Montenero di Bisaccia, Petacciato e Termoli, questo accogliente paese rappresenta una delle mete preferite del turismo balneare della Provincia. A Campomarino lido è possibile usufruire di attrezzate strutture ricettive, che permettono al turista di godersi un ottimo soggiorno. Importanti scoperte archeologiche nelle vicinanze dell'attuale centro abitato, indicano, indiscutibilmente, che il territorio di Campomarino sia stato abitato sin da tempi assai remoti. Si ha certezza dell'esistenza di questo bel paese nel periodo longobardo; nel 1320 in alcuni regesti angioini compare la denominazione Campus Marinus. Nel passato sul meraviglioso territorio costiero approdarono popolazioni dalla zona dei Balcani per scampare a persecuzioni da parte dei turchi e a Campomarino, in particolare, si stanziarono colonie di albanesi; per tale motivo, ancora oggi, è possibile apprezzare parlate arcaiche, proprio, di origine albanese. Il centro abitato, di vecchia fattura, presenta le caratteristiche tipiche dei paesi medioevali. Qui vi è la Chiesa di Santa Maria a Mare con la cripta databile al XII secolo, cui si accede tramite una scalinata nella navata sinistra con strutture di ispirazione romanica. Nell'Agro si trova la Torre Ramitelli, struttura difensiva, mentre in prossimità del mare è presente un insediamento abitativo di epoca protostorica. Il centro abitato si è espanso rapidamente, grazie anche alla bonifica di gran parte della fascia costiera dove attualmente si notano moderni complessi balneari, meta di turisti e villeggianti che aumentano sempre di più».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1696
«Sulla strada litoranea SS 16, direzione sud, in località Campomarino (Cb), alla foce del fiume Biferno, era situata la torre di Campomarino, detta anche torre Biferno. Secondo le testimonianze, la torre si trovava sulla riva sinistra del fiume, dalla parte di masseria Pennucci; secondo il marchese di Celenza Carlo Gambacorta, invece, sulla sponda destra, dalla parte di masseria Candela. Comunicava a nord col Castello di Termoli, dal quale distava 3,5 km (miglia 4 secondo il Gambacorta) e a sud con torre Saccione (detta anche torre Fantine, in località Serracapriola - Fg), distante 12,5 km (miglia 6 secondo il Gambacorta). Notizie storiche: 1568: anno di edificazione ad opera di Cristiano de Villanova; ... 1594: relazione del marchese di Celenza Carlo Gambacorta, il quale la ritiene sita in buona posizione e di buona fabbrica; dice inoltre che avrebbe bisogno di un falconetto e di uno smeriglio, riparazioni contro la pioggia e una finestra in legno; ... 1777: abbandonata perché diruta. ... Relazione del marchese di Celenza Carlo Gambacorta, 1594: "Questa 23 Torre detta di Campomarino in territorio di Campomarino sta distante dalla retta torre di Staccioni miglia sei e dalla terra di Campomarino è un terzo de miglio, e verso Abruzzo dalla Torre della Senarca miglia sei. Ben posta di buona fabrica guarda la spiagia, ed una fiumara detta Piferno grandissima che corre accosto a detta Torre dalla parte di Abruzzo. Ha corrispondenza con la retta torre di Staccione et altra a verso Abruzzo non ha corrispondenza, … di Termoli quattro miglia distante. Bisogna un falconetto et uno smeriglio per guardar detto fiume che con due altri scoppietti … sono da … è necessario conciarsi l'astraco della piazza di … e farci una finestra di ligname che ci vuole ducati otto". Anche quest'ultima torre della costa molisana, nella sua forma architettonica, rientra nella tipologia delle torri del periodo vicereale: quadrangolare nella pianta, 11 m per lato, corpo a forma di tronco di piramide, con uno sviluppo in altezza di circa 12 m, con tre caditoie per lato. Era articolata su due piani, l'accesso era a monte, l'entrata si effettuava attraverso una scala in muratura, con una passerella di legno, facilmente retraibile in caso di necessità. Oggi vi sono testimonianze circa la sua esistenza presso la masseria Pennucci, ma non vi sono dati certi tranne il toponimo "Piano della torre" registrato in una tavola dell'Istituto Geografico Militare. Probabilmente i resti della torre sono sommersi dal mare, a causa del fenomeno del bradisismo che ha caratterizzato soprattutto quel tratto di costa.
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/campomarino.htm
Casacalenda (palazzo ducale de Sangro)
«Dell’antico “fortellitio” (cioè privo di corpo residenziale) di Kalene, di cui si parla per la prima volta nell’atto di vendita fatto nel 1510 dal duca di Termoli, Andrea di Capua, a Pirro Ametrano, non vi sono più tracce. Tale fortificazione fu, infatti, dagli stessi Ametrano, agli inizi della seconda metà del Cinquecento, inglobata nelle trasformazioni eseguite sull’area dell’originario impianto difensivo al fine di adeguarlo alle nuove esigenze della feudalità tesa soprattutto a godersi le ricchezze del feudo. Se si esaminano con attenzione le sovrapposizioni tardo-rinascimentali si nota come la conformazione originaria della struttura sia costituita da un unico corpo formato da una torre a base quadrangolare che si ergeva centralmente rispetto alle fortificazioni urbane. è probabile che l’originaria torre, con base a scarpa, subì delle trasformazioni già in epoca longobarda; non è da escludere infatti l’ipotesi che essa possa addirittura essere molto più antica e risalire al paesaggio preurbano dei secoli VII-IX. Durante la prima metà del XIX secolo il vano sotto la rampa principale d’ingresso venne utilizzato per l’alloggio delle truppe presenti in paese per la repressione del brigantaggio, mentre le stanze che si trovavano entrando sulla sinistra per molti anni furono la sede del Giudicato Regio. Fino al 1980 l’edificio si presentava come un insieme di costruzioni che seppur molto degradate erano adibite ad abitazioni. I diversi proprietari del palazzo hanno proceduto alle ristrutturazioni interne nonché all'intonacatura esterna del manufatto architettonico, che è terminata solo negli anni Novanta. Il castello possiede passaggi sotterranei che un tempo venivano usati come vie di fuga e di collegamento in caso di assedio».
http://www.amicomol.com/PalazzidelMolise.html
«Casalciprano è adagiata su una collina, che si erge tra la valle del fiume Biferno e quella del Rio, inserita in un paesaggio dall'aspetto armonioso e riposante; il centro storico arroccato intorno alla chiesa, che lo domina, ha conservato il suo fascino e le caratteristiche medioevali. È un tipico centro molisano dove i ritmi dell'uomo seguono ancora quelli della natura, che lo circonda, mantenendo alto il livello della qualità della vita. Sono completamente lacunose le notizie circa la nascita e la storia del paese: secondo un'antica tradizione del luogo, del tutto inattendibile, una prima Casalciprano sarebbe sorta nelle vicinanze della chiesa dell'Annunziata, distrutta poi da una frana o un terremoto. Poche e non molto attendibili sono le notizie, che ci consentono di risalire all'origine del nome; un'ipotesi, avanzata con più decisione, ritiene che la parte del nome "Casale" si riferisca ad un raggruppamento di un piccolo centro abitato, diversamente l'altra parte sembra derivi dal nome di qualche notabile personaggio vissuto in passato nel paese. Certamente questo paese non si discosta dalle vicende di altri comuni vicini, in quanto fu oggetto di dominio di diversi potentati sino all'eversione della feudalità. ... Nell'agglomerato urbano, che evidenzia le caratteristiche medioevali, si ergono la Chiesa di Santa Maria del Giardino, la Chiesa del SS. Salvatore, di antiche origini ed inagibile per ripetute lesioni sismiche, e la Chiesa della SS. Annunziata, anch'essa gravemente danneggiata dal terremoto e restaurata con le offerte degli emigrati in America. Interessante da vedere è il Museo della "Memoria Contadina". ... Percorrendo vicoli e strade del centro storico di Casalciprano, si avrà la sorpresa di scoprire l'antico borgo medievale e la meravigliosa suggestione di ritrovare frammenti di vita passata. Il Museo a cielo aperto della Memoria Contadina è stato allestito nel caratteristico borgo».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1700/UT/systemPrint
a c. di Stefano Vannozzi
Castelbottaccio (palazzo baronale)
«Castelbottaccio sorge sulla riva sinistra del Biferno; viene a trovarsi in un territorio molto vario per la vegetazione presente e per la sua morfologia. È possibile godere di bellissimi panorami, dai Monti del Matese addirittura sino, addirittura, alla costa. Il vecchio nucleo urbano è di origine medioevale e conserva quasi intatto il caratteristico ambiente planimetrico originario. Non si posseggono notizie attendibili che possano far chiarezza sull'etimologia del nome, tuttavia in un documento del 1148 appare la denominazione "Calcabuttaccio" e in documento del 1767 appare per la prima volta il nome attuale. È certo che, per lungo tempo, fece parte della Contea del Molise e che, poi, durante il regno di Roberto D'Angiò fu sotto il dominio della famiglia Sangro; a questa, poi, si successero diverse famiglie che esercitarono il loro potere sino all'eversione della feudalità. Un personaggio noto nella vita di Castelbottaccio è Donna Olimpia Frangipane, giovane moglie dell anziano barone di Castelbottaccio don Francesco Cardone. Donna attraentissima e molto colta aprì la sua casa agli intellettuali della zona promuovendo con matura responsabilità un circolo giacobino, un centro clandestino dove si tenevano animate conversazioni sulla democrazia, sulla libertà, in avversione all opprimente governo borbonico. Fra i giovani intellettuali che frequentarono il circolo spiccano i nomi di Marcello Pepe e Vincenzo Cuoco, che nell'opera "Platone in Italia" ne tramanda la memoria adombrando se stesso in Cleobulo e donna Olimpia in Mnesilia. Nel centro abitato vi è la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, di antica costruzione. Da una lapide rinvenuta durante i lavori di restauro si legge la data del 1178 ed è, quindi, una delle chiese più antiche. Un tempo faceva parte della Diocesi di Guardialfiera (fino al 1818), attualmente è aggregata a quella di Termoli-Larino. Nella contrada Macchia di Sant'Oto è ubicata una Cappella rurale. Tra le strutture murarie più significative del paese vi è il Palazzo baronale dei Cardone, di cui resta un portale in pietra. Il territorio di Castelbottaccio è attraversato dal tratturo Celano-Foggia».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1704
Castellino del Biferno (borgo)
«La fortezza di Castrum Eudolini – oggi Castellino del Biferno - nacque sul costone di tufo dove è sito, intorno all’anno mille, quando molti nuclei familiari ancora pagani (convertiti al cristianesimo intorno al mille e trecento), decisero di lasciare le pianure fertili limitrofe al fiume Biferno, poiché continuamente saccheggiati dai barbari e dai Saraceni, Arabi Mussulmani successivamente scacciati. Fra i più noti feudatari che lo hanno governato si riscontrano: Andrea d’Isernia, i D’Evoli, i De Capua, i Caracciolo. Originariamente il comune ha avuto varie denominazioni, infatti nel 1011 era detto "Castrum Edolini", poi "Castellum de Lino" e "Castrum Lini" nei secoli XV-XVI, "Castellina", nel 1640 "Castello del Lino", e finalmente nel secolo XVIII Castellino. Nel 1861 sorse la necessità di aggiungere un altro nome per distinguerlo dai vari Castellino esistenti e da Castellino Tanaro (Cuneo), per cui nel 1863 il comune fu autorizzato a chiamarsi Castellino del Biferno. I primi documenti storici relativi a Castellino risalgono all'epoca normanna, quando il feudo era possesso del ducato di Montagano. Nel periodo svevo invece, era pertinente alla Contea di Molise». «Il nucleo più antico sorge all'estremità del breve pianoro chiuso da un dirupo e conserva le caratteristiche di una fortezza feudale: case strette le une alle altre, piuttosto piccole, che sembrano sorgere dalla roccia, circondate dalle mura. Dalla piazzetta del Municipio partono le stradine sulle quali affacciano bei portali di pietra (gli scalpellini di Castellino sono stati e sono famosi non solo negli ambiti provinciale e regionale)».
http://www.comune.castellinodelbiferno.cb.it/opencms/opencms/StoriaTradizioniCultura/index.html
http://www.regione.molise.it/cstc/files/051f46ccef0394aec1256a6a006386dc.htm
Castelmauro (palazzo ducale Jovine)
«Castelmauro è un piccolo comune di millenovecento abitanti in provincia di Campobasso (che diventano cinquemila durante le “Feste di Settembre”, quando moltissimi emigrati tornano a respirare “aria di casa”), situato sulle pendici del Monte Mauro a circa settecento metri sul livello del mare. Ha un clima salubre, paesaggio di alta collina, ma con la splendida visione della costa adriatica termolese. Ha un agro di quasi quattromila ettari, in parte ancora boschivo e per il resto coltivato a frumento, vigneti e oliveti. Al centro del paese e nel cuore del borgo antico, che conserva ancora oggi angoli incontaminati, sorge l’antico Palazzo ducale, le cui origini risalgono alla seconda metà del secolo XIII. Costruito nel punto più alto della contrada di Castelluccio (poi definita “Castelluccio Acquaborrana” per la posizione collinare in prossimità di un torrente), attirò numerosi insediamenti di contadini e pastori che in precedenza vivevano nelle contrade adiacenti. Nel corso dei secoli il Palazzo passò più volte di mano attraverso le famiglie nobiliari che, per vendita o per trasmissione ereditaria, ne rilevarono il possesso. L’ultimo feudatario fu il duca di Canzano che, nel 1809, lo cedette alla famiglia Jovine: pochi anni dopo (1815) venne istituita la monarchia napoleonica e abolita la feudalità. Nel 1885, dopo l’unità d’Italia, il paese cambiò nome e da Castelluccio Acquaborrana assunse l’attuale denominazione di Castelmauro. Il Palazzo ducale Jovine di Castelmauro è una compatta costruzione edificata in pietra locale, al pari delle altre costruzioni che sorgono nell’antico borgo; essendo stato costruito essenzialmente per scopi residenziali, è privo di torrioni o di altre strutture difensive. Al Palazzo si accede attraverso un imponente portale in legno, puntellato da chiodi di grosse dimensioni. L’interno si apre su un vasto cortile con pavimento acciottolato, dove s’affacciano alcuni locali che un tempo venivano utilizzati come magazzini e stalle. Le stanze dei piani superiori sono caratterizzate da locali spaziosi, con pavimentazioni in cotto e soffitti a volta oppure sostenuti da travoni in legno: una sontuosità architettonica che trova riscontro nei mobili pregiati e nei grandi caminetti che adornano le sale principali e la vasta cucina. Nella seconda metà del Novecento il Palazzo è stato un cenacolo culturale che ha visto transitare tra le sue mura personaggi come Albino Pierro, Francesco Jovine, Pietro Cimatti, Tommaso Fiore, Roger Pejrefitte, Giose Rimanelli, Sabino d’Acunto, Glauco Cambon, Domenico Fratianni, Aldo Turchiaro, Francesco d’Episcopo, Aldo Rosselli, Massimo Grillandi, Pietro Corsi, Mario Luzi, Maria Luisa Spaziani, Stanislao Nievo e tanti altri illustri personaggi della cultura, dell’arte e della politica».
http://www.carlojovine.net/castelmauro.htm
Castropignano (ruderi del castello d'Evoli)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Castropignano dovrebbe corrispondere per la sua ubicazione strategica all’antica “palombinum” che nel lingua sannitica significa fortezza. L’edificio fu costruito durante la dominazione longobarda invece nell’XI secolo fu fortificato e trasformato dai normanni. Dal 1345 fino alla fine del XIX secolo la famiglia d’Evoli si impadronì di tutto il territorio di Castropignano compreso il castello e lo mantennero fino alla fine del XIX secolo cioé fino alla fine della feudalità. Furono proprio loro a progettare i primi lavori di trasformazione nel 1362 su proposta di Giovanni d’Evoli che riedificò il castello sulle strutture già esistenti. Successore di Giovanni fu Andrea che nel 1396 perse il feudo poiché considerato un ribelle dalle autorità di quel tempo. Grazie ad Antonio d’Evoli la famiglia riuscì ad avere di nuovo la proprietà del castello. Il personaggio senza dubbio più noto è Vincenzo d’Evoli a cui si deve la costruzione della chiesa di Santa Maria delle Grazie ubicata a Castropignano. L’ultimo intervento risale al 1683 ad opera del duca Domenico d'Evoli, ultimo erede della famiglia. Verso la fine del XIX secolo la famiglia si estinse e il castello fu lasciato incustodito. Sul portone dell’edificio è ancora presente lo stemma della famiglia d’Evoli. Circa la disposizione degli elementi dell’edificio stesso, sappiamo che oggi non gode dello stesso prestigio di un tempo; al contrario, a causa dei numerosi interventi è stata trasformata la struttura originaria. Il castello è a pianta quadrangolare ed era caratterizzato oltre che da un cortile interno anche da numerose stanze che erano a disposizione per riporre gli alimenti oppure erano delle stalle per il bestiame sulle quali si affacciavano degli appartamenti. Stando ai documenti rinvenuti, un tempo il castello era dotato di una bellissima scalinata a due rampe corredata di una balaustra con colonnine in pietra. Il castello d’Evoli un tempo era anche delimitato da un fossato molto profondo, all’interno del quale furono costruite mura di cinta e due torrioni, dei quali uno serviva a difendere l’ingresso principale mentre l’altro era collocato nella zona dello strapiombo, precisamente nella parte posteriore».
a c. di Stefano Vannozzi
Cercepiccola (palazzo marchesale Carafa)
«Cercepiccola è ubicata sulla strada che da Campobasso conduce ad Isernia che è un importante centro archeologico e culturale del Molise. Il Palazzo Marchesale della famiglia Carafa è stato edificato nella parte centrale del paese. L’unico dato che molto spesso manca quando si tratta di far conoscere la struttura e la storia dei castelli molisani è senza dubbio la data di edificazione, cagionato dalla mancanza dei documenti a disposizione. Un edificio, a grandi linee, viene datato dopo una accurata analisi della struttura muraria o analizzando lo stile utilizzato nel corso della costruzione. Questo però non è il caso del Palazzo Marchesale di Cercepiccola, dato che i documenti pervenutici attestano che la fortezza sia stata edificata nel 1571. Il castello fu eretto per volere di Scipione Carafa, che nel 1566 ricevette il feudo dal Duca di Montecalvo ossia Giambattista Carafa. La struttura è a pianta quadrangolare estesa su quattro livelli i torrioni angolari, anch’essi di forma quadrata, sono tuttora intatti, di cui uno di dimensioni maggiori rispetto agli altri dato che aveva la funzione di mastio. L’ingresso rivolto verso la chiesa di San Salvatore è caratterizzato da un portale in pietra con arco a tutto sesto che conduce sino al cortile. La parte destra del palazzo nonostante sia in parte demolita conserva ancora se gli archi a tutto sesto che appartenevano alla scuderia. Il castello non presenta balconi o loggiati ma solo una succcessione di finestre le cui dimensioni cambiano a seconda dei piani. Le finestre del terzo piano sono di dimensioni maggiori rispetto a quelle del primo piano; ciò fa supporre che al terzo piano vi risiedevano i padroni mentre al primo la servitù. L’interno del palazzo non può essere visitato perché è divenuta residenza privata. Dato il ritrovamento di ville romane nel territorio dell’attuale Cercepiccola si presuppone che un tempo fosse abitato da famiglie benestanti che qui avevano collocato la loro residenza. Le persone anziane del paese narrano che un tempo a Cercepiccola vi era un tunnel all’interno del palazzo ducale che permetteva agli abitanto di raggiungere velocemente le campagne limotrofe in caso di pericolo. ...».
http://www.molise.org/territorio/Campobasso/Cercepiccola/Arte/Castelli/Palazzo_Marchesale
Civita Superiore (ruderi della rocca di Bojano o castello Pandone)
«I ruderi della fortificazione si trovano nella parte alta della Civita, isolati dal nucleo abitato medioevale. Lo studio delle caratteristiche planimetriche e strutturali non consentono di differenziare nettamente gli interventi longobardi da quelli normanni; la interpretazione è resa ancora più difficile da recenti interventi che hanno omogeneizzato parte delle murature. Il castello Pandone appare come l’elemento emergente in una vasta pianura alle pendici del Matese a controllo del transito sul tratturo Pescasseroli-Candela. Nelle vicinanze sono stati rinvenuti tratti di mura ciclopiche che fanno pensare ad una prima fortificazione sannita riutilizzata in periodi successivi. Durante il regno di Federico II, l’area è teatro di lotte tra i rappresentanti dell’imperatore e Giuditta, moglie del conte Tommaso di Celano. Nel Registrum Friderici II è fatta menzione della Civita: in un documento del 19 ottobre 1239 l’imperatore ordina di demolire le abitazioni costruite nei pressi della fortezza e di provvedere con sollecitudine alla manutenzione delle strutture militari. Il castello comprende un ricetto destinato a rifugio occasionale per la popolazione, la residenza del conte nella parte mediana, e la corte alta. Delle strutture della fortificazione sono ancora evidenti due ampi recinti separati da un fossato trasversale che sfrutta la naturale conformazione del sito. Su questo si affacciano i resti di un ampio vano di pianta rettangolare di cui rimane solo parte della copertura voltata (a sesto ribassato). Le aperture presentano una forte strombatura interna. Il cortile ha la funzione di piazza d’armi e di compartimentazione stagna (diateichisma). Delle torri originarie sopravvive soltanto quella posta allo spigolo occidentale dove sono evidenti anche i resti di una cisterna: vasti tratti di muratura della recinzione medievale con torri e porte sopravvivono pur se in parte inglobati nei più recenti edifici. Recenti scavi hanno permesso il rinvenimento di importanti ceramiche invetriate del XIII secolo».
http://www.morronedelsannio.com/molise/castello_di_boiano.htm
Civitacampomarano (castello angioino)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il castello si erge nella parte centrale del paese su un masso di pietra arenaria. Secondo alcuni ricercatori il castello di Civitacampomarano potrebbe essere stato edificato intorno al secolo XIV sotto l’egemonia di Carlo I d’Angiò. Altri studiosi invece ritengono che la fortezza sia stata edificata intorno alla seconda metà del XIII secolo stando al fatto che l’edificio presenta elementi architettonici tipici di questo periodo. L’ordine di costruirlo si presume sia stato dato da Federico II con lo scopo di donarlo ad un capitano di ventura per sdebitarsi del fatto che quest’uomo gli diede molte prestazioni d’opera. Altri storici al contrario sono convinti che il castello sia stato realizzato dalla signoria dei De Balzo o dalla famiglia dei Carafa. Molti sono stati i proprietari che hanno abitato nel castello di Civitacampomarano come ad esempio i Durazzo, i Di Sangro, i Carafa e i d’Avalos. La fortezza è a pianta quadrangolare; la parte occidentale è caratterizzata da due imponenti torri che si elevano su altrettanti imponenti torrioni angolari di forma cilindrica con una base a scarpa tra i quali si erige una cortina muraria. La parte centrale è ornata da archetti pendenti conformi a quelli dei torrioni; mentre la parte superiore è costituita da un loggiato formato da sei archi a tutto sesto. Questo loggiato è un’appendice di epoca rinascimentale che diede un apporto per attenuare la forma compatta dell’edificio. La parte rivolta a sud che si affaccia sullo strapiombo e la parte esposta a nord che si erge su una parte urbana non destano particolare interesse. Il portone del periodo trecentesco è anticipato da una scalinata composta da dodici gradini.
Sulla facciata è presente ancora la stemma della famiglia Di Paolo di Sangro sul quale sono scolpiti dei gigli rovesciati. Al di sopra dello stemma vi sono dei buchi all’interno dei quali si muovevano le catene dei ponti elevatoi. Il castello è composto da finestre ed altre strutture molto strette. Una volta superato l’ingresso si arriva ad una sala a forma di trapezio che a causa dei continui restauri fu privata del soffitto a cassettoni. Le restanti stanze del castello sono conservate in modo repellente a causa dell’umidità. Sotto la scalinata del cortile si apre un’arcata che permette di accedere al piano inferiore, dove sono collocati dei locali adibite a stalle o a cantine, e che consente inoltre di arrivare alle torri e ai percorsi destinati alla ronda. Al pianterreno ci sono dei locali che sono stati ristrutturati nel 1968. All’interno del cortile vi è anche un pozzo che riceve l’acqua piovana e anche una fontana abbellita con forme antropomorfe che con molta probabilità è di origine sannita. Nei luoghi circostanti vi sono delle masserie edificate con la sistema dell’edilizia dell’epoca repubblicana detta anche “opus incertum”. Una tecnica simile è stata impiegata anche per la costruzione della fortezza effettuato con gli stessi materiali delle fattorie. Uno dei feudatari notevoli di Civitacampomarano fu Paolo di Sangro che ricevette il feudo da Alfonso I d’Aragona come remunerazione per aver assaltato l’esercito di Antonio Caldora suo avversario nella conquista del Regno di Napoli. La battaglia fu vinta da Alfonso I a seguito del tradimento. Nel ‘400 il castello è stato sottoposto a lavori di restauro. Il lato settentrionale incluso tra i due torrioni era difeso da un fossato. Nel 1795 su istanza consegnata dalla popolazione il fossato fu riempito per realizzarci la strada che oggi collega il centro storico alla zona nuova del paese».
Colle Alto (resti della torre)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Sorge su un piccolo dosso collinare del versante occidentale dell'alta valle del Biferno, in posizione di controllo sul territorio compreso tra Torella del Sannio e Castroprignano. Collis Altus è menzionato nel privilegio del 1130 con il quale papa Anacleto II concede a Ruggero II la corona di Sicilia. Nella seconda metà del XII secolo Colle Alto è feudo di Arnaldo di Fossacesa insieme a Torella del Sannio. Della torre a pianta quadrangolare (circa n 5 x 5) si conserva al vertice del colle un piccolo lacerto murario del lato settentrionale; a nord resta intatta una cisterna circolare di m 1,5 di diametro. ...».
Da Gabriella Di Rocco, Castelli e borghi murati della Contea di Molise (secoli X-XIV), in "Quaderni di Archeologia Medievale", X (2009), p. 91.
Colle d'Anchise (ruderi della torre longobarda e del palazzo Ducale)
«Il documento più antico che cita Colle d’Anchise risale al 1314, laddove è chiamato “Corranchisio”, ma il territorio sul quale insiste l’attuale comune è stato abitato fin dall’età sannita, e a testimonianza di ciò, i frammenti di laterizio risalenti al IV- II sec. a.C., ritrovati in località S. Giovanni e Collalto (alcuni con l’indicazione del “meddix”, alta autorità sannitica) potrebbero far supporre in loco, l’ubicazione di un importante edificio (tempio o torre di avvistamento) risalente a tale periodo. Con l’avvento dei Romani anche i siti sanniti di Colle d’Anchise furono distrutti o riutilizzati per l’insediamento di colonie e municipi. A tal proposito l’iscrizione risalente al I sec. d.C. e altri resti rinvenuti in località Fonte dei Ceci, sono testimonianza di accadimenti relativi a quest’epoca. è verosimile che la torre inglobata nei ruderi del “Castello” di Colle d’Anchise possa essere sorta in tale frangente e quindi può essere datata tra il IX e XI sec. d.C. Essa è sicuramente la struttura superstite più antica che ancora oggi si può vedere in paese, insieme ai ruderi del Palazzo Ducale di età sei-settecentesca, del quale oggi rimangono sempre meno tracce se si esclude un tratto, ancora ben conservato, del possente muro a scarpa che controlla dall’alto la valle del Biferno. L’eta feudale segna il passaggio di numerose famiglie notabili, che si avvicendano a capo dell’abitato : i Pandone, i Sanframondo, i Mormile i Tomacelli, e a ridosso dei primi anni del Settecento, la prestigiosa famiglia di Costanzo. Questa, venuta nel Reame con le armi di Enrico VI, fondatore della monarchia sveva di Napoli, emerse nel secolo XIII. ... Nel paese interessanti da visitare sono i già citati ruderi del Palazzo ducale seicentesco con la torre di età longobarda inglobata nel muro di cinta».
http://www.matese.org/comuni/colle%20d'anchise_file/storia.htm
Colletorto (palazzo Marchesale)
«è posto sul limite sudorientale del centro abitato, a controllo della vallata del tratturo Celano-Foggia e del fiume Fortore. I registri angioini (1320) riportano il paese come “Collis Tortus”. La conformazione del centro abitato evidenzia la trasformazione del nucleo abitato originale, dove sorge la chiesa dei Francescani, con il borgo murato difeso dal torrione cilindrico, costruito al tempo della regina Giovanna I (1340 circa) nell’ambito di una generale riorganizzazione delle difese del vallone di S. Maria e della valle del Fortore. Le strutture murarie sono fondate direttamente sulla roccia affiorante; l’apparecchio murario è misto con elementi da spacco ben alloggiati su filari poco regolari. Nel seminterrato c’è una cisterna. I sistemi difensivi sono testimoniati da una feritoia superstite, da un cunicolo sotterraneo (il valloncello) e, soprattutto da un notevole apparato a sporgere su beccatelli monolitici in pietra. Sulle rovine del castello il marchese Rota farà costruire un palazzo a pianta quadrangolare con un cortile interno, oggi sede del municipio. Con la sua sagoma alta 25 m risulta essere unica nel suo genere nel Molise ma presenta interessanti analogie con alcuni torrioni svevo-angioini della Puglia (Lucera), dell’Abruzzo (S. Stefano di Sessania o il torrione del recinto di Bominaco), della Basilicata (Tricarico, Cirigliano, S.Mauro Forte), della Campania (Velia), della Calabria (la torre di Malvito) e della Sicilia (Salemi). L’elemento più significativo sembra essere il torrione in muratura di S. Marco Argentano in Calabria che sostituisce il più antico donjon in legno su motta, fatto costruire da Roberto il Guiscardo prima del 1051».
http://www.morronedelsannio.com/molise/castello_di_colletorto.htm
«La Torre Angioina venne edificata durante il regno di Giovanna I d'Angiò probabilmente su un impianto normanno preesitente. è a pianta circolare, di mole robusta, alta 25 metri. Le mura presentano a coronamento, in alto, una serie di beccatelli e di merlature. Domina sulla vallata del vallone S. Maria e la valle del Fortore. Non sappiamo l'anno preciso in cui fu realizzata tale opera, ma, poiché Giovanna I regnò dal 1343 al 1382, l'anno della sua edificazione è da far risalire intorno al 1369. Quest'ultima è la data più certa perché, come viene rilevato da un documento regio, la regina Giovanna I rivolgendo la sua attenzione alla nostra zona deserta e distrutta dai saccheggi compiuti dai soldati di Luigi d'Ungheria, si pensa che per proteggerla e ripopolarla, abbia ordinato che nel nostro "Casale Collis Tortis" fosse cotruita una torre alta e maestosa circondata da un massiccio castello (attuale Comune) a guardia e a difesa della zona contro i nemici. L'interno è a più piani, ognuno fornito di un camino, intorno al quale la truppa si riscaldava nelle invernate gelide. Vi è anche il cosiddetto "trabucco" il quale serviva per gettarvi i cadaveri dei soldati o quelli dei prigionieri torturati. Accanto vi era il castello, sulle cui rovine il marchese B. Rota fece costruire il palazzo marchesale. Nel corso dei secoli la Torre passa da padrone a padrone fino a diventare di proprietà della famiglia D'Antini che la dona al Comune nel 1959».
http://wikimapia.org/10517552/it/Torre-Angioina
Duronia (ruderi del castello, fortificazione sannitica)
«Il paese di Duronia è posta su una formazione rocciosa, caratterizzata da tre spuntoni; un paesaggio incantevole e l'aria limpida e salubre sono la degna cornice di questo delizioso paesino molisano. Il centro abitato conserva, nel nucleo più antico caratteristiche, prettamente, medievali e ciò da la possibilità di immergersi in un'atmosfera d'altri tempi; il territorio comunale è ricco di costruzioni rurali, caratterizzate da rustiche strutture murarie con copertura, perlopiù, in pietra. Presenta caratteristiche tipiche di molti centri molisani, ma ciò nonostante si distingue paesisticamente da loro, per qualcosa che è tutto suo e peculiare. Il territorio circostante ricco di vegetazione è assai suggestivo per le sue meravigliose e suggestive variazioni cromatiche. Nell'antichità la denominazione del paese era Civitate veteris; nel XVIII secolo furono fatte numerose scoperte archeologiche attestanti la presenza, già nell'antichità, di un grosso centro urbano. Nel centro abitato si evidenziano le massicce strutture del Castello medioevale, con accanto la Chiesa di San Nicola, realizzata quasi sicuramente nell'epoca in cui è stato edificato il castello. Pure nel centro abitato si trova una Croce in pietra la cui datazione potrebbe risalire al secolo XV, in analogia a quella di Civitanova del Sannio. Un consistente numero di reperti archeologici, trovati nel territorio supportano l'ipotesi che la località fu teatro di distruzione con le guerre sannitiche (293 a.C.). A pochi chilometri dal centro abitato è possibile visitare la fortificazione sannitica. ... La fortificazione di Duronia, che si trova sulla sommità di Civita a quota 925 s.l.m., presenta mura di circa 2 m. di spessore, con una cortina esterna di grossi blocchi di forma poligonale poco lavorati e una interna di blocchi più piccoli. Le mura, conservate per lunghi tratti nella parte occidentale, si vanno a collegare a tratti fortificati naturalmente da dirupi rocciosi o da pendii molto ripidi. Il perimetro è poco meno di 1 Km, con una superficie interna di 70.000 mq. È possibile scorgere, lungo il percorso, la presenza di una piccola porta che si apre frontalmente, larga circa 1 m. L'altura fortificata domina la valle del fiume Trigno e più da vicino quella del torrente Fiumarello, suo affluente. Ai piedi settentrionali dell'altura corre il tratturo Castel di Sangro-Lucera».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1713 - Pagina/550
«Sul lato sud-occidentale del paese è ubicato il castello Carafa. Da questa area si aveva un controllo su tutto il territorio. Il castello si trova su di una piazza che collega tre strade principali che dirigono al borgo antico. Il castello è stato testimone di vicissitudini personali e private che hanno nutrito leggende e racconti serbati con cura nella memoria popolare. Il castello fu edificato su una precedente fortezza, distrutta dal terremoto del 1456. Alcuni resti di elementi architettonici del muro sono stati esaminati e si è ipotizzato che sulla stessa zona sorgesse una residenza feudale del periodo normanno, costruita nell’anno Mille. Non essendoci documenti anteriori al 1400, non si hanno nemmeno notizie sul castello medioevale. Le fonti datano la nascita del castello tra il 1494 e il 1505. Queste due date segnano il passaggio da fortezza medioevale a residenza signorile. Questa trasformazione fu opera di Gerolamo Carafa, il cui nome è inciso anche su una lapide collocata all’ingresso del castello. Scipione De Curtis nel 1619 si impegnò per realizzare delle opere di potenziamento dei torrioni nonché finanziò le ristrutturazioni successive alle rivolte popolari del 1646 e del 1713. La struttura attuale del castello è il risultato dei lavori eseguiti dopo il terremoto del 1805. Tra le trasformazioni apportate al castello ricordiamo quella relativa al ponte levatoio. La piazza sulla quale è ubicato il castello, nel periodo medioevale ricopriva il ruolo di snodo per gli scambi commerciali, per le runioni ed ogni altra attività specifica del luogo. Il castello è a pianta poligonale irregolare e le sue mura sono state erette per essere coordinate alle peculiarità morfologiche del territorio. Il portale d’ingresso presenta un balconcino ai cui lati si trovano due finestre di disuguali dimensioni. Su due lati il castello ha due torrioni di forma circolare di diversa grandezza in riferimento all’architettura medioevale militare. In entrambi ci sono delle finestre e uno solo ha ancora la porta per accedervi. Sul lato sud-ovest sono presenti anche due piccole torri squadrate. Il castello all’esterno si presenta ancora come fortezza medioevale mentre all’interno ha le fattezze di una residenza signorile. Il cortile rappresentava un luogo di raccordo per le stanze del piano terra, destinate a magazzini e scuderie e conteneva la vasca per la raccolta delle acque. Il pianoterra era adibito ai servizi mentre il piano superiore era riservato al Signore del palazzo. Il castello oggi è nelle mani dei privati. Con un decreto del ministero dei beni culturali ed ambientali del 21 marzo del 1981 il castello Carafa è stato dichiarato di interesse particolarmente rilevante ai sensi della legge 1089 dell1/06/1939».
http://www.molise.org/territorio/Campobasso/Ferrazzano/Arte/Castelli/Castello_Carafa
Fossalto (torre Ciarlitto, palazzi)
«Gli Stendardo, i De Capoa, i Greco, i Pellegrino ed i Mascione, i feudatari che si sono avvicendati nel possesso di questo antico feudo una volta diviso in due, Fossaceca e Castelluccio, alle dipendenze della diocesi di Limosano. Il paese si sviluppò sulla parte del paese scoscesa e riparata insieme detta i rinforzi (le case rinforzate). L'antico nome del paese era Fossaceca, sostituito con Regio Decreto nel 1863 dall'attuale denominazione di Fossalto per evitare l'omonimia con altri centri. Alla sommità della collina posta in una valle si erge il centro abitato, stretto intorno al campanile e alla Chiesa Madre che costituivano insieme a poche casette l'antico borgo medievale protetto da torri di controllo. E' un tranquillo centro dedito all'agricoltura e all'allevamento situato nel medio Sannio. ... Merita una visita Palazzo Cirese, un edificio in stile tardo gotico con un maestoso portale d'ingresso sormontato da un bel mascherone nella chiave di volta. La facciata ha basamento in bugnato e colonne ioniche. Torre Ciarlitto è una fortificazione di forma cilindrica posta a difesa del palazzo baronale e dell'intero quartiere. L'arco di San Nicola presenta un'edicola votiva del Santo perché secondo la tradizione proprio lì sarebbe apparso.Si trova scendendo la scalinata di via Cavour. A valle del paese si conserva un casino rustico del 1400 con elegante loggetta. In contrada S. Agnese fa bella mostra di sé il Palazzo ottogonale, un vero gioiello tra gli antichi caseggiati del Molise, costruito nel 1700 dall'allora feudatario di Fossalto il conte Antonio Pellegrino».
http://www.unionecomunimediosannio.it/cenni-storici-medio-sannio/97.html - 98.html
Gambatesa (castello dei Di Capua)
a c. di M. M. e F. Lombardo di San Chirico
«In epoca normanna, il paese rientrò nei confini della Contea di Loritello.Nel XIV secolo passò alla contea di Montagano per divenire feudo dei De Capua nel XVI secolo e dei Lemaitre nel 1769. Costantino Lemaitre fu l’ultimo feudatario di Guardialfiera. Egli morì, nel nostro paese, il 7 ottobre 1828. Sul pendio collinare si fiancheggiano case su pietra con architettura povera e spontanea. Tra queste abitazioni si trova la casa natale dello scrittore F. Jovine. Il borgo era circondato da mura di difesa, con tre porte e relative tre torri. Nel borgo vi era un castello turrito, abitazione del feudatario, un carcere, una gogna per i condannati alla berlina, un mulino, un ospedale per i poveri e un monte frumentario detto di S. Carlo Borromeo.Nel 1932 l’area denominata “la torretta”, in cui sorgeva il palazzo vescovile, fu sistemata e intitolata “ Piazza Roma”. Oggi il nome è mutato in “Piazza Aldo Moro”.Sull’antico sito del palazzo vescovile venne edificata, nel 1948, una costruzione adibita a cinema, oggi destinata a uffici e a sala convegni».
http://www.maestrilavoromolise.it/html/progetti_html/voglia_di_molise/guardialfiera.pdf
«è una struttura antichissima, risalente al tempo dei Longobardi (XI secolo), che venne edificata nella parte più alta del paese, a controllo della valle del fiume Biferno. Con la conquista dei Normanni (dopo avere espugnato la fortezza e aver fatto prigionieri il longobardo Galterio, valoroso guerriero e signore del luogo, e la sorella), il Guiscardo fece costruire una cinta muraria, lungo tutto il perimetro, munita di 18 torri di avvistamento, lasciando le due porte costruite nel Medioevo: la porta piccola, situata nella parte alta chiamata "Portella", e la porta principale, più grande, chiamata "Da Piedi" nella parte bassa. Egli fece costruire un altro castello, chiamato "da Piedi", che difendeva Guglionesi dalla parte del Sinarca e dalla parte del mare. Di questa seconda fortificazione oggi non vi è più alcuna traccia, mentre del castello da Capo oggi rimangono i resti di una torretta e di un locale che, probabilmente in passato, era adibito a stalla o scuderia. Il tetto è ormai ceduto e le pietre delle mura stanno cedendo l’una dopo l’altra. Il castello subì diverse distruzioni nel corso dei soli, la prima delle quali ad opera dei francesi di Carlo VIII nel 1495. Lo stato di abbandono in cui si trova oggi è dovuto non solo al passare del tempo, ma anche all'incuria dell'uomo. Molti cittadini di Guglionesi auspicano che il sito venga recuperato e utilizzato per scopi culturali ma, essendo il terreno su cui sorge di proprietà privata, non è semplice avviare delle procedure di restauro del bene architettonico».
http://castelliere.blogspot.it/2013/02/il-castello-di-martedi-5-febbraio.html
Guglionesi (palazzo Leone, borgo)
«Il palazzo è stato edificato alla fine del XVIII secolo. Un documento del 1791 attesta che diritto di utilizzare i terreni di proprietà di Domenico Leone, al fine di costruirvi una residenza, era attribuito al figlio Giuseppe Leone. Quest'ultimo fu un apprezzabile personaggio di Guglionesi appartenente anche al partito di Giolitti ed arrivò ad essere uno degli avvocati più conosciuti sia a Roma che a Napoli. Il palazzo è a pianta quadrangolare e si estende su due livelli con l’aggiunta di una mansarda. Una volta oltrepassato l’ingresso del palazzo, dopo la scalinata si nota all’istante il soffitto a padiglione abbellita con degli stucchi. I lavori di restauro non hanno trasformato la fisionomia della struttura. Il salone serba ancora con cura il pavimento a rombi neri e rossi, gli arredamenti dorati e il grande pianoforte a coda. Anche la stanza adibita a studiolo conserva un’atmosfera antica caratterizzata da poltrone e divani scuri ed una grande libreria fornita di molti volumi. Il palazzo ha molte finestre chiuse con le persiane originarie. Dalle finestre della camera da letto è possibile osservare la Chiesa di San Nicola. Il giardino del palazzo attualmente è di proprietà del comune di Guglionesi. Dato il ritrovamento nella zona di Guglionesi dei resti archeologici, si pensa che anticamente questa fosse stata la sede della città di Usconio, occupata dai Sanniti e in seguito dai Romani. La notizia più antica risale al 1052, quando i signori locali fecero delle donazioni a favore di un monastero delle Isole Tremiti, esposto agli attacchi del popolo normanno. Il paese è stato oggetto di attacchi ed invasioni già a partire dal medioevo in particolare da parte dei saraceni e dei normanni. Il territorio fu danneggiato nel 1566 anche da parte dei turchi comandati da Alì Pascià... Il 1060 segna l’inizio della storia feudale di Guglionesi con Roberto il Guiscardo che conquistò il paese a danno di un recluso salterio in prigione insieme alla figlia. In questo periodo il territorio venne fortificato con inponenti mura. Il feudo in seguito passò alla famiglia d’Angiò che lo alienò nel XV secolo a Giacomo Caldora. I feudatari del XVI-XVII secolo furono invece i De Capua e i Caracciolo di Celenza».
http://www.molise.org/territorio/Campobasso/Guglionesi/Arte/Castelli/Palazzo_Leone
«Maestoso sull'abitato jelsese si erge il palazzo ducale, linea di confine tra l'antico e il moderno e allo stesso tempo porta di passaggio tra il "vecchio" e il "nuovo" Jelsi. Coincide in parte con quelle che erano le mura fortificate del vecchio borgo medievale visibili ancora oggi in pochi punti del centro storico. L'edificio si affaccia interamente sul largo Chiesa Madre dal 1838 data in cui questa fu creata sottraendo all'urbanistica del centro storico delle piccole stradine interne, mentre esternamente, alle sue origini, vedeva ai piedi il fossato che lo divideva da Piana S.Biagio (attuale Piazza Umberto I), lungo la facciata esterna è presente la porta principale, anticamente fornita di ponte levatoio, che permette l'ingresso nel borgo antico e al palazzo. Il Palazzo nel 1562 fu registrato insieme alle altre abitazioni di Jelsi nella "Numerazione dei Fuochi" (antico censimento dei nuclei familiari e delle relative abitazione), al numero 169 di questa si può leggere: "Casa grande con torre bene adatta ad abitazione di molti vani con camini e focolari, che dicono essere posseduta dal barone della terra". Ma chi sono stati i baroni della nostra terra e quindi gli inquilini della "casa grande"? Il primo documento riguardante Jelsi come territorio indipendente e non unito ad altri agri risale al 1249 ed elenca i suoi confini. Da un diploma del 6 marzo 1270 si apprende, invece, che Jelsi e il vicino territorio di Gildone furono riuniti sotto uno stesso feudo e assegnati a Bertrando di Beaumont. Il nome di Bertrando ricorre ancora in atto del 1294: l'atto attesta a Bertrando un risarcimento (120 once), per i danni causati al feudo da un evento sismico. L'estinzione del casato di Beaumont fu segnata dalla morte di Bertrando nel 1334 e il feudo di Jelsi, dopo il matrimonio di Bertranda con Barrasio Barras, passò alla famiglia Barras fino al 1477. Le fonti scritte citate, se non quella del 1562, non fanno menzione del castello, per dare quindi una data, se pure approssimativa al castello, dobbiamo scendere nella cripta del palazzo scoperta del 1947. Qui infatti è custodito il sepolcro attribuito alla famiglia Beaumont, sul quale è scolpito uno scudo che ricorda la nobile famiglia. A sinistra dello stemma è dipinto il volto di Bertranda Beaumont; a destra doveva essere raffigurato il consorte, Barrasio Barras, che poi probabilmente fu seppellito altrove. Quasi sicuramente i dipinti furono commissionati dalla famiglia Beaumont, che utilizzò il luogo per la sepoltura dei suoi familiari. Tali ritrovamenti inquadrano la nascita del Castello Angioino nel XIII sec. Il Palazzo che possiamo ammirare oggi, invece, risale al 1517 e fu eretto da Giovanni Pinabello sulle rovine del precedente castello di cui ancora oggi si hanno testimonianze nei primi piani e negli scantinati. ...».
http://www.comune.jelsi.cb.it/cultura/storia/10001002.html (a cura di Michele Fratino)
Jelsi (palazzo Valiante-Capozio)
«Alle due e mezza della notte del 26 luglio 1805 un rovinoso terremoto (10° grado della scala Mercalli), con epicentro nel Matese, causò nel Molise circa 6000 morti (una trentina a Jelsi), distruggendo molte case tra le quali non v'era il Palazzo Valiante, perchè la vecchia palazzina del 1750 era stata data alle fiamme, dopo averla spogliata di ogni suppellettile, il 3 giugno del 1799 dalle truppe borboniche capeggiate da Cesare Zanchi di Ururi, ed il nuovo Palazzo Valiante non era stato ancora ricostruito. Per mille anni, dal 700 al 1700 circa, il paese era rimasto arroccato sul "Ripo" attorno alla Chiesa Madre di S.Andrea Apostolo e al palazzo ducale Carafa, per motivi di difesa: vi si accedeva, infatti, solo attraverso le porte (porta Maggiore, porta D'Angeli ed altre). Poi, man mano la gente prese coraggio è uscì dal guscio per sistemarsi nella piana di San Biagio (oggi Piazza Umberto I) e ai lati della via della transumanza (oggi Corso Vittorio Emanuele) fin sul Colle Gualtieri (oggi colle Vitero) acquistato dall'avv. Saverio Valiante, padre di Andrea, ove fu costruita la prima palazzina, senza stile, senza torri, senza accessori, senza pretese difensive (il figlio di Andrea nascerà più tardi nel 1761). Dopo l'incendio su ricordato del 1799, l'avv. Saverio Valiante, chiese al figlio, che si trovava allora a Marsiglia, un progetto per un nuovo palazzo, sullo stile dei castelli che abbellivano la provincia francese. Il palazzo, a forma di fortilizio delimitato da torri circolari, venne ricostruito sul luogo in cui sorgeva la precedente dimora di famiglia. I progetti furono elaborati da architetti francesi e dalla Francia vennero i parati per la decorazione interna, i dipinti su carta posti sulle porte con raffigurazioni di animali entro contesti bucolici, secondo la moda neoclassica in voga a Parigi. Il mobilio, le porcellane e gli oggetti d'arredo presenti nel salone costituiscono certamente una delle piùpreziose testimonianze della diffusione dello stile impero nella nostra regione. L'opera fu realizzata dal 1806 al 1809 dall'architetto-pittore Musenga, il piùnoto allora nel Molise, su di un'area di mq. 2000 compresi gli accessori, con quattro torri imponenti cilindriche ai lati, con le feritoie per le canne degli archibugi e con un fregio di pietre sporgenti, giusta nella metà, a mo' di fascia o di cordone per renderle più slanciate.
Il fortilizio, con mura maestre di cm.80, sommava le caratteristiche di un castello a quelle di dimora delle famiglie del Comandante. L'atrio interno, con volta a botte e stemma con alabarde, vessilli e corona simboli di sovranità e di vittoria, presenta una pavimentazione a breccioni suddivisi da losanghe in pietra, analogamente a quella pavimentazione che esisteva davanti al palazzo, prima della installazione sotterranea delle reti dei servizi comunali. Tre rampe di scale portano al piano superiore, con gradini appena levigati dal calpestio bicentennale. Una vetrata sul pianerottolo immette nel giardino con riquadri e viali di mortella, con pozzi e tettuccio in stile. Un arco a tutto sesto (metri 5x3) su di un muro di cinta introduce nell'ampio cortile della cisterna, profonda metri 10 e larga metri 5, con acqua sorgiva e vasca scalpellata ove, tra l'altro, si abbeverarono i cavalli delle scuderie di Valiante e quelli degli austriaci comandati dal gen. Frimont, che assediarono il palazzo nel 1821 e catturarono Valiante. Autobotti inglesi nel 1943 attinsero alla cisterna acqua per le truppe. Delle scuderie di Valiante resta una sola, anche se con il tetto crollato per vetustà; è chiamata "stallone", cioè stalla per antonomasia, le altre sono andate distutte dal fuoco nel febbraio del 1949. Fienili, rimesse, legnaie, cantine, fondaci, opifici, laboratori, per oltre cento metri a destra e a sinistra del palazzo, dal Corallone (oggi Vico interno al Corso) alla Taverna, fin sulla contrada Chiusa, costituivano nell'insieme beni pertinenti al castello e accessori necessari alle persone che vi gravitavano per lo sviluppo della loro attività economica autosufficiente, detta appunto economia curtense. Il Corallone, specie di aggregazione corallina, era una serie di casette a schiera, per gli addetti al palazzo a vario titolo: stallieri, maniscalchi, fabbri ferrai, falegnami, calzolai esperti in selleria, fornai, lavandaie. Oggi ci sono negozi, anzi supermercati, allora tutto si doveva produrre in loco, nella corte, appunto. Nel "Corallone" restano solo tre casette d'epoca».
http://www.comune.jelsi.cb.it/cultura/storia/10001051.html
«Il rinvenimento di utensili, lance, spade testimoniano la presenza di vita già nel XIII-VI a.C. Nel periodo tra il VI e I a.C. è accertata la presenza dei Sanniti. I primi scontri con i Romani iniziarono nel 343 a.C. Il dominio romano si consolidò nel 293 a.C. e durò fino alla caduta di Roma. La testimonianza più rilevante del periodo romano è certamente Larino, che divenne un importante municipium romano già nel I sec a.C. A testimonianza del periodo florido vissuto al tempo dei Romani è possibile ammirare diversi ritrovamenti: dall’Anfiteatro alle Terme Romane, alle pavimentazioni musive databili dal III sec. a.C. al III sec. d.C., olte a ville, iscrizioni murarie, epigrafi. Si parte dalla visita del sito costituito dall’Anfiteatro Romano, in via Dante. La visita prosegue poi presso l’area del giardino di Villa Zappone, che presenta porzioni di vasche termali e pavimentazioni musive. A seguire, in via Tito Livio, ci si recherà a visitare il mosaico cd. dei Delfini. Sempre sul Piano San Leonardo, alle spalle del Tribunale Civile, ci si reca presso una serie di strutture romane caratterizzate da due mosaici bicromi: mosaico del Kantharos e quello dell’Emblema. Nei pressi dell’attuale campo sportivo è stata localizzata un’area che ospitava, con buona approssimazione, il Foro Romano, oggi oggetto di scavo archeologico. Qui sono conservati due splendidi mosaici, all’interno di una villa rustica ellenistica. Uno, in particolare, quello cd. del Polipo, è di pregevole fattura. L’itinerario prosegue con la visita, nel Borgo Medievale, del Museo Civico, che ospita, tra l’altro, tre splendidi mosaici: il mosaico della Lupa, quello del Leone e quello degli Uccelli. Sono inoltre conservati ulteriori reperti della vita quotidiana, epigrafi, maschere decorative ed anfore. La visita si conclude con una suggestiva passeggiata lungo le vie del Borgo, per la visione ed il commento delle tante iscrizioni ed epigrafi murate lungo le pareti degli edifici che si affacciano sulle strade principali, dopo esser state prelevate dai luoghi di ritrovamento».
http://www.culturalarino.it/info.asp?id=58&t=Itinerario_Storico_-_Archeologico
«Il Palazzo Ducale oggi non presenta quasi più nulla dell'antica fortezza originaria, ad eccezione della torretta che si trova sul lato nord. La costruzione originaria viene datata intorno al 1100, ad opera dei normanni, voluta per la sua posizione strategica situata vicina alla Porta di Piano, ovvero l'ingresso della zona sud dell'antica cittadina (l'altra entrata era Porta di Basso). L'attuale palazzo conservò la sua funzione di difesa fino a tutto il Seicento, con piano nobile di stanze affrescate, cantina, e raccolta delle acque piovane. Oggi, l'edifico si presenta costituito da più piani, con un'entrata a porticato con loggia. Nell'atrio si ritrovano anche due busti di Gavio Scipione e sua moglie Optata. Al primo piano c'è invece il Museo Civico, che conserva tre pregevoli mosaici di età imperiale, detti rispettivamente, della Lupa, degli Uccelli, e del Leone. Il mosaico più antico è stato invece rinvenuto nell'atrio di una grande domus patrizia, situata in contrada Torre Sant'Anna. Il mosaico, denominato "del Polipo", posto al centro dell'atrio dell'antica villa romana, era in pratica la base di una vasca per la raccolta dell'acqua piovana. Nella stessa villa è stato ritrovato anche un altro mosaico, che presenta motivi geometrici raffiguranti quadrifogli, fiori di loto e croci di diverse forme. Nei pressi dello stadio comunale vi è un ulteriore mosaico, denominato dei Delfini, probabilmente facente parte di un pavimento di una domus patrizia, mentre gli ultimi mosaici venuti alla luce sono stati quelli ritrovati nei pressi dell'Anfiteatro romano, in un'area che probabilmente era adibita a terme (i soggetti raffigurati in una grande vasca sono figure legate al mare)».
http://www.moliseturismo.eu/web/turismo/turismo.nsf/0/101B7F372C0F39FEC125755100317885?OpenDocument
Limosano (borgo, palazzo feudale)
«...nell’ottobre del 1147 Raynaldus petre habundanti sottoscrive in Limosano una concordia stipulata tra Hugo Marchisius, signore di Lupara e Castelbottaccio, e Giovanni abate di S. Sofia di Benevento, alla presenza di Ugo II di Molise, conte di Boiano, per il tributo che devono pagare gli uomini della chiesa di S. Angelo in Altissimo di Civitacampomarano. La circostanza ci induce a ritenere che in quell’anno il nucleo urbano fosse dotato sicuramente di un edificio di una certa importanza nel quale convennero personaggi di importanza come Ugo II conte di Molise, accompagnato, come sottolinea il notaio, da baroni, magnati, giudici ed altri gentiluomini (baronibus, magnatibus, iudicibus aliisque suis bonis hominibus) insieme all’abate Giovanni di Benevento che aveva con sé confratelli, procuratori di cose ed uomini della sua chiesa (confratibus et procuratoribus rerum et predicte ecclesie hominum). In altri termini anche Limosano aveva un castello che sicuramente esisteva in epoca normanna, ma che molto probabilmente ripeteva una fondazione longobarda riferibile all’epoca in cui il nucleo ancora si chiamava Musanum. Un edificio fortificato che corrisponde all’attuale palazzo baronale il cui impianto quadrangolare, come nota Luigi Marino, aderisce nei caratteri generali ai modelli di residenza fortificata che sovente si è innestata, in tarda epoca, su preesistenti impianti fortificati».
http://www.francovalente.it/2008/04/05/limosano-e-silluminata (a cura di Franco Valente)
«Il palazzo Capecelatro di Lucito, è un edificio dalle origini molto antiche, risalenti al medioevo, quando le funzioni erano prevalentemente militari. Il massiccio muro del palazzo baronale di Lucito sale a scarpata dalla roccia. La pianta appartiene ad un castello antico diroccato per cause non bene accertate: l'attuale costruzione porta i segni del Cinquecento e soprattutto del Seicento. Francesco Capecelatro ne divenne legittimo proprietario non prima del 1655. Nelle sale che si affacciano sulla vallata del Biferno, nacquero le note pagine della Storia di Napoli. Col passare del tempo esso ha subito varie trasformazioni. Il palazzo, cui si accede attraverso un ampio portale, è costituito da due piani inferiori oltre al piano nobile. Molte opere di ammodernamento hanno trasformato il Palazzo, privandolo di elementi di arredo fisso e di finiture di sicuro interesse. Resta in opera tutto l'apparato originario delle strutture orizzontali sia voltaree che lignee, nonché i portali in pietra, le mensole di finestre e balconi ed altri elementi significativi come cornici in pietra lavorata, le iscrizioni, gli stemmi. Vicino al Castello sorge un edificio in cui è posto un pregevole stemma in pietra di epoca cinquecentesca rimosso dal Castello probabilmente all'epoca della costruzione».
http://www.regione.molise.it/cstc/files/f64d3636b893cf93c1256a6e003a922a.htm
«La costruzione del Palazzo de Rubertis in Lucito si può collocare nella prima metà del sec. XVIII: è stato uno dei primi edifici di una certa importanza ad essere stato costruito fuori della cinta muraria seicentesca del centro abitato di Lucito e, quindi, ad essere stato sottratto alla protezione del Castello Marchesale. L'elemento più interessante dell'edificio è la facciata principale: essa è di austera ed elegantissima fattura, e per tradizione orale, si tramanda che fu eseguita da maestri scalpellini napoletani su progetto di un noto architetto.La facciata si compone di un triplice ordine: Dorico, Ionico e Corinzio. Essa, interamente realizzata in pietra molto dura e compatta, non mostra segni di deterioramento. Il palazzo de Rubertis è una tipica residenza di una famiglia borghese del '700 e come tale riveste un sicuro interesse anche da un punto di vista storico-sociale, poiché costituisce un esempio e una testimonianza di stile neoclassico».
http://www.regione.molise.it/cstc/files/2d13247f3852df86c1256a6e003a944e.htm
«Nel periodo normanno era feudo di Ugone Marchisio. Nel 1450 Giacomo Montagano possedeva diverse terre, tra cui Lupara ed alla sua morte, in mancanza di eredi, fu devoluto alla Regia Corte. Altri feudatari nel corso del XV secolo furono Gerardo de Appiano e Andrea di Capua (1495). Ai di Capua rimase fino al 1604. Nel tardo ‘700 apparteneva alla famiglia Pignone. Monumenti e luoghi di interesse: Castello Medioevale. Sovrasta il paese con la sua imponenza, l'edificio ha subito vari processi di trasformazione, ma è ancora delineabile l'antica struttura risalente all'anno mille circa, allorché ne era in possesso Ugone Marchisio, signore di Lupara e Castelbottaccio».
http://www.promolise.it/localita.php?id=34
Macchia Valfortore (palazzo ducale Gambacorta)
«Il paese si colloca in una posizione molto suggestiva, a metà strada tra Pietracatella e Sant’Elia a Pianisi, dominando il lago artificiale di Occhito, trait d’union con la Puglia. Il palazzo baronale poggia le sue fondamenta su un antico castello di epoca medievale, ricostruito e riadattato a residenza signorile nel Cinquecento. L’intero borgo di Macchia Valfortore ha infatti origini castrensi: già nel 1150 come “dominus” dello stesso viene nominato un certo Gualterius Gentilis. Notizie successive riguardano la dominazione aragonese, quando il feudo di Macchia Valfortore risulta appartenere ad Antonio Colla. Per circa tutto il Cinquecento signori di Macchia furono i de Regina. Probabilmente a loro sono dovuti i lavori di riadattamento a residenza signorile del castello. Il secolo successivo per Macchia fu il secolo dei Gambacorta, che rimasero titolari del feudo dal 1618 al 1701. Dopo il fallimento della congiura di Macchia contro la corona spagnola, Gaetano Gambacorta, uno dei suoi più accessi sostenitori e capeggiatori della rivolta, fu costretto a devolvere la sua proprietà al Demanio Regio, che cedette Macchia a Giuseppe Ceva Grimaldi: la sua famiglia rimase titolare del feudo e del castello sino all’eversione della feudalità. Il castello ha continuato ad essere identificato come il palazzo Gambacorta. L’edificio si sviluppa su tre livelli e risente dei diversi rimaneggiamenti subiti nel corso dei secoli. L’elemento più bello del palazzo è la torre esterna, posta sulla destra dell’arco di ingresso. La torre è incassata per metà nelle mura del palazzo ed è suddivisa su tre livelli».
http://www.amicomol.com/Palazzi%20Molisan%20i02.html
Mafalda (palazzo Juliani, torre di Ripalta Vecchia)
«La strada che mena al Palazzo è vecchia ed incassata tra muri alti senza luce. Il palazzo [Juliani] è un edificio basso, semplice in quello stile un poco rozzo eppure fastoso, caratteristico delle costruzioni del settecentesche. Esso sorge sulle mura dell'antico Castello feudale. Ha un piazzale da cui si gode un bel panorama ed ai lati e di dietro ha un viale e parco alberati composto, un bel portone, una lunga e lussuosa balconata al primo piano, una lussuosa terrazza. ... La Torre meglio conosciuta come Ripalda Vecchia, da quel poco che ne è rimasta, si pensa si trattasse di un vecchio castello, ma in realtà è una delle tante Torri di avvistamento distribuite sul nostro territorio, probabilmente una delle prime che risalgono il fiume Trigno. Attualmente poco visitata, perché non esiste un accesso sicuro, però la zona intorno offre tutto il necessario per appassionati dello sport e della natura. ... Nell’estate 2001 la cattedra di Archeologia Medievale ha iniziato un nuovo programma di ricerca in località Ripalta Vecchia di Mafalda (CB), grazie anche alle sollecitazioni, all’interessamento e alla volontà della locale Amministrazione nella persona del sindaco Egidio Riccioni. La collina di Ripalta Vecchia è una sorta di piattaforma dai fianchi scoscesi, la cui estremità orientale, naturalmente difesa da affioramenti rocciosi di gesso cristallino, è occupata da una rocca edificata tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, ma preceduta almeno da altre due fasi, databili tra l’XI ed il XIII secolo: tra i riutilizzi nelle strutture murarie della rocca si segnalano numerosi frammenti architettonici di pregio (rosoni, capitelli, pilastrini, bassorilievi, ecc…) databili nell’ambito del XIII secolo. A Sud-Ovest della rocca sorgeva l’abitato, protetto a Sud da una cinta muraria, ancora in buona parte riconoscibile, a valle della quale è stato individuato un enorme “butto” (immondezzaio) ricco di materiale archeologico. L’intera spianata sommitale è protetta ad Est dalla rocca, mentre a Nord, a Sud e ad Ovest sembra cinta da mura, la cui esistenza deve essere ancora verificata nelle prossime indagini archeologiche: l’abitato quindi era separato fisicamente dalla piattaforma di sommità e dalla rocca. Particolarmente interessante è la varietà del materiale ceramico rinvenuto, per la maggior parte riferibile alla produzione pugliese (protomaiolica ed invetriata), anche se ad un primo esame sembrano attestate anche produzioni nordorientali (invetriata).
La prima menzione documentaria dell’abitato, allo stato attuale, risulta nel Catalogus baronum (metà XII secolo), tra le terre tenute in suffeudo da Roberto de Rocca per conto di Ugone di Attone. È probabile, però, che la sua nascita sia da porre tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo, quando l’area di confine sud-orientale tra gli odierni Abruzzo (ducato di Spoleto, contea di Chieti) e Molise (ducato di Benevento, contea di Termoli) fu interessata da un’intensa e capillare riorganizzazione generale (politica, religiosa, economica e sociale) basata sulla creazione di abitati accentrati (incastellamento). Non sappiamo se Ripalta sia identificabile con uno dei castelli creati alla fine del X secolo da Montecassino trasformando alcune sue curtes ubicate lungo la sommità del versante destro della bassa valle del Trigno: possiamo però affermare con certezza che doveva trovarsi ai margini dell’estesa proprietà fondiaria del monastero. Ricordata da altri documenti di epoca successiva, se ne perdono le tracce nella seconda metà del Trecento, fino a quando non ritorna in un privilegio emanato da Alfonso il Magnanimo nel 1457, con cui il sovrano aragonese l’assegnava ad Andrea di Eboli. Nel documento risulta che l’insediamento all’atto della cessione era “inabitato”. All’abbandono, avvenuto nel corso della seconda metà del XIV secolo in seguito ad una profonda crisi strutturale dell’area adriatica, seguì nel tardo Quattrocento il ripopolamento con profughi croati che sfuggivano all’avanzata turca. I nuovi arrivati, però, s’insediarono nel sito dell’odierna Mafalda, Ripalta fino all’inizio del Novecento. Con R. D. 7 ottobre 1903, infatti, il Comune è stato autorizzato a mutare il proprio nome antico di "Ripalta sul Trigno" in quello attuale di Mafalda, in omaggio alla principessa omonima (secondogenita di Vittorio Emanuele III) che sarebbe diventata famosa per il tragico epilogo della sua esistenza nel lager nazista di Buchenwald».
http://digilander.iol.it/ilovemafalda/aspettiantichi.htm - La Torre - ripalta_vecchia.htm
«Il palazzo è ubicato in via Francesco Ciaccia e risale alla prima metà del Settecento. A seguito del terremoto del 1805, che rase al suolo non solo Matrice ma anche altri paesi della regione Molise, il palazzo venne ampliato con l’annessione di un corpo architettonico. La struttura è realizzata con pietra locale estratta da una cava nei pressi del cimitero; sfortunatamente la pietra di recente è stata ricoperta dall'intonaco. Di notevole importanza è il portale a due colonne con basamento su quale poggia un arco riccamente lavorato su cui compare lo stemma della famiglia Ciaccia, ornato da ghirlande d’alloro, caratterizzato da un'aquila a due teste simile allo stemma asburgico giustificabile dal fatto che la famiglia era di origine bulgara. Al palazzo si accede per mezzo di una galleria, nella quale si trovano una serie di porte che conducono alle stalle, alle cantine, ai ripostigli nonché ai depositi delle carrozze. All’interno delle stalle il pavimento è caratterizzato da alcuni gradini scanalati al fine di evitare che i cavalli potessero scivolare. Alcuni ambienti come ad esempio la sala da pranzo sono rimasti intatti, complete anche dell’arredamento come ad esempio un camino in marmo bianco impreziosito da due piccole colonne neoclassiche. All’interno del palazzo vi è anche una cappella in onore di san Nicola di Bari, di santa Teresa d’Avila e dell’Immacolata Concezione. La cupola della cappella è caratterizzata da raggi dorati e dalla raffigurazione delle nuvole; mentre, le pareti sono stuccate in marmo artificiale».
http://www.molise.org/territorio/Campobasso/Matrice/Arte/Castelli/Palazzo_Ciaccia
«Il piccolo centro di Molise ha il pregio di aver dato il nome alla regione. L’adozione di questo nome fu determinata probabilmente dalla opportunità di eliminare le possibili gelosie di primato fra le piccole contee longobarde di Isernia, di Bojano, di Pietrabbondante ed altre nel periodo della loro fusione in una nuova contea. Molise ha conosciuto le signorie degli Evoli e degli Stendardo. Nel 1478 venne acquistato da Giovannella di Molisio, consorte di Alberico Carafa. Nel 1547 Girolamo Carafa vendette il feudo a Giangiacomo Coscia. Rinaldo Carafa, in virtù del diritto del retrovendendo, riscattò il feudo dal Coscia nel 1554 e nel 1562 lo cedette a Vincenzo del Tufo. Verso il 1570 vi fu la cessione del feudo dai Del Tufo ai De Attelis. Il feudo di Molise fu acquistato, infatti, da Prospero De Attelis che nel 1583 lo cedette a Giovanni Maria di Blasio. Giovanni Maria di Blasio ne fu possessore per nove anni e poi lo cedette a Battista Candida. Entrò in possesso del feudo nel 1650 Antonio Tamburri, barone di Cameli. Nel XVII secolo il potere passò alla famiglia della Posta che lo tenne fino all’eversione della feudalità. Le origini del castello non sono certe. Si pensa che la sua costruzione sia avvenuta in epoca longobarda per volere del bulgaro Altzeco. Probabilmente l'edificio originario aveva una forma pentagonale e vi si accedeva tramite la Porta Grande, collocata sul lato est e, sul lato opposto, attraverso la cosiddetta Porta Piccola. Attualmente si accede solo attraverso un unico portale in pietra, che conduce al cortile. Alla destra del passaggio c'è l'ingresso ad alcune stanze coperte. Dopo aver oltrepassato l'ingresso, si trova una scala che conduce ad una terrazza. Esternamente sono ancora visibili alcuni resti del muro di cinta e di due torri angolari (la costruzione originaria ne aveva ben sei), una vicino alla Piazza dell’Olmo e l’altra annessa al palazzo stesso. Il castello è stato restaurato tra il 1982 e il 1983 dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e dal Provveditorato alle opere pubbliche del Molise; i lavori hanno interessato non solo il consolidamento della cinta muraria ma l'intero aspetto della fortezza che oggi è di proprietà dello Stato».
http://castelliere.blogspot.it/2013/04/il-castello-di-venerdi-19-aprile.html
Montagano (castello rurale di Collerotondo)
«L'etimologia del toponimo non è certa: nel secolo XII era "Montem Ogeanum" e nel secolo XV "Montis agani" come risulta in un diploma del 1496 di re Federico d'Aragona. Nel 1456 e nel 1805 fu gravemente danneggiata dal terremoto. Il patrimonio storico-architettonico è ricco ed annovera in primo luogo i resti di Santa Maria in Faìfula, antica abbazia benedettina che sorgeva nel luogo dell'antica Fagifuli sannitica e che fu retta per qualche anno da frate Pietro Angelerio da Morrone, poi papa Celestino V; l'architettura sacra comprende la chiesetta della Madonna del Carmine e le chiese dell'Immacolata e di Sant'Antonio di Padova; del patrimonio storico fanno parte anche le lapidi con iscrizioni ritrovate nell'agro ed il castello di Collerotondo, situato su uno sperone di roccia a 5 km dall'abitato, ristrutturato e trasformato in abitazione rurale».
http://www.italiapedia.it/comune-di-montagano_Storia-070-041
Montagano (palazzo marchesale Janigro)
«L'ex palazzo marchesale di Montagano fu venduto dai marchesi Vespoli alla famiglia Janigro alla fine del 1700. Si tratta di un castello di frontiera, come testimoniano tra l'altro le feritoie ancora visibili su un angolo delle mura perimetrali. Il nucleo più antico risale al secolo XV ed é quello tuttora esistente. Un primo ampliamento si ebbe nel XVIII secolo. Il complesso sorge alla sommità del centro storico di Montagano, pittoresco borgo molisano a 950 m di altitudine, di cui costituisce il castello marchionale costruito per fasi successive a partire da una rocca quattrocentesca (ancora utilizzabile), fino all'ultimo intervento del 1830, anno di costruzione dell'imponente giardino pensile alberato voluto da Costantino Janigro. Sotto il giardino pensile si aprono ancor oggi vasti locali,attualmente adibiti a depositi. Fra gli annessi, alcune antiche botteghe ricavate negli archi di sostegno del giardino pensile. Una ulteriore area edificabile a pochi metri dalla cinta muraria, dotata anch' essa di una straordinaria posizione panoramica, copre 800 mq ed è edificabile per 1500 mc. Altri corpi di fabbrica furono aggiunti nel sec.XIX. Costantino Janigro fece costruire su mura poderose e soffitti a volta robustissimi, un bellissimo giardino pensile, tuttora esistente. Il castello sorge nel punto più alto del centro storico di Montagano,copre un'area di circa 1000 metri quadri e si sviluppa in altezza per circa 15 metri,divisi in tre piani.Il giardino pensile copre un'area di circa altri 1000 metri».
http://web.tiscali.it/palmont/palazzo/mainpal1.htm - http://web.tiscali.it/palmont/palazzo/mainpal2.htm
«La torre di Montebello è situata su una collina a circa 50 m sul livello del mare, a circa 1200 m dalla battigia e a meno di 500 m dalla sponda destra del fiume Trigno, ossia il fiume che segna il confine tra Abruzzo e Molise. Sorge nel comune di Montenero di Bisaccia (Cb), in località Montebello. Non è menzionata dal marchese di Celenza Carlo Gambacorta, il quale cita solo quelle posizionate direttamente a ridosso del mare. Ha svolto un importante ruolo di difesa e allarme durante il lungo periodo delle incursioni saracene e di rifugio e controllo doganale per i traffici che a valle passavano per il fiume Trigno e per il torrente Tecchio, per portarsi dal territorio vastese all'entroterra molisano e viceversa. Notizie storiche: 1566: anno di edificazione, sopra i ruderi del vecchio castello di Montenero, per ordine del barone di Lanciano, Vialante (infatti viene chiamata anche torre di Vialante), il quale entrò in possesso del feudo separato di Montebello, insieme a Riccardo del Riccio. ... 1712: la notte del 26 settembre, circa sessanta Turchi assediarono il mulino dove vi erano una ventina di persone che, udendo sparare, si misero in salvo nella torre. I Turchi incendiarono il mulino e ne iniziarono la scalata, ma furono respinti a colpi di pietra e uno di loro morì. Ma non desistettero finché arrivò da Vasto, con cinquanta soldati a cavallo e cento armati a piedi, il conte Filippo Ricci cosicché, dopo una breve lotta, gli assalitori furono costretti a ritirarsi nelle loro galea. ... 1953: ne entra in possesso, in fase di esproprio, l'ERSAM (Ente Regionale di Sviluppo Agricolo per il Molise. .... Descrizione. La sua forma architettonica ha, come le torri di Petacciato e Sinarca, pianta di forma quadrata di 7,70 m per lato , ma differisce per il maggiore sviluppo in altezza di circa 14 m e per le pareti a piombo con fori pontaioli. La sua è una forma che si riscontra in numerose torri pugliesi. È articolata su tre livelli, i primi due coperti da volte a botte, collegati internamente da scala a chiocciola in pietra arenaria, mentre la copertura è a terrazzo, con la volta coronata da merli. L'ingresso principale è posizionato al di sopra del piano di base, al quale si accede tramite una scala esterna in muratura. Le superfici murarie sono quasi del tutto compatte, presentano quattro finestrelle rettangolari con semiarco, delineate da mattoni in cotto a forte strombatura e distribuite una per lato a diverso livello di altezza, e sono munite di feritoie. Oggi la torre presenta un avanzato stato di degrado: è attraversata da una lesione verticale di oltre 50 cm che la divide in due parti. Sulla parete principale vi sono evidenti tracce di un ponte levatoio, probabilmente a suo tempo collocato al posto dell'attuale scala esterna: infatti la torre faceva parte di un sistema difensivo più ampio, ossia il castello di Montenero. Sulla facciata principale campeggiava lo stemma della famiglia Battiloro, che fu asportato nel 1953. Alla sommità conserva residui tronconi di merlatura».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/montebello.htm (a cura di Alessandra Mucci)
Montefalcone nel Sannio (resti del castello o palazzo Ducale)
«Il grande e marmoreo stemma gentilizio che sovrasta tuttora il balcone centrale sull’ampio terrazzo della sua facciata principale e la solennità austera della sua struttura architettonica vagamente neoclassica, sono stati finora gli unici superstiti elementi su cui fondare verosimilmente qualche ipotesi storica relativa alle origini ed alla appartenenza del grande palazzo ducale di Montefalcone nel Sannio, intorno al quale non si è ancora rivenuta alcuna documentazione scritta. Dalle forme timidamente neoclasseggianti della sua struttura architettonica esternamente rimaste pressochè immutate fino ai nostri giorni ,sembrerebbe doversi pensare alla metà del secolo XVIII come epoca della sua costruzione. In tali individuazione si sarebbe confrontati dall’arma scolpita sullo stemma gentilizio che con la “coppa aurea” (coppola) attorniata da cinque gigli aurei,fu proprio quello della famiglia amalfitana dei Coppola duchi di Catanzaro, i quali ebbero in feudo Montefalcone ed in successione di tempo anche Montemitro, San Felice Slavo, Roccavivara, Mafalda e Castelmauro attraverso vari suoi membri, appunto, dalla fine del secolo XVII (1665) e per tutto il secolo XVIII fino all’eversione della feudalità. Non è stato ancora possibile individuare con esattezza entro quale periodo specifico ebbe inizio e termine la sua costruzione, né, per conseguenza, a quale o quali dei Coppola, utili signori di Montefalcone con diritto di patronato sullo stesso si debba attribuire la sua realizzazione. Dei personaggi della famiglia dei Coppola di Catanzaro citati in altri documenti storici, per l’esercizio della utile signoria e juspatronato su Montefalcone, quali: Andrea (1665); Beatrice (1665); Nicola (sacerdote titolare della chiesa di San Giacomo in Montefalcone, 1665); Rocco (chierico beneficiato dalla stessa predetta chiesa non più esistente,1685); Andrea (1693); Ercolano (1694); Nicola (1702); un’innominata principessa di Montefalcone e duchessa di Catanzaro (1716); Francesco (1793); Andrea (1795), sembrerebbero doversi ritenere protagonisti della progettazione, finanziamento e realizzazione del Palazzo Ducale, proprio l’innominata principessa di cui si ha memoria nel 1793, ma che potrebbe essere stato suo marito. La presenza, però intorno alla base di calpestio del Palazzo, stranamente privo di fondaci interrati e capace originariamente di oltre un centinaio di stanze su appena due ripiani, di un quadrilatero perimetrale di cinta muraria con cilindriche torri di difesa di quattro angoli, le quali sembrerebbero d’epoca ben anteriore al 1700, renderebbe problematica la predetta individuazione epocale ed esteticamente del Palazzo, a meno che si pensi a quest’ultimo, come ora appare, come la costruzione sovrapposta ad altra preesistente in loco alla quale farebbe pensare la vastità dell’area occupata dalla recinzione perimetrale, la quale certamente non sarebbe rimasta libera e sgombra per una disponibilità di costrutto che sarebbe venuto solo nel 1700, se, precedentemente non vi fosse già stata costruita altra residenza forse più modesta o dagli stessi primi Coppola duchi o dai non pochi feudatari di Montefalcone che li precedettero dal sec. XIV al sec. XVII».
http://www.comune.montefalconenelsannio.cb.it/mm/mm_p_dettaglio_nofoto.php?idmonumento=1&x=
«Montemitro, è uno dei tre paesi, insieme a S. Felice del Molise e Acquaviva Collecroce, dove la lingua parlata locale è lo Slavo. Montemitro è un borgo medievale che non rivestì un ruolo molto importante nel corso della storia. La prima notizia che ci giunge del paese è l’assegnazione del suo feudo a Gentile della Posta, figlio del signore di Palata. La sua storia rimane ignota fino al 1500, quando il possedimento passò sotto il comando dei Carafa: fu proprio questa famiglia feudale che nel 1508 favorì la venuta di un nucleo di profughi slavi, arrivati in Italia a causa dell’invasione turca. Nel 1528 Vincenzo Carafa si ribellò al re Carlo V e perse il regno in favore della famiglia Antonia per poi passare alla famiglia del Tufo, di origine normanna, insieme al più importante feudo di Montefalcone, nel 1560: la storia dei due feudi di qui in poi si sviluppò parallelamente».
http://www.molisecitta.it/comuni/montemitro.html
Montorio nei Frentani (palazzo Magliano)
«Il palazzo Magliano è collocato nel borgo antico fra le abitazioni. Non si sa con certezza quale sia la data di edificazione della struttura dato che l’unico documento è un’iscrizione in latino collocata sull’architrave della porta d’ingresso, 1737. Una seconda iscrizione, A.P.M, presente sulla finestra del loggiato, riguarda coloro che commissionarono la costruzione del palazzo. Il palazzo Magliano è un esempio di dimora nobiliare di origine medioevale, che nel corso dei secoli ha subito delle trasformazioni. Vista la presenza delle mura a scarpa è possibile ipotizzare che la struttura un tempo era parte di un sistema difensivo-residenziale; le trasformazioni purtroppo hanno alterato l’aspetto. La sua originaria funzione difensiva è evidenziata dal fatti che il palazzo venne costruito sulle antiche mura di cinta di Montorio nei Frentani. La denominazione del palazzo deriva dal nome di Domenico Magliano, appartenente ad una famiglia illustre, presente nel paese già dal 1714 e residente nella zona denominata "terra vecchia". Al palazzo si arriva dopo aver percorso i vicoletti del centro storico. La struttura è a pianta quadrangolare e si eleva su due piani. Il portale originario è stato rimpiazzato da una semplice porta sormontata dall’antico arco a tutto sesto, decorato da motivi geometrici nonché dallo stemma di una delle famiglie che possedette l’edificio. La facciata presenta tre balconi in corrispondenza del piano nobiliare ma anche un secondo ingresso. Nella parte posteriore della struttura è presente una balconata sostenuta da tre archi a tutto sesto. Dell’antica struttura è possibile ancora osservare le basi a scarpa e una torre. La parte più adeguatamente conservata include una sorte di atrio che conserva un arco a tutto sesto e una scalinata che permette di raggiungere i piani superiori. Internamente, l’edificio non è visitabile dato che è abitato da famiglie».
http://www.amicomol.com/montorionfrent.html
Morrone del Sannio (borgo fortificato, torre cilindrica)
«Le origini di Morrone sono molto remote, lo testimoniano resti di cinta murarie, ma anche lapidi e monete rinvenute nel territorio limitrofo. In ogni modo non sembra attendibile l'ipotesi d'alcuni studiosi, che attribuiscono la fondazione del paese ai profughi di Gerione dopo l'arrivo d'Annibale. Oltre alla fondazione, è ignota anche l'origine del nome attuale; si sa che non ha subito sostanziali modifiche passando da "Marono" a "Murrone". In ogni modo, se ci si attiene alla Cronaca Cassinese del X secolo, si scopre che il borgo era chiamato "Civitas". Quindi la prima testimonianza scritta dell'esistenza di Morrone è del 1022. Il nome attuale è, invece, molto più recente; infatti il 22 gennaio del 1863, per differenziare Morrone da Castelmorrone, un paese vicino Caserta, si è aggiunto l'appellativo "del Sannio". Intraprendendo un discorso sulla storia vera e propria del borgo, si deve dire che non si hanno notizie certe se non per epoche successive al XIII secolo. Non si sa, quindi, se, durante la dominazione longobarda, Morrone appartenesse alla contea di Montagano o a quella di Larino. Al tempo dei normanni Morrone fu feudo di Giuliano di Castropignano per poi divenire di un certo Oderisio. Successivamente, durante il regno di Carlo I d'Angiò, e precisamente nel 1273, Morrone fu concesso in feudo a Roberto de Cusenza, cui successe il figlio Enrico. Quest'ultimo ottenne anche il feudo di Castiglione, perso insieme al borgo molisano nel 1309. In questa data l'acquirente di Morrone fu Andrea d'Isernia ... Per quanto riguarda il XV secolo, invece, Morrone lo trascorse sotto il dominio dei Santangelo almeno fino al 1424. Poi non si hanno notizie del paese per vent'anni fino al 1444. In questa data, all'avvento della dominazione aragonese, Morrone e Castiglione passarono in feudo a Paolo del Sangro. Quest'ultimo, come uno tra i maggiori combattenti del periodo, partecipò nel 1452 all'impresa del duca di Calabria contro fiorentini e veneziani perdendo la vita nel 1455. Carlo di Sangro fu suo successore per Morrone, anch'esso ebbe una vita movimentata e alla sua morte gli successe Bernardino di Sangro...».
http://www.morronedelsannio.com/feudatari.htm
Oratino (località La Torre, torre longobarda o della Rocca)
«La torre del paese è collocata su una rupe chiamata “la rocca”, che scende a picco sull’argine destro del fiume biferno. Data la sua ubicazione strategica, la "rocca" è stata sempre considerata una fortificazione naturale e fin dall’epoca sannitica rafforzata anche con delle mura. Il primo insediamento si ebbe durante la preistoria quando sono state riportate alla luce delle ceramiche risalenti al XIV-XIII secolo a.C. La seconda fase di occupazione riguarda strutture molto antiche, tra cui le mura sannitiche le cui superfici sono rivestite da lastre in pietra o marmo di forma poligonale. La terza fase riguarda la formazione di un abitato medioevale che scomparve a seguito del crollo di una parte della montagna causato dal terremoto del 1456. Attualmente sono pervenuti solo alcuni ruderi tra cui le rovine della chiesa, una piccola fontana di acqua benedetta e la torre che conferma la presenza della fortezza medioevale. Durante il periodo medioevale la torre è stata sottoposta a continue ricostruzioni. La struttura ha una pianta quadrata ed un'altezza di circa 12 metri, da cui è possibile osservare la vallata del biferno. Il torrione è caratterizzato da pietre calcaree distribuite in modo irregolare. L’ingresso alla torre è sopraelevato rispetto al pavimento per cui l’accesso era consentito solo mediante un ponte levatoio oppure una scala retrattile. L’architrave della porta d’ingresso è contraddistinto da un bassorilievo che rappresenta un gallo inserito in un cerchio. Oltrepassata la porta vi era un corridoio. Internamente la struttura è ripartita in quattro livelli: il basamento con cisterna, il pianterreno e due piani superiori. Il primo piano è illuminato da quattro finestre di forma quadrata».
http://www.molise.org/territorio/Campobasso/Oratino/Arte/Monumenti/La_Torre_Longobarda
Oratino (palazzo ducale Giordano)
«Posto nella piazza principale del suggestivo borgo, l'edificio deve essere fatto risalire, con ogni probabilità, al XV secolo; riceve in eredità il suo nome dalla famiglia Giordano, che ne fu proprietaria tra il 1700 e 1800. In origine erano presenti intorno alla struttura dei fossati, che lo dividevano dall'abitato e lo preservavano dall'attacco nemico. Nel corso del tempo ha subito alcuni evidenti cambiamenti. è da sottolineare, infatti, l'intervento operato per volere del duca Giuseppe Giordano, che determinò l'eliminazione delle quattro torri merlate poste agli angoli del palazzo. Purtroppo la struttura dovette conoscere un periodo di rovina a seguito del devastante terremoto del 1805, che determinò gravi danni. Attualmente si presenta come una vera e propria residenza signorile; ha una pianta quadrata e presenta un tetto a falde. Per potervi accedere vi è un ingresso principale con una porta sormontata da volta a crociera in pietra locale, che presenta foglie d'acanto scolpite sull'archivolto. All'interno vi è un cortile, caratterizzato da un porticato di pregevole fattura dove s'incontra una cisterna e un lavabo di pietra con uno stemma della famiglia dei Giordano. Sui lati sono presenti altri ingressi e sulle facciate sono presenti diverse finestre».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/432
Palata (borgo, palazzo ducale)
«Una delle più incantevoli vedute che si possono godere nel preappennino del basso Molise è in questo di Palata. Questo paese sita su di una collina solitaria a 525 metri sul Mare, gode di un clima dolce ed asciutto, perché risente l'influsso del mare e della montagna. Difatti dalla cima della torre campanaria della chiesa parrocchiale, ovunque si volge lo sguardo si ammirano sempre nuovi panorami e nuove vedute. Davanti la chiesa parrocchiale troviamo piazza del popolo e il palazzo ducale, il quale oggi ha perduto tutto della sua epoca feudale. Difatti dell'antico castello, sito su una roccia cespugliosa, che nel 1910 fu trasformata in una splendida piazzetta, denominata piazza poggio ducale, con un'imponete balconata a cui si accede dalla piazza del popolo. ... Molto suggestivo è attraversare il borgo antico. Era circondato da gallerie sotterranee con vasti cunicoli, tutti riallacciati alle abitazioni corrispondenti. Questi erano i rifugi in caso di emergenza durante le scorrerie dei pirati e dei briganti che infestavano la zona. ... L'antico borgo medievale conserva tutt'ora tutte le antiche stimmate, come sul portale dell'abitazione del Governatore del popolo».
http://www.amicomol.com/palata.html
Petacciato (palazzo ducale o Battiloro)
«Il palazzo è collocato al centro della piazza del paese, accanto al campanile della chiesa di San Rocco. Il castello risale al periodo medioevale ed ha subito, nel corso dei secoli, degli interventi di restauro che hanno alterato l’antica struttura a carattere militare. Attualmente il castello si presenta nelle vesti di dimora signorile, lontano quindi dai canoni medioevali. Il suo antico assetto a pianta quadrangolare, le sue mura robuste nonché le classiche torri a carattere difensivo fanno supporre che il castello abbia origini normanne. Sulla facciata ovest, è ancora visibile il ponte levatoio che veniva sollevato attraverso un sistema di carrucole; inoltre, la sua presenza fa ipotizzare che la fortezza anticamente, era delimitata da un fossato. Le fonti ci attestano che nel 1463, il castello subì un attacco violento da parte di Antonio Caldora, con la conseguenza che non solo il castello ma anche l’abitato andarono distrutti. Verso la seconda metà dell’800, il castello venne impreziosito con l’elevazione di un'altro piano, voluto dalla contessa Ortensia d’Avalos. Per la costruzione, fu utilizzato il materiale recuperato dalle cave di Petacciato al fine di conferire al castello le fattezze medioevali. Quando il castello divenne di proprietà del marchese Domenico Battiloro, questi però lo abbandonò utilizzandolo come deposito di grano. Il palazzo è ubicato in una posizione poco strategica rispetto alle altre fortezze presenti nella regione. Una descrizione dettagliata della struttura venne fatta nel 1906 dall’avvocato di Ortensia d’Avalos. Stando a quanto detto nel documento, l’edificio si ergeva su due piani al di sotto dei quali vi erano dei locali sotterranei adibiti a cantine e a depositi di armi. La fortezza aveva due giardini con piante ed alberi pregiati. Nel documento sono menzionati anche altri due edifici, fatti edificare su comando della famiglia d’Avalos. Questi sono ubicati all’esterno del centro abitato e utilizzati l’uno come caserma dei carabinieri, l’altro come magazzino per la conservazione del grano. Quando il castello era abitato dai d’Avalos, godeva di un gran splendore; difatti era arredato con molto gusto; vi erano mobili e suppellettili di grande valore. I proprietari tolsero tutti gli elementi architettonici relativi al periodo medioevale. Nella sala del piano terra venivano organizzate feste e cerimonie nonché banchetti caratterizzati da piatti a base di selvaggina. Le camere da letto erano addobbate da statue, bronzi, animali mummificati e collezioni di monete e di armi molto antiche. Attualmente la fortezza si presenta nelle sembianze di una vera e propria residenza alla quale ci accede solo dopo aver percorso un giardinetto recintato. La struttura è modesta e presenta come unico elemento antico la merlatura risalente all’800 voluta da Ortensio d’Avalos. Le facciate sono caratterizzate da intervalli di finestre rettangolari circoscritte da cornici in pietra. Quest’ultima riveste l'intera struttura , anche se a seguito dei lavori di restauro è stata intonacata conferendo all’edificio un aspetto poco armonico. A sinistra dell’ingresso, la facciata è interamente ricoperta di edera».
http://www.molise.org/territorio/Campobasso/Petacciato/Arte/Castelli/Palazzo_Ducale
«La torre sorge lungo la strada statale che costeggia il mare Adriatico (SS 16), verso il lato della costa, allo stesso livello della strada e a circa 7 m sul livello del mare. È sita ai piedi della località omonima, “marina di Petacciato”. Ultima torre (la 25a, stando alla numerazione apportata dal Gambacorta). Per questa, come per tutte le torri, la collocazione in una posizione privilegiata è il risultato di precise scelte di carattere strategico. Dovevano, infatti, avere la vista su tutti e quattro i lati ed essere in collegamento visivo tra loro e con i paesi retrostanti. Comunicava a nord con la torre del Trigno, distante 6-8 km e a sud con la torre Sinarca, distante da essa 6,5 km (miglia 4 secondo la ricognizione del Gambacorta). Notizie storiche: 1568 anno di edificazione ad opera di Bernardino Capuano; ... 1976: rudere in base alla ricognizione di Vittorio Faglia. La sua forma architettonica rientra nella tipologia di torri del periodo viceregnale spagnolo, a base quadrangolare di circa 11 m per lato, corpo troncopiramidale di circa 12 m, con tre caditoie per lato. Dalla pianta disegnata dal Gambacorta risulterebbero vani più larghi del solito, risultato del minore spessore dei muri. È la prima torre che s’incontra da nord verso la Capitanata, completamente in pietrame. L’interno, come quella del Sinarca, era a due piani coperti da volte a botte, nel primo si trovava la scuderia e nel secondo l’armamento e il ricovero dei soldati. L’ingresso era a monte, raggiungibile attraverso una scala in muratura in due rampe, con una passerella di legno, facilmente retraibile in caso di necessità. La sua forma quadrata le permetteva di disporre di tre lati di fuoco ed era orientata in modo tale da avere un lato a mare e due lungo la costa. Oggi la torre si presenta spaccata in due sezioni da una frana del terreno, il tratto di costa che la circonda, almeno per un paio di chilometri, è interessata da fenomeni di smottamento. Dei due tronconi, quello posto sul lato della strada è rimasto pressoché fermo, mentre quello di fronte ad esso, lato mare, ha subìto un abbassamento di circa 2 m e una traslazione verso la spiaggia all’incirca di 4 m, con una rotazione in senso orario».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/petacciato.htm (a cura di Alessandra Mucci)
Petrella Tifernina (Palazzo Girardi)
«Detto anche dei “Sette Medici”, risalente al 1615, è stato più volte restaurato ed acquisito al patrimonio comunale come "Centro Sociale Polivalente”, Centro Espositivo di Arti Figurative e sede dell'archivio storico» - «..Il Palazzo Girardi, detto anche dei “Sette Medici”, sorge fra gli stretti vicoli del paese, poco lontano dalla splendida chiesa di S. Giorgio. La struttura, risalente al 1615, fu oggetto di numerosi interventi di ricostruzione, il più importante dei quali agli inizi del XVII secolo. L’edificio costituisce un esempio di architettura rinascimentale sovrapposta ad una costruzione medievale. Nella sua facciata principale, è particolarmente suggestivo il loggiato con 4 archi a tutto sesto su colonne lavorate, a cui si accede tramite una importante scalinata d'ingresso. È stato acquisito al patrimonio comunale come “Centro Sociale Polivalente”, Centro Espositivo di Arti Figurative” e sede dell’archivio storico. ...».
http://www.comunitamontanamolisecentrale.it/palazzo_petrella.htm - http://castelliere.blogspot.it/2017/12/il-castello-di-domenica-31-dicembre.html
Pietracatella (tracce del castello)
a c. di M. M.
Pietracupa (borgo fortificato)
a c. di Aurora Delmonaco
Portocannone (palazzo Cini-Tanasso)
«Può essere considerato a ragione non solo uno degli edifici più interessanti del piccolo centro di Portocannone, ma anche dell'intera Provincia; la sua edificazione deve essere collocata tra il 1735 e il 1742 ad opera del Barone Carlo Diego Cini, appartenente ad un importante casato originario di Guglionesi. Il palazzo, che successivamente divenne proprietà della famiglia Tanasso, è posto all'interno del centro abitato e si sviluppa su tre livelli di piano con la sua pianta a forma quadrangolare; il piano terra si sviluppa intorno ad un cortile interno, il primo piano è caratterizzato da diverse stanze affrescate e dalla presenza di mobili antichi, mentre il secondo prevede un loggiato, che sporge sul giardino. Guardandolo dall'esterno, appare come una fortezza per il suo aspetto compatto, caratterizzato da rinforzi sugli angoli. Una volta entrati e percorso uno scalone che porta ad un'anticamera, è possibile ammirare alcuni dipinti del XIX e XX secolo. Subito all'ingresso si presentano agli occhi del visitatore affreschi, che riproducono quattro divinità italiche con orecchie appuntite, corna e piedi caprini. Il palazzo è caratterizzato inoltre da splendidi dipinti: in salotto, il pittore Ugo Sforza ha riproposto, ripreso da Rubens, il "Ratto delle Leuccipidi", in una stanza adibita a studio invece è riprodotto un nudo maschile con un cavallo, che si rifà probabilmente alla "Fedra" dell'Ippolito. L'ultimo restauro risale al 1915 e fu effettuato dalla famiglia Tanasso».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/426
Provvidenti (borgo, torre campanaria)
«Riguardo al nome del paese, da quello che risulta dalle numerose indagini finora effettuate il paese ebbe fin da principio il nome che tuttora porta. Nonostante tutto, i dati in possesso degli studiosi non sono affatto accertati e sono suscettibili di cambiamenti. Essendo le notizie storiche di questo paese relativamente recenti, riguardo al periodo normanno si procede soltanto per supposizione: si pensa che il paese, essendo molto vicino a Morrone e Casacalenda, avesse gli stessi titolari di questi due feudi, vale a dire Giuliano di Castropignano e Oderisio figlio di Manerio. Le prime notizie certe del paese giungono dal lontano 1512, data in cui il feudo venne venduto da Ferrante de Capua, duca di Termoli, ad uno sconosciuto acquirente. Nel 1555 il titolare di Provvidenti era di per certo Giovanni d'Aierbo, il quale ebbe come successore il proprio figlio Michele in vita attorno al 1580. La signoria di questa famiglia in Provvidenti si protrasse fino oltre XVI secolo, periodo in cui il feudo venne venduto alla famiglia Cavaniglia. Della loro signoria nel paese non si conoscono molte notizie, si sa soltanto che fecero edificare una chiesa all'ingresso del centro abitato dedicata a S. Sebastiano. Dopo i Cavaniglia, il feudo ebbe come titolari i rappresentanti della famiglia di Sangro, ducale di Casacalenda, la quale lo amministrò fino alla definitiva estinzione del sistema feudale. Il centro storico mantiene intatti gli inconfondibili lineamenti del borgo medievale come testimoniano le caratteristiche architettoniche di gran parte degli edifici. Il primo di essi in ordine di rilevanza artistica è la chiesa di S. Maria Assunta. Dal 1727 al 1734 si trovò nelle adiacenze della parrocchiale preesistente e consacrata il 3 dicembre 1734 dal vescovo mons. Tria, come si rileva dall'iscrizione lapidea murata sotto la mensa dell'altare maggiore. Si compone di una sola grande navata, con quattro altari. Il campanile, collocato fra la presente chiesa e l'antica, è tutto in pietre quadre gradinate, e porta incisa la data del 1380: data che forse ricordava pur la costruzione della chiesa parrocchiale primitiva. Secondo e ultimo edificio situato nel paese è la chiesa di Santa Maria della Libera. Nel secolo scorso era considerata "extra-moenia", ma attualmente è all'ingresso dell'abitato, che si va sviluppando a ridosso del "castrum" d'un tempo, lungo la strada provinciale, che s'innesta alla Consolare Sannitica. È formata da una sola navata, con unico altare dedicato alla Santa, la cui festa annuale del lunedì dopo la pentecoste richiama da tutti i paesi vicini, un gran numero di pellegrini».
http://www.guidacomuni.it/comune/provvidenti/5582/3/
«Recenti studi condotti sul territorio hanno evidenziato come la zona di Riccia fosse abitata già in epoca sannita. I ritrovamenti di tegole, di oggetti di ceramica a vernice nera e scorie ferrose nei siti di Campo S. Pietro, Pesco del Tesoro e Cerignano, attestano la presenza di insediamenti sanniti, anche di significative dimensioni, nell'agro riccese. Lo storico Amorosa, nel suo lavoro di inizio Novecento, sostiene che Riccia abbia avuto origine da una colonia romana stabilitasi sul territorio in conseguenza della legge sillana. In un passo delle cronache delle Colonie, Sesto Giulio Frontino annota che "…Aricia oppidum pro lege Sullana …": il nome Riccia sarebbe quindi, semplicemente, la riproposizione del luogo di origine della colonia, l'attuale Ariccia laziale. L' "Aricia" romana diventa "Saricia" nei documenti del secolo XII, ed ancora "Ricia" e "Aritiae" durante il secolo XIV, infine "Ritia" nei decreti della Curia del XVII secolo per giungere alla denominazione attuale. Nel 642 giungono a Riccia gli Schiavoni, scampati all'eccidio del duca Rodoaldo, nella battaglia dell'Ofanto. Le notizie del periodo longobardo e di quello successivo normanno riguardanti l'abitato riccese sono molto scarse e poco attendibili: di certo, sappiamo che nel XII secolo Riccia era feudo ecclesiastico del Monastero dei SS. Pietro e Severo di Torremaggiore. è molto probabile che tale condizione si protrasse per tutto il periodo svevo. All'inizio della dominazione angioina, invece, il feudo venne concesso al famoso giurista Bartolomeo di Capua, primo duca di Termoli ed appartenente alla illustre stirpe dei Conti di Altavilla. I tre elementi chiave del complesso architettonico di Piano della Corte - il Castello, la chiesa del Beato Stefano e l'antico Magazeno - donano allo spazio racchiuso dentro il perimetro poligonale un effetto prospettico davvero notevole, grazie al loro rispettivo affacciarsi sulla Piazza. Questa, luogo strategico e vitale del borgo medievale, può essere considerata un nitido esempio della rivoluzione culturale ed architettonica dell'epoca rinascimentale, voluta dal feudatario Bartolomeo III di Capua agli inizi del '500, a cui vanno ad aggiungersi le caratteristiche case, vicoli e scalinate dell'antico borgo. La Torre, da poco restaurata, sorge sul limite di uno strapiombo roccioso. ... L'Antico Magazeno si trova nel punto più alto della Piazza. Composto da due piani, la parte a pian terreno è in pietra da taglio con due aperture ad arco, che danno accesso ai due vani che compongono lo spazio interno; al piano superiore, in mattoni con ben quattro aperture a tutto sesto, si giunge grazie ad una scala esterna. Gli archi sovrastano un ballatoio, sorretto da due archi inferiori, che valorizzano ed allo stesso tempo abbelliscono il complesso architettonico nella sua completezza. Attualmente il piano inferiore del Magazeno ospita il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, al secondo Piano invece è presente la Mostra Permanente di artisti riccesi».
http://www.regione.molise.it/web/turismo/turismo.nsf/0/C18B775E81F96C2FC125754C00345BD3?OpenDocument
a c. di M. M.
Ripabottoni (palazzo Francone)
«La facciata del palazzo Francone domina la piazza principale del paese e fronteggia la chiesa di Santa Maria Assunta. Sotto un grande arco a tutto sesto, si apre il portale d’ingresso che conduce alla zona restrostante il palazzo. Al secondo piano vi è una balconata molto lunga, che sovrasta la piazza e termina, sulla destra, con una loggia caratterizzata da archi a tutto sesto, al di sopra della quale si poggia una seconda balconata. A destra della facciata, vi è un imponente portale in marmo, su cui è inciso lo stemma della famiglia Francone. Esso dà accesso ad un cortile interno, dal quale è possibile, salendo una scalinata, raggiungere i piani alti. Alla sinistra della facciata vi è un grande portone sormontato da finestre diverse tra loro sia per grandezza che per stile. Da uno degli appartamenti del palazzo si accede ad un giardino interno, che un tempo era occupato da una chiesetta, della quale attualmente non resta nulla».
http://www.molise.org/territorio/Campobasso/Ripabottoni/Arte/Castelli/Palazzo_Francone
«Chiamato comunemente Castello, anche se la tipologia della struttura lo classificherebbe come palazzo signorile, l'edificio può considerarsi, senza alcun dubbio, un testimone chiave della storia ripese. Edificato intorno all'anno 1000, fu sede abitativa dei signori locali che si succedettero nel corso dei secoli e furono proprio questi passaggi di signorie diverse che lasciano oggi importanti testimonianze sulla "vita" del castello. Ad ogni successione venivano compilati da notai gli inventari dei beni, e lo studio di questi documenti rivela come la struttura ha subito nel corso dei secoli varie trasformazioni non perdendo però i connotati del palazzo fortificato, evidenziati dalla forma affusolata e dalla corte interna, punto di snodo per l'accesso alle singole parti, dal giardino pensile e infine dalla torre. Nel 1516 diventa signore di Ripalimosani Marino Mastrogiudice, il quale, cinque anni dopo, opera il primo vero restauro e ampliamento del vecchio castello convertendolo in palazzo marchionale, ma avendo sempre quella dominante visiva e spaziale di tutto l'abitato di Ripalimosani. Dopo un intero secolo dalla dettagliata rilevazione dei beni del marchese Francesco Maria Riccardo stilata dal notaio Francesco Di Bartolomeis nel 1644, il notaio Francesco Antonio Amoroso redige, nel 1742, l'inventario dei beni mobili del defunto marchese Castrocucco su richiesta di Ottavio Maria Mormile. La descrizione dei beni inventariati mette in evidenza che, nel corso degli anni, si è avuta la costruzione di un "quarto nuovo" che ha ampliato ulteriormente la struttura originaria del palazzo, ma all'ampliamento dei locali d'abitazione non corrisponde un miglioramento degli arredi, infatti si riscontra un tono meno sfarzoso e più dimesso rispetto a quella dei Riccardo. Il palazzo marchesale si sta quindi avviando verso una progressiva decadenza e le vicende ereditarie dell'ultimo marchese Mastrocucco incidono in maniera determinante sulle condizioni successive dell'edificio che sarà adibito ad abitazione di alcuni funzionari del duca Mormile.
Degno di nota è il portale di ingresso sormontato da una cornice aggettante (sporgente) che riporta l'iscrizione relativa all'intervento di ricostruzione del 1521, si possono notare ancora oggi situate ai lati appena sotto l'architrave in legno che sovrasta l'arco interno le due carrucole nelle quali scorrevano le catene che venivano manovrate dall'interno per abbassare e sollevare il ponte levatoio, che insieme al torrione, difendevano l'ingresso del palazzo. Prima di accedere ai piani nobili, vi è un largo cortile in cui si aprono gli ingressi di quelle che dovevano essere le botteghe degli artigiani di corte. Nel piano nobile la cui parte ambientale é esposta a mezzogiorno, vi era una gran sala ad uso di teatro nelle cui pareti, in giro ed in alto, erano rappresentati i re di Napoli. Attigua alla predetta sala vi era una cappella con uno stupendo altare murario presente ancora oggi. Vi era anche una prigione che i ripesi chiamavano il "cafurdio". Incavata nel tufo e senza luce, aveva tutta l'apparenza di un'orrida tana di belve. Fissa al muro vi era una catena di ferro con un anello all'estremità, che si metteva nel collo del carcerato per tenerlo in piedi e così farlo morire negli spasimi più atroci. Attualmente la parte nobile del castello è adibita a sala ricevimenti di suggestiva atmosfera tale da attrarre molti non ripesi a vivere lì dentro momenti per loro indimenticabili come può essere un matrimonio».
http://www.ripalimosanionline.it/palazzo.php
Rotello (castello o palazzo Colavecchio)
«Massiccio e imponente, il Palazzo Colavecchio domina il centro storico di Rotello, che conserva intatte le caratteristiche del borgo medioevale con case disposte in file, separate da vicoli stretti convergenti tutti verso la piazza dove sorgeva la chiesa madre di cui oggi non restano tracce. Sulla storia e sulle vicende costruttive del castello non si hanno molte fonti. Certamente, si può affermare che la struttura architettonica odierna del manufatto è il risultato di notevoli mutamenti che ne hanno modificato la struttura originaria. Come la maggior parte dei fortilizi presenti in terra molisana, anche il Palazzo Colavecchio ha mutato la sua destinazione, passando da struttura con precise caratteristiche difensive a vera e propria residenza signorile, cinto da mura perimetrali e dotato di torretta per gli avvistamenti. Secondo la tradizione pare sia stato l’abitazione dei Conti Normanni. L’interno del palazzo è stato ristrutturato e adibito a residenza di alcune famiglie. Attualmente è inagibile, a seguito degli eventi sismici dell’ottobre 2002».
San Biase (borgo, palazzo baronale Antonini)
«Poche sono le notizie sul piccolo casale di San Biase, che presumibilmente si collegano alle vicende e alla sorte degli altri casali collegati allo stato di Novi, almeno fino alla seconda metà del XV secolo. Dopo numerosi passaggi di proprietà tra vari feudatari e baroni susseguitisi a partire dal XV secolo, nel 1734 il borgo di San Biase è intestato alla locale Università, che compra dal feudatario il casale che viene trasferito al demanio, utilizzando i benefici ma subendo anche il rischio di una eventuale vendita del feudo da parte del sovrano. Nel 1799 San Biase assunse una posizione di autonomia, costituendosi in Municipio. Il borgo è situato poco distante dal fiume Palistro, un rigagnolo che scorre nel letto ciottoloso sotto i ponticelli. Non distante vi è l'antico mulino descritto nella relazione redatta dall’ingegnere Cafaro, nel 1660. ... Il borgo di san Biase, formato da poche case, si articola in viuzze strette e passaggi coperti. è ben visibile la chiesa omonima che campeggia sulla piazza, affiancata dal palazzo baronale Antonimi. Sullo sfondo il mulino seicentesco attraversato dal fiume Palistro che scorre tra una fitta vegetazione».
San Felice del Molise (castello, palazzo ducale)
«Il Palazzo Ducale. Un antico palazzo baronale che risale al 1600 circondato da mura di cinta collegate ad un ponte elevatoio che negli anni andarono in rovina. Di antico presenta un portone ed alcune mura in pietra battuta. Il palazzo è abitato dalla famiglia Zara che lo ereditò da un conte dopo la soppressione del feudalesimo ad opera di Napoleone Bonaparte dal 1810 circa; al suo interno vi è un antico affresco raffigurante immagini di vita campestre. Il castello. Si trova su di una collina a 340 m. sul livello del mare un posto dall’incantevole panorama. Costruito intorno al VIII e IX sec. D.C. dove vi dominarono gli Orsini di Larino. Una leggenda narra che nel castello vi visse una principessa di nome Cecilia, che mori a Roma in concetto di santità. Successivamente il castello andò in rovina e vi rimasero solo ruderi sui quali fu costruita l’attuale chiesa dedicata alla Madonna. La chiesa fu costruita nel 1910. La zona circostante la chiesa è ideale per feste e scampagnate; è perfettamente attrezzata per pic-nic in quanto è fornita di tavolini e barbecue in cemento. Vi è anche una fontanella e perfino un piccolo parco giochi per bimbi il tutto circondato da un’ampia distesa verde».
http://egov.hseweb.it/sanfelice/san_felice100/citta.htm
San Giuliano del Sannio (palazzo marchesale)
«L’origine romana del Comune è documentata da incisioni lapidee trovate in territorio sangiulianese. Al nome Accio Iulianus, importante personaggio dell’età traianea, si vorrebbe ricollegare l’attuale toponimo di San Giuliano. Durante la dominazione longobarda, normanna e sveva, San Giuliano fece parte del Gastaldo di Bojano e poi della Contea di Molise. All’inizio del periodo angioino fu feudo di Amerigo di Sus, nel 1306 passò ai Molino, poi ai Sanfromondo, ai Carafa e ai Braida. ... All’interno del tessuto insediativo, che ruota intorno alla Piazza principale, si erge il Palazzo Marchesale, attuale sede municipale, e spicca la Chiesa di San Nicola».
http://www.tappino-altilia.it/luoghi.html
San Giuliano di Puglia (palazzo marchesale)
«Nel periodo longobardo il feudo fece parte del Ducato di Benevento e poi nel periodo normanno fu sotto il controllo di Trasmondo di Montalto, che con ogni probabilità fu suffeudatario del Conte di Loritello. Si presume che in età sveva fu parte della Contea del Molise; successivamente il feudo vide l'avvicendarsi di diverse famiglie al potere sino all'abolizione della feudalità. San Giuliano, per distinguersi da San Giuliano di Sepino (ora del Sannio), assunse nel passato la dizione di Puglia perché appartenente alla Capitanata. La dizione stessa attualmente è impropria dal momento che fa parte del Molise. Il vecchio centro abitato, raggruppato intorno al vecchio Palazzo marchesale e alla Chiesa, mostra le caratteristiche medioevali». «Il Palazzo Marchesale è situato nel centro storico di San Giuliano di Puglia ed è costituito da una serie di corpi di fabbrica intorno ad un cortile, aventi strutture portanti in muratura. Esso si sviluppa su più livelli: 2 fuori terra, altri interrati rispetto al piano del cortile».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1808 - http://protprev.casaccia.enea.it/,,,
San Martino in Pensilis (palazzo baronale Tozzi)
«Probabilmente una prima costruzione venne edificata durante la dominazione normanna, intorno ai secoli XI e XII. Infatti, grazie a un registro dei Baroni tenuto da Guglielmo il Buono, morto nel 1189, è possibile risalire al nome del primo feudatario, che dimorò nel palazzo, un certo Domenico Amerio, contemporaneo di Conte Principe Roberto di Bassevilla, conte di Loretello, oggi Rotello. Interessante è poi la presenza, nelle sale del palazzo, detto anche “castello”, di archi gotici, risalenti all'epoca della sua presunta costruzione. La presenza del castello precedente di forma quadrata, e’ ribadita, oltre che dalla tradizione orale, anche dall’esistenza di alcuni elementi strutturali caratteristici dell’architettura difensiva; ne sono un esempio: il muro a scarpa, le feritoie, le finestre interne orientate verso il cortile e un arco che collega il castello con le abitazioni di fronte. Alla struttura si accedeva mediante una rampa che precedeva il ponte levatoio, e tutt’intorno vi era il fossato. Internamente il castello era caratterizzato da merli e merloni in pietra, che attualmente sono andati in rovina, nonche’ da una sala del trono, simbolo del potere feudale e infine da una torre adibita a residenza per il feudatario. Secondo una leggenda, si dice che un tal Barone o Conte, possibilmente vissuto in epoca medioevale, tenesse in uso questo diritto, che riusciva ovviamente più che molesto ai suoi sudditi. In una stanza del Castello vi aveva fatto costruire una larga botola dove era sta installata una ruota con lame affilatissime, che, se azionata, girava, tranciando chiunque vi fosse malauguratamente caduto dentro. Essa veniva mostrata soltanto ai riluttanti, i quali al solo pensiero di finirvi dentro, avrebbero di certo, almeno tacitamente, acconsentito alle turpi soddisfazioni del Signorotto. Il Palazzo di San Martino fu residenza di Ferdinando di Capua, duca di Termoli. Altri suoi proprietari sono stati il conte Cattaneo e i signori Tozzi. Il vasto edificio si trova nei pressi dalla chiesa di S. Pietro, nel centro storico, definito dagli abitanti del luogo "mezzaterra", ossia cuore del villaggio. Oggi al palazzo è possibile accedere tramite una scalinata, che conduce nel cortile. Di particolare interesse, è il loggiato che affaccia sulla piazza del paese e dal quale è possibile ammirare il mare. Attualmente è impossibile riconoscerne l'antica fisionomia, sia per la divisione proprietaria (che per gli inadatti restauri successivi. Oggi l'esterno mostra una serie di finestroni ad arco che si affacciano su una gradevole terrazza».
http://www.aledebasseville.com/2012/04/san-martino-in-pensilis-cb-palazzo.html
San Massimo (borgo medievale, resti del castello)
«La nascita dell'attuale abitato, tuttavia, è da attribuire ad epoca più recente e, per analogia con realtà simili presenti nell'Alta Valle del Biferno, essa può farsi risalire al periodo compreso fra il IX ed il X secolo, come conseguenza del fenomeno dell'incastellamento originato dalle incursioni saracene. Come gli altri centri matesini, anche San Massimo è ubicato su un'altura a controllo sia della valle sottostante e del tratturo che la attraversa, sia di una delle strade che, provenienti dal Matese, univano i due versanti del massiccio in prossimità della quale, nelle vicinanze della attuale stazione sciistica di Camipitello, era ubicato un eremo di probabile origine benedettina, dedicato a San Nicola di cui ancora oggi è possibile osservare i ruderi. Il primo nucleo dell'abitato è sicuramente da identificarsi con i pochi resti pertinenti all'antico castello, ubicato nella zona centrale del paese, e posto a strapiombo su di un orrido che lo proteggeva sul versante est. La forma architettonica dell'edificio è attualmente poco leggibile in quanto, distrutto dal terremoto del 1805, è stato inglobato nelle strutture di edifici più recenti. Allo stesso modo non è più individuabile l'andamento della cinta muraria che, tuttavia, doveva racchiudere le prime abitazioni sorte al suo interno. La conferma che l'insediamento, fin dalle origini, avesse rivestito caratteri di difesa è dato dalla sua denominazione antica di "castellum" e "castrum Sancii Maximi", come riportato da documenti di epoca angioina. Più volte distrutto dai terremoti, oggi il centro storico di San Massimo presenta un impianto urbanistico che ricalca gli schemi dell'insediamento medievale adattato, però, alle esigenze che le varie epoche hanno richiesto».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1610
San Polo Matese (borgo, palazzo Rogati)
«Le prime notizie che abbiamo riguardo al paese risalgono all'XI secolo, quando perse il carattere di feudo laico per diventare un feudo ecclesiastico, dato che il Conte di Bojano aveva edificato una cattedrale inserendo anche San Polo tra i feudi in dotazione. Il borgo rimase sotto il possesso della curia vescovile di Bojano fino alla prima metà del XV secolo, quando Francesco Pandone, già titolare di Bojano, tolse il possesso di San Polo con le armi. Ottenne anche la sanatoria dell'accaduto, in base alla quale il vescovo allora in carica e tutti i successivi conservarono il titolo baronale e i diritti dominicali sul feudo. Il borgo antico, che rappresenta il cuore del paese, è il classico borgo medievale con stradine strette e ben tenute. Molta cura è stata data alla pavimentazione ed all' illuminazione che contribuiscono a rendere suggestivo il centro storico. La chiesa parrocchiale, realizzata nel medioevo, conserva all'interno un battistero del 1552, una acquasantiera del 1616 ed un'opera di grande pregio: la statua della Madonna con Bambino del Di Zinno (1755). Nel vecchio palazzo della famiglia Rogati, ora comunale, situato nel cuore del centro storico, si può visitare l' artistico Presepe, aperto tutto l' anno, dell' artista Spagnolo Juan Mario Oliva con figure di Antonio Mazzeo. L'opera rappresenta fedelmente, in scala, un paesaggio della Palestina. Tutto il materiale utilizzato per la realizzazione di questa opera proviene proprio dal paese che rappresenta».
http://www.amicomol.com/San%20Polo%20Matese.html
San Polo Matese (torre longobarda)
«...S. Polo, proprio per il suo carattere di assoggettamento alla cattedrale, ha subito le stesse sorti feudali di Boiano con l’obbligo dei suoi feudatari di corrispondere annualmente alla mensa vescovile una sorta di risarcimento disposto da Alfonso d’Aragona a far data dall’usurpazione fatta da Francesco Pandone. In tal modo il pagamento di un canone garantiva al vescovo la conservazione dei diritti dominicali e del titolo baronale. Masciotta riferisce che dai documenti del 1738 risulta che il Principe di Colledanchise, feudatario di Boiano, pagava al vescovo il canone annuo di 50 ducati. Oggi del castello di S. Polo rimangono pochi ruderi ormai inglobati negli edifici che nel tempo si sono impiantati sulle strutture murarie sopravvissute. Non è facile capire da quel poco che rimane quale fosse il suo sviluppo planimetrico. Sul lato nord orientale del paese rimane una torre circolare nella cui base, mediante una breccia di epoca relativamente recente, è stato ricavato un passaggio. Sembra però che non si tratti di una torre del castello vero e proprio quanto piuttosto uno degli elementi di raccordo della cinta muraria urbana realizzata in quella parte del paese che era più vulnerabile. Ad essa dovevano attaccarsi, da un lato e dall’altro, due tratti di muro che costituivano parte della difesa che probabilmente conteneva una delle due porte. Quella che in genere viene definita come porta da capo, presumibilmente posta nelle adiacenze della chiesa di S. Nicola che, per essere dedicata al patrono della comunità, certamente è la chiesa più antica del nucleo.
Una seconda torre, invece, per essere stata trasformata in campanile della contigua chiesa di S. Pietro in Vincoli, probabilmente era parte del castello. Ciò che rimane di una base di torre circolare, sul lato sud occidentale, può in qualche modo farci ritenere che una delle facce del quadrilatero del castello corrispondesse in linea di massima all’allineamento dell’attuale facciata della chiesa di S. Pietro in Vincoli che, ovviamente, nel XIV secolo ancora non esisteva. Non solo le fonti, ma anche le sopravvivenze murarie sono avare di informazioni, sicché non rimane che limitarci a congetture per capire cosa sia accaduto al castello di S. Polo. Fino all’epoca di Enrico Pandone e dei suoi immediati successori, ovvero fino alla metà del XVI secolo una struttura di una certa consistenza doveva ancora sopravvivere se è vero che era sede di una capitaneria in cui si esercitava il mero e misto imperio, ovvero vi si amministrava la giustizia del suo territorio. All’epoca dei Pandone (fine XV e inizio XVI secolo) non sembra siano state effettuate trasformazioni particolari. I conti venafrani avevano trovato una struttura quadrangolare munita di almeno tre torri circolari la cui epoca di costruzione certamente non è anteriore al XIV secolo. Dunque l’impianto originario, o comunque la struttura dell’XI secolo, era sicuramente molto più semplice. Poco più di un quadrilatero privo di torri negli angoli».
http://www.francovalente.it/?p=193
Sant'Angelo Limosano (borgo fortificato)
«Il Castello di S. Angelo è sorto nella seconda metà dell'XI secolo, molto probabilmente dopo la creazione della diocesi della vicina Limosano a sua protezione, dal momento che Limosano non domina la Valle del Trigno. La giunta della parola Limosano sembra derivi dal latino "Limen-Samnii" cioè confine del Sannio, in quanto il borgo apparteneva alla terra dei Sanniti. Certamente S. Angelo Limosano, appartenne al feudo dalla casata di Montagano (quando si chiamava S. Angelo di Limosano) per essere acquistato nel 1477 da Gerardo di Appiano; quasi vent'anni più tardi fu concesso alla famiglia di Capua dal re Aragonese ma, pochi anni dopo, lo troviamo nelle mani dei Carafa che ne conservarono il possesso fino agli inizi del 1600. La famiglia dei De Attellis fu l'ultima ad avere il dominio dell'omonimo feudo. Il paese, arroccato su di un colle, osserva dai suoi 900 metri di altitudine la vallata del biferno e gode di un panorama che spazia dalle isole Tremiti alle cime della Maiella. Le origini medievali sono testimoniate dalle strutture che diversificano il borgo antico, caratterizzato dai vicoli raccordati da scalinate che seguono la conformazione della collina. Le abitazioni, conservano ancora la muratura esterna in pietra nella parte alta, che si raggiunge tramite una grande rampa a tre gigoni costituiti da snellissime arcate realizzate con conci di pietra».
Santa Croce di Magliano (torre)
«Ad alcuni chilometri da Santa Croce, in contrada Magliano, vi sono i resti di un torrione a forma cilindrica e con la muratura in basso a scarpata. Essa si trova in cima ad un'altura, è circondata da una fitta vegetazione ed è visibile dalla strada nuova che porta a Rotello. Le notizie storiche sulla Torre di Magliano sono piuttosto scarne ma si sa che la struttura (probabilmente del XIII secolo) fu eretta per assolvere a compiti di sorveglianza militare e protezione dell'intera zona circostante, un tempo infestata di briganti. Se poi si scende nel campo delle leggende, un'antica parla di un collegamento di essa al centro cittadino, attraverso una galleria segreta che sfocia nel Quartetto, antico quartiere santacrocese. Sarebbe dovuta servire come via di fuga per la popolazione di S.Croce in caso di pericolo. Altre leggende parlano di tesori nascosti nei dintorni della torre. Neanche il Mons. Tria, nelle sue Memorie Storiche Civili ed Ecclesiastiche, ci dice qualcosa di più. Egli parlando di Magliano cita: "... e una torre, che si trova in buon essere, e questa volgarmente si appella il castello, e torre di Magliano, che confina col Territorio di Montelongo distante dal fiume Tona circa 200 passi e da Santa Croce un miglio". Una cosa è certa: ad essa, e in generale a tutto il castello di Magliano, dobbiamo la denominazione attuale del nostro paese. Da sempre la Torre di Magliano è considerata il simbolo di Santa Croce anche se nel corso degli anni si fatto poco per il recupero e la valorizzazione delle rovine. Questo perché i ruderi erano proprietà di privati cittadini. Ora, forse, siamo ad una svolta. Il nostro Comune ha ottenuto in donazione, dalle legittime proprietarie, tutti i diritti sulla Torre».
http://www.santacroceonline.com/fotografie/album/torre_magliano/index.htm
Sepino (borgo fortificato di Terravecchia)
«Sorge in posizione strategica sulla valle del Tammaro, sulla omonima altura a quota 953 metri. Da tale posizione si controllano sia il percorso della valle (il tratturo Pescasseroli-Candela) sia la via che dalla valle risale sui monti del Matese. Il circuito delle mura si sviluppa per circa 1500 metri e sfrutta, dove esistente, la difesa naturale costituita da speroni rocciosi e strapiombi. Caratteristica delle mura, non inconsueta per questo tipo di struttura, è la doppia cortina muraria, una esterna più bassa e l'altra arretrata di circa 3 metri rispetto alla prima; tra le due corre un terrapieno utilizzato per il cammino di ronda. Le mura di Terravecchia, espugnate nel 293 a.C. dall'esercito romano guidato dal console Papirio Cursore, si articolano in una doppia muraglia formante un gradone; nonostante questa accortezza tecnica, che avrebbe permesso agli assediati una duplice possibilità difensiva, dal momento che si potevano schierare i soldati in doppia fila, una per ogni gradone, dopo una strenua difesa la città cadde. Stando allo storico romano Tito Livio, in questa occasione i morti furono 7.400, 3.000 i prigionieri. Lungo il percorso sono visibili tre porte di cui quella orientale, detta "postierla del Matese", si apre in corrispondenza della via di accesso dal valico; la seconda è sul lato nord-ovest, la cosidetta "porta dell'Acropoli", dalla quale si usciva per l'approvvigionamento idrico delle tre Fontane. La più importante per funzione e dimensione è quella che si apre nell'angolo est delle mura, la cosiddetta "porta del Tratturo", nella quale sbocca la via proveniente dalla vallata. Delle tre, la "postierla del Matese" è quella meglio conservata, con un'apertura di m. 1,20 e un'altezza di m. 2,50; la copertura è ottenuta con grandi lastroni di pietra disposti in piano. In epoca medievale il sito fu parzialmente rioccupato nella parte più alta dell'area inclusa nelle mura, quella che in origine era l'arx. Il borgo medioevale riutilizzò le mura sannitiche e aggiunse altri tratti; all'interno si distinguono una cisterna, torri, e resti di edifici».
http://turismo.provincia.campobasso.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/555
Sepino (fortificazioni di Altilia)
«A Sepino negli anni ’50 sono state riportate alla luce le strutture della Saepinum romana come il foro, la basilica, la porta di Bojano, parte della cinta muraria e di alcuni edifici. La città romana di Sepino fu edificata secondo i canoni dell'edilizia militare romana, per cui le città dovevano necessariamente sorgere all'incrocio di due assi viari, il decumano massimo e il cardine massimo. A questi due assi venivano allineate una serie di vie secondarie, che davano alle città una forma urbanistica regolare. I due assi di Sepino si trovano all'incrocio tra due tratturi, facendo di questa città un vero e proprio nodo stradale.La città era cinta da mura, di forma quadrangolare irregolare, al cui interno erano incorporate 27 torri, delle quali 25 circolari e due ottagonali, tutte collegate da un cammino di ronda. Nelle mura erano presenti delle feritoie, per permettere agli arcieri di colpire eventuali nemici, nonchè si aprivano cinque porte di cui una secondaria. Le porte principali affacciavano sui tratturi ed erano a carattere monumentale, edificate sul modello dell'arco di trionfo, per cui presentavano statue di divinità e di prigionieri. Da notare è che tra la porta esterna e la controporta interna vi è uno spazio che sicuramente era utilizzato per esigenze commerciali. Qui veniva riscosso il dazio per il passaggio e venivano controllate le greggi che transitavano. La quinta è situata alle spalle del teatro e fu ricavata per permettere agli abitanti delle campagne di accedere agli spettacoli teatrali. Il teatro di Sepino arriva a contenere anche 3000 persone. Nella città sono state riportate alla luce: il foro, la Basilica Augustea, la curia, l'aula del comizio e i resti di un tempio; vi sono inoltre le terme, il mercato e molte fontane monumentali».
http://www.molise.org/territorio/Campobasso/Sepino/Arte/Archeologia/Altilia
Spinete (castello o palazzo marchesale)
«La storia medievale di Spinete non riserva nulla di particolarmente importante. Quelle di Capuano e dei Sanfromondo furono le famiglie che vi dimorarono, come tenutarie del feudo, più a lungo. Nell'attuale centro l'edificio che attrae maggiormente l'attenzione, per le sue caratteristiche, è il palazzo marchesale. Le sue strutture sono avviate alla rovina, se non si interverrà in tempo, considerato lo stato di quasi totale abbandono. L'edificio, con estrema probabilità, in origine era un fortilizio voluto dai normanni. Successivamente, col cambiare dei tempi e conseguentemente della sua stessa funzione, dovette essere trasformato in residenza signorile. Subì notevoli danni a seguito del terremoto del 1805. Il disastroso avvenimento naturale, subito dopo il quale dovettero essere eseguite opere di risistemazione, finì col causare un'ennesima trasformazione dell'insieme. Quella che appare oggi è una costruzione quadrangolare che conserva una interessante corte interna. Essa ricopre un ampio spazio ed è delimitata su di un lato da una serie di arcate che sostengono un loggiato. Il tutto crea una situazione di chiaroscuro che rende l'insieme molto suggestivo. Sul lato destro del porticato, in alto, è visibile un lastrone in pietra che evidenzia, scolpita, la figura di una sirena con doppia coda. Dovrebbe risalire, considerati gli elementi formali, al XV-XVI secolo. È la ripresa di un simbolo molto diffuso nel Medioevo, quello della sirena, che appare, tra l'altro, in alcuni edifici sacri molisani di epoca romanica. Indicava il pericolo per il cristiano delle lusinghe che attaccano lo spirito rendendolo vulnerabile sino a condurlo alla completa perdizione. Nonostante lo stato piuttosto precario, per chiudere il discorso sul palazzo marchesale, si può affermare che l'edificio, se non altro, mantiene quantomeno intatto il fascino che caratterizza le opere medievali».
http://www.matese.org/comuni/spinete/spinete.htm
Termoli (borgo antico, belvedere della Torretta)
«Il nucleo antico della città di Termoli sorge sulla sommità di un promontorio che si protende quasi a picco sul mare Adriatico. Il borgo Vecchio si presenta come una suggestiva cittadella fortificata, caratterizzata da piazzette e vicoli molto caratteristici; tra questi si evidenza Vico Il Castello, uno dei più stretti d'Europa. Non esistono fonti d'archivio che documentano la storia delle origini di Termoli, a causa del saccheggio turco avvenuto nel 1566, ma il ritrovamento di alcune necropoli nelle località Porticone e Difesa Grande testimonia la presenza umana nella zona sin dal VI secolo a.C. Per sfuggire all'invasione dei Goti, nel 412 d.C. alcuni abitanti dell'entroterra termolese si rifugiarono sul vicino promontorio. Tale località prese l'appellativo di Tornola, in ricordo del nucleo originale che si chiamava Cliterniola. Alcuni vicoli e piazze del Borgo Vecchio hanno conservato questo nome fino ai giorni nostri. Successivamente, nel 568 d.C. i Longobardi fondarono il Ducato di Benevento e proclamarono Termoli capoluogo di Contea, essendo un centro strategico per la difesa costiera. Proprio per questo, la città fu munita di mura, di un torrione e di otto torrette merlate. Dalla dominazione Longobarda Termoli passò a quella Carolingia, nel periodo dall'801 al 1030 d.C. Termoli divenne anche un possedimento del Regno delle Due Sicilie, governato prima dai Normanni e poi dagli Svevi. Risalgono al periodo Svevo la ricostruzione e l'ampliamento della cerchia muraria e del castello e l'istituzione di un importante mercato settimanale, da tenersi il lunedì entro le mura. Tutto questo fu stabilito dall'imperatore Federico II. In seguito la città perse importanza, per l'avvicendarsi di diversi dominatori. Il nucleo abitato di Termoli è rimasto racchiuso entro le antiche mura fino al 1847, quando re Ferdinando II di Borbone diede l'autorizzazione a costruire anche all'esterno; fece, inoltre, tracciare due strade tra loro ortogonali, Corso Nazionale, in direzione Nord-Sud, e Corso Umberto, segnando l'inizio della storia moderna di Termoli». «Affacciato al porto è il belvedere della Torretta, così chiamato per una piccola torre, resto della cinta muraria normanno-sveva, che ospita un archivio storico. Accanto alla porta d’accesso al borgo antico, è una loggetta di origine medievale, fortemente ristrutturata nel 1927».
http://www.regione.molise.it/web/turismo/turismo.nsf... - http://www.touringclub.it/destinazioni/75067/Castello-di-Termoli
a c. di M. M.
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La Torre del Meridiano è una torre costiera del comune di Termoli, in Molise. Situata a circa 250 m dal mare, si caratterizza e differenzia dalle altre torri costiere della zona per una particolarità, ovvero la forma: a base circolare, e non quadrata come vorrebbe il contesto della zona in cui si trova ove tutte le torri di avvistamento presentano base quadrangolare. La denominazione "Torretta del Meridiano" è da ricondurre al luogo di ubicazione dell'edificio, anticamente ritenuto il punto d'incrocio tra il 42º parallelo Nord e il 15 °meridiano Est. In passato veniva usata come torre di avvistamento in quanto la sua posizione dominava l'intera piana della zona fino al fiume Biferno, quindi attraverso questo avamposto si aveva il controllo della zona Sud di Termoli. Come tutte le torri della zona la sua principale funzione, e scopo per la quale è stata costruita, era l'avvistamento delle flotte Saracene, che in Molise come in altre regioni bagnate dall'Adriatico, erano solite compiere incursioni nelle città costiere. La storia della città di Termoli, infatti, è piena di episodi collegati alle incursioni dal mare in particolare da parte di Pialì Pascià. Attualmente la torre è in uno stato di abbandono e disuso, intrappolata tra palazzi di più o meno recente costruzione, e quasi completamente sottratta alla vista di coloro che vi passano vicino».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_del_Meridiano
«La torre Sinarca è situata su uno strato di agglomerato ghiaioso, a circa 3 m sul livello del mare, presso la foce del torrente Sinarca, oggi misero canale di deflusso, ma in epoche precedenti di portata sufficiente a farne, lungo tutto il percorso, un pescoso fiume per l'intero arco dell'anno; è in posizione infossata rispetto alla strada (la litoranea SS 16), ma a diretto contatto con la fascia di sabbia, in località Colle della Torre, a Termoli (Cb) Rientra tra le 25 torri che, tra Manfredonia e il fiume Trigno, costituivano il sistema difensivo della Capitanata. Comunicava a nord con la torre di Petacciato, dalla quale dista 6,5 km (miglia 4, secondo le distanze calcolate dal Gambacorta nel 1594), a sud col castello di Termoli (mentre il marchese di Celenza Carlo Gambacorta la situa a 6 miglia di distanza dalla torre di Campomarino). 1568: anno di edificazione dal costruttore spagnolo Cristiano de Villanova. ... 1963: restaurata e ristrutturata ad uso ristorante e stabilimento balneare; corpi aggiunti. 1984: in base alla legge 1° giugno 1939 n. 1089 riguardante la tutela delle cose d'interesse artistico o storico, l'immobile "Torre del Sinarca" viene sottoposto a tutte le disposizioni di tutela in essa contenute. ... La sua forma rientra nel tipo di torre del periodo vicereale spagnolo. È a base quadrangolare, di circa 11 m per lato e uno sviluppo in altezza, a tronco di piramide di circa 12 m. Tale forma architettonica era considerata più sicura nella difesa in caso di attacco, in quanto le artiglierie potevano essere piazzate su tutti i lati, dato che le torri come questa, situate direttamente sulla spiaggia erano propriamente di "difesa", rispetto a quelle più arretrate, che erano solo di "avvistamento". È dotata di tre caditoie per lato che sorreggono il parapetto. È sostenuta da grosse mura nel piano dello zoccolo e nelle fondamenta, fatte con ciottoli di fiume e pietra, legate da una malta; la copertura e le volte sono a "botte", realizzate con mattoni di fornace. L'ingresso è situato alla base; l'interno è costituito di due piani sovrapposti ed il terrazzo. Nel primo piano era collocata la stalla per i cavalli, mentre nel secondo il locale degli armamenti, adibito anche per il riposo dei soldati. Al vano superiore si accede attraverso un'apertura ricavata sulla volta, tramite una scala di legno. Le pareti hanno due finestre, una che guarda verso il mare, l'altra che si apre sul portone d'ingresso. Al terrazzo si accede passando attraverso una botola con scala retrattile. La torre è stata restaurata e ristrutturata da parte di privati nel 1963 e, pur appartenendo ancora al demanio marittimo, è stata adibita a ristorante e stabilimento balneare. Prima del restauro, in una foto di Neri Scerni risalente al 1955, appare diroccata e fatiscente. Durante tale restauro è stato ricostruito il paramento in pietrame e laterizi delle aperture e delle caditoie, sono stati aggiunti però dei falsi merli e un corpo, adiacente alla torre lato mare, a servizio del ristorante».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/termoli_sinarca.htm
«La torre Tornola fa parte dell'antico sistema difensiovo della città di Termoli nonché delle sue mura. Fa parte delle tre torri delle mura federiciane arrivate sino ai giorni nostri(si pensa che in passate ce ne possano essere state addirittura 8). La torre si trova sull'estremità del promontorio sul mare ove è situato l'antico borgo della città e presenta una base circolare. Nel 412, a seguito delle invasioni dei Goti, alcuni abitanti dell'entroterra termolese si rifugiarono sul promontorio della città. In ricordo dell'antico nome "Cliterniola" questa località prese il nome di "Tornola" ed ancora oggi alcuni vicoli e piazze del borgo antico mantengono questo nome. In seguito alla proclamazione di Termoli a capoluogo di Contea (in quanto posto di difesa strategico) ad opera dei Longobardi, che nel 568 fondarono il Ducato di Benevento, nella città fu costruito un complesso difensivo formato da mura, un torrione e 8 torrette merlate tra le quali figura appunta la torre Tornola. Attualmente della torre non rimane che la base circolare. Le mura non esistono quasi più ma persiste la base e alcuni centimetri di muro che rendono bene l'idea dello spessore delle mura e di come potesse presentarsi in passato».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Tornola
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Nel Medioevo il Comune di Torella del Sannio era conosciuto con il nome di "Turellam" e anche per esso, come successo per molti altri comuni, ci fu bisogno dell'aggiunta di un termine che lo differenziasse da Torella dei Lombardi in provincia di Avellino; per questo ottenne dal D. R. del 4 maggio 1863 l'autorizzazione ad annettere l'espressione "del Sannio". Di Torella non si hanno notizie storiche relative al periodo precedente a quello angioino; i primi riferimenti partono infatti dagli inizi del suddetto periodo, cioè dal 1266, e da allora, per circa due secoli, il Comune seguì le medesime vicende di Spinete, condividendone le stesse signorie e gli stessi titolari. Intorno all'anno 1000, su uno dei colli a nord-ovest del territorio occupato - il colle "Ciglione" - sorse il castello che, posto a guardia del Tratturo Lucera-Castel di Sangro, ne seguì gli eventi, espletando funzioni fiscali, di difesa e forse anche di razzia. I registri della Cancelleria Angioina (1265-1281) ci fanno supporre che il Castello si chiamasse "Torello" (forse dal nome del suo fondatore o di uno dei suoi possessori). La torre, ancora oggi visibile, si trova nel cuore del centro abitato, nella parte alta del paese, a quota m. 837 s.l.m., in una posizione che lo vede affacciato da un lato sulla zona pianeggiante e dall'altro sul pendio piuttosto scosceso della collina. La pianta, irregolare, è di forma grossomodo trapezoidale, con lati che sono orientati tendenzialmente ai quattro punti cardinali. Sporgono dal corpo di fabbrica, in alto, le torri cilindriche angolari, a scarpa, che si trovano su tre lati. L'ingresso principale è situato sul lato occidentale, con portale ad arco seguito da androne, presenza che si riscontra anche nell'ingresso secondario, situato presso la torre sud-orientale e più piccolo di quello principale. All'impianto originario si apportarono delle modifiche in epoca rinascimentale, analogamente a quanto si riscontra in altri edifici simili del Molise (come ad es. nel castello di Civitacampomarano); nel lato meridionale e su quello occidentale vennero ampliate in alto le aperture, che divennero vere e proprie balconate».
http://www.regione.molise.it/web/turismo/turismo.nsf/0/307478149607AED4C12575E60033BC89?OpenDocument
Torella del Sannio (ruderi della torre o Pistillo)
«Secondo generiche e vaghe notizie, il primo nucleo [dell'abitato] sarebbe sorto tra il IX e il X secolo ad opera di un gruppo di profughi, provenienti dalle pianure del Biferno e del Volturno, scampati alle incursioni saracene. La scelta del luogo per la nuova dimora sarebbe caduta sulla contrada denominata Collalto, a qualche chilometro da Torella, per la struttura morfologica del terreno che permetteva l’avvistamento e la difesa e rendeva difficile l’arrampicata ai predoni. Si ignorano le vicissitudine di questo manipolo di fuggiaschi, ma senz’altro si fortificò ed eresse sulla collina, quasi a strapiombo sul Biferno, una torre di guardia i cui resti continuano tuttora a sfidare i secoli. La resistenza del rudere, chiamato indifferentemente Torre o Pistillo, diede origine a una affascinante leggenda nel cui mondo fatato la piccola Collalto divenne prima sito di un bellissimo agglomerato urbano, Nàpele Peccerìlle, ricco e pacifico; poi, a causa della degenerazione dei costumi, luogo di perdizione distrutto dai fulmini e aggredito da formiche e orridi serpenti. Ma c’è di più: fu sede degli inferi e ospitò nelle sue caverne demoni e oro in un connubio perfetto di terrore e di desiderio».
http://www.comune.torelladelsannio.cb.it/cennistorici.html
«Toro è un grazioso paese, poco distante da Campobasso, di antichissime origini. Le antiche strutture si possono ammirare, percorrendo la via Orientale, con alte case disposte a schiera, i cui basamenti si allargano per potersi ben appoggiare al terreno. Uno degli edifici più attrattivi di Toro è senz'altro la casa della famiglia Trotta di Annoja. Purtroppo come molti altri manufatti anche tale edificio ha subito delle deturpazioni a causa delle calamità naturali, che per buona parte hanno cancellato e oscurato le bellezze di un tempo. La casa è stata colpita infatti dal terribile terremoto del 1805, che provocò danni ingenti a persone e cose e che non risparmiò, naturalmente, le bellezze architettoniche del territorio molisano. In seguito a tale catastrofe la casa venne parzialmente ricostruita. Successivamente, agli inizi del Novecento, venne restaurata. La costruzione, che sorge accanto alla chiesa madre, sorge sui resti del preesistente edificio, abbattuto nel terremo del 1805. il pesante portone di quercia si apre su un mondo fatato. Il mobilio, le suppellettili, le vestigia del passato, resistono nell’atrio in penombra, nella smisurata cucina, sulle cui pareti sono allineate le pentole e pentoloni di rame e grossi archibugi, nelle sale arredate con gusto e parsimonia, nella biblioteca che custodisce libri rari e manoscritti preziosi; resistono in ogni ambiente del palazzo, dalla legnaia, al frantoio, alla cantina fornitissima, su su fino alle camere da letto. Dovunque aleggia l’atmosfera magica dei secoli andati. Toro appartenne alla badia beneventana di S. Sofia del secolo VIII, rimanendo feudo ecclesiastico fino al 1785. Il personaggio principale della splendida residenza fu Domenico Trotta, che aprì nel 1817 a Toro in un'ala della casa una scuola, avendo studiato diritto a Napoli. Nel 1820 in quanto seguace del movimento liberale, gli fu vietato di riunirsi con altre persone e fu costretto a fare scuola a porte aperte. Nel 1848 venne eletto deputato al parlamento, dopo la costituzione concessa da Ferdinando II, e nel 1860 fu nominato Intendente di Molise fino a quando, in seguito alla venuta di Garibaldi a Napoli, Nicola De Luca divenne Governatore. Il figlio di Domenico, Luigi, fu sindaco di Toro per venticinque anni e intrattenne scambi culturali con diversi scrittori ed eruditi del tempo. A Toro, tra le mura di casa Trotta, accade di stupirsi ancora dello scorrere lento delle ore, e ritrovarsi a indugiare sui ritratti di galantuomini di paese che, oltre a curare i campi e il nome di famiglia, curavano l’istruzione dei giovani borghesi molisani e intrattenevano rapporti epistolari con grandi italiani del tempo, Tommaseo, Cantù, Panzini, per citare solo i più noti».
http://www.amicomol.com/Palazzi%20Molisan%20i02.html
Trivento (castello ducale o palazzo Colaneri)
«Trivento è un centro agricolo posto su una collinetta che domina il fiume Trigno, all'altezza della sua confluenza con il torrente Rivo. La zona che si trova in pianura è collegata con la parte più antica del paese grazie a una scalinata di 365 gradini. Palazzo Colaneri è nella parte più alta del centro storico, in prossimità dell'antica cattedrale. Probabilmente il toponimo Trivento deriva dall'antico "Terventi", come mostra una lapide con epigrafe in latino, venuta alla luce in un sotterraneo della Cattedrale del paese. Trivento nel corso delle guerre sannitiche rimase totalmente spopolato e solo grazie all'insediamento e intervento della tribù Voltinia il paese ricominciò a svilupparsi. A causa della scarsità dei documenti non è possibile risalire con certezza alla data di costruzione di Palazzo Colaneri, né tanto meno è stato possibile reperire documenti che ne attestino la committenza. Analizzando le caratteristiche architettoniche dell'edificio, si può ipotizzare che la sua costruzione sia avvenuta intorno ai secoli XIII-XIV. Discusse sono le datazioni riferibili anche ad altri edifici di Trivento, come la Cattedrale, la cui struttura sembra risalire intorno all'anno 1000, anche se alcune tesi sostengono che sia stata fondata nei primi secoli del Cristianesimo su un tempio pagano dedicato a Diana. Durante la dominazione normanna il feudo di Trivento appartenne ai Conti di Molise fino al 1268, quando Carlo I d'Angiò lo concesse a Ansaldo de Lavanderia: si può desumere che a partire da questo periodo iniziarono a essere edificate le prime abitazioni signorili del paese. Il palazzo presenta due ingressi: quello di destra, affiancato da uno stemma, conduce a una stradina che porta alla zona posteriore dell'edificio. Attraverso l'ingresso di sinistra si accede all'interno del palazzo, dove si incontra subito un piccolo giardino pensile; un'altra area verde è posta dietro il palazzo e ad essa si accede tramite alcune stanze del primo piano. L'interno di Palazzo Colaneri, attualmente disabitato, è stato radicalmente trasformato fino a perdere i caratteri residenziali. Fino a pochi anni fa infatti è stato adibito a carcere, come è possibile notare dalla suddivisione degli ambienti e dalle inferriate ancora presenti, pertanto non presenta la tipica successione di saloni di un palazzo, né elementi d'arredo o decorativi che ricordino il suo passato di dimora signorile».
http://www.amicomol.com/Palazzi%20Molisan%20i02.html
«Tufara appartiene al territorio del ducato longobardo di Benevento (VII-IX sec). Tufara (Tufarah secondo il geografo arabo Edrisi, 1150) è citata nel Catalogus Baronum nell’elenco dei castelli della contea di Civitate, come feudo che doveva al re il servizio di un milite. A cavallo della metà de 1100 è in possesso di Drumanus e poi di Riccardus Mathiani. Il castello sarà, successivamente, della famiglia Marzano (fino all’inizio del 1300) e più tardi della famiglie Gambatesa-Monforte, fino alla fine del XV sec., dei Carafa e in ultimo dei Pignatelli. Decio Crispano è, forse, l’autore di alcune modifiche intorno al 1500. Il castello rappresenta un tipico manufatto architettonico feudale la cui struttura però, non è semplice da decifrare. La scoperta di tracce di una palificazione fa riferimento ad una struttura difensiva lignea del primo impianto. La planimetria ha una insolita estensione in lunghezza dovuta all’accorpamento di vari volumi durante l’altomedioevo e nei secoli successivi. Ad epoca normanna si deve, probabilmente, lo sviluppo del primitivo impianto verso il lato sudorientale, il lato più efficace per il controllo del tratturo. Celano-Foggia e del corso del fiume Fortore. Anche la formazione del blocco, dov’è la sala d’armi, nata dalla ristrutturazione di volumi preesistenti, sembra databile all’epoca normanna. Nel castello sopravvivono numerose cisterne e depositi per derrate che presentano tutte, meno una quadrilatera, una pianta circolare. Di grande interesse è la torre poste “a cavaliere” delle cortine e di uno spigolo, una soluzione costruttiva certamente inusuale».
http://www.morronedelsannio.com/molise/castello_di_tufara.htm
«Ururi si trova su una piccola collina di fronte al mare Adriatico. Ultimo paese del Molise meridionale confina con la Puglia, con la quale ha in comune molti usi e costumi. A circa 3 Km. dall'abitato si trova il torrente "Cigno", considerato un corso d'acqua benedetto in quanto in periodi di siccità ha salvato intere popolazioni. Le origini del palazzo ducale di Ururi si possono far risalire intorno alla seconda metà del secolo XV, quando la famiglia dei Giammiro si stabilì ad Aurora (antica denominazione di Ururi). Infatti documenti riportano la data del 1461 come anno in cui la nobile famiglia, insieme ad un numeroso gruppo di albanesi, scelse Ururi come propria sede: una sorta di occupazione pacifica, scaturita dalla povertà e dalla violenza. Fu proprio con tale evento che Aurora subì le prime incisive trasformazioni. Da un semplice centro rurale con densità abitativa limitata, il cui nucleo comprendeva essenzialmente poche case costruite intorno al monastero benedettino, cominciò a diventare un vero e proprio paese. Fu in questo periodo che la famiglia Giammiro, fondatrice del palazzo, si adoperò costruendosi una dimora stabile. La casa dei Giammiro sorse nel centro del paese, nell'unica piazza, dove fu costruita anche la chiesa. L'abitazione dei Giammiro era molto ampia e sovrastava sulle altre abitazioni del vecchio paese. Della stessa facevano parte alcuni fabbricati tra cui anche una quota che per via femminile passò al Giudilli di S. Severo, che sposò una Giammiro, il quale la vendette successivamente ai Greco. Da ricordare che intorno alla seconda metà del 1300 Ururi venne colpita da numerose sciagure, peste, guerre e i terremoti sterminarono la popolazione tanto che la Regina di Napoli Giovanna II fu costretta a disporre sgravi fiscali, per risollevarne le sorti. Nel 1456 ci furono due devastanti terremoti, uno il 5 dicembre, l'altro il 30 dello stesso mese, che provocarono la morte di svariate persone e la distruzione di numerose abitazioni, rendendo Ururi un paese fantasma. In tutta questa miseria il Vescovo Signore e Barone di Ururi si adoperò per salvaguardare coloro che erano rimasti in vita, prodigandosi per curare i pochi superstiti avvicinandoli alla fede, unica speranza dopo tante sciagure. Il 3 maggio si tiene a Ururi la famosa "carrese" , la tradizionale corsa di carri trainati da buoi. I carri, i buoi e i cavalieri vengono benedetti dinanzi alla chiesa di S. Maria delle Grazie e il carro che vince la corsa porta in processione la reliquia del Legno della Santa Croce».
http://www.amicomol.com/Palazzi%20Molisan%20i02.html
Vinchiaturo (palazzo marchesale Jacampo)
«Nel secolo XI, nel periodo Longobardo, Ugo di Molisio, Conte di Boiano, donò alla Cattedrale della sua città molti feudi tra cui quello di San Pietro presso Vinchiaturo. Vinchiaturo era dunque terra di pertinenza dei Conti del Molise: ed in questa condizione si tenne durante i periodi normanno e svevo fino al 1449. In quegli anni il paese e le sue terre furono assoggettate alla signoria dei fratelli Sanfromonte, giunti dalla Francia nella nostra nazione, alcuni secoli prima, al seguito di Carlo d'Angiò, per volontà di Alfonso I di Aragona. Vi fu allora, una sincera amicizia tra Antonello, uno dei fratelli, e Cola di Manforte, Conte di Campobasso, col quale caldeggiò l'ascesa al trono di Napoli di Giovanni d'Angiò, che fu però sconfitto nella battaglia di Troia del 1462. Fu così che Vinchiaturo, nel 1467, fu dato in feudo ad un certo Matteo Trossa cui successero nel 1550, i Senescallo di Capua. Un membro di tale famiglia, Camillo se ne disfece per la somma di 5200 ducati. L'acquirente fu Federico Longo, esponente di una famiglia venuta nel Reame con i Normanni, che ebbe conferito il titolo di Marchese nel 1626 e che detenne il feudo fino all'eversione della feudalità. È al marchese Federico Longo che si deve la costruzione del palazzo marchesale, intorno al quale si sviluppò il paese, e del Convento di Santa Lucia, dimora dei Frati Minori Osservanti. Nel Dizionario Geografico-Ragionato del Regno di Napoli di Lorenzo Giustiniani, Bibliotecario di S.M. Ferdinando IV Re delle Due Sicilie, datato 1805 si legge: "Vinchiaturo - Terra in Contado di Molise, compresa nella Diocesi di Boiano, distante da Campobasso miglia 5. Si crede da taluni che fosse sorta dalla distruzione di altri villaggi, ch'erano un tempo nelle sue vicinanze, come io credo di essersi piuttosto accresciuto di popolazione, poiché dall'essersi ritrovati nel suo territorio molte antiche iscrizioni, monete, corniole, ed altre cose, fa credere anzi che fosse popolato il luogo prima dei suddetti villaggi. Vi si vedono alcune torri, opera dei mezzitempi, e niente altro, che indicasse poi remota antichità"».
http://www.comune.vinchiaturo.cb.it/cultura
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