TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI VERBANO CUSIO OSSOLA
in sintesi
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«La "Torre di Battiggio", detta "dei Cani" è monumento nazionale ed è costruita in pietre locali squadrate: una caratteristica della Valle Anzasca. La torre è stata recentemente ristrutturata, ricostruendo per intero la parte alta della muratura e il tetto crollati: i suoi quattro piani sono adibiti a ecomuseo, sede di mostre ed eventi temporanei. Non è conosciuta la data di edificazione e nemmeno il motivo della sua presenza: si può pensare che servisse come rifugio momentaneo a qualche signorotto del luogo oppure a deposito sicuro per la conservazione di derrate alimentari che dovevano essere distribuite in valle. Giovanni Battista Fantonetti, nel suo volume del 1836 assicura di aver visto scolpito l'anno 1408 sull'architrave di una finestra ora rovinata. Secondo la tradizione, questa torre fu il deposito dei tesori della famiglia di Facino Cane, che sfruttò le miniere d'oro della vallata e batté anche moneta. Leggende non ne mancano: si dice ci sia un collegamento sotterraneo con la torre di Lancino. Forse fu il luogo dove venivano trattenuti i nemici dei "Cani"».
http://it.wikipedia.org/wiki/Vanzone_con_San_Carlo#Torre_di_Battiggio
Beura Cardezza (castello del secolo XIII)
«Non lontano dalle altre costruzioni sopra un poggio roccioso, sorge un edificio detto "II castello". è composto da una torre che probabilmente è la parte più antica e potrebbe risalire al 1300 circa. Questa torre formata da tre piani, a cui si accede da una porta che si apre a circa un metro dal suolo e sul cui architrave è scolpito lo stemma dei Visconti, è stata rimaneggiata nell'anno 1599 come testimonia una data incisa su di una porta. Infatti sulla facciata rivolta ad est, fu aggiunto un portico sormontato da due locali destinati a cucina e soggiorno, comunicanti con la primitiva torre mediante un loggiato. Più tardi furono aggiunti altri locali sul lato nord. Questo "Castello" il secolo scorso era abitato da una vecchierella detta "La castellana". Oggi è di proprietà del signor Zuccala Renzo ed è in atto un'ennesima ristrutturazione» (da Oltre l'Antica Soglia. Beura tra Storia e Leggenda, Edizioni Casarosa).
http://www.comune.beuracardezza.vb.it/ComSchedaTem.asp?Id=19441
Beura Cardezza (castello visconteo o Casa Ferrari)
«Nel nucleo centrale, la parte più antica del paese, proprio dove inizia la lenta e tortuosa mulattiera che conduce a Bissoggio, sorge la casa che Carlo Nigra nel suo libro Torri, castelli e case forti del Piemonte edito nel 1937, chiama "Casa Ferrari". Come scrive Luigi Arioli nel 1964 su "Illustrazione Ossolana" la casa ha la forma di un parallelepipedo, stretto ed allungato, coperto da un tetto a due spioventi. Uno zoccolo segna il livello del piano terra e rivela la pendenza del terreno. è costruita su due piani evidenziati da un robusto cordolo in sasso che corre all'altezza dei davanzali delle finestre. L'ingresso e costituito da un ampio portone archiacuto, che si apre sulla facciata rivolta verso la piana del Toce. Vi si accede superando tre gradini. (La parete a destra risulta rimaneggiata). Nel piano superiore si aprivano quattro finestre a sesto acuto, ora trasformate in porte, che si aprono su di un ballatoio aggiunto. Sotto la seconda finestra da destra vi era un grande affresco di cui si vedono ancora le tracce. Sul fianco destro della casa al secondo piano si apre una finestra piccola ed elaborata, sul cui archivolto si legge: IO 1427 MA. Il fianco sinistro è nascosto da una costruzione aggiunta nel secolo XVIII ed in origine doveva essere a parete nuda. Alla facciata posteriore ora quasi irriconoscibile per le numerose aggiunte, si appoggiava una loggia sostenuta da quattro colonne. Il portale anteriore immette in un androne sul quale si apriva un atrio che ora e chiuso e nel quale probabilmente era installata una scala di legno. Ad est si apriva una finestra ad arco acuto posta tra il pianterreno ed il primo piano, di cui si intravedono tracce.
Il fondo dell'androne dava in un grande cortile interno sul quale incombeva la ripida montagna, e che ora o in gran parte occupata da costruzioni. Dall'atrio si passava in una stanza con camino, a sinistra dell'androne ci si immetteva in un grande salone. Il piano superiore aveva una bella camera con camino, rivolta a sud. Lo spazio rimanente era forse suddiviso da pareti in legno. La casa fu ingrandita con un'aggiunta a nord est certamente prima della fine del secolo XV e risalgono forse a questo periodo anche il loggiato con le quattro colonne che c'era sulla facciata posteriore. Alla fine del 1500 venne rifatto un camino, in marmo pregiato, si può dedurre la data del rifacimento dallo stile e dal confronto con i camini della Torre di Piedimulera che sembrano della stessa mano. Nella seconda metà del '700 l'atrio viene trasformato in camera di abitazione, vengono costruiti una scala, il forno ed altre camere; viene rimaneggiato il terrazzo ed una colonna con base e capitello sono rimasti per lunghi anni sulla strada. Le altre formano ancora un suggestivo portichetto. Qua e là si leggono incise le date 1764 - 1795 - 1796. Epoca in cui diventa probabilmente abitazione privata. Ed ora cerchiamo di conoscere la vita di questa casa. Il suo stile nell'aspetto primitivo, sempre secondo Luigi Arioli, è un chiaro esempio di architettura lombarda del 1400. Carlo Nigra afferma che la casa "appartenne già alla famiglia Ferrari, una delle più cospicue della bassa Ossola, di cui è scolpito lo stemma sull'arco a sesto acuto della porta". Replica l'Arioli: "Ciò non è convincente infatti questo stemma o un'aggiunta e sta in sott'ordine rispetto all'altro dei Visconti". Inoltre non è attribuibile alla famiglia poiché sulle case dei patrizi, lo stemma era l'affermazione del casato e quindi veniva eseguito con precisione e conveniente fasto, cosa non certo rilevabile in questo caso. ...
Il piano terreno, come dice Arioli si abbassa di molto sotto il livello del suolo ed ha una volta a botte, illuminata da una piccola finestra. L'ingresso e costituito da una porta a tutto sesto. Sopra la porta, all'interno si apre una botola che serviva come difesa in caso venisse sfondata. Il primo piano serviva per le guardie. Vi si accedeva attraverso una porta sul lato nord-ovest raggiungibile con una scala a pioli. è illuminato da una finestra e si possono osservare quattro feritoie ed un camino. Una scala, rifatta in pietra, porta al piano di sopra dove si trovava un locale di soggiorno con due finestre, una delle quali con un curioso doppio davanzale All'esterno è visibile una canna fumaria sporgente. In epoca imprecisata, ma non dopo i primi decenni del 1500, fu costruito un ponte di comunicazione con la casa precedente, che doveva facilitare la difesa. Ora è chiuso. L'ultimo piano, il terzo, serviva per il riposo ed aveva sette finestre ed una feritoia. Una lettera del 1487, scritta dal Conte Giovanni Borromeo, racconta che il Duca di Milano, voleva fortificare Trontano e Beura, quindi come testimonia Luigi Arioli, la torre probabilmente fu costruita proprio in questa occasione. Il testo originale della lettera riportalo in un volume del Bianchetti dice: "Ho avuto una de Vostra Illustrissima Signoria per la quale me scrivo circa ci fortificare de Tragontano et torre de Beura.... dal canto mio non mancara mai ad fare ogni prova et esperientia per dimostrare la fidelità mia .... reserverò fino che la Signoria sia qui, ad farli intendere quanto occorre circa ciò". La leggenda dice che nella casa "Ferrari" venivano pronunciate le condanne a morte dei malfattori, che poi erano ghigliottinati nella torre adiacente. Una terza costruzione, abbastanza interessante e vicina alle precedenti, e costruita sopra un dosso di roccia. Al piano terreno si osservano alcune feritoie e porte. Mentre al piano superiore si apre una piccola finestra tutto sesto ora chiusa che ha i conci dipinti di rosso. Risale alla fine del XV secolo o all'inizio del seguente. Anche questa costruzione presenta le caratteristiche di una torre» (da Oltre l'Antica Soglia. Beura tra Storia e Leggenda, Edizioni Casarosa).
http://www.comune.beuracardezza.vb.it/ComSchedaTem.asp?Id=19023
Cànnero Riviera (Malpaga e rocca Vitaliana)
a c. di Federica Sesia
Le foto degli amici di Castelli medievali
Castelluccio (resti del castello, borgo)
«Castelluccio è un'altra minuscola frazione, ora disabitata, ma documentata nel secolo XIII. è costituita essenzialmente dal piccolo castello, come vuole lo stesso toponimo, posto su un croppo roccioso che ha davanti a sé la pianura alluvionale che si estende dal Toce fino all'Isorno. Ai piedi della roccia è da notare una bella marmitta glaciale che meriterebbe un'approfondita indagine per studiarne il contenuto sotto l'aspetto archeologico. Castelluccio: un luogo di rifugio quindi, di modestissime dimensioni, costituito da una torricella o casa forte circondata da un muretto che insiste sui risalti rocciosi per costituire una prima difesa. Questo tipo di costruzione era frequente nel secolo XII e doveva appartenere a qualche signore dominante nell'Ossola. Castelluccio non è stato notato dagli storici e neppure appare nell'elenco dei castelli dell'Ossola. La torretta ha solo due piani di cui rimane intatto il pian terreno ed ha un tetto a due spioventi in piode. Notevole è il disegno della porta con stipiti compositi, accimanti con mensole sormontate da un'architrave con arco di scarico, disegno che può farsi risalire ai secoli XI-XII. Le costruzioni addossate alla torricella sono più recenti, risalendo al secolo XV-XVI. Rimaneggiamenti furono fatti nella parte superiore più recentemente (sec. XVIII). Era ancora abitata alla fine del secolo scorso, dopo di che, con la caduta del tetto, sta andando in rovina. Appartengono alla frazione di Castelluccio anche una diecina di costruzioni in vicinanza, tutte abbarbicate alla viva roccia. Alcune mostrano una notevole antichità e paiono integrarsi nel sistema difensivo con le forti mura, gli architravi triangolari e le piccole finestre che si trasformano in feritoie. Risalgono, pare, al secolo XII e seguenti, rimaneggiate e attualmente semiabbandonate perché pericolanti. Da notare l'edicola inserita esternamente nel muro di una casa fondata sulla roccia. Fu affrescata dal pittore Giacomo di Cardone nel 1542 come recita l'iscrizione posta sull'arco. Rappresenta la Madonna delle Grazie» (da Tullio Bettamini, Storia di Montecrestese, Edizione di Oscellana, Domodossola 1991).
http://www.comune.montecrestese.vb.it/LeFrazioni?Lomese
«A differenza di Piedimulera, tipico borgo di fondovalle, Cimamulera sorge in posizione elevata sul ciglio della rupe Mulera. Ha sempre legato la sua vita all'agricoltura montana, all'allevamento e all'attività boschiva. Come nel capoluogo, è presente un'antica torre recentemente trasformata in abitazione civile. Si tratta di una parte del più ampio complesso difensivo, costituito da torri di segnalazione che sin dal Medioevo era stato predisposto lungo l'intero sviluppo della Val d'Ossola» - «...torre di segnalazione e di difesa voluta da Ludovico il Moro».
http://it.wikipedia.org/wiki/Piedimulera#La_frazione_Cimamulera - http://www.caiverbano.it...
CREGGIO (torre di fra' Dolcino)
«Trontano è un piccolo paese posto all'imbocco della Val Vigezzo, affacciato sulla piana di Domodossola e circondato dalle sue frazioni, "piccoli capolavori di architettura spontanea in cui l'uso sapiente della beola e del serizzo rappresentano un modello di adattamento armonico all'ambiente". La torre duecentesca di Creggio, edificio di segnalazione danneggiato nel '400 e poi risistemato per volontà di Ludovico il Moro dopo la battaglia di Crevola (anno 1487), pare sia stata rifugio nel XIII secolo dell'eretico fra' Dolcino. Addirittura, secondo una cronaca anonima del Trecento, il capo del movimento degli "apostolici" nacque proprio a Trontano, mentre per altri sarebbe nativo della Valsesia, dove nel 1307 fu arso sul rogo ed i suoi seguaci massacrati».
http://www.parcovalgrande.it/paesi_dettaglio.php?id=3150
«In passato “contrada Briona”, la via Briona si vuole considerare la più antica strada del borgo e prende il nome da Opizzone da Briona. In principio della via è una torre, ora adibita ad abitazione, che introduce alla piazza con il palazzo vescovile. La piazza, di impronta medievale, è caratteristica per i suoi portici quattrocenteschi sovrastati da balconate con loggette. Si può notare che i capitelli delle colonne che sostengono archi romanici sono raffinatamente scolpiti con gli stemmi nobiliari delle famiglie più illustri dell’Ossola. è attraversata inoltre, in direzione Ovest-Est, dalla Roggia dei Borghesi, canale derivante dal torrente Bogna, in passato indispensabile per le irrigazioni e per il funzionamento dei diversi mulini. Sulla facciata del Palazzo dei De Rodis si legge una importante lapide posta nel 1891, per volere dell’avvocato Trabucchi, che cita il decreto di Berengario I per la costituzione di un mercato nella piazza: BERENGARIO I / CON DIPLOMA DEL XIX NOVEMBRE DCCCCXVII / ACCORDAVA IL DIRITTO DI TENERE IN QUESTO COMUNE / NEL SABATO D’OGNI SETTIMANA / IL MERCATO / POSTO A RICORDANZA – MDCCCLXXXXI Testi documentano che in quel periodo il mercato si teneva il giorno di festa, nel quale i valligiani scendevano a Domodossola per assistere alla Messa nella Chiesa Madre. Fu così l’inizio dell’intraprendenza economica del Comune di Domodossola, che si avviò a divenire il centro commerciale delle sei valli ossolane e, tutt’oggi, da più di mille anni, si svolge il mercato ogni sabato mattina.
Palazzo Silva. Il Palazzo Silva, posto nel cuore della zona medievale di Domodossola, è considerato una delle più belle costruzioni rinascimentali dell’arco alpino. Fu realizzato attorno al 1519 da Paolo I Silva, illustre condottiero ossolano, discendente dei Clermont di Provenza. Nel 1610 il pronipote Guglielmo Della Silva fece abbattere una casa quattrocentesca vicina e la aggiungeva alla prima parte della costruzione. L’edificio è quadrangolare, appare saldo ma non pesante anche se è evidente lo stile di due epoche differenti. Le decorazione delle finestre, le porte, i camini, le colonnette e gli stemmi sono in marmo bianco di Crevoladossola, sede del castello dei Silva: sulle porte e sulle finestre è ripetuto più volte il motto della famiglia “HUMILITAS ALTA PETIT”. La scala a chiocciola è veramente notevole ed ingegnosa: sale dai sotterranei al tetto e ad ogni piano vi sono due porte, il cui perno è formato dalla parte più piccola dello scalino, col quale forma un solo pezzo. All’ultimo piano si apre una loggetta con cinque archi: si ottiene una conformazione caratteristicamente medievale. Si pensò, erroneamente, che il disegno del Palazzo fosse stato opera del Bramante, che fu sì ospite per un certo periodo dei Signori nel loro castello, ma morì cinque anni prima dell’inizio dei lavori di costruzione. Estintosi il ramo dei Silva il palazzo andò in rovina e solo con l’intervento nel 1873 della fondazione Galletti e dello studioso Giacomo Pollini vi fu un parziale recupero del sito. Il restauro fu curato da Vittorio Avendo che donò il suo contributo gratuitamente. Nel 1996 il Comune di Domodossola ha dato avvio ai lavori di recupero e oggi il palazzo ha assunto l’assetto di museo nazionale. Al piano terreno si trovano la “Sala d’Armi”, contenete numerose panoplie con pugnali, spade, alabarde, un’armatura secentesca e bandiere con agli estremi gli stemmi delle famiglie nobili ossolane, e la “Saletta di Guardia”, che raccoglie armi da fuoco, copricapi militari ed alcuni ritratti. Nella cucina si trovano sedie e credenze sempre secentesche, arricchite da una vasta collezione di utensili di peltro e da quadri che ornano le pareti. Prima della scala che porta al piano superiore si trova l’esposizione delle armi della Prima Guerra Mondiale ed una rara armatura giapponese da parata del XIX secolo. Al primo piano la “Sala d’Onore” reca armadi settecenteschi contenenti magnifiche raccolte di vetri di Murano, ceramiche di Venezia e savonesi e vasi pseudopompeiani. Infine la “Camera da Letto”, che ospita un incantevole letto vigezzino del XVII secolo, accompagnato da un comodino ovatoe due inginocchiatoi intarsiati a mano».
http://domodossola.awardspace.com/Domodossola.htm#Piazza
Domodossola (resti del castello di Monte Calvario o Mattarella)
«Sul colle che domina la città di Domodossola si erge il Sacro Monte Calvario, qui venne edificato il Santuario del Crocifisso sugli antichi ruderi del castello di Mattarella. Nel 1656 venne posta la croce sopra il colle. La prima pietra venne posata l'8 luglio 1657. Promotori dell'opera furono i padri Giacchino da Cassano e Andrea da Rho. L'architetto che progettò i lavori sembra sia stato mastro Tommaso Lazzaro di Val d’Intelvi: il disegno prevedeva una "Via Regia" o Via Processionale che, partendo dai piedi del colle, doveva raggiungere il Santuario. Lungo il percorso infatti vennero poste in origine delle croci sui luoghi scelti per poi sistemate le cappelle nelle quali sono rappresentati plasticamente i misteri o stazioni della Via Crucis. Le cappelle contengono pregiati lavori di statuaria religiosa, alcuni dei quali, molto recenti, in legno. Un arco di trionfo segna l'inizio della Via Crucis. A partire dall' 800 il luogo venne trasformato, con l'arrivo del sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, in un Istituto religioso. In questi ultimi anni è stata aperta la "Casa per gli Esercizi Spirituali" , per quanti sentono il bisogno di una pausa di raccoglimento e di preghiera. Oltre al Santuario è interessante visitare le rovine del castello conosciuto con il nome di Mattarella. Nel 1014 l'imperatore Enrico di Sassonia donava il castello, col Comitato ossolano, alla Chiesa di Novara, ed il vescovo vi stabilì la sua residenza. Più tardi, nel 1331, passò sotto il dominio dei Visconti, conservando la sua funzione d’importante baluardo in difesa dei passi alpini, finché non venne distrutto nel 1415 dagli Svizzeri, nel tentativo di conquistare l'Ossola. Entro l’interessante complesso fortificato è stato rinvenuto un frammento di lapide paleocristiana in marmo, chiara testimonianza della presenza del Cristianesimo in alta Ossola, probabilmente la più antica (la lapide ed altri reperti di grande interesse sono visibili all’interno della casa rosminiana). Inoltre su alcune rocce a sud del castello si trovano coppelle ed affilatoi. Interessanti sono anche i ruderi del Convento dei Cappuccini, già trasformato in caserma, con un interessante chiostro».
http://www.ossola.com/alta-ossola/domodossola.html
«Le mura di cinzione della città sorsero attorno al 1306. Allora sorgevano al suo interno quattro torri quadrangolari, delle quali oggi ne rimane solo una, ma in ottimo stato di conservazione. Da antichi disegni risulta che la cerchia muraria doveva possedere tre torri volte alla valle del Toce ed al Calvario e riportavano come tutto il complesso merli di tipo guelfo, ossia rettangolari. La linea opposta delle mura aveva un’unica torre, non molto alta, detta “del Rigoni”, il suo antico proprietario. Il lato prospiciente il Toce, Trontano e Masera possedeva una torre detta “della Polvere” ed al suo fianco una fortificazione unita alle mura, anch’essa munita di merlatura. Infine, sul lato opposto, verso Mocogna e Caddo, la “torre di portello”, simile a quella “del Rigone”. Vi era una alto ed imponente campanile detto “dei frati”, oggi però scomparso, e l’attuale campanile più basso e robusto della collegiata, rimasto intatto, riportante archetti del XV secolo».
http://domodossola.awardspace.com/Domodossola.htm#Mura
«Posta su un colle che domina il lago e l'imbocco della Val d'Ossola la torre ha una storia controversa. La tradizione popolare la vuole di età romana, ma nelle sue forme attuali è di certo attribuibile al Basso Medioevo. Ciò non vieta di pensare che il sito su cui si erige non possa aver avuto frequentazioni ben precedenti, non solo romane (lo proverebbe il rinvenimento di materiale da costruzione di quell'epoca sparso sull'altura), ma anche preistoriche. Il dosso è difeso naturalmente su tre lati, con due pareti di roccia a Est (a strapiombo sul lago) e a Ovest e una sola via di accesso verso Mezzogiorno. Nella tarda antichità in particolare tutti i territori di confine posti su alture all'imbocco delle valli e delle più importanti vie di comunicazione furono organizzati a rete in funzione difensiva o anche solo di controllo e segnalazione. Feriolo potrebbe quindi rientrare nel sistema di fortificazione del limes alpino a protezione del passaggio sulla strada del Sempione e dei valichi dell'Ossola. La tesi è avvalorata dall'indagine sul territorio: ad ogni gomito della valle si trova una torre visibile da quella immediatamente a valle e a monte. Feriolo poteva comunicare con Mergozzo a Nord e inviare segnali a Suna, e quindi al bacino del lago, a Sud. Sull'organizzazione militare tardo romana in castra si impianta l'ordinamento longobardo delle iudiciarie: la torre di Feriolo, il fortilizio del motto di Gravellona, la torre di Montorfano e quella dell'isola di San Giovanni insieme formavano un importantissimo sbarramento tra le due sponde del golfo occidentale del Verbano, costituente la chiusa dell'Ossola. Né va dimenticata la funzione del lago stesso come via di comunicazione e di trasporto di uomini e merci, talvolta più veloce e sicura delle vie di terra e inserita in un sistema fluvio-lacuale già ben sviluppato in età romana. Resta comunque indiscutibile l'attribuzione dell'edificio oggi visibile ad opera medievale. Tanto più che la storia lo spiega benissimo: il triangolo Suna-Feriolo-Mergozzo era il cardine di una rete di fortilizi appartenenti alla famiglia dei Da Castello, che in questo modo controllava quel nodo di comunicazioni eccezionale che è il Montorfano.
Il primitivo nucleo fortificato dei signori (che proprio dalla fortificazione originaria della famiglia trassero il patronimico De Castello) era sull'isoletta di San Giovanni, terminale di una rete abbracciante la foce del Toce e il centro del lago. Si tratta di esempi assai modesti rispetto alle imponenti rocche vescovili: torri talvolta circondate da uno o più giri di mura così da creare un piccolo recinto-castello. La tipologia appena descritta si adatta perfettamente al sito di Feriolo, dove sono riconoscibili due giri di mura. Il primo si snoda sul pianoro più alto del colle seguendo l'andamento della roccia a delimitare l'area sulla quale si erge la torre. Il muro, costruito con lo stesso materiale lapideo della torre e certamente coevo ad essa, appare di buona fattura e presenta delle feritoie per il tiro radente e delle aperture con arco a tutto sesto. La seconda cinta invece è posteriore all'impianto della torre, e si va ad innestare a Nord sulla cerchia più antica, della quale ostruisce in più punti le feritoie. Inoltre l'analisi della muratura fa pensare a delle maestranze meno capaci che si servirono di materiale di recupero (ciottoli, sassi non squadrati), mentre il muro originario presenta dei filari di conci ben squadrati. Tuttavia questa seconda operazione di recinzione aveva permesso di ampliare notevolmente l'area militare, estendendo la difesa a tutto il pianoro immediatamente a Sud della torre. Il manufatto, in ossequio all'ardito verticalismo che contraddistingue l'architettura militare della seconda metà del XII secolo e dell'inizio del XIII, si eleva in alzato per nove metri circa su di una pianta quadrata e presenta tracce di un tetto a falda. La struttura è in conci regolari di granito locale, con tonalità varianti dal bianco al rosa, che sono legati da malta fabbricata con materiale dello sperone dell'ArxTravalia. Esistevano tre piani più un sotterraneo con volta a botte. L'ingresso non corrispondeva a quello oggi visibile sul prospetto Est aperto in seguito a rottura in basso a sinistra della facciata. La porta con archivolto in conci in pietra è posta invece sul lato di ponente a circa 4 metri di altezza da terra, ed era raggiungibile solo con una scala movibile in legno».
http://www.comune.baveno.vb.it/feriolo.asp?a=6&b=12
redazionale
«Il castello di Frino, sopra a Ghiffa, ha storia antica. Esso, già dal 1400, fu dimora di una delle più importanti famiglie feudatarie del Lago Maggiore oltre i Borromeo, i Moriggia. Le origini del Casato si hanno intorno all'anno 1000, ma è dal 9 giugno del 1447 che questo ramo iniziò ad essere legato alle sponde verbanesi; infatti, in questa data, il duca di Milano Filippo Maria Visconti, cedette in feudo a Pietro Moriggia la terra ghiffese comprendente le località di San Martino e San Maurizio, oltre ad Oggebbio e le montagne sovrastanti. La "capitale" di questo regno era Frino, dove i Moriggia, intorno al 1600, edificarono il loro castello. Esso, in una delle più belle e panoramiche posizioni del Verbano, fu venduto all'estinzione della famiglia nel 1896, e venne acquistato dall'architetto Giuseppe Pirovano. Egli rilevò il castello ormai privo anche del ricco mobilio e lo restaurò fino a riportarlo all'antico splendore. Il castello è stato trasformato in anni recenti in albergo-ristorante e a testimonianza della lussuosa vegetazione e la magnificenza di un tempo sono rimasti i giganteschi cipressi che erano motivo di rivalità con i Borromeo. Il paesino di Frino è molto carino e tranquillo e rimane in posizione rialzata rispetto al lago. Per raggiungerlo è possibile salire dalla strada romanica in ciottoli di Ghiffa (ora via De Amicis) e proseguire verso San Maurizio. Il castello di Frino è raggiungibile tramite un cancello posto all'ingresso della proprietà, all'inizio di una piccola salita accerchiata da alberi ad alto fusto. La casa ha conservato il vecchio aspetto, ma l'aspetto fondamentale e che la caratterizza è la vista panoramica mozzafiato».
http://www.thinktag.it/it/resources/castello-di-frino
Gravellone Toce (resti del castello del Motto)
«La Baraggia si trova lungo Corso Milano dopo il ponte sullo Strona ed è un insieme di case molto antiche con vari orti e piccole stalle una volta usate per gli animali come capre e pecore ma ora, in genere, utilizzate come magazzini. Le case della Baraggia sono vecchie ma ancora resistenti perchè sono fatte con delle pietre di diversa forma e dimensione di colore grigio e rosso. Nelle piccole viuzze ci sono molti gatti che cercano il fresco in estate e il caldo e l'asciutto in inverno. Per alcuni anni nella Baraggia, in occasione del Natale, si è realizzato una ricostruzione storica degli antichi mestieri e della vita quotidiana con i vestiti, le usanze e gli strumenti che usavano nel passato. Dalla Baraggia parte la via della Val Guerra che è la strada che porta a Granerolo: lungo la strada c'è il bosco con molte varietà di alberi come abeti, pini, pioppi, felci, muschi. In autunno si possono raccogliere le castagne. La strada in alcuni tratti è un po' ripida ma sempre percorribile tranne quando viene l'inverno e sbarrano la strada. Il Motto è la collinetta che sovrasta la Baraggia. Dal Motto possiamo ammirare un gran panorama che spazia dallo Strona al vecchio abitato fino ad abbracciare tutta la città. Il panorama notturno, poi, è davvero suggestivo! Le costruzioni del Motto sono quasi tutte in sasso e le ultime case non sono raggiungibili con la macchina. Sul cocuzzolo del Motto troviamo un castelliere che è la struttura più antica di Gravellona: risale probabilmente al primo Medio Evo ma sembra sia stato edificato sopra una preesistente struttura. Il Motto è un vecchio castello formato da parecchie torri che servivano da avvistamento e permettevano di comunicare in varie direzioni con segnali di fumo di giorno e con fuochi di notte per avvisare dell'arrivo di nemici. In seguito il castello cominciò a decadere ed ora ne rimangono soltanto i ruderi. è un luogo che potrebbe costituire un'attrattiva turistica, valorizzata al meglio. Purtroppo, per tanti anni l'area attorno ai resti del castelliere, è stata invasa dalle erbacce e non era sicuramente visitabile. Da poco sono iniziati dei lavori di pulizia per mettere meglio in risalto la struttura muraria, estirpare le erbacce o le piante infestanti e valorizzare invece alberi anche pregevoli che possono anche costituire l'esempio della vegetazione del passato. Attorno e alla base della collinetta si estende la Baraggia, uno dei nuclei storici di Gravellona Toce. ...».
http://www.icgravellonatoce.it/lavori/Cento%20anni%20di%20verde%20e%20di%20boschi/Baraggia.html
«Lomese compare per prima nel documento del 910 col toponimo Longomiso e successivamente con Longomexio (1222), Logomexio (1364), Lomexio (1411) e Lomesio (1524). Il toponimo potrebbe derivare da un longo-medo con significato di prato lungo (dalla radice germanica met = prato), ed è perfettamente in accordo con la natura del luogo. Infatti Lomese si adagia al limite di un terreno ondulato coltivato a vigna e prato in una conca ben riparata e ricca di sole ai bordi della quale troviamo le frazioni di Chezzo, Croppomarcio, Torrione e Seggio. Con esse costituiva secondo ogni probabilità un'unica proprietà, la corte regia che nel 910 l'imperatore Berengario conferma al visconte Gariardo. In Lomese si riconoscono alcune abitazioni nobiliari in forma di castelli o case forti risalenti ai padroni originar! e discendenti, i signori di Castello, i nobili De Rodis-Baceno, e dei patrizi che assumono i nomi delle famiglie De Quirico e De Giuli dal secolo XV in avanti. Queste annoverano numerosi rappresentanti del clero e del notariato. Don Giacomo De Giuli di Lomese, curato di Montecrestese, è anche il fondatore della cappellania di S. Lorenzo nella chiesa parrocchiale. Notiamo su alcune di queste case-forti l'appartenenza alla consorteria dei De Rodis-Baceno con lo stemma recante la ruota. I rappresentanti di questa nobiltà sono nominati nel giuramento del 19 giugno 1222 in favore del comune di Vercelli. Di queste case-forti o castelli una, posta al centro della frazione e in gran parte diroccata, è databile dal secolo XII, le altre sembrano risalire al XV-XVI secolo. Si tratta di robuste costruzioni in pietra locale che si elevano in numerosi piani di abitazione e difese da piccoli cortili recintati. Attorno ad esse sono cresciute le altre costruzioni di pretto disegno ossolano e montecrestesano ad uso di abitazione o cascina. Sulle porte e finestre sono spesso incise croci di ogni tipo, semplici e potenziate e perfino nella forma di svastica. Alla impressionante robustezza delle spesse murature in sasso vivo si accompagnano gli aerei solai ad "astrigo" aperti verso il sole, scale a rampa, ad arcoponte e ad arcorampante, con ardite soluzioni tutte realizzate mediante la pietra locale».
http://www.comune.montecrestese.vb.it/LeFrazioni?Lomese
«...Nella parte alta di Mergozzo, chiamata il Sasso, cui si accede attraverso la scarpia, una scalinata in pietra, si ergono il castello e, poco più in alto, una massiccia torre medievale di segnalazione. Nella parte antica del paese, percorrendo le strade e gli stretti vicoli che attraversano il borgo a volte intersecandosi, a volte aprendosi in incantevoli piazzette, si possono ammirare vecchi portoni, finestre e balconi caratteristici ed altri elementi architettonici in pietra locale. A testimonianza di un’epoca ormai lontana, resistono un po’ sbiadite alcune scritte di antiche osterie o di altre attività ormai abbandonate e figure di santi affrescati a protezione delle case e dei loro abitanti. ...».
http://www.turismoebenessereonline.it/pdf_ita/Mergozzo%20It.pdf
Montecrestese (castello dei Picchi)
«La tradizione locale dice che i "Picchi" sarebbero stati un gruppo di briganti (forse dei signorotti) che esercitavano il brigantaggio nei secoli XVI e XVII. Ad essi sembrano appartenere alcune case forti: torri che costituivano luoghi di rifugio e dalle quali si facevano beffe della giustizia».
http://www.prolocomontecrestese.it/cosedavisitare.htm
Omegna (porta Romana o della Valle, fortificazioni, castello di Crusinallo)
«Nel XII secolo Omegna viene insignita del titolo di Borgo e cinta di mura, con cinque porte ed un castello situato sulla collina del Mirasole, poi chiamata il roccolo dei Francia. Posto sul colle e dominante il lago, il castello era munito di torri secondo l’uso medievale. Il castello era collegato al borgo sottostante tramite una strada sotterranea che partiva dalla porta che immetteva nella Valstrona. Nel 1312 Omegna si costituisce come libero comune passando così sotto la giurisdizione di Novara, a sua volta sotto il dominio di Milano. Nel 1361 i Visconti distruggono il castello sul poggio Mirasole oltre alle restanti opere difensive di Crusinallo» - «Porta Romana: la Porta della Valle. Nel XIV secolo il nostro borgo, difeso dal lago Nigoglia, fossati e palizzate e qualche muraglia, ha solo tre porte: del palazzo, del mercato, dei berretti. Nel secolo successivo è recinto all’interno dei fossati di una muraglia in pietra e ciottoli con cinque porte: Maggiore, Salera, Segnara, Castello, Valle (di epoca più antica, 1100). Fortificazioni di difesa. Complesse e solide le fortificazioni del borgo, con capisaldi interni imperniati sulle caseforti delle famiglie nobili e su una serie di compartimentazioni con saracinesche all’interno dei vicoli e una torre massiccia ed elevata accanto al Pretorio. Sul poggio Mirasole sono ancora individuabili i ruderi di un torrione poligonale del castello, fatto costruire dai Conti Crusinallo all’inizio del XI secolo e distrutto dai Visconti nel XIV secolo. Le fortificazioni del Crusinallo, a lato della parrocchiale, comprendono la torre di Aycardo e il domignono di Guiscardo, distrutti in parte nel 1311 e totalmente nel 1361».
http://www.proloco.omegna.vb.it/storia.asp - http://www.comune.omegna.vb.it/la_citta/cenni_storici.php
Ornavasso (castello, torre della Guardia)
«L'origine e l'edificazione del Santuario dedicato all'Immacolata Concezione di Maria Vergine, detto comunemente "Della Guardia", si devono al canone per l'edilizia religiosa, definito dal Cardinale Carlo Borromeo, che fino ad oltre il XVIII secolo veniva usato in tutto il Ducato di Milano e quindi anche a Ornavasso. La chiesa è posta al di sopra dell'abitato di Ornavasso, a circa 200 metri dalla Chiesa parrocchiale di S. Nicolao, lungo la strada che conduce al Santuario del Boden. Il Santuario "Della Guardia" prende il nome dal promontorio omonimo su cui sorge, così chiamato ancora oggi a causa della presenza di un'antica torre di segnalazione risalente ai primi anni del XIV secolo, che faceva parte di un sistema difensivo di avvistamento composto da torri comunicanti visivamente fra loro. Le torri furono erette per volere della famiglia dei Barbavara d'Ornavasso, feudatari di tutta la Valle d'Ossola, per potere avvertire, mediante l'accensione di fuochi, tutte le popolazioni ossolane evitando in tal modo la sorpresa nel caso di eventuali attacchi da parte degli Svizzeri predoni che imperversavano in tutta la valle. La chiesa, di proporzioni considerevoli, è caratterizzata da una forma ottagonale e da una costruzione in marmo di Ornavasso ...».
http://www.comune.ornavasso.vb.it/ComSchedaTem.asp?Id=1881
Pallanza (Isolino di San Giovanni, palazzo Borromeo)
«L’Isolino di San Giovanni, ricordato sin dal 999 in un diploma imperiale per una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, venne acquisito dalla famiglia Borromeo nel 1632, che sui ruderi di antiche fortificazioni vi erige il palazzotto a forma di "L", con affaccio principale rivolto verso l’abitato di Pallanza. Una terrazza definita da balaustre ed un profondo loggione ad unico fornice a due piani ne caratterizzano l’architettura, intervenendo a movimentare la compattezza del volume. Un tempo adibito in larga parte ad agrumeto, oggi il parco esteso su tutto l’Isolino e digradante sul lago è fittamente alberato. L’isolotto ha ospitato nel corso del tempo illustre personalità, tra le quali Arturo Toscanini, che dal 1927 lo elesse a suo “buen retiro”».
«La torre, che domina i tetti del borgo antico, si alza per complessivi trenta metri ed ha pianta rettangolare di 10,5 x 8 metri. Sotto di essa passa l'antica strada che portava in valle Anzasca, la cosiddetta "Mulera": per percorrerla i viaggiatori dovevano pagare un dazio ai padroni della torre. Costoro appartenevano alla famiglia dei Ferrari o Ferreri, il cui nome derivava dall' "ars ferraria", cioè dalla lavorazione del ferro, di cui erano abili e ricchi imprenditori. Un'iscrizione ancora visibile all'ultimo piano della torre ci segnala le date di inizio e di fine dei lavori di costruzione: HUIS TURRIS 1594 DIE X APRILIS PRINCIPIUM 1597 DIE XIX NOVEMBRIS TECTUM (L'inizio di questa torre fu il 10 aprile 1594 e il tetto fu posto il 19 novembre 1597). Appena terminata, essa venne fatta oggetto di visita, come testimoniato dal manoscritto cinquecentesco del parroco di Pieve Vergonte, Gian Antonio Giavinelli, dal conte Renato Borromeo il 25 novembre 1598, feudatario di tutta la valle Anzasca. è assai probabile che in quella data non fosse stato ancora realizzato il ciclo pittorico all'ultimo piano, descritto più avanti. La tradizione popolare vuole che, ai muratori e manovali che lavorarono alla costruzione della torre, venisse dato quale compenso, una misura di miglio al giorno; non vi sono invece notizie relative al nome dell'architetto che dovette progettarla. Il committente è invece conosciuto: si tratta del signor Desiderio, causidico e notaio, figlio di Federico e fratello di Giacomo e Francesco Costruita assieme al palazzo adiacente, che costituiva la vera residenza dei Ferreri, la torre mantenne la sua funzione almeno fino alla metà del XVIII secolo, quando, dopo l'emissione del Regio Biglietto 12 aprile 1768 da parte del nuovo governo sabaudo (subentrato nel 1733 a quello milanese), venne adibita a deposito delle granaglie in assegnazione alle popolazioni della valle Anzasca. è probabile che a questo uso fossero adibiti i piani inferiori, e forse a quest'epoca si può far risalire l'asportazione del camino nella sala a pianterreno di cui si fa menzione in seguito. La visione d'insieme della torre mostra la funzione che essa doveva avere, cioè quella di vigilare e insieme quella di offrire un prestigioso soggiorno vista l'eleganza delle forme rinascimentali. Si può ritenere che sul luogo esistesse già dal medioevo, o forse dalla più remota antichità, una torre o una casa forte a controllo di una via assai importante che conduceva verso il passo del monte Moro e da lì in Svizzera. Quando fu innalzata l'attuale torre, cioè alla fine del XVI secolo, la necessità di vigilare non aveva più una grande importanza.
La torre è costituita da cinque piani raggiungibili mediante una scala interna abbastanza ripida ed eseguita con notevole accuratezza oltre che ben illuminata. Nulla è rimasto dell'arredamento interno. Ben conservati rimangono gli stipiti delle porte che sono in pietra scolpiti a mano con segmenti retti, che ottengono un buon effetto pittorico. Persino le alzate degli scalini sono lavorate a mano con disegni simili a quegli degli stipiti, mentre le pedate sono arrotondate sulla parte a vista. Identico trattamento hanno gli stipiti e gli architravi delle finestre. Ogni piano è costituito da un unico salone, a pianta quadrata, coperto da una volta a padiglione lunettata lungo tutto il perimetro; le lunette sono talvolta sostenute da un capitello pensile o peduccio di disegno semplice ed armonioso, oppure poggiano su una fascia continua a rilievo. Al piano terreno il cui ingresso, rivolto a ovest, si apre su un piccolo cortiletto, era caratterizzato dalla presenza di un vasto camino, ora asportato, che doveva presentare i caratteri tradizionali della cappa posata su mensole e vasto architrave. Al primo piano la volta poggia su eleganti peducci in serizzo, e si trova invece un camino ornato con sagome eleganti in puro stile cinquecentesco, realizzato in serizzo. Al secondo piano il riquadro centrale del soffitto voltato è decorato a stucco in forte rilievo. Gli stilemi barocchi della decorazione, costituita da un cartiglio a svolazzi ornato di maschere e puttini e contenente lo stemma della famiglia Ferreri, denuncia di appartenere ad un epoca posteriore a quella della prima erezione della casa. Qui le velette del soffitto non insistono più su peducci, ma su fascia continua priva di modanature e ornamenti. Il terzo piano è definibile come "il piano delle feritoie" per il gran numero di feritoie che lo contraddistingue: prima ancora di raggiungere il pianerottolo si apre a sinistra una prima feritoia, mentre sul ripiano, sempre a sinistra, un'ampia finestra a sedili ha sotto il parapetto una piccola feritoia. Pure nella parete di fronte vi sono tre feritoie, tutte disposte asimmetricamente, con scopo probabilmente decorativo. Anche le finestre della scala adiacente sono munite di feritoie. Da notare al secondo e al terzo piano un armadio a muro ricavato nella parete in cui si apre la porta d'entrata: esso conserva l'anta in legno originale cinquecentesca; anche le porte di accesso ai saloni appaiono risalire al Cinquecento, e quella del terzo piano venne successivamente foderata da uno spesso foglio di lamiera di ferro per ragioni di sicurezza.
Il piano sicuramente più interessante risulta comunque il quarto, dove si trova il locale più ampio e meno alto, coperto da un semplice soffitto in legno a travi ed assito e illuminato da ben dieci finestre che, sotto al davanzale, hanno la feritoia, anche se murata, probabilmente per ripararsi dal vento. Il locale risulta essere più vasto di quelli sottostanti in quanto viene a mancare la parete divisoria con la scala. L'elemento di straordinario interesse di questa sala è quella di avere tutte le pareti decorate da un ciclo di affreschi di notevole qualità, eseguiti probabilmente un anno dopo la fine dei lavori di costruzione della torre e cioè nel 1598, data che s'intravede in una scritta inserita dall'autore in una parte dell'affresco. Purtroppo le pitture sono in pessimo stato in parte a causa dell'umidità e in parte per la tecnica usata, che è un compromesso tra l'affresco e la tempera. In molti punti il colore è caduto, ma fortunatamente ne è rimasta ben visibile la sinopia, eseguita con pennellate agili ed estemporanee. La parete è alta circa tre metri; sopra le finestre corre un fregio che si svolge su quasi tutto lo spazio perimetrale: in esso sono contenute scene di caccia ed altre di tema mitologico, che si concludono con un banchetto dove appare una tavola imbandita di selvaggina e di pani. Sotto a questo friso continuo la parete, suddivisa in settori dalle finestre, lungo i cui piedritti sono dipinti mensoloni o tripodi o sostegni di varia foggia sui quali si appoggiano busti umani o di animali in funzione di cariatide. La porzione di parete compresa tra questi elementi recava composizioni con scene mitologiche ora quasi illeggibili, mentre in posizione centrale nei lati ovest, nord e sud era dipinto una sorta di drappo steso verticalmente, a imitazione di una modalità decorativo di origine medioevale e sopravvissuta almeno fino al XV-XVI secolo. Questo ciclo pittorico rimane ad oggi anonimo; il pittore non rivela un livello culturale molto elevato, l'opera è sicuramente interessante come documento di costumi, armi e usanze di caccia della fine del '500. Rilevante anche il fatto che tutte le finestre conservano ancora il sistema originale a scuri interni, che supplivano anche alla funzione di serramento vero e proprio. Il tetto della torre è a cuspide coperta di lastre di beola; è sorretto da un sistema ad albero formato da grosse travi in legno. Mensoloni ben sagomati sostengono la gronda assai sporgente. Nei quattro spigoli si ergono eleganti pinnacoli ed uno più slanciato sul vertice: tutti reggono delle piccole croci. Interessante e curiosa appare poi la forma data ai comignoli. Per renderli funzionali, anche malgrado i venti insistenti e prepotenti che soffiavano dalla Valle Anzasca, furono pittorescamente incappucciati cosicché lo sfogo risulta diretto quasi verso il basso».
http://www.comune.piedimulera.vb.it/FileDownload.asp?T=37&I=67
Rencio (resti del castello e della torre)
«Nel 1215 circa l’imperatore del Sacro Romano Impero Ottone IV concesse in feudo alla famiglia Da Rodis la valle Antigorio, la valle Formazza, Agaro e Salecchio. I Da Rodis portavano anche il titolo di Da Cristo, il che fa presupporre che fossero di provenienza dell’omonima frazione (Cristo) del comune di Premia. Il feudo in seguito passò nelle mani di una famiglia collaterale i De Bacenis, il cui dominio durò incontrastato fino alla fine del XV secolo. Durante tutto questo periodo il feudo si mantenne piuttosto isolato e non partecipò alle lotte fra Spelorzi e Ferrari (l’equivalente di guelfi e ghibellini) e nemmeno ebbe particolari problemi con i vallesani che periodicamente saccheggiavano l'Ossola. Per rafforzare il proprio dominio i feudatari eseguirono nella valle una serie di fortificazioni: il castello di Rencio; una torre a Baceno (non più esistente); delle case forti a Veglio, Premia e Mozzio. Il punto più importante di questo sistema difensivo era il castello di Rencio; la sua collocazione è molto particolare; come si può vedere è collocato sopra un grosso masso, il che lo rendeva molto sicuro. Ormai è ridotto ad una rovina e nelle vicinanze sono state aperte molte cave per l’estrazione del Sarizzo, il che rende ancora più problematica la sua conservazione. In origine doveva essere formato da un alto recinto al cui interno si erano realizzati due ambienti, uno scoperto e uno coperto da un tetto a falda».
http://digilander.libero.it/alegiorgio/dove/Dr.htm
Roldo (torre di Roldo o dei Picchi)
redazionale
Selva (resti del castello dei Silva)
«In frazione Selva sorgeva il castello di famiglia dove Paolo I della Silva, condottiero di Francesco I re di Francia, eresse a propria residenza (citata in antichi testi per i contenuti artistici e affreschi attribuiti a Fermo Stella da Caravaggio) che alla sua morte subì barbare devastazioni, non avendo egli lasciato discendenza diretta. Dell’importante castello rimangono poche tracce originali salvo il portale gotico in marmo bianco e nero, un pozzo, qualche affresco tracce di un luogo di culto (visibili all’interno di un locale adibito a cantina)e stemmi di famiglia del resto molte parti dello stesso col tempo sono state adattate ad abitazioni civili, lo stesso municipio insiste in quella che una volta era la torre del castello».
http://www.comune.crevoladossola.vb.it/Guidaalpaese/tabid/10768/Default.aspx?IDPagina=4289
«Il castello di Vallaro, in Villette, testimonia il periodo medioevale delle lotte fra fazioni. L'Ossola era divisa in Superiore e Inferiore. La valle Vigezzo apparteneva all'Ossola Inferiore; l'Ossola Superiore era governata dagli Spelorci che erano di parte guelfa, l'Ossola Inferiore era governata dai Ferrari che erano di parte Ghibellina. Il castello di Villette era di parte ferraria e dipendeva dal castello di Vogogna. Ciò che rimane di quella antica fortificazione è molto interessante: - due lastre di granito, a lunetta, con le insegne di parte ferraria, l'incudine, la tenaglia e il martello; i Ferrari, come dice il loro nome, lavoravano il ferro, erano fabbri; - un bellissimo portale con arco a sesto acuto, in serizzo con la classica chiave centrale, sormontato da una finestrella, anche lei con arco gotico. Il castello sorge in un punto elevato del paese e probabilmente aveva accanto una torre da segnale e serviva senz'altro come fortificazione di confine».
http://www.comune.villette.vb.it/ComSchedaTem.asp?Id=24109
redazionale
Veglio (resti del castello o casaforte)
«Veglio è una frazione molto antica il cui toponimo risale al XIV secolo con A velio, col significato di “luogo di vigilanza”: difatti qui si ritrovano i ruderi del castello da cui i signori locali dominavano la zona; alle torri di segnalazione giungevano richiami luminosi d’emergenza dalla torre di Mattarella, che raggiungevano poi Milano e Novara. Il castello di Veglio è diviso in una parte più antica, risalente al XIII secolo, e una del XV secolo, in seguito ritoccata e nel XVII secolo abbandonata e lasciata a sé stessa: la parte più antica è a sua volta divisa in tre piani ricoperti da un tetto in piode che ormai è ceduto insieme alle travi di legno; internamente doveva avere un recinto murato come difesa e presentava un architrave triangolare come la finestra che lo soprastava. Nei secoli successivi fu aggiunta una vasta costruzione a pianta rettangolare, con la stessa forma di casa-forte, con feritoie e porte binate precedute da atri a forma di loggiato sostenuti da pilastri circolari, molto comuni alle altre costruzioni contemporanee di allora nel territorio di Montecrestese. Con molta probabilità i signori che fecero costruire questo castello provenivano da Pontemaglio, situato in una zona difficile da difendere ma facilmente raggiungibile da Veglio (quindi la comodità di avere un rifugio in una zona protetta), ed erano conosciuti come i Della Caterina. In Veglio è possibile ritrovare costruzioni risalenti sino al XIII-XIV secolo, anche se molte sono state soppiantate da più recenti del XVI secolo».
http://domodossola.awardspace.com/Veglio.htm
redazionale
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