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BARI, CASTELLO
a cura di Luigi Bressan; testo di approfondimento di Stefania Mola
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pag. 1 - pag. 2 - pag. 3 scheda cenni storici testo di approfondimento
In primo piano a sinistra la torre dei Minorenni; sullo sfondo quella del Semaforo: sono le due torri disposte verso la città.
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Testo
di approfondimento.
Stando a quanto tramandano le cronache antiche, prima dell’arrivo
dei Normanni e delle reliquie di san Nicola Bari era una città
ricca, probabilmente la più grande e prospera della Puglia. Era
stata sede di gastaldi longobardi ed emiri musulmani, quindi capitale
del thema di Longobardia (cioè dell’Italia meridionale)
con i Bizantini, che la avevano fortemente rilanciata, ampliata,
fortificata ed abbellita. Le sue mura urbane – aperte in
corrispondenza della Porta Vecchia (ad occidente, nei pressi del
castello) e della Porta Nuova (nella zona sud, poi spostata ad oriente
in età angioina e aragonese, nei pressi dell’attuale
piazza del Ferrarese) – si imponevano come un severo monito.
Tra ambiguità e dissimulazione, ecco dunque lo spazio del castello e delle mura, il tempo della difesa e del potere, che siamo abituati a chiamare "castello svevo" ma che in realtà è "un castello nel castello", un gioco di scatole cinesi in cui si integrano le torri della difesa medievale e le mura della reggia rinascimentale, a loro volta incastrate e parte integrante di una città murata essa stessa denominata castrum. Il castello di Bari era al tempo stesso il castello e la città. Bari era un castello perché nel Medioevo solo le mura conferivano la dignità di città a quello che altrimenti sarebbe stato un villaggio, un casale, un semplice insieme di abitazioni. E il castello, simbolo oscuro di un potere arroccato e avulso dalla vita quotidiana, non fu mai il castello dei baresi che da esso – più che difesi – si sentivano minacciati.
Da
quasi mille anni Bari vive all’ombra del suo massiccio castello
tra la terra ed il mare, chiuso da svettanti ed inaccessibili torrioni
quadrangolari. Il segno forte del potere, non potendo dominare
dall’alto di una collina, si collocò al margine estremo
della città antica, per difenderla, ma soprattutto per
controllarla. Il suo nucleo originario, infatti, risale all’epoca
normanno-sveva, ed è da identificare con l’attuale cinta
quadrangolare interna munita di torri angolari ed intermedie. Questa fu
l’idea dei Normanni, ai quali la ribelle Bari diede non poco filo
da torcere.
Il castello regio, attaccato dai Baresi, subì notevoli danni nel
1156: in seguito a questa rivolta Guglielmo il Malo decise la
distruzione di gran parte della città nel 1156 («Voi avete
osato distruggere la mia "casa" – cioè il castello, queste
le parole contro i Baresi attribuite a Guglielmo da una cronaca del
tempo – e io di conseguenza distruggerò le vostre
case»); intorno al 1233 Federico II lo restaurò,
valorizzandone l’aspetto residenziale e rappresentativo e
conferendogli requisiti più prossimi ad una residenza.
Sull’archivolto del portale fece scolpire l’aquila
imperiale che stringe trionfante la preda tra gli artigli;
nell’androne e nel cortile innalzò un portico e
realizzò capitelli a fogliami firmati da maestri locali quali Minerrus de Canusia, Melis de Stelliano e Ismahel;
nelle torri troppo severe aggiunse qua e là oculi e finestre,
quasi a tentare un dialogo con la città che – al di
là del fossato – del castello avvertiva soltanto la
presenza opprimente e minacciosa.
A mitigare l’asprezza di questi luoghi non bastò evidentemente neanche il leggendario passaggio di
san Francesco d’Assisi,
che qui – secondo la tradizione – avrebbe respinto con
fermezza le maliziose proposte carnali di una fanciulla attraverso la
quale Federico II avrebbe voluto mettere alla prova la sua
santità.
Accantonati archi e balestre, gli Spagnoli dotarono l’edificio
originario di una cinta bastionata sui tre lati verso terra, mentre
Isabella d’Aragona e Bona Sforza lo trasformarono in dimora
principesca degna di una corte, meta di letterati, artisti e uomini
potenti. Nonostante ciò, le sue torri possenti continuarono ad
essere una quotidiana sfida all’orgoglio dei baresi e al ricordo
delle tante torri cittadine rase al suolo da Guglielmo il Malo, e mai
più ricostruite. Bari non amò mai il suo castello,
simbolo del potere feudale costruito non per la città, ma contro
la città.
Dentro il castello
In
età prenormanna l'area su cui venne successivamente edificato il
castello era una zona periferica della città bizantina; il
nucleo normanno della fortificazione doveva essere formato
semplicemente da una cinta muraria turrita, che inglobò le
precedenti costruzioni, oggi riemerse in parte grazie ad una serie di
scavi archeologici effettuati nell'area castellare più antica,
corrispondente all’ala nord e a parte di quella ovest.
Le indagini hanno consentito la messa in luce di significative
preesistenze, ad una quota di oltre tre metri inferiore
all’attuale piano di calpestio: le più interessanti
riguardano resti di murature appartenenti a nuclei abitativi di epoca
bizantina e ad una chiesa (forse dedicata a Sant’Apollinare,
citata da Guglielmo Appulo nell’XI secolo), di probabile impianto
a tre navate, datata alla metà del X secolo grazie al
ritrovamento di alcune monete coeve.
Oggi tutto questo è visibile grazie ad un percorso di visita
opportunamente attrezzato, accessibile tanto direttamente
(dall’ingresso nord del cortile), quanto dai locali della
Gipsoteca, ovvero la raccolta di calchi, esposti solo in parte nei
locali a pianterreno dell’ala ovest, comprendente gli esempi
più interessanti della scultura pugliese relativa ai maggiori
edifici di culto della regione tra XI e XVII secolo; tali calchi furono
approntati tra il 1899 ed il 1911 in occasione delle Esposizioni di
Torino, Parigi e Roma.
Un ulteriore significativo rinvenimento è quello recentemente
emerso con l’esecuzione di saggi sul fronte est della muratura
della cinta esterna: si è scoperto, all’interno dello
spessore murario, un camminamento di guardia coperto di epoca sveva,
lungo ben quarantacinque metri e fornito di saettiere, di
caratteristiche simili a quello già individuato nel muro di
cinta del castello di Trani, realizzato nel 1249. Ciò
confermerebbe che nel periodo federiciano la difesa dei castelli si
basava su due livelli: uno inferiore accessibile direttamente
dall’interno attraverso un porticato scandito da pilastri ed
archi a sesto ribassato, l’altro superiore e scoperto
(camminamento di ronda), definito da saettiere e merlature.
Oltre il castello
Castello
non era solo l’edificio, ma la caratteristica di una città
a sua volta murata, per necessità o virtù. Il mare, da
sempre confine naturale e labile limes tra il "dentro" e
l’"oltre", non bastava certo a garantire la sicurezza ad una
città esposta e vulnerabile per tre quarti del suo perimetro.
Delle mura di Bari si conoscono le tracce rinvenute nell’area
settentrionale e più elevata della penisoletta, databili al IV
secolo a.C.; di mura urbiche parla già Orazio nella celebre Satira V («Bari moenia piscosi»), e Tacito nei suoi Annali
– quando ci racconta di due illustri prigionieri spediti a Bari a
scontare la loro pena – allude forse all’esistenza di una
consona fortificazione; il monaco Bernardo, proveniente dal monte
Gargano ed in viaggio verso la Terra Santa, giunse a metà del IX
secolo nella «Bari dei Saraceni (...) sita sulla costa, difesa a
mezzogiorno da due larghissimi muri, mentre a settentrione sporge alta
sul mare»; sulla solidità delle mura non c’è
dubbio, se i Saraceni – dopo averle attentamente studiate –
dovettero prendere la città con l’inganno scovando
passaggi nascosti. E se delle mura più antiche non restano che
labili tracce, di quelle medievali e rinascimentali – conservate
lungo il versante orientale del borgo – possiamo ancora percepire
l’abbraccio stringente, anche se il moderno nastro
d’asfalto ha interrotto per sempre il dialogo tra la città
e il mare, sulle cui acque la muraglia si ergeva senza intermediari
sino agli inizi del Novecento. Le mura vennero restaurate e rifatte tra
XV e XVI secolo, e dovettero essere il vero e proprio fiore
all’occhiello della città se, all’arrivo di Bona
Sforza nel 1556, si ritenne di dover ostentare la munificenza della
universitas cittadina facendole percorrere il tragitto fino al castello
costeggiando il tratto meridionale della cinta.
Il perimetro fortificato risultava scandito dalla presenza di quattro
torrioni, detti di San Domenico, del Vento, di S. Antonio e di Santa
Scolastica. Il fortino
Sant’Antonio Abate
è uno dei due sopravvissuti baluardi di difesa: doveva esistere
sin dal Trecento, almeno come torre, anche se le notizie più
fondate lo collocano in pieno secolo seguente identificandolo nelle
forme di un piccolo castello – detto "torre di S. Antonio" per la
presenza di una preesistente chiesetta dedicata a quel Santo –
con tanto di castellano e di presidio armato. Ebbe vita breve, a causa
della tradizionale insofferenza dei Baresi per questi segni "forti" del
potere, ma venne prontamente ricostruito nel Cinquecento
all’interno della massiccia campagna di lavori di ammodernamento
delle fortificazioni promossa dalla duchessa Isabella. Il fortino di
Santa Scolastica invece, «chè il più grande, e
più necessario di quanti n’ha la Città»,
è situato all’estrema punta settentrionale della
città antica e prese il nome dal complesso conventuale femminile
adiacente e fondato intorno al X secolo.
Dal punto di vista simbolico, è questo il luogo dove la storia
di Bari è maggiormente stratificata e ci riporta fino ai tempi
antichissimi del primo nucleo abitato. Qui, al di sotto dell’area
della chiesa e del monastero, le pietre parlano della città
greca e di quella romana e medievale, cui si uniscono le testimonianze
del villaggio preistorico rinvenute nella vicina area di S. Pietro. Su
questo lembo di terra, proteso sul mare, al quale la necessità
impose una barriera fatta di pietre, la vita di Bari era cominciata
già quattromila anni fa.
©2002 Stefania Mola (il testo è stato pubblicato nel sito Stupor mundi)