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CARBONARA DI BARI, RESTI DEL CASTELLO
a cura di Luigi Bressan
Originaria struttura castellare a destra dell'ingresso: ne rimane solo la parte inferiore.
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Conservazione: l'edificio, attualmente di proprietà di un privato, è ormai inglobato in strutture di epoche successive.
Come arrivarci: Comune autonomo sino al 1928, quando fu dichiarata frazione di Bari, oggi Carbonara è ora un quartiere del capoluogo (a sud, prima del quartiere Ceglie del Campo).
Della fortificazione di Carbonara (un castello o una torre baronale), di cui oggi rimangono labili tracce, poco o nulla è dato conoscere. Si è ipotizzato che la struttura, orientata con la facciata principale ad est, avesse tre piani: la base doveva essere costituita probabilmente da un alto zoccolo a scarpata. La sua storia potrebbe risalire all'XI secolo quando Boemondo, principe di Taranto, ne portò a compimento la costruzione unitamente ad altre strutture murarie. A tal proposito si dice che lo stesso principe avesse dato ordine ad un patrizio romano, certo Arrigo Tancredi, che fosse apposta una lapide commemorativa sull'ingresso del castello. Di tale iscrizione, come di una trascrizione documentaria del 1465, è andata persa ogni traccia, ed il tutto appare circondato da un alone di dubbi ed incertezze.
Stessi dubbi valgono per un episodio che si sarebbe verificato il 3 settembre del 1097, quando papa Urbano II avrebbe presenziato alla consacrazione di una chiesa nei pressi del castello. Una certezza sembra il fatto che, come afferma il Beatillo riportandone la fonte, nel 1117 a Carbonara risultava esserci un castello con annessi monastero e chiesa sotterranea.
Le prime notizie sicure sulla fortificazione risalgono invece alla metà del XIV secolo: nel 1348, ad opera di soldati baresi e ungheresi - questi ultimi venuti in Italia per vendicare l'assassinio di Andrea d'Angiò, re d'Ungheria e marito di Giovanna I, distruttrice del castello - dagli spalti fu gettato giù l'ultimo gruppo di strenui difensori locali, comandati dal signore di Carbonara, un certo Macciotta. Dopo di ciò il silenzio.
©2002 Luigi Bressan. Il video non è stato realizzato dall'autore della scheda.