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BICCARI, TORRE DI TERTIVERI

a cura di Anna Castellaneta

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Lato Nord. In basso, a sinistra: il lato ovest; al centro: il lato sud; a destra: est.

   

 

Il lato sud-ovest  Interno nord  Interno sud  Reperto inedito


Epoca: XI-XIV secolo.

Posizione geografica: Tertiveri è una piccola frazione distante circa 5 Km da Biccari, in provincia di Foggia, a circa 30 chilometri dal capoluogo, a 400 metri s.l.m.

Conservazione: pessima, in totale stato di abbandono e degrado.

Come arrivarci: A14 uscita Foggia, SS16 per Bari, SS17 per Lucera-Campobasso, proseguire sulla provinciale per Biccari; A14 uscita Candela, SS161 per Castelluccio dei Sauri, seguire indicazione Troia-Lucera, deviazione per Biccari.

Come visitarlo: a piedi, dopo l’attraversamento dei terreni agricoli.

 

Cenni storici. Tertiveri: da città vescovile a village déserté.

«Turtiboli o Tortibari o Turiboli or Tertiveri, da Bogiano, che forse la fondò con Troja, ed altri Municipj (…), o da altri Greci, fu detta, perché su que’ monti, quos torret Atabulus, quel vorticoso, estuante Libeccio, che spira di là, da Volturara, e Volturino (…), quasi tor-ta-boli, o torret boli abbreviato da torret ατηνβολυ. E se quel vento Atabolo dicesi da ατην damnum e βολις Jacio»: così Matteo Fraccacreta, storico, antiquario e poeta della prima metà del XIX secolo, menziona Tertiveri nella sua opera di descrizione della terra di Capitanata, e ne accosta il nome dell’insediamento al vento atabolo, ossia un vento di libeccio che, «estuante (…) e dannoso», ancora oggi soffia sul “moderno borgo rurale” di Tertiveri situato nell’agro di Biccari, da cui dista circa 5 km.

A meno di un chilometro dall’odierno borgo, in prossimità dell’incrocio della strada provinciale che da Lucera porta ad Alberona e a Biccari, su una collina che supera di poco i 400 m. s.l.m., sorge la torre di Tertiveri, solitaria e silenziosa fra i campi di grano, martoriata nelle sue vestigia squarciate, sventrata fino all’anima dall’indifferenza, circondata tutt’intorno da sassi levigati e ciottoli di mattoni, come lacrime cadute da quei muri erosi dal tempo, ultima testimonianza dell’antica città vescovile.

La storia dell’antico insediamento di Tertiveri è lacunosa, le notizie sono giunte per cenni e, di grande importanza, in questo caso, è il confronto storico con i siti coevi, quali Montecorvino e Castelfiorentino, avendo gli stessi una probabile origine di fondazione in comune.

Le fonti ci parlano di Basilio Boioannes, il cui titolo di catepano diviene anche il nome della Puglia settentrionale, a ricordo indelebile della presenza bizantina e della sua opera di riorganizzazione di un territorio che, subito dopo il Mille, in una fase definita dagli storici come “seconda colonizzazione bizantina”, mirava alla sua rioccupazione dopo secoli di spopolamento, con l’intento di rinforzare la linea di frontiera che separava il Tema di Longobardia bizantino dal principato beneventano longobardo. Quindi attraverso la costruzione di una linea di difesa lungo i punti strategici delle colline del Subappennino Dauno e sugli altipiani del Fortore, nacquero le città di frontiera più grandi dei castra, con la funzione di controllare un vasto territorio: così, accanto ai siti più antichi di Lucera, Ascoli e Bovino fondò le nuove città di Civitate, Dragonara, Fiorentino, Montecorvino, Troia, Biccari e Tertiveri.

Non sempre, però, si trattava di fondazioni ex novo, quanto piuttosto del recupero e rafforzamento di siti già esistenti e occupati nel passato: ancor prima del riordinamento territoriale del Catepano le fonti citano Tertiveri quale diocesi suffraganea già nel 969 nominata da papa Giovanni XIII. Pertanto l’opera di Boioannes si realizzava su siti sicuramente preesistenti che avevano conosciuto una fase di destabilizzazione sociale procurata dagli avvenimenti bellici della prima e seconda colonizzazione bizantina.

Quindi, la fondazione delle nuove città di frontiera di Capitanata obbediva ad un preciso progetto, che vedeva la scelta del sito e l’urbanistica i due motori fondamentali per la creazione della nuova realtà: la realizzazione di una vera e propria “frontiera artificiale”.

La loro costruzione ebbe come fine la colonizzazione e l’amministrazione di un territorio dell’impero fino a quel momento poco popoloso; ed attraverso l’installazione di alcuni presidi fortificati minori, la linea di frontiera divenne un efficace strumento di contenimento della pressione militare longobarda. La scelta del sito avvenne in maniera razionale, con la dislocazione delle città in maniera tale da creare due linee parallele tanto vicine le une con le altre da essere visibili otticamente.

Il centro abitato divenne l’espressione di una nuova realtà politica, sociale e soprattutto economica, ossia quel luogo di concentrazione delle attività produttive dove si accumulavano e si commercializzavano i prodotti agricoli, dove veniva amministrata la giustizia e dove risiedeva il “vescovo”.

Pertanto, accanto alla sistemazione strategica, Boioannes si adoperò per una riorganizzazione ecclesiastica dotando i nuovi centri di nuovi vescovati filobizantini: Troia divenne il centro più importante, grazie soprattutto alla sua posizione lungo la valle del Cervaro, la quale rappresentava la migliore via di transito fra la Puglia ed il Beneventano.

Come per Troia, anche Tertiveri viene dotata di sede vescovile e nel corso dell’XI secolo divenne suffraganea della Diocesi di Benevento. A testimonianza di ciò, sulla porta bronzea del Duomo di Benevento (la Jeuva Major, datata 1180) fra le 72 formelle che narrano i Vangeli, ancora oggi è possibile vedere le insegne dell’antica diocesi di Tertiveri.

L’antica città vescovile di Tortiboli, pertanto, sorgeva sulla collina in una posizione privilegiata in quanto naturalmente difesa e rivolta verso due versanti corrispondenti alle vallate del torrente Vulgano e del Salsola.

A ciò occorre aggiungere la posizione logistica e l’ottima visibilità dei siti limitrofi quali Troia e Montecorvino, che fanno del sito di Tertiveri un ottimo strumento di controllo dell’area centro-settentrionale del subappennino Dauno.

Di non minore importanza è lo sfruttamento dei suoi fertili suoli per le coltivazioni cerealicole, degli uliveti e vigneti, tutto a beneficio degli interessi economici della diocesi di Benevento: in un documento datato 24 gennaio 1058, papa Stefano IX da Montecassino confermava all’arcivescovo Ulderico di Benevento tutti i diritti (economici) e le chiese, fra cui quella di Tertiveri, sancite già nel privilegio di papa Vitaliano. La conferma della dipendenza della diocesi di Tertiveri da quella di Benevento, che a partire da questa data è documentata dalle fonti, non subisce sostanziali cambiamenti in un momento di transizione politica per la storia della Capitanata, con la fine del dominio bizantino e l’arrivo dei normanni. I nuovi dominatori furono in grado di sfruttare abilmente la ristrutturazione amministrativa ed economica operata dai bizantini, che determinò fra l’altro, un incremento di popolazione.

Interesse dei nuovi dominatori è quindi riutilizzare le infrastrutture già esistenti e rafforzare quelle caratterizzate da posizione strategiche, dotandole di tutte quelle strutture che favorissero l’incastellamento, espressione del nascente feudalesimo.

Di grande importanza per i nuovi dominatori, inoltre, è l’aspetto logistico, la possibilità di tenere stretti contatti fra le diverse guarnigioni e, di conseguenza, il totale controllo del territorio sia in caso di sosta che di transito. Da qui la costruzione di una rete di “torri” dalle caratteristiche simili: base quadrata, eretta su una robusta scarpata, isolata qualche volta da un fossato, accessibile dal primo piano, su modello del donjon. Non sappiamo se Tertiveri fosse stata dotata di una simile costruzione: tuttavia i resti del rudere della torre (che riassume in sé alcune delle menzionate caratteristiche) ci porta a presumerne la presenza.

Occorre anche individuare quale dinamica del potere abbia determinato lo sviluppo dell’insediamento e quali gruppi sociali abbiano detenuto il controllo delle risorse economiche: le fonti più antiche riferiscono di Tertiveri quale sede vescovile dipendente dall’arcidiocesi di Benevento, per cui la conclusione più ovvia ci riporta alla predominanza di un potere di natura religiosa, ossia il vescovo.

La cronotassi dei vescovi di Tertiveri è lacunosa: le fonti ci hanno restituito poche informazioni, talvolta riportate in modo occasionale e legate soprattutto alla narrazione breve di eventi di qualche rilevanza, tanto da essere appuntate dal cronista. Il primo nome certo riportato è Landolfo, deposto nel 1067 da papa Alessandro II con l’accusa di simonia e fornicazione.

Nella prima metà del XII secolo Tertiveri venne concessa in feudo al conte Filippo (o Roberto) di Civitate, il quale, in proporzione al numero degli abitanti del feudo, doveva impegnare un certo numero di soldati in caso di guerra, nel caso specifico quattro: «Turribulum feudum quatuor militium».

Nel Codice Diplomatico dei Saraceni di Lucera, Pietro Egidi narra che «fres sacre domus militie Templi», ossia i Templari di Alberona, nel 1296 avevano dei possedimenti a Tertiveri per praticare l’allevamento di suini: «certam quantitatem porcorum (…) pascentium unibi iuxta et antiquum».

Nel Quaternus Excadenciarum di Federico II si accenna al territorio di Tertiveri senza alcun particolare risalto. Durante il suo regno, l’antica città di frontiera continuò ad assolvere la sua funzione strategica: le fonti riportano la notizia della deportazione a Lucera (dopo il 1220) dei ribelli musulmani dalla Sicilia, all’incirca 15.000/20.000 persone fra uomini, donne e bambini, impegnati sia come braccianti agricoli per dissodare i fertili terreni destinati alla produzione di frumento e orzo, sia come artigiani di alto livello (dalla ceramica alla realizzazione di armi), ed infine impegnati come militari “professionisti” al servizio dell’imperatore. Si era creata così un’enclave musulmana sparsa su un vasto territorio, il quale comprendeva Tertiveri come avamposto a pochi chilometri da Lucera. Un’enclave, quindi, di forte impatto sulla compagine sociale ed etnica del territorio, poiché la loro presenza ha determinato una vera e propria “espulsione volontaria” dei cristiani, i quali preferirono vivere lontano dalla religione e dagli usi e costumi musulmani.

La presenza dei musulmani a Tertiveri è confermata dalle fonti anche in epoca angioina: queste riportano la notizia della concessione da parte del re Carlo II d’Angiò, avvenuta ne 1296 con atto solenne e dalle stesse mani reali, del feudo di Tertiveri ad Abd el Aziz, definendola «masseria rurale a pochi chilometri dalle mura di Lucera». Tale concessione era motivata dagli «utilia et accepta servicia que adelasisius… prestit hactenus, prestat ad presens et prestare poterit in futurum». Abd el Aziz, signore del feudo di Tertiveri, utilizzò solo lavoratori musulmani per le attività del suo feudo, i quali si insediarono stabilmente («Donec idem milea tenimentum ipsum tenuerit, non habitent in eo aliqui cristiani, nec ipsos in loco predicto recolligere pro mancione facienda audeat ullo modo»). Fra l’altro, lo stesso entrerà in conflitto con i Cavalieri Templari di Alberona già menzionati, proprio per il pascolo dei loro maiali nel territorio di Tertiveri in quanto i confini fra le due proprietà erano piuttosto labili ed incerti. Tuttavia, sebbene l’arabo abbia abiurato pubblicamente la fede musulmana e fattosi battezzare con il nome di Nicolaus, con l’epurazione angioina dell’agosto del 1300 i beni di Abd el Aziz furono confiscati e passati a Giovanni Pipino di Barletta, mano armata al servizio della cristianità in Capitanata.

Nel Quaternus de reparacione castrorum nostrorum (1280 circa) inerente alla consuetudini (normanno-sveve) circa la riparazione da apportare ai castelli presenti nel regno, il castello di Tertiveri era in condizioni tali da necessitare di interventi edili da eseguire con l’utilizzo di operai in loco: lavori di ristrutturazione che mettevano in luce una situazione di decadenza di alcuni insediamenti, avviata negli anni precedenti, proprio in epoca sveva. In piena età angioina, Tertiveri appare come una masseria, ossia un’azienda agricola, un’unità economica analoga a tante altre possedute dai re, o dalle abbazie o dagli ordini ospedalieri e militari.

Le cronache attestano la presenza di un vescovo a Tertiveri sino al 1450, ma ciò ci porta a ipotizzare ad una presenza occasionale, in quanto la Diocesi nel 1425, divenuta ormai di modeste dimensioni, venne soppressa ed accorpata a quella di Lucera. Una soppressione dettata sicuramente dal declino dell’antica città medievale (e di conseguenza al progressivo spopolamento dell’insediamento), la cui causa è da individuarsi anche dal venir meno dell’esigenza di controllo capillare di una frontiera non più necessario, proprio perché unificato sotto un’unica corona.

Nel 1456 Tertiveri venne distrutta da un terremoto devastante, seguito probabilmente dalla sua ricostruzione se in un documento datato 1581, è menzionato come feudo dei duchi Pignatelli di Montecalvo.

Nei secoli successivi Tertiveri è definita come una posta dei territori destinati al pascolo, cioè una zona riparata in cui gli ovini potevano trascorrere la notte o stanziare nel periodo invernale: un documento rogato nel 1625 recita: «Don Giovanni Battista Pignatello duca di Montecalvo, possessore del feudo di Tertiveri, per l’erbaggi d’esso feudo per li suoi animali sin come si dà locati, e pagamento di fida».

Il 30 luglio del 1627, un nuovo terremoto devastò il territorio di Capitanata e il beneventano: molti centri (S. Severo, Torremaggiore e Lucera) furono completamente rasi al suolo: Tertiveri subì la medesima devastazione.

Con ogni probabilità dell’antica città vescovile, già ormai in piena decadenza, non sarà rimasto più nulla e si sarà avviato quel processo di trasferimento in pianura.

Agli inizi del Novecento tutta la proprietà, ivi compresa la Torre, definita nel Registro del Catasto come immobile di destinazione agricola, è stata acquisita dai residenti dell’odierno borgo rurale come pertinenza dei terreni agricoli ivi circostanti.

L’antica sede vescovile suffraganea di Benevento sta rivelando le sue prime tracce archeologiche grazie alle prospezioni geomagnetiche eseguite dall’Università di Treviri (prof. Clemens) e alle ricerche dell’Istituto Storico Germanico di Roma (prof. Matheus): sono state individuate due chiese nelle immediate vicinanze della torre, di una parte della cinta muraria ad est e ad ovest della stessa, e di una strada. La prima chiesa è collocata a circa 35 metri dalla torre, in direzione della facciata ovest: ha una pianta a tre navate, con abside, transetto e torre campanaria.

La seconda chiesa è collocata sul versante sud-est, anch’essa a pianta rettangolare, a tre navate con abside.

Inoltre, in prossimità della prima chiesa, che si presume essere la cattedrale dell’antica città vescovile, sono state individuate numerose deposizioni funerarie, riferibili ad un antico cimitero. Difatti, ancor prima di tale indagine scientifica, le fonti orali raccolte hanno riferito la presenza di un cimitero, grazie all’affioramento di evidenti resti di ossa umane (immediatamente occultati) durante i lavori agricoli. L’ultima ricognizione geomagnetica (settembre 2010) ha invece rivelato la presenza di un imponente edificio, probabilmente il palazzo vescovile.

Per saperne di più

·        M. De Santis, La civitas troiana e la sua cattedrale, Napoli 1976.

·        G. De Troia, Foggia e la Capitanata nel Quaternus Excadenciarum di Federico II di Svevia, Fasano 1994.

·        P. Egidi, Codice Diplomatico dei Saraceni di Lucera, Napoli 1917; Id., La colonia saracena di Lucera e la sua distruzione, Napoli 1912.

·        P. Favia, Temi, approcci metodologici e problematiche della ricerca archeologica in un paesaggio di pianura in età medievale: il caso del Tavoliere di Puglia, in N. Mancassola, F. Maggioro (a cura di), Medioevo, paesaggi e metodi, Mantova, 2006; Id., Itinerari di ricerca archeologica nel Medioevo in Capitanata: problemi scientifici, esigenza di tutela, programmi di politica dei beni culturali, in Itinerari di ricerca archeologica. In ricordo di Marina Mazzei. Atti delle giornate di studio (Foggia, 19-21 maggio 2005), Bari 2008.

·        M. Fraccacreta, Teatro topografico storico poetico della Capitanata e degli altri luoghi più memorabili e limitrofi della Puglia, Napoli 1828-1834.

·        J. M. Martin, Une frontière artificielle: la Capitanate italienne, in Actes du XVIe Congrés International des Etudes Bizantine (Bucarest 1971), Bucarest 1975; Id., J. M. Martin, Insediamenti medievali e geografia del potere, in  Capitanata medievale, a c. di M. S. Calò Mariani, Foggia 1998.

·        J. M. Martin, G. Noyé, La Capitanata nella storia del Mezzogiorno medievale, Bari 1991.

·        R. Licinio,  Castelli medievali. Puglia e Basilicata dai Normanni a Federico II e Carlo I d'Angiò, Bari 1994 (Bari 2010); Id., Masserie medievali. Masserie, massari e carestie da Federico II alla Dogana delle pecore, Bari 1998.

·        E. Sthamer, L’amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I d’Angiò, 1914, ed. it. Bari 1995.

  

   

  

©2011 Anna Castellaneta

   


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