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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI ORISTANO
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
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«Secc. VI-XIII - La posizione del castello di Barumele va inquadrata nell'ambito della sua storia e di quella della Sardegna, a partire dal tempo di Giustiniano e comunque dal periodo bizantino, come rivelano i ruderi del medesimo. Si tratta di un castello particolare, dalla singolare planimetria, formata da parti costruite in tempi differenti, come la cinta muraria subcircolare di età bizantina, la torre decagonale (come ha rilevato in tempi recenti l'arch. Maura Falchi) di età giudicale, i bastioni di fortificazione aragonesi. La storia del castello va ricostruita infatti, oltre che con le poche notizie tramandateci in scarni documenti, soprattutto grazie ai resti architettonici, più loquaci della carta. Se pur brevemente si sono confrontati con Barumele, storici come il Fara, l'Angius, Lamarmora, Nieddu, Carta-Raspi, Fois, Casula e documenti come il Condaghe di Bonarcado, atti di pace, testamenti, donazioni. Il castello prende il nome da Villa Barumela, attestata nel testamento di Ugone II (1335) ove è citata la chiesa e nell'atto di pace del 1388 tra Eleonora D'Arborea e Giovanni d'Aragona e fu certamente abitato fino al 1511 ca. La villa sorgeva a sud del castello nel piano sottostante alla collina, ove sono stati rinvenuti resti di ceramica bizantina del VI sec. d.C. e probabilmente vantava più di una chiesa. Il colle ove sorge il castello vide la presenza dell'uomo fin dal VI millennio a.C. , come attesta una vicina stazione per la raccolta di ossidiana. La fortezza di Barumele nasce sotto Giustiniano o al più tardi nel VI sec. d.C. allo scopo di difendere il confine tra barbaricini e bizantini, in un'epoca in cui questa linea giunse fino a Usellus e Ales divenne paese di frontiera. Il castello dunque a 325 m. slm, cinto da robusta cortina muraria a duplice parametro in blocchi squadrati di arenaria, con una porta monumentale in conci di calcare a SO della muraglia, controllava la strada per Laconi. L'area interna della fortezza è di 1190 mq. Agli albori del IX sec. venne ereditato dai Re d'Arborea, insieme agli stessi problemi dei bizantini, in quanto Usellus veniva costantemente presa d'assalto dai barbaricini, fino alla completa distruzione e lo rinforzarono con il bastione semicircolare che gli elementi costruttivi fanno risalire al periodo romanico. Esso è costruito con un certo gusto decorativo che ricerca l'alternanza cromatica dei blocchi di arenaria, ora verdi, ora dorati, ora avorio. Ciò accade intorno al 1182, data in cui i documenti citano per la prima volta un Vescovo di Alae (Comita Pais) in un diploma di Barisone I, Re/Giudice d'Arborea. In epoca più avanzata (XIII sec.) lo adeguarono a nuovi scopi, ovvero come seconda linea di difesa dalle incursioni aragonesi del decaduto Giudicato di Cagliari. Il bastione poligonale matrice gotica, va invece datato alla fine del XIII sec. tempo di Mariano II d'Arborea. Misura alla base 7.40 mt, con un'altezza residua di 8,30 mt, spessore murario 2,40 mt. Con l'avvento dei catalano-aragonesi nel 1410 anche il castello di Barumele passò ai Carròs, di origine visigotica, i quali si imparentarono con gli Arborea, retrocessi a Marchesi. Dalla nuova famiglia nacque Violante Carròs nel 1456, personaggio controverso che ereditò l'intera contea di Quirra (marchesato solo dal 1604), sepolta in San Francesco a Stampace (Cagliari), legata al castello e ad Ales perché ne finanziò la Cattedrale, ma soprattutto perché ordinò l'esecuzione del parroco di Bonorcili, Giovanni Castangia, impiccato alla finestra del castello o di altra di lei residenza in Ales. Per questo delitto subì il carcere e fu perdonata nel 1510 da Ferdinando II. Con la sua morte avvenuta qualche anno dopo inizia la decadenza del castello. La planimetria è interamente ricostruibile. Nel crollo, resti della copertura la danno a falda inclinata verso l'interno per la raccolta dell'acqua piovana nella cisterna ancora visibile. L'unica opera attribuibile agli aragonesi è la bastionatura che cinge la cortina muraria».
http://www.geosearch.it/s_59/Ales/siti-storici-culturali/Castello-di-Barumele.php
«Oggi piccolissimo centro ai piedi dello spettacolare Monte Grighine, Allai nel passato punto di diverse e antichissime civiltà: conserva ancora un “Ponte Romano” e insieme a torri nuragiche, tombe dei giganti, domus de janas, è stato ritrovato un petroglifo di un omino orante e gli unici esemplari di statue- menhir. Allai si trova a 60 metri s.l.m., immersa nello spettacolare e incantevole panorama del Monte Grighine e del Rio Massari. “Allai”deriverebbe dal semitico el- alah, “luogo divino”, “casa di Dio”. E un centro molto antico e le prime tracce risalgono alla preistoria. Si possono visitare numerosi siti archeologici di età prenuragica, nuragica, romana e medioevale. Testimoniano questa presenza le diverse domus de janas, le numerose statue-menhir, i resti di nuraghi. Fece parte della Curatoria del Barigadu fino al XIII secolo, poi appartenne al Marchesato di Oristano, seguendo le vicissitudini di tutti i paesi del Barigadu. All’ ingresso del paese sono visitabili i resti di un ponte a sette arcate, in parte romano e in parte medioevale, restaurato da Barisone I d’Arborea nel 1157,come attesta un’epigrafe rinvenuta durante i lavori di restauro».
http://spazioinwind.libero.it/s_2k/allai/doc/paese.html
«Piccolo borgo rurale ai piedi della Giara di Gesturi, Assolo è immerso nella fitta vegetazione delle colline della Marmilla. Tutto intorno al paese una serie di boschi di lecci e roverelle secolari, che lasciano spazio a piccole strade, come la Scala Cabirada o la Scala Argiolas, che conducono alla Giara. Il paese, per le sue peculiarità, ricorda un borgo dell'Ottocento, sfuggito all'urbanizzazione spesso selvaggia dei giorni nostri. Non è raro incontrare lungo le strade del centro storico antiche case, caratterizzate da imponenti portali e tipici...».
http://www.sardegnaturismo.it/it/punto-di-interesse/assolo
«Il castello di Medusa è equidistante da Samugheo e Asuni. Per raggiungerlo si lascia la SS 131 poco prima di Uras, prendendo la SS 422. Superato l'abitato di Nureci si imbocca a s. la SP 38 verso Asuni. Dopo qualche km si avvista il castello. Il castello di Medusa sorge a picco sulla gola formata dal Riu Araxisi. Scendendo più a valle questo fiume diventa Riu Majori e dà vita alla gola di "Mitza sa canna", dalle pareti calcaree ricche di grotte e vegetazione. L'importanza della fortificazione dipendeva dal ruolo di controllo del territorio e di protezione dalle scorrerie operate dai barbaricini che abitavano l'interno della Sardegna, a danno dei ricchi centri della pianura e della costa. Le indagini archeologiche hanno permesso di datare la prima fase dell'insediamento nel castello di Medusa al IV-V secolo d.C. Una seconda fase si colloca nel VI secolo, mentre la terza risale al VII-VIII secolo. Le strutture più recenti sono state realizzate tra il X ed il XII secolo. La prima menzione archivistica potrebbe rintracciarsi in un documento del 1189, nel quale si fa riferimento a un Castrum Asonis che è probabilmente da identificare con la stessa struttura fortificata. In quell'anno il castello fu ceduto dal giudice Pietro I d'Arborea al comune di Genova e dopo poco recuperato dal sovrano dietro la promessa di un ingente pagamento. I resti materiali della fortificazione sono immersi in una fitta vegetazione, che ne rendono difficoltosa l'analisi in dettaglio. Restano solo tratti delle mura, che dovevano recingere un'area di circa 540 mq, una cisterna, e i resti di due torri. Numerose leggende circolavano e circolano tutt'ora sulla presenza, nel castello, di una fantomatica regina Medusa. Curiosa è fra l'altro la vicenda, a metà strada fra realtà e fantasia, narrata in un documento dell'Archivio di Cagliari. Durante la detenzione in un carcere piemontese nel XIX secolo un bandito, tal Pietro Perseu, raccontava di come durante la sua latitanza fosse capitato tra le rovine del castello di Medusa e, scendendo una scala di marmo, si fosse ritrovato in una sala meravigliosa piena di gioielli, armi e oggetti di valore. Il bandito scrisse al Ministro chiedendo la grazia nel caso fosse riuscito a trovare la stanza del tesoro, ma una volta accompagnato sul posto non ritrovò né le scale né la sala, non ottenendo la grazia e nemmeno riuscendo a fuggire».
http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=17855&v=2&c=2488&c1=2125&visb=&t=1
BARATILI SAN PIETRO (borgo, torre campanaria)
«Piccolo paese di circa 1250 abitanti, situato in una zona popolata fin dall'antichità per la presenza nelle vicinanze dello stagno di Cabras, preziosa fonte di cibo e sostentamento. La località in cui sorge l'abitato prende il nome di "Sa Paui de Boatir" per la presenza di una piccola palude, oggi bonificata, nella quale in passato era possibile pescare piccoli muggini e anguille.Secondo la tradizione il paese sarebbe stato fondato da due pastori di Seneghe, che costruirono qui le loro capanne in tempi remoti; le prime notizie certe sull'esistenza del piccolo borgo di Baratili risalgono invece al 1157, quando Barisone, giudice di Arborea, donò alla sua sposa la corte di "Oiratili".Il paese appartenne nel medioevo al Giudicato di Arborea, in seguito fece parte del Marchesato di Oristano poi, dopo essere divenuto territorio regio, nel XVIII secolo fu ncorporato nel Marchesato di Arcais. Nel centro storico del paese si trovano diverse abitazioni dei secoli scorsi, con le finestre e le porte intagliate e decorate con tecniche diverse: qui possiamo ammirare il particolare intaglio "a fiamma" di tradizione islamica, diffuso nell'oristanese dai maestri catalani. Questi edifici, di grande interesse architettonico, adeguatamente valorizzati potrebbero costituire una risorsa di valore per lo sviluppo turistico della zona. ... Sul lato destro [della chiesa parrocchiale] svetta l'elegante torre campanaria (realizzata nel 1912) interamente costruita in pietra arenaria chiara: ad ogni piano colpiscono le belle bifore che danno luce e bellezza al campanile».
http://www.oristanosardegna.eu/index.php/i-comuni-della-provincia/14-comune-di-baratili-san-pietro
BARESSA (borgo Atzeni, torre campanaria)
«Piccolo centro della Marmilla situato a 169m sul livello del mare è un paese agro-pastorale, a sud del suo territorio sono visibili le rovine del villaggio di Atzeni, fondato nel medioevo su un precedente insediamento punico-romano ed abbandonato nel XVIII secolo. ... La chiesa parrocchiale di S.Giorgio fu edificata nel lontano 1600 su una precedente chiesa, sempre consacrata a S.Giorgio. La stessa, pur avendo subito nel tempo numerosi ampliamenti e completamenti, costituisce importante patrimonio storico e monumentale per l'abitato di Baressa. ... La torre è a pianta quadrata con cella campanaria e coperture del tipo a cuspide, composta da due falde inclinate con rivestimento in coppi alla romana, mentre la cuspide del campanile è rivestita con piastrelle di grès color rosso. Sulla facciata sono presenti cornicioni e lesene in pietra tufacea a vista disposte con uno sschema compositivo semplice e lineare».
http://www.sardegnanelweb.com/comuni-oristano/176-baressa.html
«Posto sulla sponda orientale del Lago Omodeo ad un’altitudine di circa 260 metri, il piccolissimo centro del Barigadu conta appena 168 abitanti, buona parte dei quali dediti alle attività agricole e all’allevamento.I ritrovamenti nel territorio indicano che la zona fu abitata fin dall’età nuragica, ma il nucleo originario del paese sorse intorno all’XI secolo nei pressi di un monastero di monaci Benedettini; uno dei documenti più antichi che ne provano l’esistenza è l’atto di donazione del villaggio da parte del giudice Barisone di Arborea alla sua sposa. Nel Medioevo il borgo apparteneva al giudicato di Arborea nella curatoria di Parte Guilcer poi, in seguito alla caduta del giudicato per mano degli Aragonesi, divenne feudo dei De Ligia; dopo varie vicissitudini, in epoca spagnola e sabauda fece parte del patrimonio regio, per divenire poi feudo dei Todde e successivamente dei Pes, ai quali fu riscattato dopo l’abolizione dei feudi, nel 1839. ...».
http://www.oristanosardegna.eu/index.php/i-comuni-della-provincia/17-comune-di-bidoni
«Il paese, che si estende a 282 metri di altitudine sulle pendici a sud-est del monte Ferru, ha una popolazione di 1736 abitanti ed una superficie territoriale di 29,54 km quadrati, per la maggior parte di tipo collinare. Le sue origini risalgono all'epoca preistorica, ma è solo nella prima metà del XII secolo che Bonarcado acquistò importanza e prestigio, grazie alla donazione da parte del giudice di Arborea al monastero di Montecassino della chiesa di San Giorgio: a partire da allora il paese divenne un importante centro religioso e il suo nome è ancora oggi legato a quello del Santuario della Madonna di Bonacattu, uno dei più noti della Sardegna. Grazie ai monaci del complesso religioso, che tenevano minuziosamente la contabilità del patrimonio eclesiastico e registravano quotidianamente nel "Condaghe" gli avvenimenti principali, oggi abbiamo a disposizione un'ineguagliabile fonte di informazioni sul Medioevo in Sardegna, con preziose notizie riguardanti i paesi della zona dal 1100 fino alla metà del secolo successivo. Dopo il Medioevo il borgo, che apparteneva alla curatoria del Campidano di Milis, iniziò lentamente a decadere: venne incorporato prima nel marchesato di Oristano, poi tornò a far parte del patrimonio della corona e in seguito passo sotto il controllo del ricchissimo commerciante oristanese Damiano Nurra, meglio noto come marchese d'Arcais. ... Situato a meno di un chilometro di distanza dalle ultime case del paese, il ponte medioevale a tre luci è molto ben conservato: presenta la caratteristica struttura a dorso d’asino».
http://www.oristanosardegna.eu/index.php/i-comuni-della-provincia/18-comune-di-bonarcado
BOSA (castello di Serravalle o dei Malaspina)
«Si abbandona la SS 131 all'altezza di Macomer, svoltando al bivio per Bosa, che si raggiunge dopo 29 km percorrendo la 129 bis. L'abitato di Bosa si stende sulle rive del fiume Temo, inerpicandosi con le abitazioni lungo il pendio del colle alla sommità del quale fu edificato il castello di Serravalle. Il nucleo originario della città si trovava sempre lungo il Temo, ma più all'interno, nel sito della chiesa di San Pietro extra muros. L'attuale cittadina di Bosa, con i palazzi e le chiese del centro storico, il castello e l'ex cattedrale romanica di San Pietro extra muros, le antiche concerie lungo il Temo, è uno dei luoghi fluviali di maggiore attrazione turistica in Sardegna, ricco di emergenze storico-artistiche. Il suo centro storico corrisponde a Bosa "nova", rifondata sulle rive del fiume Temo in prossimità del porto fluviale. Proprio a partire dal fiume il borgo si espande fino a giungere alle pendici della collina, dove si colloca il rione sa Costa, alla cui sommità fu costruito il castello di Serravalle. Nei pressi della cattedrale di San Pietro, sulla riva opposta del Temo, si trova il nucleo di Bosa "vetus", centro originario dell'abitato di Bosa. A 81 metri s.l.m. si erge il castello di Serravalle. Comunemente denominato castello dei Malaspina, deve questo appellativo alla tradizione secondo cui sarebbe stato costruito nel 1112 dall'omonima famiglia di nobili toscani trapiantati nell'isola alla metà dell'XI secolo. L'intero complesso del castello di Serravalle occupa un ettaro, all'interno del quale si colloca il castello vero e proprio, dell'ampiezza di 2000 mq. La fortificazione è ancora oggetto di studi e scavi archeologici per ridefinirne chiaramente la cronologia e gli interventi. Si è soliti individuare tre fasi cronologiche distinte a partire dal primo impianto, forse nel XII secolo, a cui apparterrebbero parti del muro a nord comprendente una torre. Degli inizi del XIV secolo sarebbe la ricostruzione della torre N/E, tipologicamente assimilabile alle torri dell'Elefante e di San Pancrazio, a Cagliari, erette tra il 1305 ed il 1307. La torre è realizzata in vulcanite chiara, priva di merli, ma terminante in una serie di mensole sporgenti. Era divisa in tre piani. Successivamente sarebbe stata costruita la grande cinta di mura che include sette torri di diversa forma, cinta che oltre a difendere il castello vero e proprio racchiude anche la chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos. Recenti scavi rivoluzionerebbero la cronologia del sito, ascrivendo a epoca successiva alla conquista arborense la realizzazione delle strutture oggi visibili. Tuttavia è necessario attendere il completamento di questi studi per rivedere la storia del castello di Bosa, monumento complesso non solo per le stratificazioni al suo interno, ma anche per le vicende storiche che lo caratterizzarono».
http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=17803&v=2&c=2660&c1=2635&visb=&t=1
«La torre, costruita sul promontorio di Punta Argentina a 33 metri s.l.m., è anteriore al 1578 e aveva il compito di avvistare e segnalare l’arrivo del nemico. è costituita da un solo piano con volta a fungo e vi si accedeva tramite un ingresso collocato a tre metri dal suolo. Era presidiata da un alcade e due soldati e dotata di tre fucili ed un piccolo cannone; inoltre è in collegamento visivo con la torre di Bosa, più a sud, e di Colombargia».
http://www.bosaweb.it/le-torri-di-bosa.html
BOSA MARINA (torre spagnola o aragonese, o Tentizzos, o dell'Isola Rossa)
«La torre di Bosa, o "Torre Aragonese", è una costruzione aragonese della cittadina di Bosa, situata nella Sardegna nord-occidentale tra Alghero e Oristano. Risalente al XIII secolo circa. Fu creata per difesa della costa e della foce del fiume Temo al fine di contrastare e scoraggiare le incursioni dei Saraceni. La torre è situata sull'Isola Rossa, una piccola isola distante poche decine di metri dalla costa sabbiosa da Bosa, ma in tempi lontani ma non troppo (prima metà del 1900) è stata collegata alla riva con un braccio di cemento che offre una passeggiata al di sopra di esso. ... La torre è grande e imponente con delle piccole feritoie per finestre, la porta è rialzata di qualche metro da terra per evitare l'accesso ai nemici. Al di sopra della torre c'è una terrazza. Ovviamente ora non svolge più il compito per la quale è stata edificata, tuttavia al suo interno è presente un museo».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Bosa
«Antico capoluogo della curatoria medievale di Parte Barigadu, Busachi si dispone su un pendio ad anfiteatro dal quale lo sguardo si apre verso la valle del Tirso e le colline del Montiferru. È suddiviso in tre rioni storici: Busache 'e susu, Busache 'e josso e Campu Maiore. Il primo è il più antico, il nucleo originario, nel quale ebbero la propria sede le istituzioni più importanti. Busache 'e josso, secondo la tradizione, nacque quando gli abitanti di Camputzei, villa situata più a valle, cercarono un luogo più salubre in cui vivere. Il rione di Campu Majore è infine quello di più recente formazione. L'aspetto del centro urbano è assai caratteristico, con le strade orlate da case d'abitazione e piccoli palazzi, tutti costruiti nella trachite locale, dal caratteristico colore rosso-rosato che assume sfumature particolarmente accese quando il sole lo illumina. Anche la maggior parte delle case più recenti rispetta la tipologia edilizia locale ed impiega come materiale da costruzione la trachite, grazie ad una scelta politica intelligente che ha imposto il rispetto delle antiche tradizioni costruttive. ... In età medievale Busachi fu compreso nel Giudicato di Arborea e, dopo Fordongianus, divenne il capoluogo della curatoria di Parte Barigadu».
http://www.sardegnaturismo.it/it/punto-di-interesse/busachi
CABRAS (torre di San Giovanni di Sinis a Tharros)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La torre di S. Giovanni, così denominata per essere vicina alla chiesa di San Giovanni di Sinis, fu costruita tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo sulla sommità dell’altura (50 m s.l.m.) che sovrasta l’area archeologica di Tharros. Di notevoli dimensioni e con ampio dominio visivo sul Golfo di Oristano e verso il mare aperto, era armata con cannoni e spingarde e presidiata da una guarnigione composta da un alcaide, un artigliere e quattro soldati. La torre fu costruita, si suppone, sui resti di un nuraghe monotorre e di una torre punica, con pietre di spoglio della città di Tharros; essa si compone di due corpi cilindrici sovrapposti con un diametro di base di m 14 e un’altezza complessiva di m 15. L’ingresso si apre ad una quota di circa 8 m da terra, raggiungibile oggi tramite un vano scala esterno realizzato nell’Ottocento; un’ampia sala circolare voltata a cupola, illuminata dall’alto tramite un lucernario, presenta sul pavimento una botola che permetteva l’accesso alla cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, mentre intorno si collocano il caminetto e il locale della “santabarbara”. Sulla terrazza, accessibile tramite una scala interna, nella seconda metà del XIX secolo, quando la torre fu presidiata per reprimere il contrabbando, furono costruiti due alloggi. L’edificio è stato restaurato tra il 1987 ed 1990».
«Il sito, dominante il golfo di Oristano, era già stato scelto dai Cartaginesi per impiantarvi l'acropoli di Tharros. La torre, a 50 m s.l.m., controllava tutto il litorale per un raggio di 28 km e teneva i contatti visivi con le torri di San Marco, Torre Grande, Marceddì, Capo Frasca, del Sevo e della Mora. La torre prende nome dalla vicina chiesa altomedievale di San Giovanni di Sinis ed è una delle più imponenti del golfo, seconda solo a quella di Torre Grande. Fu edificata tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, probabilmente durante il regno di Filippo II, e forse durante il viceregno del De Moncada. Citata da Giovanni Francesco Fara, esisteva quindi prima del 1590 ed era comunque operativa nel 1623. Era una "torre de armas", cioè una torre "gagliarda", atta alla difesa. Esteriormente somigliante a due cilindri sovrapposti, ha un diametro di base di oltre 14 m e un'altezza, terrazzo compreso, di 11 m, a cui bisogna aggiungere la zoccolatura di fondazione e il parapetto della piazza d'armi (terrazza con le artiglierie all'aperto). Notevole anche lo spessore murario, di circa 4 m. Il materiale utilizzato per la costruzione è arenaria calcarea; si riconosce materiale di recupero dalle rovine punico-romane della zona. Il boccaporto è realizzato con piedritti e architrave in pietra e si apre a più di 5 m da terra. Questa apertura dà adito ad un lungo corridoio attraverso la spessa muratura verso la camera interna, larga circa 6 m e voltata a cupola. Ricavate nello spessore murario vi sono la botola della cisterna e il caminetto, oltre l'accesso alla camera dell'alcaide (capitano della torre). A s. dell'ingresso si trova la scala che porta alla terrazza, che si compone di due rampe e nel piano intermedio si può entrare in un vano trapezoidale munito di feritoie. Nel 1720 vennero compiute opere di riparazione e nel 1784 ulteriori opere di manutenzione. Secondo la relazione del Ripol, inviato dal Regno Piemontese, nel 1767 la torre era organizzata da una guarnigione composta da un alcaide, un artigliere e sei soldati. Nel 1808 e nel 1823 vengono segnalati nuovi interventi di restauro. La torre fu presidiata sino al 1846. Nel 1837 venne utilizzata dal La Marmora come punto geodetico. Nella seconda metà del XIX secolo, quando la torre fu presidiata per reprimere il contrabbando, le cannoniere vennero tamponate e sul terrazzo furono costruiti due alloggi, in muratura di pietrame e mattoni. Inoltre, per facilitarne l'accesso, al boccaporto venne addossato un corpo quadrangolare per una scala in legno a più rampe».
http://www.tharros.sardegna.it/visita-il-sinis/torre-di-san-giovanni-e-torre-vecchia - http://www.sardegnacultura.it...
CUGLIERI (castello del Montiferru o Casteddu Ezzu)
«Si lascia la SS 131 allo svincolo per la 292 (Oristano-Bosa-Alghero). Dopo 40 km si arriva all'abitato di Cuglieri. Sulla strada che congiunge Cuglieri a Macomer si trovano i ruderi di Casteddu Ezzu. Cuglieri si trova alle pendici dei rilievi del Montiferru, in un territorio montuoso fitto di boschi e ricco di sorgenti e corsi d'acqua. I ruderi di Casteddu Ezzu si ergono al di sopra di una collina basaltica. Il castello del Montiferru, oggi detto "Casteddu Ezzu", fu eretto presumibilmente nel XII secolo, per mano di Ittocorre, fratello del giudice Barisone di Torres, con lo scopo di proteggere i confini con il regno d'Arborea. Nel XIII secolo il castello insieme ai territori limitrofi fu annesso al giudicato d'Arborea, ad opera del sovrano Mariano II. A partire dal XV secolo cadde in mano della famiglia Zatrillas che lo mantenne nei secoli successivi, precisamente fino al 1670, anno in cui fu definitivamente abbandonato. La storia riporta che nel 1668 donna Francesca Zatrillas, moglie di Agostino Castelvì e marchesa di Laconi, proprio qua trovò rifugio per sfuggire alle accuse di aver ucciso il proprio marito ed aver complottato contro il viceré. La marchesa riuscì infine a fuggire e ad imbarcarsi per Livorno. Proprio in seguito a queste vicende il castello fu abbandonato. Le emergenze materiali di Casteddu Ezzu si limitano a resti di torri, paramenti murari e vani sotterranei probabilmente con funzione di cisterne. Il castello, la cui pianta si presentava allungata, racchiudeva all'interno delle sue mura una serie di ambienti, di cui è rimasta traccia a livello di fondamenta, ma di cui non è dato conoscere le funzioni».
http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=17897&v=2&c=2488&c1=2125&visb=&t=1
CUGLIERI (torre del Pozzo, Su Puttu)
«La torre di Su Puttu, detta anche di Orfano Puddu, era in funzione dal 1596 a controllo del litorale di Is Arenas e dell'insenatura di S'Archittu; si conserva in pessimo stato. Nel maggio 1799, il tentativo barbaresco di catturare due imbarcazioni bosane, prontamente rifugiatesi sotto la torre di Foghe e difese da quella a colpi di cannone, fece diffondere nella zona e principalmente a Cuglieri, sede del Marchese della Planargia, lo sgomento per un'invasione che si riteneva imminente: l'immediato stato d'allarme ed il pronto accorrere a Foghe della milizia conseguì, fortunatamente, la verifica del modesto incidente accaduto. Ben più grave, nel 1684, l'esordio dell'invasione barbaresca a Magomadas, stroncata dagli abitanti di Tresnuraghes che attaccarono gli incursori mentre, con prigionieri e bottino, facevano ritorno alle navi, riuscendo perfino a strappare loro un drappo. Analogamente, in precedenza, il pronto accorrere dei seneghesi sventò l'attacco dei barbareschi, che al comando del terribile corsaro Occhiali erano approdati tra Is Arenas e S'Archittu e da lì si erano diretti verso l'interno, a Narbolia».
http://www.cuglieri.com/Storia8.htm
CUGLIERI (torre di Capo Nieddu)
«La Torre di Capo Nieddu è stata costruita nel XVI secolo, utilizzando rocce vulcaniche. L’edificio è ormai ridotto a un rudere, e non è perciò possibile conoscerne l’altezza originaria. Il diametro alla base è di circa 8 metri e si trova a 68 metri sul livello del mare. L’edificio fu costruito per sorvegliare questo tratto di costa ed eventualmente per segnalare alle torri vicine la presenza di nemici. Non si conosce con precisione il numero dei soldati che stavano di pattuglia all’interno della torre e nemmeno il quantitativo degli armamenti a loro disposizione. Dal promontorio dove si trova la torre si vedono le torri di Pittinuri e di Foghe».
http://www.ichnusa.net/stampa_arch.php?Id=457
«La cosiddetta casa "Aragonese" di Fordongianus, è un edifico databile tra la fine del millecinquecento e gli inizi del milleseicento. Essa rappresenta una tipologia abitativa tipica del centro Sardegna (Fordongianus e Abbasanta in particolare) alla quale si sovrappongono elementi architettonici e decorativi appartenenti a un repertorio internazionale, qui giunti attraverso la mediazione spagnola. L'elemento più spettacolare di questa casa, insieme alle pietre lavorate che decorano porte e finestre, è rappresentato dal portico anteriore. Recuperato in occasione dei restauri del 1980-82 e rimontato secondo il primitivo assetto, rappresenta la maggior differenza che distingue l'architettura domestica di questa zona da quelle del Campidano di Cagliari ed Oristano, dove l'abitazione tradizionale presenta il portico (sa lolla) addossato alla casa e affacciato sul cortile, chiuso da alti muri e accessibile da un grande portale. Qui, il cortile si trova sul retro, dotato di ingresso secondario. Internamente, la casa presenta tredici stanze distribuite in due unità abitative. La prima, acquisita dal Comune di Fordongianus nel 1978, delimitata all'esterno dal porticato, comprende 7 stanze, tre affiancate nella parte anteriore e 4 sul retro e distribuite su un unico piano. La seconda, acquisita dal Comune nel maggio del 2009, ne comprende 4 al piano terra e due al secondo piano, ottenute soppalcando le due camere anteriori. Originariamente le due parti costituivano un unico edificio e comunicavano grazie ad una caratteristica porta ad angolo, murata sul finire del 1800 per dividere la struttura in due differenti proprietà. Essa è costruita in trachite, prevalentemente di colore rosso, pietra di origine vulcanica presente in grandi quantità nel territorio di Fordongianus. Le porte e le finestre sono riccamente ornate da elementi in stile tardo-gotico aragonese e con contaminazioni di ambito rinascimentale Gli ambienti sono caratterizzati dagli armadi a muro, da sedili addossati alle finestre esterne e da tanti piccoli particolari che rendono questa casa unica ed originale La copertura è tessuta secondo una semplice orditura lignea, su cui poggia la caratteristica stuoia di canne, a sua volta coperta dalle tegole. Il retro della casa si sviluppa in settori ben delimitati da muretti e portali, quali l'orto-giardino, la stalla e un ambiente coperto dove sostavano i carri agricoli. Per l'importanza da essa rivestita nell'ambito dell'architettura tradizionale sarda venne integralmente ricostruita in Piazza d'Armi, a Roma, nel 1911, nell'ambito delle mostre di etnografia italiana organizzate in relazione ai festeggiamenti per il cinquantennio dell'Unità d'Italia».
http://www.forumtraiani.it/node/20
«Dopo la caduta del Giudicato di Arborea, Ghilarza seguirà le sorti del marchesato di Oristano. Il monumento più rappresentativo di questo secolo è la cosiddetta Torre Aragonese. La torre è uno dei pochi esempi di architettura militare gotico-aragonese, che secondo un disegno originario doveva essere la torre maestra di un più vasto complesso di difesa. Avrebbe dovuto comprendere altre torri e, forse, una cinta muraria. La difesa poteva essere completata da un ponte levatoio infatti, sotto l'alto portale di ingresso al piano superiore si notano due mensole-cardine, che dovevano probabilmente azionare gli argani per un piccolo ponte o per una scala retrattile. Il monumento si sviluppa quadrangolarmente su due piani e presenta diverse unità architettoniche e svariati elementi strutturali. I muri sono di solida costruzione di pietre grezze, ma in molte parti è evidente l'abilità dei costruttori che anno saputo combinare le pietre secondo l'esatta corrispondenza delle loro facce, come da antica tradizione. Gli angoli e le aperture presentano pietre da taglio squadrate in blocchi ben lavorati. L'interno è uno spazio pensato come impiego militare, con volta e crociera sostenuta da archi trasversali. Il piano superiore ha interessanti elementi di arte catalana, come i finestroni trilobati e i tipici sedile di pietra, detti festigiadors. L'edificio ha subito nel tempo diversi restauri».
http://www.comune.ghilarza.or.it/www/SezioniPrincipali/Ghilarza/Monumenti/TorreAragonese/
GONNOSTRAMATZA (borgo e museo «Turcus e Morus»)
«Il Museo è allestito nel centro del paese nel vecchio Monte Granatico, restaurato conservando tutti gli elementi originali. Sono documentate le incursioni barbaresche, appunto di Turchi e Mori, attraverso l'illustrazione di avvenimenti, personaggi storici, leggende, scene di battaglia che caratterizzarono un periodo lungo e cruento della storia della Sardegna. Memoria storica di questi avvenimenti si trova in una lapide, custodita nella vicina chiesa campestre di San Paolo, da cui si apprende della distruzione, da parte saracena, del vicino paese di Uras nel 1515. Il museo è unico nel suo genere. I contenuti possono essere apprezzati attraverso pannelli didattici, che indicano anche i percorsi delle scorribande islamiche, plastici di torri, modelli umani realizzati con maestria da artisti-artigiani in dimensione reale, collezioni di armi islamiche spagnole e sarde usate per undici secoli dall'VIII al XVIII secolo».
http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=105203
«La tradizione storica e popolare individua nell'insieme dei corpi murari ancora oggi evidenti all'interno del Parco Aymerich, i resti del castello medioevale di Laconi. Lo studio delle stratigrafie murarie ha consentito di rilevare l'opera di maestranze che hanno operato in questo sito in tempi e modi differenti. L'analisi denota certamente la presenza di un corpo più antico rispetto agli altri, un edificio a pianta rettangolare, forse una torre, attraversato da un passaggio monumentale con volta a botte e preceduto da un ingresso ad arco a tutto sesto che in origine immetteva in un' ampia corte. Sul lato destro del passaggio è murata un'epigrafe parziale su più conci, che cita la presenza di una porta e una data: 1053. L'iscrizione, pur essendo chiara nel testo, presenta notevoli problemi interpretativi sia epigrafici che archeologici e non è escluso che in origine fosse in un'altra sede, qui posta in opera quale materiale da costruzione. I caratteri salienti di questa architettura l'avvicinano ad altre simili restituiteci dalla prolifica arte fortificatoria romanica che in Sardegna ha trovato condizioni ideali per esprimere esempi eccezionali. Il contesto cronologico di riferimento è prossimo, viste le vicende storiche in cui si inserisce, agli inizi del XIII secolo. Adiacente alla porta fortificata esposta a sud-ovest, sorge il palazzo vero e proprio, un corpo murario nobile, impreziosito da porte e finestre delle quali si conservano eleganti cornici gotico-catalane, residenza dei Signori del feudo di Laconi fino alla prima metà dell'800. Di notevole interesse è anche il porticato che precede un vano rettangolare lungo circa 35 m, diviso in diversi ambienti e aperto sull'ampia corte. Diversa e più recente è la storia del Parco almeno nella configurazione attuale; tuttavia si può affermare che questa pregevole pertinenza del castello sia stata un autorevole testimone della storia moderna di Laconi».
http://www.comune.laconi.or.it/home.php?lang=ita&inc=contenuti&id=9
MARCEDDÌ (torre di Marceddì o torre Vecchia)
«è situata nei pressi della borgata marina di Marceddì, ad 1 metro s.l.m. Secondo Rocco Cappellino risale al 1577. Realizzata in pietra lavica e tufi basaltici, ha una volta a cupola ed ha subito trasformazioni perché utilizzata come fortino durante l’ultima guerra. Ha una cisterna ed una breve scala interna accessibile dall’alto di una nicchia».
http://www.bellasardegna.de/torri%20costiere.pdf
«...Fatali furono pure le successive e frequenti incursioni piratesche e le scorrerie barbaresche che utilizzavano il canale naturale della valle per raggiungere il porto neapolitano e depredarlo. Si ricorda lo sbarco di pirati barbareschi nel 1527 capitanati da un certo Scacciadiavolo che rase al suolo Terralba e Arcidano. Poi il corsaro Dragutte nel 1563, a capo di una flotta sbarcò in varie parti dell’isola e nel porto di Marceddì dove però trovò la resistenza di una comitiva di 50 persone circa. Per mettere un freno a tali incursioni durante il periodo di dominazione spagnola, il viceré spagnolo Miguel de Moncada fece erigere la Torre di Marceddì, la Torre Nuova (di fronte alla T. Vecchia, sulla riva opposta della laguna) e la Torre di Flumentorgiu (conosciuta oggi come Torre dei Corsari) e quella di S. Giovanni di Sinis (capo S. Marco), costruite appunto per avvistare in tempo i battelli nemici. Ma l’incubo delle incursioni dei pirati nordafricani non era finito nemmeno nel secolo XIX e a presidiare la zona furono posti dei soldati di stanza a Marceddì. Il massimo splendore comunque Marceddì lo conobbe a metà Ottocento quando il re Carlo Alberto costituì nel suo porto perfino una sede di dogana, tanto a quel tempo era importante l’attività di commercio; ciò viene anche evidenziato dal gonfalone della città di Terralba (di cui Marceddì è frazione) che riporta l’effigie di una nave affiancata all’antica torre».
http://www.ristorantedalucio.it/territorio.asp
«Il palazzo, le cui strutture più antiche sembrerebbero risalire alla fine del XIV secolo, divenne proprietà di Vittorio Pilo Boyl di Putifigari nei primi anni dell’Ottocento. Su un progetto dello stesso Vittorio in collaborazione col fratello Carlo, anch’egli architetto, subì l’ampliamento che lo portò alle attuali dimensioni, suscitando la meraviglia dei molti viaggiatori dell’Ottocento che passarono nel modesto centro di Milis: il Della Marmora definì la villa “una casa di delizia consolantissima”. Recentemente restaurato ha assunto la funzione di centro culturale polivalente. Il palazzo è a due piani; il prospetto presenta una simmetria perfetta rispetto all’asse mediano e la parte centrale leggermente aggettante, enfatizzata dal coronamento che funge da belvedere, è inquadrata entro paraste in rilievo a fasce parallele con capitelli ionici al piano terra, lisce negli altri. Una cornice marcapiano divide orizzontalmente l’edificio e tutte le finestre sono sormontate da mensole aggettanti. Elegante e austero, al contempo azienda agricola e luogo di villeggiatura, è uno dei più validi esempi di Neoclassicismo piemontese in ambito non cittadino; diverrà modello e veicolo di nuovi stimoli formali di stampo classicista per molta architettura domestica fino ai primi del Novecento in tutta l’area del Campidano di Milis».
http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_39_20060306130645.pdf
NEONELI (castello di Orisetto o di Monte Santa Vittoria)
«...Il periodo Bizantino vide la nascita e lo sviluppo di numerosi villaggi e insediamenti dei quali, nel migliore dei casi, restano solamente poche tracce sul terreno, ma che hanno inciso con i loro nomi nei toponimi ancora in uso per indicare i luoghi in cui sorgevano. Ricco di avvenimenti e personaggi fu invece il periodo giudicale, quando Neoneli (Leonelli era il nome con cui lo si indicava in quel periodo) venne incluso nel Giudicato di Arborea, ricoprendo in seguito anche il ruolo di capoluogo della curatoria del Barigadu. Splendore e lustro vennero in parte offuscati da una cattiva gestione da parte di alcune famiglie che ne sfruttarono le risorse in periodo aragonese. L'età medievale segna la nascita di un castello situato a pochi Km dal paese, in località Monte Santu, su un impervio costone che si affaccia su un panorama vastissimo che arriva a lambire le coste dell'oristanese. Tale edificio svolse nel corso dei secoli diversi ruoli: da castello a prigione di massima sicurezza, fino a divenire un maestoso monastero dedicato a S. Maria di Bonarcado attorno all'anno Mille. ...» - «...Nella circoscrizione del Neonelese vedonsi sicuri indizi di antiche popolazioni; a ponente ne’ quattro siti che sono appellati Sagramenta, S. Elena, S. Costantino, Sorrai; a libeccio in S. Maria di Oli-sai; a tramontana in Montessanto-Giosso, e nel Castello di S. Vittoria; a levante nella regione di Orisetto. Castello. Sull’ampia e deliziosa pianura del colle di S. Vittoria esistono ben cospicui, come già notai, i ruderi del castello e gli avanzi di tre torri, due cilindriche, l’altra poligona, che sorgeano sul sito che dicono Sa iscala dessas cadenas. Questa fortezza posta sopra scogli inaccessibili dovette essere di somma importanza e per la somma difficoltà della espugnazione, e perchè sorgea sopra una via maestra centrale assai frequentata. Poscia il giudice Pietro di Lacono ne facea donazione al monistero di s. Maria di Bonarcado, come può vedersi nell’atto riportato dal Gazzani. ...».
http://wikimapia.org/2712329/hy/Neoneli - http://www.unionesarda.it/collane/casalis/definizione_casalis.aspx?d=124523&p=2
NURECI (palazzo baronale dei Touffani)
«Proprio sopra il paese, sul ciglio dello strapiombo granitico, si trova il magnifico, e per alcuni versi misterioso, recinto megalitico di Corona ‘e Crogu, raggiungibile da un piccolo parco costruito all’uscita del paese, verso Asuni. La possente cinta muraria fatta di enormi massi di granito, con all’interno strutture secondarie di massi più piccoli, dovrebbe risalire alla dominazione punica, anche se non si può escludere un’origine più antica. Molto bello anche il versante della Giara, dominato dal Nuraghe Attori: è presente un fitto bosco-macchia, con erica fillirea e corbezzolo: lo si percorre a fatica, seguendo le tracce dei cinghiali. Nel centro abitato spiccano il palazzo baronale dei Touffani, numerosi portali, vecchie case contadine ed un vecchio tipico quartiere».
http://www.paradisola.it/comuni-sardegna/prov-or/859-nureci
ORISTANO (casa di Eleonora d'Arborea)
«Problema a lungo dibattuto è quello della residenza di Eleonora d’Arborea. Sebbene Oristano sia spesso definita la "Città di Eleonora" e sia tutt’oggi visibile nel centro cittadino un edificio che viene tradizionalmente chiamato la “Casa di Eleonora”, non sopravvivono nella Capitale Arborense resti visibili dell'antica reggia giudicale. La stessa "Casa di Eleonora" è di epoca molto posteriore alla Giudicessa. In realtà parlare della residenza di Eleonora d’Arborea è quantomeno problematico, avendo la Giudicessa trascorso gran parte della sua vita tra la Spagna, l’odierna Castelsardo (forse l'unica città che potrebbe fregiarsi a ragione del titolo di Città di Eleonora), la Capitale Oristano e altre "ville" del suo Regno. Quando non era impegnata sul campo in azioni militari. Molto probabile è peraltro l’identificazione della residenza “ufficiale” di Eleonora di Arborea con una casa-fortezza che sorgeva nel sito ove oggi si trova il carcere di Oristano, nell’attuale Piazza Mannu, nei pressi della cosiddetta e ormai scomparsa "Porta Mari". Tale residenza viene nominata per la prima volta nel 1335, nel testamento del Giudice Ugone II d'Arborea, dal quale apprendiamo la localizzazione del palazzo giudicale su un lato della Piazza della Maioria, l'odierna Piazza Manno. Le stampe ottocentesche che raffigurano il cosiddetto "Palazzo Giudicale" ad Oristano fanno pensare, in verità, più a un edificio di tipo tardo rinascimentale che medievale, frutto di una ricostruzione ex novo successiva alla caduta del Giudicato di Arborea, o comunque di continui rimaneggiamenti architettonici nel corso dei secoli. Data la scarsità di fonti dell’epoca, tuttavia – le quali fanno spesso riferimento ad altre “ville”, ed in particolare Cabras, in relazione alla Giudicessa d’Arborea – solo approfondite ricerche archeologiche potranno stabilire con certezza se tra le mura dell’attuale carcere si nasconda in realtà il palazzo degli Arborea ad Oristano. La stessa Oristano, peraltro, non rivestì il ruolo di Capitale sin dal principio dell'era giudicale. Se nei primi secoli dell’epoca giudicale la capitale del nascente stato era ancora Tharros, il primo Giudice di Arborea, Pietro di Zori, non era neppure di origine tharrense, bensì proveniva da Zuri, un piccolo villaggio del centro Sardegna, oggi sommerso dalle acque in seguito alla costruzione della diga sul fiume Tirso, che ha dato origine al Lago Omodeo. Si suole tuttavia affermare che dopo l’abbandono di Tharros (avvenuto, secondo la convenzione storiografica, attorno al 1070), la sede giudicale sarebbe stata trasferita ad Oristano che, da quel momento in poi avrebbe assunto il ruolo di Capitale. Tale affermazione in realtà è quantomeno inesatta fino all’epoca di Mariano II d’Arborea che regnò tra il 1265 e il 1296 circa. Fino a Mariano II, infatti, capitale ufficiale dell’Arborea era ancora Tharros, mentre Oristano era solo una delle tante “ville” nelle quali i Giudici possedevano una “domus”. Ville nelle quali i Giudici risiedevano per periodi più o meno lunghi, attendendo agli affari del Regno, e che - di conseguenza - finivano coll'ospitare tutta la Corte. ...
Se a partire dalla seconda metà del 1200 e per i due secoli successivi non vi sono più dubbi sul ruolo di Oristano quale capitale stabile del Giudicato di Arborea, sono invece numerosi i paesi che si contendono l’onore di aver ospitato, almeno per un breve periodo, Eleonora e la sua Corte. La fama acquisita nei secoli dalla più grande eroina sarda è infatti tale che qualunque testimonianza risalente all'antichità viene immediatamente associata al suo nome. È questo ad esempio il caso di Sa Muralla di Narbolia, un muraglione di massi che si trova nei pressi della chiesa parrocchiale, su un dosso in posizione strategica a dominio della valle del Rio Cunzau, e che viene indicato da una tradizione ottocentesca come il rudere di un castello di Eleonora d'Arborea. Secondo le interpretazioni più recenti sarebbe invece molto più antico e si tratterebbe dei resti di un avamposto fenicio-punico, eretto lungo una delle vie d'accesso al Montiferru per difendere Tharros e le pianure dall'assalto degli abitanti delle montagne. Farebbe quindi parte di quella linea difensiva che comprendeva anche Su Casteddu 'ecciudi Fordongianus e il Castello della Medusa di Samugheo. Poche certezze storiche si hanno quindi sulla residenza di Eleonora».
http://it.wikipedia.org/wiki/Eleonora_d%27Arborea#La_residenza_di_Eleonora_d.27Arborea
«Risulta sicuramente difficile immaginare la città di Oristano concentrata e protetta all'interno di una imponente cinta muraria ma questo era senza ombra di dubbio ciò che doveva apparire agli occhi degli abitanti del giudicato d'Arborea, nel periodo di regno di Mariano II. I pochi quanto dissestati resti di questo baluardo difensivo, vengono fatti riaffiorare oggi, dove possibile, affrancandoli dalle costruzioni che nel corso dei secoli vi si erano appoggiate inglobandoli. Certo guardando queste vestigia risulta comunque difficile capire in che modo le mura fossero originariamente realizzate. Secondo lo studioso oristanese Raimondo Zucca: "Le mura vengono erette utilizzando grandi massi di basalto forse tratti da costruzioni nuragiche, per le fondazioni e le parti interrate della cortina. L'elevato fu costituito con pietrame di medie e grandi dimensioni prevalentemente in basalto, legato da malta di calce; i paramenti interno ed esterno furono edificati a ricorsi relativamente regolari di pietre in basalto tagliate irregolarmente e legate con calce. Gli angoli delle mura sono realizzati in blocchi rigorosamente squadrati di trachite e di arenaria". L'idea di dotare Oristano di opere difensive fu probabilmente di Pietro II (1221 1241) in conseguenza del fatto che la città fino a tutto il secolo precedente era stata oggetto di incursioni e saccheggi. L'analisi degli avvenimenti storici ci porta ad affermare che la città non fosse dotata di mura o quantomeno che esse non fossero più adatte a respingere in modo efficace gli attacchi nemici infatti il giudice arborense Comita III incalzato dal Giudice Gonnaro di Torres (1133) scelse come baluardo difensivo la fortezza di Cabras; cosa che fece anche Barione I (1163) per non capitolare a favore dei giudici di Cagliari e del Logudoro; inoltre successivamente la città fu violata con estrema semplicità anche da Guglielmo di Massa. Le fonti documentarie ci permettono, con buona precisione, di risalire al tracciato originario delle mura della fine del 1200, con le sue torri e porte. All'inizio della seconda metà del XVI sec., durante la dominazione spagnola, l'ingegnere Rocco Capellino fu incaricato di studiare le modifiche delle fortificazioni delle città sarde in virtù delle nuove esigenze belliche.
Lo studio messo appunto su Oristano ci è noto da una planimetria redatta dell'ingegnere stesso e datata 1557. In essa si possono individuare oltre alle tre torri poste a protezione degli accessi alla città (Torre di San Cristoforo col relativo ingresso di Porta Ponti, torre di Portixedda col suo attiguo accesso e la torre di San Filippo in prossimità della Porta Mari.), anche altre 24 torrette di guardia, delle quali, a oggi, ne esiste solo una, presso la via Mazzini. L'andamento murario dovette sicuramente tenere conto della situazione orografica e idrografica dei territori circostanti la città infatti, se il centro abitato sorgeva in una zona leggermente sopraelevata, al riparo dalle periodiche esondazioni del Tirso, il cui alveo non era regimentato, le zone circostanti erano soggette ad allagamenti che generavano degli enormi acquitrini e paduli. Il deflusso delle acque non stagnanti creava inoltre dei canali che in alcuni casi andavano a lambire la periferia del centro abitato. Di questa situazione si dovette tenere conto nel mettere in opera le fortificazioni come dimostra la pianta del Capellino. A partire dalla torre di San Cristoforo, nei lati della quale sono ancora visibili i punti in cui le mura si ammorsavano, la cinta fortificata la cui altezza può essere stimata dai 5 ai 6 metri per uno spessore che va da 1,50 a 1,60 metri, si dirigeva in direzione nord per un breve tratto rettilineo per poi svoltare all'altezza dell'attuale via Mazzini. Da qui in direzione rettilinea parallelamente alla via giungevano fino al torrione di Portixedda. Questo tratto era regolarmente intervallato dalla presenza di 4 torrette di guardia di cui è rimasta ai nostri giorni solo l'ultima. Il tracciato modificava repentinamente la sua direzione rafforzando la svolta con la torre di Portixedda e dirigendosi con un lungo tratto, grossomodo rettilineo, verso sud, parallelamente all'odierna via Solferino. Curvava poi, dolcemente, subito dopo aver oltrepassato la chiesa di San Saturnino in direzione Piazza Mannu dove si trovava la Porta Mari. Questo tratto veniva intervallato da dieci torrette poste in questo caso a distanze variabili. è ancora esistente nella proprietà degli eredi Loy proprio la porzione di mura che svoltava in direzione nord-est. Superata la Porta Mari, senza cambiare inclinazione, il percorso compiva una brusca sterzata a 45° fra la terza e quarta torretta per riprendere la medesima direzione in posizione leggermente sfalsata per una lunghezza di circa 90 metri. A questo punto il disegno delle fortificazioni assumeva un andamento curvilineo per circa 650 metri con un doppio cambiamento di concavità per assecondare il corso del canale la cui presenza è riportata anche nella pianta del Cappellino. Quest'ultimo tratto chiudeva la cinta muraria con il raggiungimento della torre di San Cristoforo dalla quale erano partite».
http://spazioinwind.libero.it/oristanoweb/html/mura_oristano.htm
ORISTANO (torre di Portixedda)
«La torre detta di Portixedda si apre nell’angolo in cui la cinta muraria di nord-est si univa con quella di sud-est. L’individuazione delle fondamenta di una torre quadrata entro il torrione circolare, scoperta durante i lavori di restauro, induce a riportare la torre primitiva al XIII secolo, all’epoca della costruzione della cinta muraria e delle torri maggiori, sotto il regno di Mariano II d’Arborea, mentre il torrione circolare si dovrebbe assegnare all’epoca della dominazione spagnola (secoli XV-XVI). La fortificazione era dotata di feritoie strombate, a diversi livelli, da cui vennero tratte le tre saettiere riusate con adattamenti nel torrione circolare. Numerosi documenti relativi al XVI e XVII secolo, conservati nell’Archivio Storico di Oristano, menzionano la torre con il titolo di Porta de su Castellanu, testimonianza che secondo alcune ipotesi storiche rimanderebbe all’antica presenza presso la torre di un comandante, un funzionario, o ancora a un Castellanu, ovvero un’autorità di un castello. Dopo un primo restauro avvenuto nel 1950, gli scavi svoltisi nel 1992 e nel 1994 permisero una lettura delle fasi edilizie della torre. Durante le indagini archeologiche furono ritrovati diversi materiali, fra questi un denaro reale di Alfonso V d’Aragona (1416 - 1458), coppe di botteghe di Montelupo e piatti ingobbati e graffiti di produzione oristanese, databili al XVI secolo. Nel piano di camminamento di ronda si trova, sul lato prospiciente la piazza Mariano, un foro di circa 30 cm. di diametro, che costituiva un pozzetto nel quale veniva gettato l’olio bollente o più propriamente acqua e pece bollente, che arrestava coloro che tentavano l’assalto diretto alla torre. Indirizzo: confluenza tra via Mazzini e piazza Mariano».
http://www.monumentiaperti.com/scheda.php?idm=748&idc=134
ORISTANO (torre di San Cristoforo, o di Mariano II, o Porta Manna)
«...Ancora oggi la struttura urbanistica della città ne rivela il nucleo originario: tre sono i punti di confluenza delle strade, corrispondenti ad altrettante contrade, precisamente l'attuale piazza Roma a N, Largo Mazzini a N/E, piazza Mannu a S. Queste tre zone erano attraversate dalle mura, che proteggevano il cuore di Oristano: la cinta doveva essere alta intorno ai 5 o 6 metri, turrita, e partiva dall'attuale piazza Roma verso via Mazzini, per giungere poi alla torre di Portixedda; le mura proseguivano verso l'attuale via Solferino, poi verso piazza Mannu. In quest'ultima, come in piazza Roma, si trovavano le porte della città, rispettivamente la Porta Mari e la Porta Manna, vale a dire la Torre di San Cristoforo (o torre di Mariano). Oggi affiorano pochi ruderi delle antiche mura: un torrione in via Cagliari ed alcuni resti nella via Solferino, nel cortile dell'Asilo Boyl e in via Mazzini. Nella parte nord si ergeva dunque la torre di San Cristoforo, nella parte S dell'abitato il castello e la seconda torre, la torre di San Filippo, elevata a salvaguardia del castello e crollata nel 1872 per il cedimento di alcune volte e muri. Come della torre di San Filippo, anche del castello, ubicato presso le attuali carceri, non rimane alcuna traccia. Si può ipotizzare che fosse a due piani e avesse ambienti per la servitù e per le truppe. Residuo della struttura fortificata di Oristano sono la torre di Portixedda e quella di San Cristoforo. Costruita come il resto delle fortificazioni in età giudicale e successivamente ricostruita in età aragonese, Portixedda comprende due corpi cilindrici sovrapposti, raccordati da una superficie troncoconica inclinata. La torre di San Cristoforo o di Mariano, edificio simbolo della città giudicale, venne eretta nel 1290 per volontà di Mariano II, giudice d'Arborea. La torre, interamente in arenaria, è alta complessivamente 28 m, di cui 19 m dalla base al primo giro di merli, mentre la torretta più piccola è alta 10 m. A pianta quadrata, si compone di due edifici distinti e sovrapposti. Ha una struttura ad ''U'', con il lato aperto rivolto verso l'interno dell'abitato, mentre la parte bassa della torre, in conci bugnati, si apre in un arco a tutto sesto che a sua volta si apre in un arco a sesto acuto di diametro minore. All'interno del fornice era murata un'iscrizione, oggi all'Antiquarium Arborense, che pur molto rovinata è servita a datare la torre al 1290; sempre nella torre era custodito un retablo, dedicato a San Cristoforo, da cui la struttura prende il nome».
http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=17751&v=2&c=2488&c1=2125&visb=&t=1
«Nella borgata marina di Torre Grande fa bella mostra di sé l'omonima torre. Fu iniziata a costruire su disposizione del Vicerè spagnolo Carlo V (1537), inizialmente chiamata "Torre del puerto de Oristan". Fu progettata come fortilizio con funzioni di avvistamento e di difesa costiera. Infatti i suoi cannoni battevano il "Porto" e la foce del fiume Tirso per contrastare la risalita del suo corso sino alla città da parte di navi nemiche. Di concezione Aragonese, è la più grande Torre fra tutte quelle disseminate lungo le coste della Sardegna. Il massiccio torrione di oltre tre metri di spessore, era capace di ospitare una guarnigione sino a venti soldati pronti a resistere ad un assedio di diversi giorni. Di forma cilindrica, ha un diametro di 20 metri ed un'altezza dal suolo di circa 18 metri. Si sviluppa su due livelli, a 8 metri dal terreno si trova il primo piano destinato a contenere posizionati quattro grossi pezzi di artigliceria puntati verso il mare ed altre direzioni. Nel piano superiore vi è una camera a forma di ballatoio per contenere altre armi da fuoco manovrabili manualmente. Dalla cima della torre si poteva osservare tutto il Golfo di Oristano e tenere i contatti con le torri di San Giovanni (Cabras), di Marceddi e Capo Frasca (Terralba) nonché con la città di Oristano e borghi limitrofi. Nel XIX secolo, sulla vetta, fu costruita una civile abitazione per ospitare il personale "Farista" essendo stata adibita a stazione semaforica dal demanio militare».
http://spazioinwind.libero.it/oristanoweb/html/torre_grande.htm
SAN VERO MILIS (torre delle Saline)
«Più tarda delle precedenti [citate nella carta geografica del XVII secolo Descripcione de isla y reyno de Sardeña], più che a una torre somiglia a una casamatta, infatti si differenzia dalle altre per dimensione, struttura architettonica e localizzazione. Situata ai bordi delle saline la sua funzione non era di avvistamento costiero, bensì di controllo sull’estrazione del sale.».
http://www.comune.sanveromilis.or.it/Territorio/Archeologia/TorriSpagnole
SAN VERO MILIS (torre di Capo Mannu)
«È riportata nella carta geografica del XVII secolo [Descripcione de isla y reyno de Sardeña]. Situata sul ciglio sud della ripida e impervia parete rocciosa del capo, essa appare leggermente scarpata verso la base. L’apertura dell’ingresso era posta a circa 5 m dal suolo. È costruita in arenaria calcarea e fortemente erosa dall’azione del vento. Nelle giornate più limpide dalla torre si possono osservare tratti di costa molto estesi e un ampio panorama verso l’interno. Essendo posta in posizione a strapiombo sul mare, si raccomanda, in caso di visita, molta prudenza».
http://www.comune.sanveromilis.or.it/Territorio/Archeologia/TorriSpagnole
SAN VERO MILIS (torre Sa Mora)
«Riportata in un carta geografica del XVII secolo denominata Descripcione de isla y reyno de Sardeña venne costruita tra fine ‘500 e inizi ‘600. Facilmente raggiungibile, è situata nei pressi del faro di Capo mannu in località “Matta ‘e sa figu” (Albero del fico). Costruita in arenaria calcarea, ha una stanza coperta con volta a cupola. L’ingresso è posto a circa 4 metri di altezza, ad esso si accede attraverso una scala retrattile».
http://www.comune.sanveromilis.or.it/Territorio/Archeologia/TorriSpagnole
SAN VERO MILIS (torre Scala 'e Sali)
«Come le altre torri, anch’essa è gia indicata nella carta seicentesca [Descripcione de isla y reyno de Sardeña] e la sua costruzione dovrebbe essere ad essa contemporanea. È composta da un cilindro sovrapposto a un tronco di cono e dove essi si incontrano vi è un fregio decorativo in granito. Anch’essa è costruita in arenaria calcarea. L’azione impetuosa del maestrale ne ha eroso parte delle fondazioni, ponendola in grave rischio di crollo».
http://www.comune.sanveromilis.or.it/Territorio/Archeologia/TorriSpagnole
SANTA CATERINA DI PITTINURI (torre di Pittinuri)
«La torre costiera di Pittinuri, si trova su un promontorio calcareo a 28 metri s.l.m. e prende il nome dalla località di Santa Caterina di Pittinuri, nel territorio di Cuglieri. Secondo il Moncada la torre fu costruita intorno al 1578 e dallo sperone in cui si trova, poteva rimanere in contatto visivo con le torri di Su Puttu, Capo Mannu, Capo Nieddu e Scab'e Sai. La struttura, di forma troncoconica con 4 feritoie strombate all'interno, è realizzata in arenaria calcarea e blocchi di lava vulcanica, ha una volta a cupola e una scala a chiocciola per salire nel terrazzo. Nella sala c'è un caminetto-cucinino e sotto la pavimentazione c'è anche una piccola cisterna. Alla torre si accedeva tramite un ingresso sopraelevato, con una scala che poi veniva ritirata all'interno».
http://www.conoscerelasardegna.it/paesi-sardi/259.html
SANTU LUSSURGIU (case-torri, centro storico)
«Il grosso paese appare all'improvviso, adagiato in una profonda conca al riparo dei venti a 500 m. d'altitudine. Fa parte del Montiferru e si sviluppa all'interno di un cratere di origine vulcanica, le cui case presentano la tipica struttura a torre e le strade, ripide e tortuose, s'incrociano nel centro storico conservando ancora l'acciottolato. Le vecchie case, in parte ristrutturate, in parte abbandonate, hanno sapore di antico. Un paese caratteristico che offre all'ospite una splendida visuale, tanto verde, fresche fontane e aria benefica. La vallata che circonda il paese è cinta da castagneti, lecci e ulivi e da macchia mediterranea. Le zone alte, invece, sono prive di vegetazione ed è facile percorrere a piedi i numerosi sentieri che la attraversano. A circa 6 km dall'abitato di S. Lussurgiu si trova la borgata di San Leonardo di "Siete Fuentes" così chiamata per le sue Sette Fontane. ... In origine il paese era attraversato da un torrente alimentato dalle sorgenti di S'ena 'e s'alinu e su Sauccu, lo si vedeva scorrere in superfice fino agli anni trenta, quando fu abbattuto il convento dei frati per far posto all'edificio delle scuole elementari. Nelle rive del torrente vennero costruite le case più antiche, le une addossate alle altre. Sempre in prossimità del fiume venivano realizzati i mulini ad acqua e le concerie. Le case sono alte e strette, l'ingresso in terra battuta o in ciottolato, veniva utilizzato come deposito, cantina o anche stalla. Al piano superiore si accedeva con una scala di legno stabile, al primo piano erano sistemate le camere da letto con pavimento in legno di castagno e all'ultimo piano la cucina. Il forno era costruito in un angolo e in posizione lievemente laterale, il caminetto.Tra il tetto e la cucina si apriva un solaio al quale si accedeva con una scala di legno mobile, una parete di canne intrecciate chiudeva il soppalco nel quale si conservavano derrate alimentari. Nella cucina si snodavano da secoli i ritmi della vita, scanditi dall'operosità delle donne che all'alba davano inizio ai lavori pesanti del quotidiano».
http://www.schibot.org/santulussurgiu/santulussurgiu.htm
SENIS (castello Funtana Menta o palazzo baronale)
«è fra i più antichi edifici militari della Sardegna; eretto in zona “Su Casteddu” sul colle di Funtana Menta, a 291 m di quota, vero e proprio balcone naturale sulla vallata del Flumini Imbessu. Venne costruito in epoca giudicale col doppio scopo di difendere la zona da nuove incursioni barbaresche e impedire alle popolazioni della Barbagia di scendere a valle per depredare i contadini del loro raccolto. Scelta come residenza baronale, Senis custodisce il ricordo di vicende legate a personaggi e ad ambienti della nobiltà feudale che dominarono l'omonima Baronia. Il fermento originato dall'ambiente feudale contribuì a conferire al paese un ruolo centrale dal punto di vista culturale ed artistico. Sotto il dominio aragonese vide il susseguirsi di signorie baroni tra i quali ricoprì l'incarico di primo signore di Senis (1417-1421), Luigi Ludovico Pontos, nominato direttamente dal re don Alfonso di Aragona. Nel 1421 il feudo venne acquistato da Francesco Carbonell sotto il cui dominio rimase fino al 1432, anno in cui venne acquistato da Pietro Joffrè (1432-1460) con il titolo di primo Barone, ottenendo dal re il privilegio di trasmettere l'eredità alle figlie femmine, in assenza di maschi. Un complesso intreccio di fatti e figure interessò il paese per secoli fino al riscatto del feudo da parte dei Savoia, dopo la morte dell'ultimo barone nel 1835. Sul luogo dell’antico castello, del quale rimane una grande torre, venne edificato nel 1662 un palazzo baronale, oggi completamente restaurato. L’edificio è raggiungibile prendendo una stradina che si trova vicino alla caserma. All'interno del cortile si incontra per prima l'abitazione vera e propria con la sua maestosa torre e confinanti possiamo vedere le carceri e le stalle».
http://castelliere.blogspot.it/2012/02/il-castello-di-domenica-19-febbraio.html
«Il centro storico di Simala, con le sue tipiche abitazioni rurali, è piuttosto ben conservato. I due assi stradali principali si incrociano al centro del paese, nel punto in cui sorgeva e ancora sorge la chiesa parrocchiale. Anticamente in questi pressi era localizzato anche il cimitero e poi tutte le strutture civiche principali, quali il municipio, il monte granatico, l'oratorio del SS. Rosario, la casa parrocchiale e alcune abitazioni padronali particolarmente importanti. Le altre strade sono tortuose e affiancate da case a corte. I loggiati interni sono sostenuti da archi in pietra a tutto sesto o architravi in legno poggianti su pilastri in pietra intorno a cortili acciottolati, originariamente destinati alle tradizionali attività agricole, e talvolta piccoli orti urbani. L'esterno è invece ornato da un portale di ingresso, in alcuni casi monumentale. Si conservano a Simala oltre 50 portali di un certo pregio. Lungo le vie Roma e S. Vitalia sorgono invece alcuni palazzotti signorili, dimora delle famiglie benestanti del paese, improntati per lo più ad uno stile architettonico di ispirazione neoclassica. Il più antico di questi edifici, costruito dalla famiglia dei Monserrat Deana, risale però al 1554, come indica l'epigrafe scolpita sull'architrave d'ingresso».
http://www.sardegnaturismo.it/it/punto-di-interesse/simala
«Posto tra la Carlo Felice e l'abitato, il viadotto è l' unico ponte romano sostanzialmente integro della provincia di Oristano. Attraversa il Rio Cispiri e venne edificato nel periodo tardo repubblicano o del primo impero. La via era lastricata in basoli di basalto. Durante il medio evo e l'età Spagnola al lastricato si sostituì un battuto di pietrame e terra mantenutosi fino ai nostri giorni. Nel 1826,al tempo della costruzione della Carlo Felice, gli ingegneri Piemontesi procedettero ad un ampio restauro del ponte, pur non alterandone le linee originarie. è lungo circa duecento metri e per secoli ha svolto egregiamente il suo compito, sopportando il traffico per il crocevia della viabilità secondaria di collegamento da Cornus a Macomer per Forum Traiani e Simaxis e quindi per la parte meridionale dell' isola. Dall' inizio del secolo ha sopportato il traffico di automobili e di autobus stracarichi di passeggeri e pesanti autocarri, carichi di pietra e ghiaia ricavata dalle vicine cave di basalto. Una trentina d' anni fà furono restaurate l' arcata centrale e le due laterali. Qualche anno più tardi venne chiuso al traffico e la circolazione venne dirottata in un nuovo viadotto parallelo e più largo realizzato dalla provincia. Il ponte romano si è dimostrato molto solido, ha resistito ad innumerevoli inondazioni che ripetutamente lo hanno sommerso completamente e rappresenta un pezzo di indiscusso valore storico ed architettonico che merita di essere salvato e valorizzato. Nel primo secolo dell'era volgare Tramatza, appartenente nel Medioevo alla curatoria di Milis (o di san Marco di Sinis) del giudicato di Arborea, ricadeva nel territorium di Tharros. Il maggior corso d’acqua dell’agro di Tharros (a prescindere dal fiume Tirso che costituiva il confine tra il territorio di Tharros e di Othoca) è rappresentato dal Rio Cispiri – Ponti Zoppu – Mare Foghe che sbocca nella laguna di Cabras. Questo fiume era valicato da tre ponti: il primo presso Riola; il secondo, detto Ponti Zoppu, in agro di Tramatza di cui resta ormai ben poco; il terzo (quello di cui trattiamo) a Sud-Est dell’abitato di Tramatza, conservato grazie a secolari restauri. Questo ponte è lungo circa 206 metri, e valicava il Rio Cispiri con un sistema di almeno 7 arcate a tutto sesto di dimensioni differenti. La struttura originaria, di età romana tardo repubblicana o del primo impero, era realizzata con blocchi di arenaria, calcare e trachite, derivati dalle cave del Sinis, del Montiferru e del Barigaru secondo la tecnica divulgata in Sardegna nei ponti di Santa Giusta, di Allai etc. Il ponte romano di Tramatza rappresenta una delle più rilevanti testimonianze sull’architettura stradale della Sardegna. ...».
http://www.asfodelotrekkingsardegna.it/pagine/pagina.php?pagina=139
TRESNURAGHES (torre Columbargia)
«La torre sorge su di un piccolo promontorio a breve distanza dalla frazione di Porto Alabe, dove fu costruita prima del 1577. La torre, di medie proporzioni, fu edificata in forma cilindrica – l’unica della zona, dove prevale la forma troncoconica – con il materiale facilmente reperito nelle vicinanze, basalto e arenaria calcarea, e presidiata da un alcade e due soldati. Preposta all’avvistamento del nemico, era armata con tre fucili. E’ collegata a vista con le torri d’Ischia Ruja a sud e di Bosa e Argentina a nord».
http://www.bosaweb.it/le-torri-di-bosa.html
«Tresnuraghes è raggiungibile da Macomer tramite la SS 129 bis o da Oristano tramite la SS 292. Arrivati all'abitato si percorre la strada che costeggia il rio Mannu verso il mare, per 11 km; al temine, si giunge al promontorio di Punta Foghe, sul quale sorge la torre. Il toponimo della zona, e di conseguenza della torre, prende nome dalla foce del Rio Mannu. L'area è stata definita quindi Rio Foghe, Rio Foghedoglia, Fogudolla, Fogo D'Oglia, Fogudoglia, Foguedolla, ecc. Situata a 70 m sul livello del mare, la torre Foghe aveva un campo visivo di 30 km ed era in contatto ottico con le torri di Capo D'Ischia e di Capo Nieddu. Il fortilizio dominava l'accesso al fiume Mannu, possibile rifornimento d'acqua per i pirati barbareschi. La torre è costituita da due corpi cilindrici di diametro quasi identico; l'attacco della seconda struttura si colloca a un terzo dell'altezza. Il diametro alla base della torre è di 8,6 m e l'altezza di 9,6 m. All'interno vi è una camera circolare voltata a cupola, priva di feritoie, con un caminetto interno; l'unica apertura è il boccaporto, situato ad un'altezza di 4 m dal suolo. Sulla s. dell'ingresso, una scala, ricavata nello spessore murario, permette l'accesso alla terrazza esterna o piazza d'armi. Il materiale con il quale è stata realizzata la torre, proviene dalla zona; per la struttura sono state utilizzate delle rocce basaltiche, mentre l'arco e gli stipiti del boccaporto sono in vulcanite rossa. La torre fu costruita probabilmente in un periodo compreso fra 1580 e il 1590, in quanto compare nella relazione di Giovanni Francesco Fara sulle torri esistenti prima del 1591. Precedentemente, secondo la relazione del capitano di Iglesias, Marco Antonio Camos, che aveva compiuto un censimento delle coste della Sardegna e dei siti più frequentati dai corsari, esisteva alla foce del fiume un posto di guardia costituito da due uomini pagati dai corallari di Bosa. Nel 1604 sono documentati i primi lavori di riparazione. Altre opere di restauro sono attestate nel 1720, quali l'intonacatura delle pareti e della terrazza e la risistemazione delle garitte e della mezzaluna. Da una relazione del 1729, la torre è definita "de armas", di difesa pesante; invece, secondo la relazione del Ripol del 1767, il fortilizio funzionerebbe come torre di segnalazione essendo, sempre secondo il relatore piemontese, la guarnigione presente nel fortilizio composta soltanto dall'alcaide (il capitano della torre), da due soldati e da un arsenale, costituito da un solo cannone e una spingarda. Nello stesso anno, fu progettato un nuovo restauro della torre di Foghe e di quella di Argentinas, dal colonnello delle torri De Brondel; nel 1784 furono eseguite altre riparazioni e nel 1833 fu ristrutturata nuovamente, insieme alle torri di Ischia Ruja e di Columbargia. Nel 1842, fu soppressa la Reale Amministrazione delle Torri e l'anno successivo fu dismessa. Attualmente il parapetto della piazza d'armi è crollato e, nella parte sinistra dell'ingresso, la muratura presenta una vistosa lesione con cedimento del pietrame».
http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=17944&v=2&c=2488&c1=2125&t=1
TRESNURAGHES (torre Ischia Ruggia)
«La torre Ischia Ruggia, posta alla distanza di circa quattro chilometri da quella di Columbargia e a circa due da quella di Foghe, da l'impressione di non essere mai stata completata; nel 1729 vi erano di guardia un Alcaide e due soldati pagati dalla Planargia di Bosa».
http://www.cuglieri.com/Storia8.htm
«L'Angius, lo Spano e altri scrittori sardi scrivevano che, fino ai primi anni del 1800, i muraglioni dei castello di Uras erano ancora in piedi. In effetti rimaneva fino a poco tempo fa un basamento, costituito da mattoni crudi ma durissimi, situato dentro il paese, a pochi passi dalla via denominata Bia Sa Turri (via La Torre appunto) lungo il rio Thamis. Lo storico Fara parla di questo castello nel suo De Chorographia Sardiniae (Torino, Tipografia regia, 1835, lib. II, p. 77). Nel Dizionario geografico degIi Stati Sardi l'Angius scriveva (op. cit, III, p. 1051): "Esistevano ancora sino a pochi anni le mura principali di un antico castello, costruito non a pietre ma a cassoni di argilla battuta, mescolate di pietruzze e di paglia, e poi intonacata di calce. Mi fece stupire la durezza che avevano quei grandi mattoni (tapius) crudi anche nelle parti dove erano spogli di quella crosta di calce, per cui questa muratura dicesi dai sardi “tapiu a crosta”. Pare sia stato il castello del Signore del luogo in tempo del governo nazionale, e abbia servito per difesa nelle aggressioni frequenti dei barbareschi". [ ... ] "II distretto di Bonorcili, che per la sua situazione, e per la fertilità avrebbe potuto essere dei più prosperi, fu dei più miseri per una serie di fatali disgrazie. Fu un tempo, quando, cessato il governo dei giudici nazionali, restò esso senza alcuna difesa dai barbareschi, che non infestavano pure il littorale, ma penetrando nelle terre, tutto mettevano a ferro e fuoco". "Cadde allora Terralba, caddero gli altri paesi, e solo sussisteva Uras col suo castello, se Uras ebbe mai un castello, come dice il Fara". Per il Carta Raspi (Storia della Sardegna, Milano, Mursia, 1971, p. 411) il Giudicato di Arborea aveva un sistema difensivo basato su fortificazioni che si disponevano, nel confine con il Giudicato di Cagliari, su due linee parallele. Nella prima erano dislocati i castelli di Erculentu, fra Arbus e Guspini, di Monreale, sul colle che domina Sardara, di Marmilla presso Las Plassas. Nella seconda linea c'crano i castelli di Barumele, di Senis, di Laconi, e appena più arretrati quelli di Uras e di Margunulis, presso Usellus. Nei secoli IX-XV il Giudicato di Arborea possedeva 22 castelli, tre dei quali appartenevano alla Curatoria di Bonorcili: l'Arquentu, o Erculentu, di Guspini, il Monreale di Sardara e quello di Uras. Secondo alcuni studiosi queste strutture difensive furono utilizzate soprattutto per salvaguardare le ricchezze e i raccolti delle pianure dalle bardane dei barbaricini».
http://spazioinwind.libero.it/uras/monumenti.htm
«...Il pianoro, chiuso a nord-ovest da un costone del Monte Arci, che si erge a pochi chilometri di distanza, domina con vastissima apertura d’orizzonte tutte le vie di comunicazione che dalla zona della Marmilla e di Parte Montis si spingono verso Forum Traiani il Sarcidano e la Barbagia. Da questo punto quindi si poteva agevolmente seguire e controllare tutte le infiltrazioni nemiche e soprattutto quelle che, specie nel periodo di raccolta, dalle località delle “Civitates Barbariae” giungevano arditamente nelle zone granarie di questo vasto e fertilissimo entroterra. Usellus fu distrutta nell’anno 1100; non si sa esattamente se per terremoto, per incursione di Arabi o per peste, per cui fu ridotta a pochi abitanti. Duecento metri circa a nord della via Palas de Muru ,sulla strada per Villaurbana, si trova il ponte romano sul Riu su Forraxi. La strada che si diparte da questo ponte ricalcando l’antica via per dirigersi verso la montagna, consente di seguire per oltre quattro Km il tracciato dell’antica strada romana che collegava Uselis con Forum Traiani seguendo la via più breve, scavalcando cioè il ciglio roccioso del Monte Arci e attraversando il vasto altopiano. ...».
http://www.paradisola.it/comuni-sardegna/prov-or/1019-usellus
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