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BIBBONA, CASTELLO, BORGO
a cura di Fernando Giaffreda
Veduta della rocca di Bibbona. Sotto, Bibbona in una carta geografica attribuita a Leonardo da Vinci.
Altre vedute del borgo.
Ubicazione. nella Maremma livornese su un piccolo colle (50 m s.l.m.) prospiciente il mar Tirreno, ad avamposto nord-ovest delle Colline Metallifere, a sud del fiume Cecina e a nord di Piombino. Coordinate: longitudine 10.5952101, latitudine 43.2694489.
Conservazione: trattandosi di un borgo rimaneggiato sulla pianta castellare originale, lo stato può dirsi sufficientemente ordinario.
Come arrivarci: dalla SS n. 1 Aurelia, all’altezza della frazione La California, si svolta a sinistra, provenendo da Cecina. Si arriva al paese in 5 km appena.
Come visitarlo: vi si può giungere in auto, ma la visita al borgo va fatta a piedi.
Attualmente Bibbona si presenta come un borgo adagiato su un piccolo poggio della Maremma livornese prospiciente il mare, col carattere urbano da paese collinare, come tanti fatto di viuzze, salite, archi, piccole abitazioni che seguone l’irregolarità del suolo, resti irriconoscibili di mura, peraltro inglobate da alloggi civili, chiesa paesana, ecc. Tuttavia, attraverso i secoli la pianta urbana si è disegnata e sviluppata sull’originario classico castello feudale con rocca, mura turrite, fossato e piviere. Infatti già nel dodicesimo secolo Bibbona è nominato nei documenti come uno dei più forti castelli della maremma pisana, peraltro conteso fra Volterra, Pisa e Firenze.
Veramente il poggio era abitato sin dall’età della pietra, laddove tutt’intorno erano malsane paludi marine e fluviali. Il periodo di maggiore floridità si ha in epoca etrusca a partire dal X secolo a.C., ma già intorno al VI secolo si hanno prove certe di scambi commerciali con la Grecia. Tuttora ci sono resti di una tomba a tholos, cioè a capanna e ipogea, analoga a quelle sul golfo di Baratti e altrove. L’abitato, in etrusco denominato “Vipuni”, era modesto, pur di impianto villanoviano, ma collegato con gli altri piccoli centri etruschi sparsi intorno al fiume navigabile Cecina. Alcuni reperti sono esposti al Museo Archeologico di Firenze, dove è custodito il famoso "caprone di Bibbona", manico vascolare del V secolo.
A partire dal II secolo, la conquista latina di Vituni porta seco l’adattamento del luogo a “villa romana”, con tanto di coltivazione tutt’intorno della vite, dell’olivo e dell’immancabile grano/orzo in pianura. Ampie dimostrazioni archeologiche, sia in strutture urbane che in reperti rinvenuti, dimostrano che Vituni, ora denominata Vibona (1), rappresentava fino a tutto il V secolo d. C. uno dei tanti floridi punti di produzione e di riferimento sulle vie commerciali romane lungo il Tirreno e l’Aurelia.
Il crollo di popolazione, e perciò di vita produttiva e commerciale, si ebbe a partire dal VI secolo; l’abbandono della civiltà romana facilitò il riprendersi del carattere malsano e palustre delle terre intorno Bibbona. Già nell’VIII secolo, periodo delle intense invasioni barbariche che qui videro l’arrivo dei Longobardi col gruppo degli Arimanni, si era già appalesato il caratteristico fenomeno della costruzione dei castelli (incastellamento) sui poggi prospicienti il mare, segno di un ritiro e di un arrocco delle sparute popolazioni latine superstiti che si mettevano al riparo da invasioni dal mare (saraceni) e di terra (barbari). E Bibbona fu uno di questi castelli (castrum vibonis).
Intorno al castrum principale, edificato intorno al Mille dai conti della Gherardesca, Ugo e Tedice, su concessione in enfiteusi del vescovo di Lucca, e sui percorsi del reticolo delle vie romane, si fabbricarono alcune fortificazioni minori, oratori, piccoli monasteri, pivieri, ospizi, il più importante dei quali era lo “Spedale di San Giovanni su Poggio Romeo”, oggi podere omonimo. Da lì, fuori del paese, si possono osservare Bibbona e le strade che conducono alla via Romea. Forse templare, lo spedale passò in mano ai cavalieri di Malta quando il potente ordine fu soppreso. L’unico documento che può attestare l’ipotesi sono due teste di pietra situate a sostegno del tetto, riconducibili a Giovanni Battista e Giacomo maggiore, santi venerati dai Templari.
Il castello gherardesco di Bibbona era dotato di mura perimetrali, del fossato e di torri merlate, una delle quali oggi è chiamata la Rocca, in piazza della Vittoria. Molto più bassa che in origine, la Rocca, unica torre rimasta, si trova a quest’altezza per il terrenoto del 16 agosto 1846.
L’enfiteusi di Bibbona del vescovo di Lucca in favore dei conti feudatari della Gherardesca causò col tempo il passaggio del castello ai possedimenti del comune di Pisa, cui erano legati. Conti di Donoratico e “comites de Castanieto”, i della Gherardesca furono infatti, dal 1190 con Tedice, i primi podestà della repubblica marinara. Costoro ebbero riconosciuto il possesso di Bibbona, come libero comune, dall’imperatore Enrico VI Hohenstaufen con un privilegio del 1186, anche se lo stesso padre di Federico II confermò a Pisa la giurisdizione sul contado meridionale maremmano, compreso l’importante castello di Bibbona. In un documento dugentesco conservato nell’archivio municipale di Volterra, si legge che il vescovo concesse in locazione una sessantina di poderi, fondi e abitazioni, a un centinaio di famiglie bibbonesi per una manciata di lire pisane, legando così il comune all’autorità ecclesiastica. Tuttavia, il piccolo comune di Bibbona restava anche sotto l’autorità civile di Pisa, che dal 1284 l’aveva dotato di un capitano di giustizia e di un notaio, i quali vennero mantenuti anche dopo il 1406, anno della conquista fiorentina di Pisa.
Un periodo di piccola gloria Bibbona l’ebbe a partire dal 1375, quando il comune, ponendosi a riferimento dei castelli circonvicini, si oppose a Pisa e respinse l’assedio di John Hawkwood, mercenario inglese ribattezzato Giovanni Acuto, il quale si era posto questa volta al servizio della repubblica marinara e di Gregorio XI nella guerra fra Stato pontificio e Firenze. La resistenza fu inutile perché l’intero territorio restò comunque, nonostante il successo, ancora nel 1397, sotto il dominio pisano. Questi venne meno nel 1406, quando Firenze sottomise Pisa prendendosi anche il castello di Bibbona ovviamente, anche se fu lasciato nelle mani dei conti della Gherardesca l’appannaggio sul Capitanato di Giustizia e il notaro podestarile. Le terre comunali in possesso di Bibbona furono condotte sotto il controllo della Podesteria che pagava il tributo a Pisa, e poi questa a Firenze. Il tutto venne regolato dai primi statuti con i quali venne regolata la vita del castello di Bibbona.
Salvo una breve parentesi di due anni, 1496-98, durante la quale con la discesa di Carlo VIII in Italia Pisa si riprese Bibbona, la cittadella ebbe vita tranquilla e relativamente prosperosa fino al 1549, anno in cui i Medici con Cosimo I imposero il terratico sulle terre del castello, cioè una tassa fondiaria fissa da pagarsi in natura indipendentemente dalla quantità del raccolto. Ciò gettò la comunità e il feudo negli stenti e nell’impoverimento generale, caratteristica che l’avrebbe segnato per decenni fino ai giorni nostri, nonostante il sensibile miglioramento delle condizioni di coltivazione dei fondi avutosi con le bonifiche leopoldine del XVIII secolo. Nella seconda metà del Seicento Bibbona ebbe diversi rimaneggiamenti alla sua rocca, che fu utilizzata anche come torre d’avvistamento. È certo infatti che quella del 1664 fu realizzata per avvistare le navi saracene ancora in scorribanda sul mar Tirreno.
Con la discesa in Italia delle truppe napoleoniche all’inizio dell’Ottocento, Bibbona fu distrutta e data al fuoco a causa della resistenza messa in campo dalla sua popolazione, che evidentemente non aveva rappresentanti inclini all’idee della rivoluzione borghese d’Oltralpe. Così nell’incendio andò perduto molto dell’archivio podestarile e quindi dei documenti per la ricostruzione storica di questo importante ed esteso castello “fondiario”.
Con l’unificazione italiana, sotto quei Savoia che si annetterono la Penisola, Bibbona perse l’autonomia e la denominazione di comune, passando sotto quello di Cecina; anzi nel 1873 il territorio fu sottomesso alla proprietà e alla riserva personale del re con la denominazione di “Fitto di Cecina”. Bibbona riguadagnò il titolo di comune nel 1906, in epoca giolittiana rimanendo fino sotto la provincia di Pisa fino al 1925, quando passò definitivamente sotto la provincia di Livorno.
(1) Sull’etimologia del termine latino Vibona gli storici locali hanno giocato un po’, attribuendogli origini diverse: a) bibe bonus, «bevi acqua buona/pura» (dalle fonti, di pozzo castellare e non, a differenza di quelle intorno al sito, che erano d’acquitrinio, malsane e putride); b) via bona, strada dal tracciato sicuro, fuori cioè dalle paludi e dagli acquitrini per arrivare a Volterra, laddove si incrociavano i percorsi maestri lungo l’Aurelia per la via Emilia.
©2013 Fernando Giaffreda. La prima immagine è tratta dal sito www.fototoscana.it; le altre, nell'ordine, da www.comune.bibbona.li.it, www.hi-land.it, www.paesionline.it; l'ultima è redazionale. Il video non è stato realizzato dall'autore della scheda.