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SERRAVALLE PISTOIESE, ROCCA
a cura di Fernando Giaffreda
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L'interno della fortificazione Rocca Nuova.
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Epoca: a partire dal IX secolo.
Ubicazione: in provincia di Pistoia, nel comune di Serravalle Pistoiese (8.754 abitanti dal censimento 1991). Il borgo fortificato capoluogo ne conta assai meno, essendo posto sull’ultimo poggio ovest (m 182 s.l.m.) della catena Montalbano. L’autostrada A11 Firenze-Mare lo sottopassa con la sua unica galleria, all’ingresso della quale è chiaramente visibile la Torre del Barbarossa (X-XI secolo).
Stato
di conservazione:
generalmente buono, eccetto il forte della
Rocca
Nuova, semidemolito, e le mura, di cui restano alcune tracce.
Abitazioni, palazzi civili e chiese si presentano in buono stato e degni di
interesse.
Come arrivarci: dall’uscita Montecatini dell’A11 (più breve di 7 km, ma meno suggestiva), o da quella di Pistoia, percorrendo 11 km sulla provinciale per Montecatini Terme.
Come visitarlo: trattandosi di un piccolo capoluogo comunale, la visita è abbastanza agibile proprio in auto. Senza particolari problemi di parcheggio, il paese offre una ricettività accettabile, che permette di visitare tranquillamente a piedi chiese e monumenti negli ordinari orari di apertura al pubblico. Palazzi e resti medievali sono osservabili in maniera soddisfacente, anche solo dall’esterno. Indicazioni e didascalie sufficienti.
L’orografia del
luogo in cui sorge il castello di Serravalle Pistoiese ne spiega il nome e ne
risolve il toponimo. Di più, l’evidente significato geografico e strategico
della sua posizione fornisce sempre, all’osservatore attento, l’ultimo
chiarimento delle diverse epoche storiche, la motivazione precisa dei
differenti conflitti sociali e politici dipanatisi intorno a questo
piccolissimo insediamento urbano, prima romano e poi medievale.
Se poi il più accanito ortodosso della lingua italiana può
permettersi, non senza qualche ragione, di schernire con sarcasmo quel
pistoiese che pronuncia di norma sempre e solo una sola erre
in “terra”, “carro”, “burro”, “ferro” ecc., l’attitudine
fonetica autoctona pare in questo caso assai pertinente e azzeccata,
etimologicamente parlando. Far risuonare difatti il nome di questo castello,
il suo comune e il luogo di valico, come “il Seravalle” rispecchia insieme
i diversi significati del verbo serrare e del sostantivo serra,
sia che essi siano derivati da sera (“serratura,
spranga di chiusura”) - con doppia r per
influsso di ferrum (“ferro”) -
oppure da serra (“sega”), per la
forma seghettata di alcune specie di serrature. Si denotano felicemente così,
col nome, le caratteristiche di questo sito geografico e la funzione della sua
posizione, la quale permette e controlla il transito fra due grandi pianure
toscane, quella che si estende da Firenze a Pistoia in direzione est, e quella
di Lucca e del basso Arno in direzione ovest. La catena collinare del
Montalbano si staglia all’orizzonte del capoluogo provinciale nella forma
visibile di una lama seghettata, che pare incastonarsi nel manico
dell’Appennino tosco-emiliano proprio nel punto del poggio di Serravalle
(182 m s.l.m.). Esso taglia la parte pianeggiante del nord della Toscana
partendo da Signa, laddove l’Arno sguizza nel suo ultimo tratto per aprirsi
l’unico varco verso il mare. Il nostro castello allora «chiude
la valle stringendola», sbarrandone l’apertura e il passaggio al
traffico, quasi a impedire che si entri o si esca da Pistoia, ma anche che si
sconfini da Lucca. È una “serratura”, la cui chiave nel Medioevo era
relativamente esiziale possedere. E noi moderni appaiamo pronipoti ciechi di
antenati in possesso di una visione e divinazione appropriata dello spazio
naturale, dimostrata mirabilmente con la scelta verbale dei toponimi.
A Serravalle i
Romani edificarono il primo castrum,
di piccole dimensioni, poco più che una tappa che servisse da posta al
transito di eserciti e derrate sulla Cassia Clodia, la discussa e discutibile
variante nord ovest della più importante Cassia imperiale. Non è da
escludere però una provabilissima precedente colonia etrusca, legittimata
dalla presenza del toponimo Cecina Montalbano e da tipiche tracce
archeoagrarie sul terreno. L’antico gentilizio etrusco Kaikna (Cecina) ha
disseminato infatti diversi insediamenti omonimi in Toscana, tutti situati in
luoghi collinari, impervi, selvatici e prossimi a piccoli fiumi,
caratteristiche fra le più preferite da quel popolo. E il Serravalle le aveva
tutte, collinetta com’è fra la Nievole e l’Ombrone.
È
più che un’ipotesi l’esistenza successiva di un castron Amalphes
bizantino del VI secolo, nel quale cominciano a subentrare i Longobardi dopo
il 572, anno della loro conquista di Lucca. Nell’avanzamento verso est,
lungo la direttrice della Cassia Clodia, questo popolo si insedia prima sul
colle di Montecatini e poi su quello di Poggio alla Guardia (da ward,
sentinella e difesa in lingua germanica), per imprimere via via il suo dominio
nei territori circostanti. Sorge tutta una serie di chiese-oratori a struttura
romanica, diversamente dedicati, fra i quali, in Serravalle, S. Michele (ecclesia
donata da Aivaldo il 9 luglio 764 alla pertinenza del monastero di san
Bartolomeo di Pistoia), l’attuale SS. Rocco e Sebastiano, S. Stefano e anche
uno Spedale, successivamente dedicato a S. Cristoforo. Si configurano così,
nell’alto Medioevo, l’importanza e il carattere propri di questo piccolo
centro, fenomeni consustanziali alla crescita demografica e parallelo al
processo di infeudamento della regione.
Il
grado della ricerca non ha autorizzato ancora la completa certezza della
proprietà feudale dei conti Guidi su Serravalle. Fonti sicure però attestano
che quella potente famiglia longobarda nel 960 aveva ricevuto dal re
d’Italia Berengario vasti e numerosi possedimenti fra il pistoiese, il
fiorentino e l’aretino, come prova e pegno dell’appoggio militare
assicurato nello scontro con Ottone I re di Germania. Nel 1099 poi Matilde di
Canossa, marchesa longobarda della Toscana, consolidò la posizione dei Conti
assegnando a Guido V, detto il “Guerra”, cioè Guido Guerra I, il titolo
di Margravio di quelle terre,
per aver organizzato una meritoria spedizione militare contro l’antipapa
Wilfredo. Posto quindi che nell’organizzazione politico-amministrativa
carolingia margravius (Mark “marca” e Graf “conte”)
significa «titolare di uno dei grandi territori di confine creati per la
difesa contro i popoli vicini», si può dare per certo dei Conti il
dominus feudale a vassallaggio di Serravalle, luogo di confine per
antonomasia. Questa conclusione è per di più suffragabile dal tipo di
impronta “architettonica” che Matilde e i Guidi solevano dare ai territori
di loro possesso, e che qui si riscontra: la prima fu promotrice di
incastellature e fortificazioni a protezione del suo marchesato, i secondi
creatori di numerosissime curtes et
castella con torri di guardia (ward).
La
torre
del Barbarossa (circa 40 metri) non può allora che essere stata
costruita fra il X e l’XI secolo in questo contesto longobardo, e in
quell’occorrenza di congiunzione politica fra i Guidi e Matilde. La
contornava il perimetro della prima e unica fortificazione, allora delimitato
solo sul versante est del colle, in direzione e in vista di Pistoia. Della
cornice muraria oggi restano poche ma individuabili tracce, e la poderosa
altezza della torre, edificata tutta in conci regolari di pietra calcarea
bianca, su base quadrata, faceva allora da pendant
con tutto il sistema di torri collinari dei Conti, gens presente a Cerreto Guidi, Montemurlo, Casalguidi ecc.,
elevazioni erette in funzione del controllo del territorio.
Se
il X e l’XI secolo sono caratterizzati dal dominio feudale dei Guidi su
Serravalle, come su buona parte del nord toscano, il XII secolo inaugura
viceversa una fase del tutto nuova: quella contrassegnata dalla formazione
della civiltà comunale, che agirà a scapito dei rapporti personali di
dipendenza fondiaria fra feudatario e vassallo da un lato, e a favore delle
comunità cittadine organizzate per un indirizzo più mercantile dall’altro.
Il lungo periodo di quell’agonismo commerciale che sostiene il conflitto fra
guelfi e ghibellini, fra Bianchi e Neri, fra città concorrenti e però
divise, fa sprofondare inesorabilmente i Conti nella decadenza, destinandoli
alla perdita completa, nel XV secolo, di tutti i loro possedimenti, ad opera
dell’incontrastata signora della Toscana, Firenze. Pistoia si costituisce in
libero comune nel 1177, con uno statuto noto per essere uno dei più antichi
d’Italia. E poco prima (1148) si inserisce già nella “Congiura dei
Terrazzani”, approfittandone per agguantare il controllo sul Castello di
Serravalle. I villici che risiedevano intorno all’attuale Montecatini Alto
si trovarono in contrasto con gli interessi e le scelte del governo pistoiese.
La congiura era il mezzo per integrarsi nella sfera d’azione lucchese,
cercando di mantenersi le terre intorno il valico. Per tutta risposta, i
pistoiesi inviarono truppe a presidio del castello, avviando una serie di
lavori di fortificazione bellica e di costruzione di terrapieni. La crisi si
risolse il 20 aprile 1179 col Trattato di pace stipulato fra Pistoia e
Montecatini. Quest’ultima si impegnò a non belligerare per dieci anni
contro Pistoia e i suoi borghi, Serravalle compreso, lasciando definitivamente
le terre disputate all’influenza pistoiese. Le venne ratificato per contro
il diritto di riconoscersi in Lucca, mentre i pistoiesi rialzarono la Torre
del Barbarossa e rifortificarono il castello, consolidandone la struttura
urbana. Alle soglie del XIII secolo, «in districtu de Serravalle, iuxta frumen Nievore», vennero
“contati” 183 fochi (famiglie)
nel castrum, 71 a Castellina, 16 a
Marrazzano, 69 a Vinacciano, 68 a Castelnuovo e 343 fochi a Casale. Questa contabilità di anime e produzione fondiaria
fu il risultato di una verifica effettuata sul «prope castrum de Serravalle, in loco Sancti Angeli» a risoluzione
di una disputa fra il procuratore del Comune di Pistoia e il vescovo Soffredo.
A conferma della giurisdizione comunale di Pistoia su Serravalle nel XIII
secolo, fa prova inoltre la delimitazione nel 1283 del confine con
Montevettolini. Gli officianti apposero due termini lapidei in località San
Martino Marliatico e Santa Maria di Torsciano, le cui tracce perdurano ancor
oggi nel frazionamento dei poderi agricoli.
Il
XIV secolo, specie i primi cinquant’anni, coinvolge inevitabilmente
Serravalle nel vortice delle lotte
urbane e regionali fra Guelfi e Ghibellini, fra Bianchi e Neri, trovandosi nel
bel mezzo delle sfere d’influenza e di contesa di comuni come Firenze,
Lucca, Pisa, Prato, Bologna. E Pistoia, a quest’ultima legato per ragioni di
“situazione”. Come si sa, nel 1300-01 Bonifacio VIII, primo giubilatore «ob
magnam pecuniam» della storia della Chiesa, organizzò un bel ribaltone a
Firenze, beffando con tanto di addebito delle spese più personali i Guelfi
Bianchi rappresentati da Dante Alighieri, a vantaggio dei Neri di Corso
Donati. È una vecchia storia penale, oltre che evenemenziale, non ancora
risolta. La conseguenza fu che già nel 1302 gli estradati fiorentini che
avevano fatto riparo e partito anche in Pistoia bianca e ghibellina, tanto per
riorganizzare un rientro mai riuscito pur se tentato, furono strinti e
perseguitati in città e dintorni da 1.000 cavalieri fiorentini e 600
lucchesi, più 6.000 fanti fiorentini e 10.000 lucchesi. Quell’esercito
alleato così cospicuo non riuscì tuttavia a piegare subito la valida
resistenza pistoiese, e allora ripiegò per rappresaglia e distrazione sui
castelli circonvicini. Serravalle si vide assediato per più di ottanta giorni
sotto le mura dai militi lucchesi capitanati da Moroello di Malaspina, mentre
le schiere fiorentine occuparono la strada a valle in località Masotti,
sull’attuale provinciale Pistoia-Montecatini. Il castello si dimostrò ben
munito nel suo impianto guidesco, ma i quattrocento soldati di stanza, tutti
in arma pistoiese, soccorsi a più sortite dal Comune, si dovettero arrendere
al Malaspina il 6 settembre 1302. La conquista ebbe come risultato la
costruzione di una nuova fortificazione in direzione di Lucca, l’attuale Rocca
Nuova con la singolare torre esagonale, edificata da maestranze
lucchesi sul versante occidentale del poggio. È a partire da quella data e da
quella espansione che il
castello
di Serravalle ha assunto la forma urbana attuale, la cui pianta in
lieve pendenza ha quella
sua
caratteristica forma oblunga lungo l’asse est-ovest. L’attuale
via Roma costituisce la principale strada del borgo e il collegamento fra la torre
del Barbarossa (Rocca Vecchia) e la
Nuova
Rocca lucchese, non senza far tappa alla
chiesa
di San Michele e a quella di
Santo
Stefano, oppure all’Oratorio di San Rocco e San Sebastiano e al
Palazzo
del Podestà.
Le
trasformazioni urbane, e però sociali prima che politiche, avviate con l’espugnazione
del 1302 ebbero conferma il 10 aprile 1306, giorno della capitolazione di
Pistoia nell’assedio postole dagli alleati fiorentini e lucchesi. I Neri
vittoriosi imposero alla città nuove regole di governo: al posto dell’elezione
interna invalse la nomina esterna del capitano del popolo e del podestà per
decreto diretto dell’esercito vincitore, ancora guidato da Moroello di
Malaspina. Serravalle si dovette ripiegare, come fa un po’ ancora adesso,
nella leggenda pietosa del “miracolo di San Lodovico”, che - si narra –
avesse salvato in quell’anno, con la sua apparizione prodigiosa, la
popolazione del castello (“terrazzani”) dalla volontà di vendetta dei
lucchesi, a pena della fedeltà serravallina dimostrata a Pistoia, e per la
resistenza passiva offerta al nuovo corso politico pistoiese. In realtà quel
santo altri non era che Lodovico d’Angiò adolescente, che accompagnato da
un vecchio uomo di corte durante il suo viaggio a raggiungere il padre Carlo
nel sud Italia, mostrò ai confliggenti toscani la “manifestazione” di una
futura promessa di pace fra Guelfi e Ghibellini, fra Bianchi e Neri. In
effetti la pace fra i Comuni toscani in preda agli opposti partiti fu
stipulata e conclusa il 12 maggio 1317 alla corte degli Angiò in Napoli, non
senza aver visto prima, nel 1310, la garanzia offerta ai bianchi pistoiesi
della restituzione dei loro possessi in Pistoia escluso Serravalle; e la
controvittoria di Uguccione della Faggiuola, nuovo condottiero lucchese di
parte avversa, il quale permise il riscatto del 1314 con la riconquista della
città e dei castelli collinari di Serravalle, Montecatini, Vinacciano,
Marliana, Momigno ecc. La curiosità di siffatta “reconquista” di
Serravalle passa attraverso l’episodio esemplare della corruzione del
capitano di guardia della Rocca Nuova, che consentì a Uguccione di prepararsi
per il vittorioso attacco finale a Pistoia. La pace angioina del 1317 non
servì ovviamente a sistemare in via definitiva le cose in Toscana. Quella
tregua piuttosto, nella più ampia situazione generale che vedeva la lunga
mancanza di un’elezione imperiale in Roma dopo Federico II, era dettata
dalla necessità postuma nel partito guelfo dominante di porre fine alle lotte
intestine fra Bianchi e Neri per far fronte alla rimonta “ghibellina”
incoraggiata dalla discesa in Italia di Arrigo VII (Enrico), neo-imperatore «in pectore Romae»
e sognato viatico dell’idea dantesca di un trionfo dell’Impero sulla
Chiesa a indirizzo mercantile. Difatti, la sua morte malarica di Buonconvento
del 1313 fece riprendere l’altalenare delle lotte civili fra le città
toscane e, nel pistoiese, vide l’ingresso in scena di un personaggio nuovo,
destinato a mettere seriamente in difficoltà Firenze per tutto un decennio:
Castruccio di Castracani.
Nonostante
la morte d’Arrigo VII avesse fatto perdere al partito ghibellino toscano il
suo più valido punto di riferimento politico, già a partire dal 5 agosto
1315, giorno della sua nomina a Vicario imperiale da parte di Federico d’Austria,
Catruccio di Castracani cominciò a costruirsi un suo piccolo ma consistente
“impero territoriale”, che avrebbe finalmente ricompresso la Lunigiana, la
Garfagnana, il Valdarno lucchese, la Versilia e la Valdinievole. Questo prode
guerriero ghibellino reggeva molte terre vescovili, amministrava diversi
titoli territoriali a carattere imperiale e minacciava progressivamente le
città comunali più forti, pretendendo di diritto da loro quei tributi,
esenzioni e rimborsi spese introdotti già nel Dugento in merito all’obbligo
dei comuni di concorrere con la fornitura di pedites
alla formazione dell’esercito dei cavalieri imperiali. Questo era il
nocciolo della sua contesa contro Firenze: una divergenza di regole
politico-militari innestate sulle libertà comunali acquisite. Eletto il 12
giugno 1316 Capitano e difensore della città di Lucca, per Serravalle
Castruccio è noto anche per avere fatto della ormai preminente lucchese Rocca
Nuova il suo quartier generale d’armata, nonché l’avamposto
per i suoi attacchi al principale nemico politico: Firenze. Nel 1318 venne
eletto addirittura Capitano della fazione imperiale di Pistoia, il cui governo
del Podestà era ancora retto dalle regole fiorentine, e riuscì a spingere i
suoi confini militari d’occupazione fino alle porte della città del Giglio,
avendo conquistato il Montalbano, Montemurlo, Montale e parte di Prato.
Pistoia Castruccio la occupò nel 1325, integrandola a quel Ducato ereditario
che nel 1327 Ludovico il Bavaro sulla via di Roma gli concesse insieme a
Lucca, Luni e Volterra. Solo la sua morte (1328) consentì a Firenze di
riprendere il castello di Serravalle, la quale lo poté tenere per tre anni
come stabiliva l’ennesimo trattato fra Pistoia e Firenze, quello del 1329.
Furono i tre anni di pace più lunghi e provvisori che visse Serravalle, e che
durarono, sempre in sovranità fiorentina, fino alla fine del XV secolo!
Il
XVI secolo di Serravalle si apre con una indiscreta anticipazione di quelle
contese familistiche tipiche del Seicento a dominazione spagnola, dove il
puntiglio e l’offesa facevano scuola. La famiglia dei Panciatichi e quella
dei Cancellieri si scontravano di frequente e volentieri nel pistoiese. Da
Montale e Montemurlo, le casate spostarono il teatro delle loro dispute
agrarie proprio a Serravalle, dove nel 1501 il vicino e piccolo castello di
Vinacciano fu incendiato ad opera dei Panciatichi. Questa casata, che reggeva
il castello di Serravalle, se lo vide assalito per vendetta dai Cancellieri,
che ne costrinsero i membri in arme a rifugiarsi nella Rocca Nuova, segno che
la fortificazione di stampo lucchese anche allora era più sicura rispetto a
quella della Torre del Barbarossa, la Rocha
Vetere. Pur incendiando le torri campanarie di San Michele e Santo Stefano
e altri immobili, danneggiando altresì il sistema di collegamento che univa i
principali edifici dell’apparato difensivo, i Cancellieri non riuscirono a
espugnare la Rocca Nuova, dove si era rifugiato il clan nemico. Anzi furono
messi in fuga dai rinforzi giunti in soccorso. Da quel momento la famiglia
Panciatichi divenne padrona definitiva del borgo. Questo episodio bellicoso,
che assomiglia più a una guerra di bande se non nascondesse il vero motivo di
un piccolo conflitto sul modo di ripartire il prodotto agrario e mercantile
disponibile, indusse Cosimo I de’ Medici a istituire anche a Serravalle,
verso la metà del secolo, una Podesteria facente parte del Capitanato di
Pistoia, organizzata secondo i termini del riassetto politico-amministrativo
dato alla signoria toscana. L’edificio sede del Podestà fu costruito a
fianco della facciata della Chiesa di Santo Stefano, ai piedi della piacevole
torre campanaria. L’immobile oggi è adibito a civile abitazione, la cui
fattezza tipicamente medicea conserva incastonate nella facciata gli stemmi
lapidei delle casate succedutesi nel governo locale del castello.
Quella
sistemazione amministrativa di Serravalle restò sostanzialmente inalterata
fino al 2 agosto 1838, quando i Lorena abolirono con un decreto granducale le
podesterie di Serravalle e di Tizzana, inglobandole definitivamente nella
giurisdizione civile di Pistoia. E solo in occasione della III Guerra d’Indipendenza,
Serravalle fu decretato Comune del Regno d’Italia.
Il
resto della storia parla da sé. Ma la somma che fa quel resto non ha
immaginato di dover computare un aspetto strano che il destino avrebbe
riservato a questa “serratura” nel 1960: la perforazione del colle con l’unica
galleria dell’autostrada Firenze-Mare, che ne porta il nome. Il castello
passa sopra la testa dell’uomo automobilistico moderno, il quale non
percepisce completamente di star by-passando in quel momento un antichissimo
pedaggio medievale.
©2003 Fernando Giaffreda. I video (inseriti nel 2013) non sono stati realizzati dall'autore della scheda.