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SPOLETO, ROCCA ALBORNOZIANA
a cura di Daniele Amoni
Due immagini della Rocca.
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Epoca:
costruita nella seconda metà del secolo XIV.
Conservazione: sottoposta a restauri, è destinata ad attività museali e alla scuola di restauro del libro antico.
Come arrivarci: percorrendo l'autostrada A1, Firenze-Roma, uscita Orte.
La
più imponente tra le rocche umbre si erge sul colle S. Elia a contatto con un
paesaggio di forte suggestione: le ripide pareti rocciose sopra la valle del
Tessino, la fitta foresta di lecci che avvolge le pendici di Monteluco, la
striscia sottile del ponte delle Torri (fine XIII secolo) lungo ben 230 metri
con le altissime arcate che la collegano al fortilizio dei Mulini con antica
torre trecentesca.
Posta
a controllo della via Flaminia che domina dall’alto con le sue svettanti mura
perimetrali rappresenta una delle fortificazioni più suggestive d’Italia.
La pianta è formata da un rettangolo assai allungato i cui lati
misurano 133x33 metri, ed è attraversata nel senso del lato corto da un corpo
di fabbrica che dà origine a due rettangoli minori, diseguali, che
costituiscono i due cortili (“cortile
delle armi” e “cortile d’onore”).
Alle estremità del corpo maggiore e del braccio trasversale si innestano sei
possenti torri con beccatelli, quattro agli angoli e due al centro. Tra queste
notevole è la torre maestra, più alta (quasi 35 metri) e maestosa delle altre,
collocata nel mezzo del lato lungo verso la città.
Il
cortile d’onore, situato nel mezzo dell’ala nobile dell’edificio dove
erano collocati l’alloggio del governatore, gli uffici amministrativi ed il
salone dei ricevimenti, è percorso su tre lati da un maestoso portico a due
ordini, scandito da pilastri ottagonali in mattone che si congiungono a formare
ariose arcate. Salendo su per uno scalone è possibile accedere all’ordine
superiore del portico, un tempo interamente decorato di affreschi di cui oggi
restano soltanto alcune tracce. Da questo ordine era possibile accedere agli
appartamenti e al salone d’onore attraversando le belle porte in pietra
cinquecentesche.
Il
centro del cortile è occupato da un pozzo rinascimentale esagonale
fiancheggiato da due pilastri ornati di mensole che sorreggono un massiccio
architrave sul quale è scolpito lo stemma di Nicolò V.
I
primi lavori di sterro della possente roccaforte iniziarono nel 1358 per volere
del legato papale, cardinale Egidio Albornoz (1305 ca-1367), già primate di
Spagna e cancelliere del re di Castiglia, il quale nel 1362 incaricò della
direzione dei lavori, con un salario mensile di 50 fiorini d’oro, il celebre
architetto eugubino Matteo di Giovannello detto il Gattapone
(1300 ca-1383). Spoleto in quegli anni non aveva più una struttura fortificata
poiché l’antica fortezza in piazza Moretti, costruita dai perugini nel 1325,
era stata scaricata da Enrico da Sessa, vescovo di Ascoli, cappellano dell’Albornoz.
Nel parlamento provinciale tenuto a Spoleto il 22 aprile 1361 venne deliberata
un’imposta di 10 soldi per ogni persona che avesse più di sette anni per la
costruenda rocca i cui materiali proverranno in gran parte dall’antico
anfiteatro romano del II secolo, ricordato da Procopio, che Totila nel 545 adattò
a fortezza. Nel 1370 l’opera era ancora in via di ultimazione, sebbene nel
1367 si fosse registrata la consegna del «cassero... cum omninibus fortilicis».
La
rocca, appenna terminata, divenne residenza dei rettori del Ducato di Spoleto
tra cui Gomez Albornoz (1372) e Alvaro Albornoz (1374), nipoti del cardinale,
mentre un cugino del prelato, Blasco Fernandez di Belviso, anche lui Rettore nel
1355, insieme a suo figlio Garcia fu assassinato nel 1373 a Piediluco.
Nel
1383 se ne impadronì per l’antipapa Clemente VII (1378-1394) il condottiero
Rinaldo I Orsini, morto all’Aquila nel 1390, comandante generale anche della
rocca di Orvieto, ma un’insurrezione popolare, qualche anno dopo, lo costrinse
alla fuga a causa del suo tirannico modo di governare.
Il
1 gennaio 1391 cadde sotto Ugolino III Trinci, signore di Foligno dal 1386 al
1415, che consegnò la rocca al Rettore del ducato, il vescovo Benedetto da
Montefeltro; nell’ottobre del 1392 vi pernottò Bonifacio IX (1389-1404) che
volle concedere l’indulto a tutti coloro che si erano schierati con
l’antipapa. La mattina seguente, il papa, che era legato da vincoli di
parentela con i Trinci, fu da Ugolino III ospitato per alcuni giorni, insieme a
sette cardinali, nel palazzo folignate.
Ritornata
sotto l’influenza dei seguaci dell’antipapa avignonese Giovanni XXIII
(1410-1415) attraverso il governatore Marino Cossa, il 16 aprile 1419 Spoleto
capitolò sotto l’attacco delle milizie del condottiero umbro Braccio
Fortebracci da Montone al quale non fu possibile, però, occupare la rocca sia
per una ferita riportata ad una gamba da un verrettone sia per la strenua difesa
messa in atto da Figliolo Tomacelli. Braccio, dopo aver lasciato in città una
guarnigione di 1000 uomini, partì alla volta di Todi e Assisi.
Per
la sicurezza e le comodità che offriva la rocca ospiterà numerosi pontefici
oltre a Bonifacio IX: Nicolò V (1449) fuggito da un’epidemia di peste
scoppiata a Roma che fece decorare alcuni stemmi in uno dei cortili; Pio II
(1459); Sisto IV (1477); Giulio II (1511); Clemente VII (1529).
Tra
i governatori e i castellani ricorderemo i congiunti di Bonifacio IX (Pietro
Tomacelli, 1389-1404): Giovanni, fratello del papa (1392); Andrea, Legato
pontificio a Terni (1404); Marino Tomacelli dal 1392 al 1416, anno in cui morì;
Figliolo Tomacelli; Pirro di Roberto detto il Tartaro
(1433), abate di Montecassino e nipote del defunto pontefice, che fu
immediatamente odiato per la condotta immorale e per il comportamento dispotico.
Papa
Eugenio IV (1431-1447), raccolte le forti lamentele degli spoletini, ordinò a
Pirro di dimettersi e di consegnare la rocca. Egli, non solo rifiutò ma,
aiutato da Corrado XV Trinci suo parente, inasprì anche la sua arroganza verso
il pontefice. Ci fu una sollevazione popolare che costrinse Pirro a rinchiudersi
nella fortezza (1437); chiamò allora in suo aiuto Corrado e Francesco Piccinino
i quali dopo alcuni tentativi riuscirono ad entrare in città (1438),
commettendo saccheggi e infamie d’ogni genere. Il papa inviò il cardinale
Giovanni Vitelleschi nel maggio del 1439 al comando di 4.000 cavalieri e 2.000
fanti; il 9 settembre la rocca capitolò per mancanza di viveri. Il Tomacelli,
catturato, fu portato a Roma dove morì prigioniero mentre sua sorella con due
bellissime figlie furono lasciate in balìa dei soldati.
Nel
1457 il governatore del Ducato di Spoleto, Pietro Luigi Borgia, nominò quale
suo vicario il nipote Calcerando Borgia il quale, per ignoti motivi, fece
imprigionare nella rocca il maestro ebreo Leone, considerato uno dei rabbini più
importanti e stimati del rinascimento italiano, oltre che medico, filosofo e
letterato. La sua prigionia provocò l’intervento del pontefice Callisto III
(1455-1458) con un Breve da Roma datato 13 aprile 1457, nel quale si esortava
immediatamente a scarcerarlo.
La
rocca nel 1474 fu saccheggiata dalle milizie pontificie guidate dal cardinal
Legato Giuliano della Rovere (futuro papa Giulio II), aiutato da Lorenzo Zane,
Braccio I Baglioni e Giulio Cesare Varano; dopo l’impresa l’esercito papale
si rivolse contro il contado tuderte.
Nel
1499 ospitò Lucrezia Borgia (1480-1519), quale reggente del governatorato di
Spoleto, Foligno, Assisi e Nocera. Notevoli opere di restauro furono realizzate
dai governatori Domenico Ricci (1484) e Rodolfo d’Aragona (1571).
Nel
1503 ne resse le sorti come vicecastellano e luogotenente con nomina papale di
Alessandro VI (1492-1503), Giovan Francesco Rutiloni da Tolentino, che nel 1478
aveva ricoperto la stessa carica a Foligno per conto del cardinale Raffaele
Riario (†1521); al Rutiloni subentrò il 12 dicembre dello stesso anno, in
qualità di governatore e castellano, messer Gilio di Narni.
Dopo
il XVI secolo la fortezza perse la sua primitiva importanza strategica e
militare e divenne residenza signorile e carcere militare. All’interno funzionò
anche una rudimentale fonderia di bronzo. In caso di necessità, infatti, le
vecchie artiglierie ormai inefficienti venivano fuse nelle parti in bronzo per
fabbricare cannoni. Nel 1764 divenne alloggio per le truppe e nel 1817 fu
trasformata in carcere (nel 1831 ospitava 440 detenuti che nel 1837 arrivarono a
470); quest’ultima trasformazione comportò anche la realizzazione della Via
del Ponte in alternativa al vecchio percorso attraverso la cinta muraria della
fortezza. La vita dei detenuti (in attesa di giudizio o già condannati)
all’interno del carcere era estremamente difficile, legata soprattutto al
sovraffollamento (nel 1846 si contavano ben 700 persone), alle malattie e alla
scarsità del vitto. Nel 1847, ad esempio, una improvvisa epidemia di scorbuto
(tipica malattia da carenza alimentare) provocò ottanta ricoveri in pochi
giorni e tra questi oltre trenta decessi registrati.
La
difficile convivenza all’interno degli spazi angusti della Rocca provocò
spesso conflitti tra i detenuti (lotte tra gruppi diversi) e insubordinazione.
Nel febbraio del 1846 vennero alle mani gruppi di romani e romagnoli e
nell’aspra contesa quattro forzati rimasero uccisi, due gravemente feriti
prossimi a morire, e molti altri feriti più o meno gravemente.
Nel
1860 fu usata come rifugio difensivo contro le truppe piemontesi ma si arrese il
17 settembre 1860 al generale Filippo Brignone.
Nel
1913, l’archeologo spoletino Giuseppe Sordini caldeggiò l’utilizzo della
rocca come museo nazionale umbro-sabino: la richiesta al governo italiano non
ebbe di fatto alcun seguito. Durante il regime fascista, Benito Mussolini ne
fece un carcere per dissidenti politici, ma il 13 ottobre 1943 la brigata
Gramsci fece evadere 70 partigiani slavi e altrettanti antifascisti.
Ripresa
dal comune di Spoleto negli anni Ottanta del secolo scorso, è stata oggetto di
una sapiente opera di restauro che l’ha riportata agli antichi splendori.
L’imponente
struttura è passata dopo decenni di controversie legali al ministero per i Beni
Culturali e Ambientali che l’ha destinata ad attività museali e alla scuola
di restauro del libro antico. Nel 1997 è terminata la prima fase degli
interventi di restauro che ha portato alla luce anche due cicli di affreschi del
primo Quattrocento e ha reso agibile nella sua interezza questo splendido
esempio di arte militare del secondo Trecento.
©2003 Daniele Amoni. I video non sono stati realizzati dall'autore della scheda.