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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI TREVISO
in sintesi
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ASOLO (castello della regina Cornaro o Palazzo Pretorio)
«Noto anche come 'Palazzo Pretorio' o anche semplicemente come 'il castello', fino alla costruzione delle mura medioevali che agganciavano anche la 'Rocca' ebbe vita e storia autonoma legata alle vicende di Asolo e, in parte, in contrapposizione alla Rocca, denominata Castello di Braida, attorniata dall'omonimo borgo. Notizie certe del Castello di Asolo risalgono al 969, menzionato in atti dell'imperatore Ottone I, ma la denominazione stessa di 'castrum' indica una lunga storia di quel luogo che probabilmente fu fortificato già in epoca romana e certamente ebbe vicende notevoli durante le dominazioni barbariche, con alterne distruzioni e ricostruzioni. La posizione strategica a dominio dell'alta pianura e del transito tra le valli del Piave e del Brenta è infatti notevolissima. Ad avvalorare l'importanza del colle è l'importante strada romana che proveniva da Padova ed intersecava Castelfanco Veneto. Il castello nelle sue strutture principali è quindi di epoca medioevale e fu il vero cardine e faro della cittadina in quell'epoca che germogliò il rinascimento. La cinta muraria vera e propria, quella che congiunge il castello e la rocca abbracciando la cittadina, non esisteva ancora tuttavia già i longobardi provvidero ad accerchiare il castello ed il paese con opere fortificatorie costituite da fossati, palizzate e muri a secco. Il castello partecipò da protagonista alle vicende delle ricche famiglie feudali venete, fu dimora di Ezzelino III da Romano, colui che sarebbe diventato il dominatore della storia veneta e 'tiranno' per eccellenza. Alla sua caduta passò ai Carraresi, signori di Padova, che provvidero anche a 'risistemare' la Rocca e dal 1261 alla città Comunale di Treviso. Quindi la dominazione Veneziana dal 1393 ininterrottamente fino alla caduta del 1797, periodo che segna il massimo splendore del castello e della cittadina stessa. All'inizio, in tempi ancora incerti e guerreggiati, i veneziani ne fecero un importantissimo caposaldo militare, fortificarono definitivamente la rocca, potenziarono le mura di cinta dell'intero complesso e ristrutturarono il castello. Poi la lunga e secolare 'pax' veneziana, la dismissione del ruolo militare e lo sbocciare di un vivace ruolo mercantile e culturale. Dal 1489 il nome del castello viene associato a quello della Regina Cornaro. Le vicende sono ben note ed in primo piano nei miti veneziani. Durante una delle infinite guerre contro i Turchi venne barattato il possesso dell'isola di Cipro e allontanata la regina, la nobilissima Caterina Cornaro, che in cambio ricevette il possesso del castello di Asolo e molti altri nobili edifici dei dintorni. La sontuosa residenza era, in realtà, un dorato esilio-prigione. Alla morte della regina il castello diventa sede pretoria veneziana, ma nel corso dei secoli perdette di importanza e divenne anche deposito e la torre perfino utilizzata per issarvi le pale di un mulino a vento. Tragici gli avvenimenti seguiti immediatamente dopo la caduta della serenissima. Nel 1820 un'intera ala del castello venne demolita, la grande aula interna venne traformata in teatro, la torre divenne 'torre civica' e 'torre campanaria'. Ancor più deleteri gli avvenimenti novecenteschi, venne smantellato il teatro trasformandolo in cinema, una parte venne acquistata da nobili 'foresti' quale il Browning incantato come tanti altri dalla 'città dai cento orizzonti', infine parte del castello viene adibita a ristorante/bar. Una fine miserevole, comune a quella di moltissimi altri monumenti e capolavori delle nostre terre. Ci resta questa imponente e massiccia torre a dominare la città».
http://www.magicoveneto.it/Trevisan/Asolo/Castello-1.htm
«L'origine della Rocca, costruita sulla cima del monte Ricco che sovrasta il centro di Asolo, era fatta risalire, fino a pochi anni fa, ad epoca preromana e romana. A questa ipotesi aveva aderito anche l'archeologo asolano Pacifico Scomazzetto. Nel 1984 le discipline di Archeologia delle Venezie e di Topografia dell'Italia antica, dell'Università di Padova, hanno iniziato lo studio sistematico del monumento con una campagna di scavi archeologici che hanno proseguito fino al 1991. La campagna di studio è stata estremamente proficua. La prima opera dell'uomo sulla zona sommitale del monte Ricco sembra potersi identificare in una piccola aula di culto absidata, databile alla seconda metà del VI secolo. Il tratto di mosaico messo in luce nella zona dell'abside è stato trasportato nel Museo. Successivamente l'area sommitale del monte è stata utilizzata come necropoli. Ad un periodo successivo della chiesa sono anche da attribuire delle strutture abitative con dei semplici focolari domestici ed i resti di due crogiuoli per la fusione dei metalli. La data di costruzione della attuale Rocca può essere indicata, con notevole approssimazione, tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII secolo. La cisterna/pozzo posta all'interno, di foggia veneziana, è databile al XIV secolo. Dall'iniziale possesso del Vescovo di Treviso, la Rocca passò in rapida successione ai da Romano, al comune di Treviso dopo la metà del XIII secolo, poi ai Veneziani con la costituzione della Podesteria nel 1339, ai Carraresi per un breve periodo e infine nel 1388 definitivamente nelle mani della Serenissima. La Rocca venne coinvolta nel suo ultimo episodio bellico nel 1510. Dagli spalti della Rocca è possibile godere una visione a volo d'uccello ed a giro d'orizzonte: dalla pianura padana a tutto l'arco alpino circostante. Durante le giornate limpide e con condizioni di luce favorevole si intravvede chiaramente la laguna di Venezia».
http://www.bassano.eu/CITTA/asolo.asp
Cappella Maggiore (Castelletto)
a cura di Stefano Favero
CASALE SUL SILE (torre Carrarese)
«Questa località, che conta circa 9.500 abitanti, è situata in Veneto e fa parte della provincia di Treviso. Casale sul Sile è un centro agricolo che sorge sulla riva sinistra del fiume Sile, dal quale prende il nome. Un primo nucleo di Casale sul Sile sorse nel medioevo attorno al castello, a pianta quadrata e provvisto di una torre, che i da Camino, signori di Treviso, utilizzarono durante la lotta contro i Veneziani. Il fortilizio si trovava in posizione strategica: sulla riva destra del Sile, poteva controllarne i traffici. In seguito i Carraresi lo ampliarono aggiungendovi una seconda torre, quella tuttora esistente. Il castello (a differenza di numerosi altri che furono rasi al suolo dai Veneziani) fu restaurato nel 1418 da Guido Canal, podestà di Treviso, e fu adibito ad abitazione rurale. Nell'Ottocento quel poco che ne rimaneva fu distrutto. Ora la Torre dei Carraresi è stata restaurata (proprietà Tonolo) ed è inserita in un parco privato perfettamente mantenuto».
http://www.discovertreviso.com/index.php?option=com_content&view=article&id=330:casale-sul-sile
CASTELFRANCO VENETO (castello, mura)
«Antico incrocio di strade,
l’Aurelia, la Postumia, la Cornelia lungo l’ancor più antico alveo del
fiume-torrente Muson che dai piedi dell’Asolano defluisce verso Padova è il
centro naturale e storico su cui, dopo la colonizzazione romana e le età
barbariche, sorge Castelfranco. Questo confluire di vicende del passato può
sorreggere anche l’ipotesi che Castelfranco, prima di essere luogo di
avvenimenti politici, fosse nodo spontaneo di incontri mercantili. Invero qui
l’allevamento del bestiame fu facile per le pasture trovabili nell’erba di
questa pianura ricchissima di acque. Qui i mercantili si incontravano forse
per due giorni alla settimana per gli acquisti e le vendite dei propri
animali. Poi subentrarono gli interessi politici, oppure questi si
accompagnarono, com’è consueto, ai fatti di mercato e nel 1195 i Trivigiani
costruirono un castello per difendersi dai nemici e dagli usurpatori di
queste terre, creando un baluardo di difesa per la stessa città di Treviso.
I nemici furono soprattutto i Padovani ed i Vicentini, poi gli alleati di
questi, allo scopo di demolire la Comunità di Treviso. Ma il castello valse
anche ai Trivigiani per convogliare i traffici della pingue zona nell’ambito
degli interessi economici di Treviso, dirottando la linea naturale
Asolo-Padova, con una piegatura ad angolo retto, all’altezza del castello.
Così Treviso risolse ad un tempo il suo problema a due risvolti: politico ed
economico. I castelli feudali limitrofi non ebbero più senso. Le mura
comunali furono erette nel più breve tempo possibile. Fu dedotta da Treviso
una colonia perché abitasse il castello. Furono mandati i soldati. Furono
stabilite le leggi. Il diritto comunale affrancò anche i meritevoli ed
acconsentì pure un respiro ai servi della gleba che non furono più tali, ma
ebbero libera scelta nel loro lavoro. La chiesa di Pieve decadde dal suo
antico prestigio, allogandosi in un borgo, cioè “extra moenia”, mentre la
chiesa di San Liberale (che richiama il santo patrono di Treviso) fu
collocata nel centro del castello, vicina al palazzo del Podestà e dei
Consoli. Il castello fu difeso anche da un fossato che circuisce tuttora le
mura, su cui erano gettati i ponti levatoi in legno che tali restarono
finchè non furono sostituiti da quelli in pietra nel sec. XVI. Un’altra
difesa fu costituita dalle Bastie (terrapieni), quella vecchia e la nuova,
poste di fronte alle mura di levante, a guisa di contrafforti. Dopo le prime
battaglie, la calata di Federico II insediò in Castelfranco la tirannia di
Ezzelino da Romano che fu Vicario imperiale fino alla sua morte avvenuta nel
1259. Da allora Castelfranco rientra nel Comune di Treviso, ed esso si
gioverà di questo castello, in avamposto, nel 1286 per propria difesa dagli
assalti dei Veronesi. Castelfranco sarà quindi possesso dei Caminesi (di
Treviso), poi dei Carraresi (di Padova), quindi degli Scaligeri (di Verona),
fino all’intervento di Venezia. La pace sarà interrotta dalla Lega di
Chambrai (1509) che vedrà la caduta di Castelfranco sotto l’Imperatore.
Breve dominio, che tuttavia costerà forti somme di denaro per impedire la
distruzione del castello e l’eccidio dei cittadini.
Il castello è costituito da un recinto murario a base quadrata, con quattro
torri angolari e quattro porte mediane. La principale di queste ultime è
detta la torre “davanti” di fronte alla strada che conduce a Treviso. Questa
torre fu sopraelevata rispetto alle altre, in tempi successivi, fornita di
campana e cupola. Corrispondente a questa, verso ovest, vi è la porta del
Musile, detta anche di Cittadella. Poca importanza ebbero le altre due
porte, l’una detta dei Beghi, dal nome di una famiglia illustre che aveva la
sua casa vicina ad essa, l’altra, detta dei “morti” che più che porta fu una
specie di postierla con ponticello ligneo, perché attraverso di essa si
conducevano i morti al cimitero vecchio della “chiesa di dentro”. A nord
delle mura fu riservato il luogo di convegno e la grande piazza per il
raduno del bestiame. Mentre lungo le bastie furono erette le case fuori mura
per le necessità del mercato e del lavoro inerente alle opere del castello.
Nell’interno di questo, invece, fu sempre residente la parte nobilesca e
militare. Le case delle bastie, per disposizione comunale furono, in un
primo tempo di pari e modestissima altezza, costruite in legno per essere
incendiate in caso di assedio. Il tempo, a guerre finite, trasformerà gli
edifici in “case da muro, coverte de copi” con altezze diverse, dopo che le
disposizioni comunali saranno superate dalla Veneta Signoria. Nei borghi
sono collocate, specie in prossimità del castello, le prime osterie per
viandanti e mercanti, nonché le stalle per il deposito di bestiame. In
proseguo di tempo, i borghi saranno il tramite di comunicazione tra il
centro di Castelfranco e il contado delle grandi ville, specie dopo
l’ingresso di Venezia in Terraferma, con l’acquisto delle grandi aree
terriere (dal XIV al XVI secolo) come quelle dei Soranzo e dei Corner in
Sant’Andrea oltre il Muson e Treville, degli Emo a Fanzolo dei Mocenigo a
Godego, etc. Il secolo XVII avrà una fioritura di congregazioni di ordini
religiosi, con edificazioni di chiese e conventi, opportuni per il soccorso
agli abbandonati ed ai poveri, dopo le grandi pestilenze e le carestie.
Nella fine del sec. XVIII e l’inizio di quello successivo, il nuovo vento di
Francia e la calata di Napoleone, travolgendo la Repubblica Veneta,
trasformeranno anche le consuetudini e le strutture politico-amministrative
di Castelfranco, con il particolare disagio dei ceti contadini cui saranno
imposte gravezze di carriaggi per le truppe occupanti, ora francesi, ora
austriache, in un continuo succedersi di vicende tempestose e troppo
frequenti, fino al dominio Longobardo-Veneto, nell’Impero degli Asburgo che
non sarà una sottomissione felice dal punto di vista politico e fiscale,
quanto ammirata, anche nel suo ricordo, per la sua rettitudine di
amministrazione. Il 1866 è l’anno dell’annessione di Castelfranco al Regno
d’Italia. Amedeo di Savoia Aosta è ospite per vari mesi in villa Revedin per
la celebrazione dell’avvenimento. Con la monarchia costituzionale il voto è
gradualmente esteso a tutti i cittadini per censo e titolo di studio fino
alla loro totalità ed il servizio militare è reso obbligatorio. Ci sono
proteste e rifiuti assieme ad entusiasmi. La prima guerra mondiale fa di
Castelfranco un teatro diretto per il rifornimento di truppe su tutti i
fronti, ma in particolare su quelli del Piave e del Grappa. Dopo la seconda
guerra mondiale vi furono il grande esodo, specie dalle campagne, la grande
nostalgia degli emigrati, che arricchirono per la prima volta la propria
terra, e l’industrializzazione, ma sovvertendo le tradizioni e le usanze: la
campagna quasi scomparve per dar luogo ad attività nuove di carattere
mercantile ed industriale.
Castelfranco Veneto deve il proprio nome al castello ‘franco’ (esente) da
imposte per i suoi primi abitanti-difensori. Il possente quadrato di rossi
mattoni fu eretto sopra un preesistente terrapieno, alla fine del secolo XII
dal Comune medievale di Treviso, poco a nord del villaggio della Pieve Nova
, sulla sponda orientale del torrente Muson, a presidio del turbolento
confine verso le terre padovane e vicentine. Già nei primi decenni del
Trecento, sul lato orientale, si sviluppa il primo nucleo dell’abitato
(Bastia Vecchia), strumento anch’esso di difesa, dotato di un ospizio per
poveri e viandanti. Città murata per sua stessa definizione, conserva quasi
integralmente la cinta muraria e le sei torri che si innalzano ai quattro
angoli e nei punti mediani di oriente e meridione. Castelfranco Veneto lega
indissolubilmente i suoi ottocento anni di storia alla strategica posizione
nel Veneto centrale: tappa obbligata tra Venezia, la Germania e le Fiandre,
tra l'Europa occidentale e le pianure dell'Est. Città di commerci fin
dall’origine e sede d’un antico mercato di granaglie e bestiami, attivo sino
alla metà del secolo scorso; fu centro, in passato, delle più svariate
attività artigianali e snodo ferroviario di primo livello dalla fine
dell’Ottocento ai giorni nostri. Fu sede di podesteria veneziana dal 1339 al
1797, patria, tra il XVII e il XVIII secolo, di uomini di scienza (Jacopo,
Giordano e Vincenzo Riccati), di architetti (Francesco Maria Preti) e
musicisti (Agostino Steffani) di larga fama, Castelfranco Veneto è
universalmente nota per aver dato i natali a una delle figure più
straordinarie ed enigmatiche della storia della pittura: Giorgione
(1478-1510), genio misterioso della luce e del colore. Di Giorgione, la
fortezza racchiude, quasi scrigno, due gemme preziose tra le poche
riconosciute al pittore: l’ermetico Fregio di Casa Marta-Pellizzari e la
celeberrima Pala del Duomo di S. Liberale. Città murata-città di Giorgione:
questa è l’icona bifronte di Castelfranco Veneto, impressa, ieri ed oggi,
nello sguardo stupito e rapito di poeti, scrittori e viaggiatori d’ogni dove».
http://www.castelfrancoalcentro.it/castelfrancoveneto.aspx (testo a cura di Pro Loco Castelfranco)
Castello Roganzuolo (resti del castello)
«Il campanile di Castello Roganzuolo è una torre medievale prospiciente il lato sud della chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Castello Roganzuolo, nella parte collinare del comune di San Fior. È il simbolo del paese. Posto a destra della chiesa, il campanile è un'antica torre già appartenente al castello dei Da Camino (XI secolo) che nel 1337 fu abbattuto per mano veneziana. Unico elemento superstite, assieme alla cappella, esso fu convertito a campanile per la chiesa e, come essa, nei secoli si sviluppò fino a raggiungere l'attuale aspetto. Infatti della vecchia torre sono le murature della parte che va dalle fondamenta alla cella campanaria, mentre le bifore e il blocco superiore merlato sono un innalzamento successivo, i cui ultimi rifacimenti sono ottocenteschi. Il campanile è stato integralmente restaurato con finanziamento della Regione Veneto nel biennio 2010-2011 ed inaugurato nel 2012. Sulla sommità, la struttura presenta una merlatura ghibellina: dodici merli a coda di rondine, al centro della quale, dove è presente una copertura in coppi non visibile dal basso, svetta un parafulmine abbellito da una caratteristica banderuola con un nero profilo di Sant'Ermagora, a ricordo della lunga appartenenza alla diocesi aquileiana. Scendendo si incontra, tra due cornici appena pronunciate, la cella campanaria, aperta da una bifora a tutto sesto per lato; all'interno di essa trovano posto le tre campane, i cui rintocchi risuonano ogni ora nella campagna sottostante il colle. Al di sotto delle bifore, su due lati adiacenti, quello che dà sul cortile e quello che dà sul cimitero, sono posti i due orologi; essi, identici, sono d'estrema semplicità: due circonferenze (inscritte in un quadrato appena accennato) e contenenti i numeri arabi da 1 a 12, a loro volta disegnati in piccoli cerchi, nero su bianco; le lancette metalliche sono di un'elegante essenzialità. Scendendo, la base è una piattaforma allargata (aggiunta come rinforzo nel XIX secolo) e tagliata, a partire dal cortile, da una piccola scala, i cui gradini consumati dai secoli conducono alla porta d'ingresso».
https://it.wikipedia.org/wiki/Campanile_di_Castello_Roganzuolo
CAVASO DEL TOMBA (resti del castello della Bastia di San Giorgio)
«La fortificazione di Cavaso, nominata nelle fonti a partire dal 1317, era bene della famiglia dei Da Castelli, e forse prima ancora dei Da Cavaso. Nell'ambito della guerra veneto-carrarese della seconda metà del XIV secolo, la struttura viene trasformata in bastia, cioè un luogo di momentaneo rifugio della popolazione e dei beni al riparo dalle scorrerie di eserciti nemici. Tra il 1381 e il 1388 sarà in mano carrarese poi passerà definitivamente a Venezia. Nel 1413 il Senato veneziano, che ordina la demolizione delle bastie sorte nel territorio, la risparmia tanto che nel 1420 vi è ancora un suo capitano, sebbene la fortificazione risulti in fase di declino e disattivazione, Sondaggi archeologici del tutto preliminari effettuati dall'Università di Padova e dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici del Veneto (1996-1997) hanno permesso una prima ricostruzione della struttura fortificata: si tratta di un'ampia cinta muraria, che asseconda la conformazione del terreno, all'interno della quale è stata riconosciuta nell'angolo nord-ovest una torre quadrangolare».
http://davetto.altervista.org/foto/treviso/cavaso_del_tomba/index.html
CENEDA (castello di San Martino)
«Tracce archeologiche riconducono agli insediamenti pre-romani e romani attorno e sul colle di San Paolo e di San Martino. Con l'invasione longobarda (VI-VII sec.), Ceneda divenne importante Gran Ducato, suddivisione politico-militare longobarda tra il Piave ed il Tagliamento comprendente le Sculdasce di Belluno e Feltre. Longobardi e Franchi edificarono un vero e proprio castrum sul colle di San Martino. Con la dominazione dei Franchi (VIII secolo) fu insediato il Conte-Vescovo, a seguito della distruzione della città romana di Oderzo (665) e la traslazione di San Tiziano nella chiesa madre di Ceneda. Nell'897 vi fu la visita dell'illustre imperatore Berengario I a sancire la ricchezza e la potenza del Vescovo-Conte e l'importanza della città di Ceneda. Ceneda e il suo castello subirono l'assedio degli Ungari (903) con gravi distruzioni. Per tutto il XII secolo, non più potente come un tempo, Ceneda fu coinvolta nelle lotte tra comuni e signorie che tra alterne vicende videro al potere il Comune di Treviso, i Caminesi, i Conti-Vescovi di Belluno. Fu bruciata la cattedrale e trafugato il corpo di San Tiziano. Nel 1337 arrivarono i veneziani che concessero larghe autonomie al feudo di Serravalle e al vescovo di Ceneda. Il castello di San Martino venne riedificato nel 1420 dal vescovo Antonio Correr nelle forme attuali, più adatte a residenza signorile. Una galleria collegava anticamente il Castello di San Martino con il sottostante castello dei Romagno, non più esistente. Galleria chiusa nel 1882. Altri gravi danni si ebbero a Ceneda con i terremoti del 1873 e del 1936, a seguito dei quali per il castello e per altri monumenti si intervenne con pesanti restauri».
http://www.magicoveneto.it/Trevisan/VittorioVeneto/Ceneda_CastelloSanMartino.htm
CISON DI VALMARINO (Castelbrando)
«Castelbrando è un castello nel comune di Cison di Valmarino (TV). Sorge alle pendici del monte Castello, da cui domina i borghi di Valmareno e di Cison. Il castello ha origini assai antiche e il primo nucleo dovrebbe risalire all'epoca delle invasioni barbariche, quando c'era la necessità di difendere la vicina Ceneda - che pure ospitava un castrum - con una fortificazione rivolta verso la pianura. Come testimoniano i reperti, già allora si era formato negli immediati dintorni un centro abitato stabile ma il tutto decadde con l'arrivo dei Goti, che non potevano essere avvistati perché giungevano dai valichi a nord. Il castello fu però recuperato dai Longobardi, la cui presenza era qui molto forte vista l'istituzione del Ducato di Ceneda. Tuttavia, essi ne fecero ben presto dono, con tutta la Valmareno, ai vescovi locali (forse per iniziativa della regina Teodolinda) che la tennero anche sotto i Franchi e, successivamente, il Sacro Romano Impero. A partire dall'XI secolo castello e feudo appartennero ad alcune signorie locali. Nel 1154 finì ai Caminesi e, nel 1343, tornò per un brevissimo periodo alla diocesi. Con la morte del vescovo Ramponi, infatti, il feudo fu assoggettato alla Repubblica Veneta che lo diede a Marin Faliero, futuro doge. Questi però fu più tardi giustiziato e la fortezza ritornò alla Repubblica. Nel 1436 quest'ultima lo donò a Brandolino IV Brandolini e al Gattamelata, condottieri di ventura al servizio della Serenissima. In seguito, a causa di una promozione militare del Gattamelata egli lo cedette totalmente al primo. La dominazione veneziana portò un lungo periodo di pace e Castelbrando, cessate le funzioni militari, fu adattato tra il XVI e il XVIII secolo alle esigenze dei Brandolini che lo trasformarono in un palazzo signorile applicandovi lo stile delle ville venete e creando un interessante nonché innovativo per l'epoca sistema di "riscaldamento". I conti tennero il castello sino al 1959, quando lo vendettero ai Salesiani che lo utilizzarono come seminario e luogo di ritiro. Rivenduto da questi nel 1997 all'imprenditore Massimo Colomban, è stato restaurato di recente e ospita oggi un albergo. Dal 18 al 20 aprile 2009 è stato sede internazionale del primo G8 dell'agricoltura».
http://it.wikipedia.org/wiki/CastelBrando
Collalto (castello dei Collalto)
a cura di Stefano Favero
Le foto degli amici di Castelli medievali
a cura di Stefano Favero
Cordignano (ruderi del castello o Cordelat)
a cura di Luca Baradello
Le foto degli amici di Castelli medievali
FARRA DI SOLIGO (torri di Credazzo)
«Il nome di Credazzo (da creda, ovvero creta, argilla) si deve alla caratteristica terra argillosa. Ad occidente verso Col San Martino, intorno alla borgata omonina, si estendeva il feudo di Credazzo. Costituiva uno dei punti strategici dell'agguerrito sistema difensivo che caratterizzava tutta la fascia collinare. Forse la sua origine va ricercata al tempo delle invasioni degli Ungari intorno al IX-X secolo. È verosimile che i costruttori del castello di Credazzo, come di altri della zona, siano stati i Collalto, cioè i Conti di Treviso. Lo insinua il diploma del 980 dell'imperatore Ottone II che conferma in favore dei Collalto tutte le proprietà avite con l'aggiunta di nuove donazioni tra cui gran parte del territorio compreso tra il fiume Soligo e Raboso. Il nome di Credazzo appare per la prima volta in un documento del 1233, ma in quel periodo le sue origini sono ormai lontane e la sua struttura si è già da tempo consolidata. In quell'anno il castello, già da lungo tempo in possesso ai Caminesi, forma ormai una vera Curia con tutto l'abitato che gli sta intorno, la Villa Credacii. Esso si presenta quindi, osserva il Faldon, come il chiaro punto di riferimento di un notevole complesso feudale di beni, diritti, rapporti, consuetudim; con personale dipendente, la masnada, servi e vassalli che lavorano e custodiscono il patrimonio del signore, ricevendo da lui sostentamento ed in qualche modo sicurezza e protezione. Il castello si articolava in tre torri disposte nel senso nord-sud e congiunte da mura robuste sulle quali era possibile il passaggio delle sentinelle e della servitù. Esso corrispondeva quindi ad esigenze di signorile abitazione e di valida difesa: castrum et fortilicia. All'interno delle mura si trovavano certamente anche costruzioni in legno: esse servivano da abitazione per i servi legati con vincolo e rapporto personale al signore e costretti, in caso di urgenza, a combattere per lui. I confini del colle, sul quale si ergerva il castello e che costituivano le sue pertinenze, erano indicati nei documenti nel modo seguente: ad est il Riulus de Credacio (la Rui); a sud la curtina de Credacio, forse il poco terreno recintale della chiesa di Credazzo col suo cimitero, ed ancora la terra di Pinzolo, un proprietario del luogo; a nord il Col Moro.
Intorno al castello, umili e sparsi casolari formavano l'abitato rustico della Villa Credacii e la gente si radunava per le pratiche religiose nella chiesetta di S. Lorenzo, officiata da un rettore, con il cimitero che la circondava forse da due lati. Dal 1233 è possibile seguire le vicende del castello e dei suoi signori. Nel 1243 vedeva la luce a Credazzo Guecellone VI da Camino, figlio di Tolberto II dei Caminesi di sotto simpatizzante di Ezzelino da Romano. Guecellone morì giovanissimo a Treviso nel 1272. Figlio di costui fu quel Tolberto II che prese come sposa Gaia, la figlia del "buon Gherardo", ricordata da Dante (Purg. XVI). Alla morte di Gaia, Tolberto sposò in seconde nozze Samaritana Malatesta da Rimini dalla quale ebbe Beatrice e Biaquino. Sua figlia Chiara nel frattempo era andata sposa a Rambaldo VIII di Collalto, già vedovo di Costanza Guidotti. Nel 1321, qualche anno dopo la scomparsa di Tolberto, il castello di Credazzo venne messo all'asta dai tutori del giovane Biaquino. Lo comperò Rambaldo VIII di Collalto per lire 13.560 dei piccoli; così furono saldati i debiti che il fratellastro Biaquino aveva, per ragioni di eredità, con Chiara la seconda moglie di Rambaldo. Questo fu il motivo per cui le torri di Credazzo sfuggirono dalle mani dei Caminesi e passarono in quelle della famiglia Collalto. Rambaldo morto nel 1324, non godette a lungo il possesso del castello che rimase comunque ai Collalto fino alla sua distruzione. Questa avvenne agli inizi del 1400 e fu segnata dagli Ungheri. Sollecitato infatti da Marsilio da Carrara e da Brunoro della Scala, l'imperatore Sigismondo re d'Ungheria, mandò una spedizione contro Venezia. Un esercito era guidato da un fiorentino, l'avventuriero Pippo degli Scolari, più noto come Pippo Spano, che, occupato il Friuli, puntò sulle terre oltre il Livenza. Nel 1413 fu per lui la volta buona per distruggere i castelli di Rai e Credazzo di proprietà dei Collalto, già da tempo legati alla Serenissima. Sui ruderi delle torri di Credazzo la famiglia Collalto non ebbe più alcun interesse a riedificare un castello che sarebbe forse servito più che altro a ricordare la potenza e la gloria dei Caminesi. Nel nostro secolo esso fu acquistato dalla famiglia Biscaro Mario di via Credazzo intorno agli anni '40; passò quindi all'architetto trevigiano Giovanni Barbin che lo ristrutturò negli anni '70. Nel secolo scorso il letterato solighese Quirico Viviani mise in versi una leggenda pastorale e drammatica ambientata nel castello di Credazzo...».
http://www.farra.it/turismo_desc.asp?id=12
MEDUNA DI LIVENZA (resti del castello)
«Il castello medievale risale al 1000, ed era sotto la giurisdizione di Aquileia. Nella prima metà del '300 i da Camino tentarono invano di impadronirsene. Il periodo che segui fu caratterizzato di scontri interni finche la sottomissione a Venezia porto ordine nel 1420. La zona è legata ai seguenti personaggi: Angelo Correr che depose il Patriarca di Aquileia, il Conte Girolamo di Porcia che descrisse il castello nel 1567, il capitano di Meduna Francesco Duodo nel 1749, e i nobili Loredan che qui risedettero a lungo. Luoghi da visitare: il Palazzo del Governo, sulla sponda sinistra del Livenza, costruito sui resti dell'antico castello e utilizzando il palazzo dei patrizi veneti, Micheli di Meduna. I resti del castello medievale sono visibili sul lato Sud-Est».
http://www.tragol.it/TV/Meduna/MEDUNA.HTM
PORTOBUFFOLÈ (ponte e torre Civica)
«Si entra in Portobuffolè dal ponte che immetteva alla Porta Trevisana, distrutta nel 1918. Subito si arriva in una piazzetta con acciottolato circondata da bei palazzi, Piazza Beccaro. Cà Soler ha un'importante facciata rivolta un tempo verso il canale, ora interrato. Su un'altra costruzione vi sono resti di affreschi attribuiti al Pordenone. Dalla piazza si arriva in breve a Casa Gaia, una splendida dimora del Trecento in cui visse fino alla morte, avvenuta nel 1311, la celebre e discussa Gaia da Camino. Fu lei a trasformare quella che era una casa torre in una piccola reggia. La facciata è ingentilita da bifore arricchite di colonnine sottili ed eleganti con capitelli a fior di loto. Gli affreschi conservati al primo piano raccontano un'atmosfera cortese che, tra una guerra e l'altra, regalava un po' di serenità alla piccola corte affacciata sul placido Livenza. I canti dei trovatori e dei menestrelli, apprezzati da Gaia che si dilettava di poesia provenzale, sembrano risuonare in queste stanze dipinte. Dai muri interni di Casa Gaia occhieggiano i rappresentanti della cultura, un principino accompagnato dal servo, curvo sotto il peso di un librone, sei giovani guerrieri rivestiti di un'armatura finemente ricamata. Si nota anche un castello, forse proprio quello di Portobuffolè, e c'è chi sostiene che i due personaggi appena abbozzati siano i padroni di casa, Tolberto e Gaia. Al secondo piano appaiono città fortificate, ponti levatoi, torri e palazzi, paggi in amabile conversazione: quanto basta a rinvigorire il nostro immaginario medievale. La Torre Comunale del X sec. è l'ultima che resta delle sette antiche torri del castello. è alta 28 m. e costruita in laterizio. Sull'orologio si trovava il buco dal quale i condannati erano calati nella sottostante prigione. La casa ai piedi della torre era un tempo il Palazzo del Governo e reca ancora la scritta, tra due finestrini ovali: "fatta dalle fondamenta il 9 marzo 1187". Sopra la porta del Monte di Pietà, fondato nel '500 dai Veneziani, vi è un raro esempio di "leon in moeca", quello dall'aspetto terrificante che veniva rappresentato in tempo di guerra».
http://www.borghitalia.it/html/borgo_it.php?codice_borgo=625
a cura di Stefano Favero
«La tradizione la vuole d'origine romana. L'aspetto attuale è comunque medioevale ed identifica una torre di vedetta a guardia della strada che portava al passo di Fadalto lungo la Val Lapisina verso il Bellunese ed il Norico. Molto probabilmente era una muda o dogana, alla cui guarnigione veniva pagato un qualche pedaggio prima di inoltrarsi lungo la vecchia strada che correva alle pendici del Monte Visentin, cioè sul lato opposto al percorso dell'attuale statale Alemagna. Costruita in pietra rozzamente squadrata, ha pianta pressoché quadrata con il lato esterno di circa 8,5 ml. e quello interno di ml. 5,4. La base presenta una considerevole scarpa per allargare l'impronta alla fondazione essendo il suo sviluppo in altezza pari a circa 14,00 ml. più il perimetro merlato di 2,00 ml. All'interno si possono ancora vedere i fori d'appoggio delle travature dei solai che erano quattro; l'ultimo era costituito da una volta a botte il cui paramento interno era in mattoni pieni. La porta d'accesso è posta sul lato a nord ovest alla quota del primo solaio, opposta cioè al percorso della vecchia strada. Infatti, il lago di Negrisiola sul quale la torre si specchia, non esisteva fino ad una cinquantina d'anni in quanto formato artificialmente con la realizzazione della centrale idroelettrica. Ultimamente sono stati eseguiti alcuni lavori di consolidamento murario tramite iniezioni di malta di calce adatti a fermare il degrado statico cui la torre era ormai soggetta».
http://www.undicigradi.com/medioevo-medievale/castelli-medievali/torre-san-floriano.htm
«Il rudere si erge isolato su una collinetta, forse "mutera" preromana o semplicemente terrapieno ricavato dallo scavo del fossato oggi scomparso, e faceva parte di una fortificazione di età medioevale certamente più ampia. La struttura superstite, con paramento murario interamente in mattoni, appartiene ad una torre chiusa, forse il mastio, articolata su tre livelli, riconoscibili dai fori per le travature e dalle mensole in pietra, coronata dalla merlatura e con caratteristiche nicchie, giustificabili in funzione di un uso residenziale della torre. Il castello, caposaldo fortificato del patriarca di Aquileia oltre il Livenza sin dal secolo X, insieme alla "villa" di Rai, viene dato in feudo a Ezzelino il Balbo nel 1147 e dal XIII secolo viene spesso conteso dal comune di Treviso al patriarca, finché non viene concesso, da Carlo IV nel 1358, ai conti di Collalto, che lo ricostruiscono parzialmente verso la fine del XV secolo, erigendo al suo interno (quindi il complesso doveva essere molto ampio), nel 1567, il monastero Carmelitano dell'Annunziata con la piccola chiesa ancora esistente a poca distanza dalla torre».
http://www.tragol.it/liberalabici/sub/itinerari/itinerario13.htm
SAN POLO DI PIAVE (villa Papadopoli Giol, o castello Giol)
«Villa Papadopoli Giol, detta Castello Giol, si trova nel centro di San Polo di Piave. La definizione di Castello è dovuta alla memoria storica dell'esistenza di un castello, appunto, fatto costruire dai patriarchi veneziani per difesa del loro territorio nel '400. Realizzata con un insolito stile tudor, o neogotico, alla fine del XIX sec., appare come un pezzo di Inghilterra trapiantato in territorio trevigiano. Il suo aspetto sembra si debba all'opera dell'ing. G.B. Ferrante di Torino. Si accede alla proprietà attraverso un ponticello su un fossato di acqua risorgiva ricco di piante acquatiche. Dalla strada se ne vede il retro: il fronte principale, infatti, è rivolto verso l'ampio lago. La villa è rialzata su una specie di collina artificiale dalla quale domina anche il parco, realizzato verso al fine dell'800 in stile inglese a opera dello scenografo vicentino Francesco Bagnara che cominciò a lavorarvi dal 1850 su commessa del conte Papadopoli, anche se in seguito venne commissionato un nuovo riassetto al francese Durand. L'edificio riprende in realtà lo schema compositivo delle ville venete con il corpo centrale enfatizzato e messo in risalto rispetto alle ali (barchesse), ma esso viene reinterpretato secondo le caratteristiche dello stile neogotico, permeato da una tendenza alla verticalità che informa tutte le parti della costruzione. Il frontone diventa un triangolo con bifora gotica sormontato da una selva di pinnacoli, mentre la classica trifora centrale corrispondente al salone passante diviene una trifora gotica affacciata su un poggiolo retto da un pronao con colonne sottili. Le ali si trasformano in torrette con frontoni triangolari, bifore e bow-windows, leggermente più basse rispetto al corpo principale. Interessanti gli interni: il foyer del piano terra con l'ampia porta in ferro e vetro cattedrale, i decori a finta tappezzeria e il finto cassettonato entrambi a effetto tridimensionale, l'ampio scalone con un notevole parapetto in ghisa, il salone centrale ornato con sopraporta allegorici e il soffitto con tele. Particolare la stanza neorococò con specchiera e lampadario fine '800, nonché dipinti sottovetro con cornici dorate. Nel 1921 il castello, il parco, le cantine e circa 1000 ettari di campagna furono acquistati dal commendatore Giovanni Giol, appena rientrato dall'Argentina, dove aveva avviato una fiorente attività vitivinicola che lo aveva reso ricchissimo: dopo la prima guerra rilevò le proprietà dei conti Papadopoli in San Polo di Piave. Oggi il parco, che nasceva secondo un nuovo concetto non più romantico bensì naturale, è ancora perfettamente mantenuto e leggibile in tutte le sue peculiarità con lago, isole e piante imponenti».
San Zenone degli Ezzelini (torre degli Ezzelini)
a cura di Stefano Favero
SERRAVALLE (castello)
«Il Castello di Serravalle o castrum (e anche il suo raffinato bed & breakfast), lega la sua esistenza alla storia dell'antico borgo di Serravalle. Oggi castello medioevale e borgo sono integrati nella città di Vittorio Veneto (TV), e sono una vera e propria perla urbanistica nel territorio regionale e non solo. In passato Serravalle era uno dei comuni di maggiore importanza dell'entroterra della Serenissima, in quanto punto difensivo fondamentale per il collegamento con l'Alemagna e borgo vivacissimo di commerci (lane, spade, fonderie di campane, ecc.). Di Serravalle, il castrum, con la sua ampia spianata circondata da mura, è sempre stato il fulcro principale attorno al quale nei secoli si è formato il borgo. Leggenda vuole che si debba ad un dignitario nomade, un certo Goto, l'edificazione di un castello sul Marcantone e di una torre ad est (la Turris Nigra) dove l'uomo avrebbe fatto martirizzare la figlia Augusta quando scoprì la sua conversione al cristianesimo. In realtà sarà con l'arrivo dei Longobardi e con la nascita del Ducato di Ceneda che si potrà iniziare a parlare di testimonianze di fortificazioni a Serravalle e solo con i Franchi della costruzione del Castrum vero e proprio, o meglio, del Castello di Serravalle. Sarà nel XII-XIII secolo che il borgo medioevale conoscerà il suo sviluppo, legando la sua storia alle aspre lotte di potere fra Comuni e famiglie nobiliari: le sorti del castrum furono quindi legate ad una delle più potenti famiglie della Marca Trevigiana, i Da Camino. Con l'iniziare del tredicesimo secolo Serravalle attraverserà un periodo di grande ricchezza, i da Camino, infatti, favorirono il commercio e lo sviluppo urbano. Una sostanziale modificazione del Castrum si ebbe a partire dal 1337, grazie all'intervento dei Veneziani, a cui il Vescovo decise di cedere Serravalle per garantirne la difesa. Il Castello da allora e per quasi cinque secoli, divenne sede dei Podestà della Repubblica di Venezia. Sotto la Serenissima il borgo ed il suo castello, divenne uno dei centri mercantili, artistici e manifatturieri (ricordiamo la produzione di spade) più importanti del Veneto, con alterne vicende, fino alla fine del´700».
http://www.bedandbreakfastcastrum.it/castello-serravalle-treviso-storia.php
SERRAVALLE (palazzo Sarcinelli e altri palazzi)
«Innumerevoli facciate secolari rendono di grande rilevanza storica e architettonica le vie di Serravalle di Vittorio Veneto. Questo centro di origini romane, si sviluppò nel medioevo, giungendo alla massima fioritura economica ed artistica durante il Rinascimento, quando fu frequentato da grandi architetti, pittori ed umanisti. Questa voce procede ad una descrizione storico-architettonica dei palazzi più importanti, attraverso una suddivisione per contrade e piazze: nell'ordine via Roma, via Martiri della Libertà e piazza Minucci, via dei Battuti e piazza Flaminio, via Casoni e il Foro Boario».
«Palazzo Sarcinelli è un'architettura di Vittorio Veneto, ubicata nel centro storico di Serravalle, tra via Martiri della Libertà e piazzetta Vecellio. Palazzo Sarcinelli viene costruito nei primi anni del XVI secolo dal ramo serravallese della nobile famiglia Sarcinelli, in particolare dai fratelli Giovanni e Martino. Nello stesso secolo questo palazzo si lega alle vicende della famiglia Vecellio: infatti la figlia di Tiziano, Lavinia, fu data in sposa negli anni 1550 a Cornelio Sarcinelli di Serravalle, dando alla luce numerosi figli, prima della prematura morte avvenuta forse nel 1561. Di lei resta, ancor oggi, la stanza. Attualmente il palazzo è ancora privato e ha beneficiato di un importante restauro negli anni 2000. Tipica struttura rinascimentale, Palazzo Sarcinelli ha la facciata principale su via Martiri. Caratterizzata da una forometria disposta simmetricamente, che evidenzia i tre livelli (più il sottotetto) di cui l'edificio si compone. Il piano terra, dove è posto centralmente un portale rettangolare, è aperto da un porticato con cinque arcate a tutto sesto, sotto le quali e sulla cornice delle quali sono presenti, in bassorilievo, delle rosette portafortuna. Secondo uno schema che interessa entrambi i piani nobili, tra coppie di monofore a tutto sesto in cornice lapidea rettangolare, si inseriscono le due quadrifore centrali, dotate di balaustra ed elementi scultorei, tra i quali, sui pilastrini di sostegno, ritorna il tema delle rosette portafortuna».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzi_di_Serravalle - http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Sarcinelli_%28Vittorio_Veneto%29
SOLIGO (castello non più esistente)
«Come importante residenza feudale, Soligo è nominata per la prima volta nel 962, anno in cui Ottone I investe il vescovo cenedese Sicardo anche del castello e delle terre di Soligo. Nel 980, però, Ottone I concedeva a Bianzeno, Rambaldo e Gilberto di Collalto i diritti della camera regia posti tra i fiumi Soligo e Raboso. Dai documenti si rileva che fino al sec. XII dominarono su questa fortezza alternativamente il vescovo di Ceneda, quello di Belluno e i conti di Collalto. Stando alla descrizione che ne fece nelle seconda metà del secolo scorso il parroco Sbardella in base ai pochi ruderi ancora esistenti, il maniero doveva essere particolarmente imponente. Doppio giro di fosse cingevano le mura a ponente, il punto più vulnerabile, difeso da una poderosa torre. Le due porte di ingresso guardavano una a sud, verso il borgo sottostante, e l'altra, quasi segreta, a nord-est in direzione del fiume Soligo e del Castelletto, la rocca di Solighetto. All'interno si innalzava una seconda torre ed una chiesetta dedicata a S. Biagio. Ad oriente la fortezza era protetta da doppia cortina di mura, mentre a mezza costa una rocca minore controllava le due salite. Intorno al 1120 ebbe la corte a Soligo un ramo dei Caminesi per opera del vescovo cenedese che investì del feudo Gabriele I da Camino con diritto di trasmettere il possesso agli eredi. Nel 1204 il castello passò ad un altro ramo dei Caminesi, quello di Serravalle. Il 1300 fu fatale al ricco maniero che, superate le incursioni del feroce Ezzelino da Romano, fu poi in gran parte distrutto nel 1319. Un anno prima Guecello da Camino aveva tradito la causa trevigiana rivolgendosi agli Scaligeri e concedendo loro il potere su alcuni castelli, tra cui Soligo, sui quali Treviso vantava l'alto dominio, e aveva unito le sue truppe a Cangrande della Scala. Treviso si rivolse allora all'alleato Conte di Gorizia, vicario di Federico d'Austria, per una spedizione punitiva nei feudi del Caminese che si risolse anche con la parziale distruzione del castello di Soligo. Nonostante la diminuita efficienza difensiva ed offensiva il castello continuò ad essere considerato come fortezza e i trevigiani vi posero un presidio al comando di un capitano. In seguito esso fu ancora oggetto di contrasti fra i Caminesi di Sopra e quelli di Sotto che se ne disputarono il possesso forse più per il suo valore strategico che per quello reale. Intorno al 1335 il vescovo cenedese Rampone, ritenendosi, con l'estinzione dei Caminesi di Sopra, rimesso nel possesso dei loro antichi feudi, infeudò la Serenissima dei castelli della sua Mensa vescovile già posseduti dai Caminesi e provocò in tal modo la più fiera opposizione di Rizzardo V dei Caminesi di Sotto che nel 1343 acquistò dal comune di Treviso la giurisdizione di Soligo. Fra i suoi discendenti figura Rizzardo VIII, fondatore dell'abbazia laicale di S. Maria Nova, l'ultimo ad abitare a Soligo; nel 1424 anche la sua famiglia si estinse totalmente. La totale distruzione del castello avvenne nel 1378, periodo in cui la Repubblica veneta andava estendendo la sua giurisdizione in terraferma, subendo una momentanea disfatta per opera degli Ungheri. In quella circostanza Gherardo da Camino e un suo fratello naturale, fino ad allora fedeli sostenitori della Serenissima, l'abbandonarono e tentarono di rientrare nei castelli già posseduti dalla loro famiglia accarezzando la speranza di rivendicare l'antica indipendenza. Accomodate le cose con gli Ungheri, Venezia incaricò il conte Rambaldo di Collalto di punire i Caminesi, rei di defezione: anche la fortezza solighese fu rasa completamente al suolo. Con la distruzione del castello venne a cessare ogni diritto e giurisdizione feudale su queste terre e Soligo venne aggregata all'amministrazione del territorio trevigiano all'ombra del leone di San Marco».
http://www.farra.it/storia_desc.asp?id=6
SUSEGANA (castello di San Salvatore)
Le foto degli amici di Castelli medievali
««Periodo: le prime notizie sull’esistenza del castello risalgono al 1303. Descrizione: il castello di San Salvatore già nella prima metà del Trecento era stabile residenza del signore locale ed era dotato di mura e torri. All’interno delle mura si trovavano alcune abitazioni di cortigiani, nonché la chiesa di San Salvatore, chiamata Cappella Vecchia, dove veniva sepolti i membri della famiglia comitale. La chiesa, abbellita grazie a cospicui lasciti, venne distrutta dai bombardamenti del 1918. Con il consolidamento del potere della Repubblica di Venezia nel Trecento, il castello perse la sua funzione prettamente difensiva e divenne per lo più dimora della famiglia Collalto. Numerosi furono gli interventi per il riassestamento e l’abbellimento dell’intero complesso, per i quali i conti si avvalsero anche della collaborazione di alcuni importanti artisti come Tomaso da Modena, Paolo Veronese, Giambellina, il Pordenone, Gerolamo da Treviso, Sassoferrato, Correggio, Francesco da Milano e Caracci. Vennero costruite numerose abitazioni, chiese e conventi anche al di fuori delle mura, le quali circondavano il palazzo situato nella parte più alta della collina di San Salvatore. La porta d’ingresso al castello assunse forme rinascimentali e sorse una torre dotata di orologio. Note: il nucleo originario del Castello di Susegana fu probabilmente costruito su iniziativa del conte Rambaldo VIII e comprendeva una fortificazione pressoché primitiva con una chiesa attorno a cui erano state costruite alcune abitazioni. Proprio questo insediamento embrionale fu quanto acquisito dal Comune di Treviso nel XIII secolo. A partire dal 1312, con l’imperatore Enrico VII, il castello passò sotto la giurisdizione dei conti di Collalto, che resero questo feudo indipendente sotto molti punti di vista. Fino al 1450 circa la contea di San Salvatore era sottomessa soltanto al dominio imperiale, ma con la caduta della Repubblica Veneta perse completamente la propria autonomia».
http://www.venetando.it/vedi_luoghi.asp?Id=364&lingua=Ita
TREVILLE (resti del castello dei da Camposampiero)
«Resti del castello dei da Camposampiero (sec. XI). A ovest della chiesa parrocchiale di S. Daniele di Treville si erge, in proprietà privata, un manufatto di forma tronco-conica e un adiacente rilevato, documentati nel Catasto Napoleonico del 1812, rispettivamente, come montagnola (la motta propriamente detta) e rippa (il terrapieno). Si tratta dei resti del castello feudale della famiglia Camposampiero, eretto probabilmente nel corso del sec. XI, ampiamente documentato dalle fonti archivistiche e dalla letteratura medievalistica di area trevigiana. La motta costituiva il centro del castello di Treville e su di essa era installato il dongione (torrione), residenza del gastaldo dei da Camposampiero. Le strutture della fortezza furono demolite a seguito di specifica disposizione emanata dalla Repubblica di Venezia il 26 agosto 1343».
http://turismo.provincia.treviso.it/Engine/RAServePG.php/P/395810070300/M/399310070300
TREVISO (Loggia dei Cavalieri)
«La Loggia dei Cavalieri si erge in Via Martiri della Libertà ed è unica nel suo genere in Europa. L’edificio fu realizzato nella seconda metà del Duecento, all’epoca del podestà Andrea da Perugia. Inizialmente, servì come luogo per convegni, conversazioni, per il gioco degli scacchi ed altri svaghi, esclusivamente riservato a nobili e cavalieri. Poi la sua destinazione cambiò, verso la fine del 1388, quando su Treviso si estese il governo della Serenissima. A partire da quell’anno, l’edificio cadde in rovina; intorno al 1550, dentro la Loggia fu costruita addirittura una casa. Poi la Loggia fu adibita a deposito di legname e di botti; nella seconda metà dell’Ottocento fu utilizzata come deposito e rivendita di casse da morto. Nel 1889 la Loggia fu acquisita dal Comune di Treviso, e intorno al 1910 subì un profondo restauro. La Loggia è un’architettura singolare, di grande semplicità e leggerezza, tipico esempio di quel romanico trevigiano che risente dell'eleganza bizantina lagunare. è una sorta di piazza coperta – in mattoni e a pianta quadrilatera irregolare – con un tetto in coppi. è aperta su ognuno di tre lati da cinque arcate su esili colonne quadrate in pietra d’Istria, con capitello liscio. La copertura piramidale, quasi un enorme cappello, è molto sporgente su modiglioni lignei sagomati ed ha una complessa struttura interna, nascosta da un soffitto ligneo a travicelli. Nello spazio interno s’innalza una grossa colonna, per metà in granito violetto, su cui grava gran parte del peso della copertura. Inizialmente l’edificio era tutto affrescato. La decorazione fu rinnovata già nel 1313 con ricchi ornati policromi a fasce geometriche e vegetali, stilizzate. L’esterno fu abbellito da un fregio con scene di cavalieri, mentre l’interno fu decorato con scene tratte dal francese Roman de Troie. Qualche resto di queste decorazioni si scorge ancora, specialmente nei sottarchi. Restaurato nel 1911, l'edificio fu danneggiato dai bombardamenti nel 1944 e poi ricostruito col materiale originale. A partire dalla metà degli anni ’60 del Novecento, prima dell’ultimo restauro, la Loggia ha ospitato a lungo un suggestivo mercatino di libri usati e di giocattoli».
http://www.itccolamonico.it/dove-siamo/acquaviva/centro-storico-e-dintorni.html
«Nella storia di Treviso la presenza delle mura risale all’epoca romana. Le vestigia attuali sono costituite da una cinta di mura di quasi quattro chilometri, comprendenti soprattutto manufatti medievali (Porta Altinia), quattrocenteschi (Scaligeri), e cinquecenteschi; questi ultimi furono costruiti per difendere Treviso, più importante baluardo di Venezia in terraferma, contro i legati di Cambray. Secondo la storia, prima di essere città Comunale, Treviso, fu municipio romano arroccato attorno alla parte più alta del centro, nella quale ora si trovano Piazza S. Andrea, Piazza dei Signori e Piazza Duomo entro un perimetro di acque costituite dai Cagnani. È nel ‘500 che fra' Giocondo da Verona prima e D’Alviano poi, su commissione della Repubblica veneziana ampliano e migliorano le antiche fortificazioni dando loro l’aspetto attuale di terrapieno, rivestito all’esterno da una spessa muraglia di mattoni. Una volta completate le mura, iniziarono le opere idrauliche con imponenti movimenti di terra: fu creato attorno a Treviso non solo un perimetro d’acque, ma anche la possibilità di allagare la pianura circostante, mettendo a disagio gli eventuali assalitori. All’esterno, ieri come oggi, scorrono dei canali derivati dai fiumi Sile e Cagnan, che fiancheggiati da ben curati giardini, allietano la vista. Tra le opere richieste e realizzate sui progetti di fra 'Giocondo e D’Alviano sono da comprendere l’abbattimento di tutte le case che in qualche modo potessero ostacolare la vista di eventuali assalitori per un miglio tutt’intorno alla città, non solo, ma tutti gli edifici civili e religiosi che, all’interno delle mura, avessero potuto ostacolare i movimenti dei mezzi militari. Come in altre città del Nord (Ferrara,…) le mura di Treviso, completate poco dopo il 1510, si fregiano a due terzi dell’altezza di un cordolo in pietra d’Istria. In prossimità dei principali bastioni (Porta Altinia, bastioni di San Paolo, bastioni al Portello…) possiamo notare ancora oggi incastonati nel paramento di mattoni, eleganti bassorilievi raffiguranti il leone alato, simbolo del potere di Venezia, alla quale nel XIV secolo Treviso si era sottomessa. Questo imponente strumento di difesa, in un modo o nell’altro, assolse bene allo scopo per cui era stato realizzato tanto che Treviso non fu più soggetta ad attacchi. Nella seconda metà dell’ 800 si pensò di trasformare le mura in barriera daziaria, cosicché ogni accesso alla città, per terra o fiume, fosse controllato e soggetto ad imposta. Fino agli inizi del ‘900 il collegamento tra il centro urbano e la periferia era assicurato ancora dalle tre uniche porte: Porta San Tomaso in direzione Nord, Porta Santi Quaranta in direzione Ovest e Porta Altinia in direzione Sud».
http://www.trevisoinfo.it/mura.htm
TREVISO (palazzo dei Trecento)
«Il Palazzo dei Trecento (o della Ragione) prospetta su Piazza dei Signori. Fu eretto verso la fine del XII secolo e – assieme alla Torre Civica – è quanto rimane degli antichi Palazzi Comunali. L’opera fu completata nel 1268, con l’edificio attiguo adibito a carcere. Nel corso dei secoli, il palazzo ebbe diverse destinazioni. Fu sede del Tribunale dei Consoli, luogo di pubbliche assemblee (le cosiddette "Concione"), luogo in cui il Podestà amministrava la giustizia. Ma fu anche sede della suprema assise civica (il Maggior Consiglio) che era composta da trecento membri; da ciò il definitivo nome del palazzo, noto ancor oggi come "Palazzo dei Trecento ". Il porticato originale – predisposto per alloggiare una cinquantina di cavalieri agli ordini di un capitano – ne percorreva tutto il perimetro. Dopo i lavori del 1552 gli archi furono aperti completamente, mettendo in comunicazione due piazze e creando la loggia del Palazzo dei Trecento. Il Palazzo è una massiccia costruzione quadrilatera in mattoni, adornata da una merlatura come un fortilizio. Esso si compone di una grande loggia al pianterreno, nella metà anteriore, sovrastata da un ampio salone, al primo piano, cui si accede da una scalinata esterna. Il salone è decorato in stile romanico: si notano ancora scene amorose e di caccia, qualche animale esotico ed una serie di motivi floreali e geometrici. Dopo la fine dell’Ottocento, la struttura ha subito varie modifiche: è stata spostata la scalinata esterna da Ovest ad Est; è stata rifatta la merlatura ghibellina, che ora è diventata guelfa; sono stati restaurati i danni provocati dalle bombe nel 1944».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/treviso/palazzo-dei-trecento/
«Le prime notizie riguardanti la presenza delle torri a Treviso risalgono al 1100; tali costruzioni erano adibite ad abitazioni, una di proprietà della famiglia da Romano era usata come carcere, ma la maggior parte era stata eretta per motivi strategici. Una delle torri più importanti a Treviso era collocata presso Porta Sant’Agostino, ma numerose erano anche quelle nei pressi delle Mura. Nei secoli il loro numero si ridusse in parte perché era cambiato il modo di fare la guerra, in parte furono abbandonate ed in parte crollarono a causa dei terremoti come avvenne nel 1117, nel 1222 e nel 1551. La Torre Civica, ben visibile da Piazza dei Signori, cambiò più volte aspetto nella storia così come mutò l’aspetto del Palazzo della Prefettura attiguo. La Torre Civica, assieme a quest'ultimo edificio e a Palazzo dei Trecento, rappresenta il simbolo di Treviso da sempre. La Torre degli Oliva, in Via Paris Bordone, è una costruzione in mattoni a pianta quadrata la cui realizzazione risale al 1200, la parte inferiore è stata completamente rifatta, mentre la superiore, pur avendo subito delle modifiche, lascia intravedere ancora la struttura originaria. La maggior parte delle finestre presenta un arco superiore cieco leggermente incavato oppure a filo muro. La Torre dei Canonici, collocata sempre in Via Paris Bordone, si affaccia su Piazza Pola; si tratta, analogamente alle altre, di una struttura in laterizio che risale al 1200. Nella sua storia la Torre Canonici subì numerosi rimaneggiamenti; tra questi uno dei più significativi fu quello curato dal Canonico P. Loredan agli inizi del XVI secolo, durante il quale fu ristrutturata pesantemente la parte sinistra; seguirono poi altre opere di restauro nel corso del XIX secolo. La facciata, prospiciente Piazza Pola, presenta due ingressi a tutto sesto, sopra il maggiore si trovavano due stemmi in pietra: quello capitolare e quello della famiglia Loredan, che oggi non è più presente. La Torre del Visdomino, in Via Cornarotta, era anticamente denominata "Torre Cornarotta" perché di proprietà dell’omonima famiglia; fu poi acquistata nel 1500 dai Burchielati da cui prese il nome. Nella seconda a metà del 1500 fu abitata da Bartolomeo Burchielati, professore di medicina all’Università di Padova e dal 1909 al 1915 fu utilizzata dallo scultore Arturo Martini come studio».
http://www.trevisoinfo.it/torri.htm
VIDOR (castello non più esistente)
«Nel medioevo a ridosso del Piave sorsero un porto fluviale ed un castello, che dominava la pianura circostante e regolava l'acceso al ponte di barche sul fiume: verso gli inizi del XII secolo in prossimità del borgo fu eretta una Abbazia, poi affidata ai monaci benedettini che ebbero in custodia le reliquie di Santa Bona, riportate dalla Terrasanta dal conte Giovanni Gravone, reduce dalla Prima Crociata. Il castello risultò un presidio di grande importanza strategica e venne conteso da numerosi signori feudali; infine, agli inizi del Cinquecento, durante la guerra tra Venezia e la Lega di Cabrai, venne attaccato e rimase distrutto. Da tempo, però, il diritto di controllo dei transiti sul ponte era passato ai monaci di Santa Bona, che nel frattempo avevano favorito la rimessa a coltura delle terre attuando una intesa opera di bonifica e di deforestazione». «Camminando sulla cresta delle colline si giunge al Castello di Vidor, monumento ossario costruito per ricordare i caduti delle guerre mondiali. Il Castello di Vidor era una fortezza medievale costruita in una posizione strategica, utile per controllare il porto fluviale sul vicino Piave. Fu distrutto nel 1510».
http://www.comune.vidor.tv.it/territorio/storia/storiaTerritorio.htm - http://www.comune.vidor.tv.it/territorio/vivere-la-citta/turismo.htm
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