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NETTUNO, TORRE ASTURA

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La torre pentagonale (costruita sui resti di quella medievale) cinta da mura.

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Nettuno  Nettuno

Vedute della torre

     

 

     


 


Epoca: XII secolo.

 

Cenni storici (dal sito latinaweb.net):

«Astura è una vasta area archeologica in cui si distinguono il complesso del castello e la Torre Pentagonale che poggia sui resti romani; citata da molti autori classici, Cicerone, Livio, Plinio, Svetonio, che ne parlano a proposito del fiume e la menzionano come luogo di soggiorno estivo, o come scalo, sia marittimo che terrestre, prende il nome probabilmente da 'Astur', un uccello della famiglia dei falchi. Le ultime notizie su Astura in età romana risalgono agli imperatori Settimio Severo e Caracalla; segue, poi, un vuoto fino al X secolo. Le invasioni barbariche provocano il suo abbandono, la decadenza e la diffusione della malaria. Un documento del 23 ottobre 987, custodito nella Biblioteca Vaticana, certifica l'atto di donazione di un piccolo podere accanto al porto di Astura, da parte del conte Benedetto Tuscolani e sua moglie, per la redenzione della loro anima e il perdono dei loro peccati, a Leone, abate del monastero dei Santi Bonifacio e Alessio. Ai conti Tuscolo si deve la prima fortificazione di Astura di cui, però, non è rimasto niente. Probabilmente, il complesso era costituito da un edificio rudimentale, isolato e cotruito con il materiale di recupero dei resti romani; sicuramente possedeva una notevole capacità difensiva poiché intorno ad esso si sviluppò un nucleo abitato di cui danno testimonianza alcuni documenti databili tra l'XI e il XII secolo.

Nell'XI secolo troviamo in Astura un monastero.

Nel 1141, il conte di Tuscolo Tolomeo, occupando Astura, costrinse l'abate Riccardo a chiedere per lui querela al papa Innocenzo II; ma, nel 1163, Gionata, figlio di Tolomeo, ottenne l'isola e il territorio circostante, in enfiteusi, come testimonia un documento pubblicato da Merlini. Un documento stipulato da Romani e Genovesi nel 1166 che sanciva la libertà di commercio, lascia supporre che in quel tempo esistesse in Astura un porto fiorente: dai Tuscolani Astura passò in mano ai Frangipane, ma ci è ignoto in che modo. Un documento del 1193 ci permette di constatare l'esistenza di una rocca e di un castello, poiché la sua posizione strategica rende Astura fondamentale punto di difesa di questa parte di territorio. Sarà costruita anche la torre, importante al punto tale da apparire nello stemma di famiglia dei Frangipane, insieme a due leoni: torre e castello poggiavano sui resti dell'antica pescheria romana.

La torre, un tempo di forma quadrata, aveva un ingresso sopraelevato, accessibile mediante una scala di legno amovibile: l'ingresso al castello avveniva attraverso un ponte di legno poggiante sugli orli delle vasche romane. La tecnica muraria è quella tipica del XIII secolo, a tufelli rettangolari con poca malta.

Lo schema fortilizio marittimo tendeva ad allontanare dalla costa il maschio, decentrandolo rispetto al recinto, per collocarlo in una posizione di assoluta sicurezza: le spesse pareti della torre, esposte al mare, fungevano da frangiflutti e non temevano i colpi di arma da getto. Nel 1268 Torre Astura fu teatro del famoso tradimento ai danni di Corradino di Svevia, nipote di Federico II».

«Successivamente, sotto il dominio della famiglia dei Colonna, Astura decadde come centro abitato ma continuò ad occupare un ruolo importante come fortezza. A questo periodo (metà del secolo XV) risale la Torre Pentagonale, ricostruita completamente sulla fondamenta di quella medievale: nel lato Nord vengono aggiunte due pareti per favorire l'installazione di una rampa di scale in muratura. Viene innalzata anche una parete in muratura con finestrelle ad archetto che correva a circa 4 metri di distanza dal recinto medievale, al di sopra di vani ricavati per l'alloggio.

Nel 1594 torre e castello passano alla Camera Apostolica che li rende parte integrante di un cordone difensivo litoraneo contro l'invasione sempre più frequente dei Turchi.

è di questo periodo l'aspetto attuale del complesso: le strutture medievali si inspessiscono, si rinforza la base della torre con una muraglia a scarpa, il maschio, non più in funzione prevalentemente difensiva, è collocato al centro di un ampio recinto con la costruzione di una cortina fornita a Sud di feritoie per ospitare le bocche di fuoco per il tiro radente. Chiusa la porta originale sul fronte Nord, fu ricavato un accesso lungo la parete Est.

Nell'interno del castello, la creazione di ambienti sotterranei innalzò il piano del capestìo, mentre sulle due murature parallele fu impostata una robusta volta a sostegno del ballatoio. Tutto il vecchio nucleo medievale, poteva, in caso di necessità, essere isolato».


ALEARDO ALEARDI

Corradino di Svevia


Mutiam dolore. Sull’estremo lembo
De la cerulea baia, ove i fastosi
Avi oziar nei placidi manieri,
Ermo, bruno, sinistro èvvi un castello.
Quando il corsaro fe’ quest’acque infami,
La paura lo eresse. Ivi da lunghi
Anni una fila d’augurosi corvi
è condannata a cingere volando
Ogni mattin le torri: ivi sui merli,
Fingendo il suono di cadente scure,
La più flebile fischia ala di vento:
Ivi pare di sangue incolorata
L’onda che sempre ne corrode il fondo:
Poi che una sera sul perfido ponte,
A consumar un’opera di sangue,
In sembianza di blando ospite stette
Il Tradimento.
Vuoi saperne il nome?
O fida come il sol, tu che non sai
Che sia tradire, deh! sègnati in prima
Col segno de la croce, Itala mia.
È il Castello d’Astura.
Un giovinetto
Pallido, e bello, con la chioma d’oro,
Con la pupilla del color del mare,
Con un viso gentil da sventurato,
Toccò la sponda dopo il lungo e mesto
Remigar de la fuga. Aveva la sveva
Stella d’argento sul cimiero azzuro,
Aveva l’aquila sveva in sul mantello;
E quantunque affidar non lo dovesse,
Corradino di Svevia era il suo nome.
Il nipote a’ superbi imperatori
Perseguito venìa limosinando
Una sola di sonno ora quieta.
E qui nel sonno ei fu tradito; e quivi
Per quanto affaticato occhio si posi,
Non trova mai da quella notte il sonno.
La più bella città de le marine
Vide fremendo fluttuar un velo
Funereo su la piazza: e una bipenne
Calar sul ceppo, ove posava un capo
Con la pupilla del color del mare,
Pallido, altero, e con la chioma d’oro.
E vide un guanto trasvolar dal palco
Sulla livida folla; e non fu scorto
Chi 'l raccogliesse. Ma nel dì segnato
Che da le torri sicule tonaro
Come Arcangeli i Vespri ei fu veduto
Allor quel guanto, quasi mano viva,
Ghermir la fune che sonò l’appello
Dei beffardi Angioini innanzi a Dio.
Come dilegua una cadente stella,
Mutò zona lo svevo astro e disparve.
E gemendo l’avita aquila volse
Per morire al natìo Reno le piume;
Ma sul Reno era un castello,
E sul freddo verone era una madre,
Che lagrimava nell’attesa amara:
«Nobile augello che volando vai,
Se vieni da la dolce itala terra,
Dimmi, ài veduto il figlio mio?».
«Lo vidi;
Era biondo, era bianco, era beato,
Sotto l’arco d’un tempio era sepolto».


  

  

©2005. Le foto torrastura03, 04 e 07 sono tratte dal sito latinaweb.net; La prima riquadrata dal sito www.tesorintornoroma.it. Il video non è redazionale.

     

   


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