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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI PISA
in sintesi
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Bientina (mastio della torre Civica)
«È la torre posta sul lato nord-est del territorio che era in passato delimitato dalle mura, in antico detta Rocca grande o Belvedere, poi torre del Frantoio. Nei pressi della sua struttura trecentesca, a base pentagonale, è ancora presente un arco basso ed ottuso: l’antica porta di Bientina. Questa torre era sicuramente il cassero o mastio della città, unito tramite una lingua di mura alla rocca. Sino alla metà del XIX secolo aveva un orologio privo di quadrante che suonava le ore alla francese, ossia distinguendo il conteggio tra il periodo antimeridiano e postmeridiano. È stata interamente ristrutturata e restituita all’uso pubblico ad opera dell’Amministrazione comunale nel 1997. Si sviluppa su tre piani più una terrazza esterna dalla quale è possibile osservare il panorama di tutta la cittadina. Al suo interno sono stati allestiti tre spaziosi locali: al piano terra un’ampia sala per riunioni e convegni, al primo piano è stata collocata la Biblioteca comunale che comprende più di 3.000 volumi. Annesso alla biblioteca è stato collocato l’Archivio Storico del Comune, che va dal 1402 al 1866».
http://www.villaprimavera.hotel.pisa.it/it/pisa-tour/castelli-e-siti-archeologici/279
«Le torri sono visibili solo dalla strada e sono di proprietà privata. Le mura di Bientina dovevano presentarsi con grande imponenza per la loro elevazione e per la notevole capacità difensiva in virtù dell’ampio fossato che le circondava. Quattro erano le strade di accesso al borgo fortificato, all’incirca corrispondenti ai quattro punti cardinali. La torre ad occidente, sull’angolo della piazza oggi intitolata a Vittorio Emanuele II, era detta torre del Paracintolo; le mura, in linea retta verso sud-est erano poi delimitate dalla torre detta La Mora, e proseguivano, dopo aver superato la rottura in corrispondenza delle vie del borgo (operata al fine di far circolare più aria durante l’epidemia del 1820), lungo il tratto sud-orientale verso la torre pentagonale detta del Giglio. Sotto questa torre era ubicato un grande pozzo, molto profondo. Le mura volgevano poi disegnando un angolo retto per fare capo ad un’altra torre, oggi riconosciuta come l’antico mastio della rocca. Da qui le mura ritornavano, verso ovest, alla torre del Paracintolo, chiudendo l’intera cerchia; è tuttavia assai probabile che esistessero altre torri a delimitazione di cortine intermedie».
http://www.turismopisa.it/it/da-visitare/63-toscana-pisa/299-orciano-pisano.html
«Antico castello feudo dei Saracini di Pisa, con Montecatini gravitante nell'orbita di Volterra, si trova sulla strada che scende da Montecatini verso Ponteginori e la valle del Cecina. Il castello fu poi trasformato in villa-fattoria di proprietà degli Incontri di Volterra e poi dei Rochefort, attiva fino agli inizi del XX secolo. Oggi è praticamente disabitato, ma conserva interessanti tracce di una struttura urbanistica singolare».
«Il capoluogo di Comune, a 85 metri sul livello del mare, è antico borgo confinario; ma non sono mancati coloro che ne hanno ipotizzato una origine romana, da Buiti castrum, e dai suoi primi feudatari, i Da Buti o Buiti.Questi, "inurbati", si distinsero in Pisa fino dal X secolo e specialmente nella guerra delle Baleari (1114), mentre il titolo nobiliare (di conte) finì per essere ereditato da Francesco di Bartolo (1324-1406) grammatico, autore di uno dei primi commenti della Divina commedia. Certo è che, fin dall’ antichità, Buti fu al centro di un sistema fortificato, caratterizzato da otto castelli - Castello di Panicale, Castell'Arso (incendiato da Castruccio Castracani), Castello di Farneta, Castello di Sant 'Agata o Castello di Monte d'Oro, Castello di San Lorenzo in Cintola, Costel San Giorgio, Costel di Nocco, Costel Tonini (dal quale prese titolo un'altra casata, quella dei Tonini, noti in Pisa nel XVII secolo). Di tanti castelli, alcuni sono scomparsi, altri ridotti a ruderi, specie da quando, col dominio pisano, vi presero il sopravvento le chiese: undici del XIII secolo. Castel Tonini è il nome del castello che, fortemente rimaneggiato, sovrasta ancora oggi il borgo, di cui è epicentro. L'antico nucleo storico del paese - appunto detto "il castello" - è dislocato sulla destra del Rio Magno e, oltre ad essere delimitato da una porta di accesso è rappresentato ancora da ciò che rimane dell'antico borgo castellano, dalle strade e dagli edifici che ormai hanno perduto il loro aspetto antico. Tuttavia pur comprendendo una chiesa intitolata a San Rocco - dalla quale ha preso nome tutto il rione - il nucleo storico è arricchito da alcuni palazzotti residenziali, del XVI-XVII secolo, che si impongono per la loro imponenza e signorilità, anche se, in alcuni casi, sono trascurati e cadenti. Di questi, il più importante è quello dei Tonini, un palazzo di cui già il Boncinelli ci segnala le magnifiche sale, dipinte dal Giarré, ciò, forse, in seguito a ristrutturazioni operate nel XVIII scolo, che ha portato alla denominazione impropria di "villa medicea"». «Castel Tonini è la storica fortificazione che protegge l'antico borgo di Buti, subito accanto alla riva destra del Rio Magno. Gran parte della mura che circondavano il paese sono ormai distrutte, ma è ancora presente la porta di accesso al paese. Il castello ha una forma robusta e massiccia nello stile dei forti medievali. Il castello è stato profondamente restaurato nei primi anni del 1900. Durante i lavori sono state aggiunte eleganti bifore gotiche. Attorno al castello sorgono le abitazioni del centro del paese e una passeggiata notturna tra i vicoli, tra il silenzio e lo scrosciare del Rio Magno, porta una atmosfera medievale carica di sensazioni».
http://www.leviedelbrigante.it/buti - http://www.bellezzedellatoscana.it/Fotografie/Toscana/Buti_(PI)/4.htm
Buti (ruderi del castello di Monte d’Oro o di Sant’Agata)
«Alla rocca si accede per un’antica mulattiera che parte dal borgo di Castel di Nocco. La strada e la cima denominata Monte d’Oro non sono segnalate. Situata sulla cima del Monte d’Oro, la rocca presenta ancora ben visibile il perimetro murario costituito da un muraglione-terrapieno e munito parzialmente di camminamento di rotonda. I resti dell’antico castello sono oggi coperti dalla vegetazione, mentre la superficie interna della rocca è occupata da ulivi; tuttavia sono rilevabili le rampe di accesso e il basamento di due torri, una quasi sicuramente utilizzata come torre-vedetta. Il castello fu probabilmente distrutto nel XII secolo, in occasione di una delle tante guerre insorte tra Pisa e Lucca».
«Il paese di Buti è un antico borgo ai piedi dei Monti Pisani. Il centro storico racchiude diverse chiese interessanti ed è protetto della possente fortificazione medievale di Castel Tonini. In alto si staglia la pregiata Villa Medicea. La Villa si erge nella parte più antica del paese, in via Marianini del Castel Tonini. La villa fu costruita per volontà dei Medici nel XVI secolo sopra le rovine di una fortezza dell'XI secolo. Sotto le mura di cinta si può ancora oggi ammirare la antica fortificazione medievale. Inizialmente la Villa Medicea era costituita da una torre e da un’abitazione di capitani fiorentini. Successivamente nel XVI secolo venne ampliata dall’amministratore della fattoria medicea di Cascine, Pier Maria di Domenico Petracchi, e nel secolo successivo venne ceduto a Giovanni Maria Berti. La villa comprendeva un orto, una chiesa, le scuderie ed un giardino. La villa ebbe tale conformazione fino alla fine del Settecento. Dopo l'acquisto di Santi Banti, nel secolo XVIII, la villa prese il nome di Villa Delizia, abitazione di lusso. All'interno ancora oggi si possono vedere gli affreschi del Giarrè, artista che lavorò anche alla Certosa di Calci. La villa è su tre piani ed ha una cantina interrata. I piani si sviluppano attorno ad un salone centrale con stanze affrescate. La soffitta è realizzata con tre arcate. Il giardino è su tre terrazzamenti corrispondenti ai livelli della cantina, è abbellito da fontane, statue ed aiuole. Vicino alla villa c'era un passaggio segreto da utilizzare come nascondiglio o per la fuga. Il passaggio è costituito da una grotta naturale, ma oggi non è più accessibile».
http://www.bellezzedellatoscana.it/Fotografie/Toscana/Buti_(PI)/1.htm
Calci (resti della fortezza della Verruca)
«La fortezza della Verruca sorge nel comune di Calci, provincia di Pisa, sulla cima del Monte Verruca. La si può raggiungere seguendo la Superstrada Firenze-Pisa, uscire per Cascina, quindi proseguire verso Vicopisano. Dal paese si imbocca la 'strada della Verruca' che parte dal cimitero del paese. Anche se in gran parte sterrata è percorribile in auto fino ai piedi del roccione dove sorge la Rocca. Da qui si sale alla sommità in circa 20 minuti di cammino. La Fortezza o Forte della Verruca corona il monte omonimo a circa 540 metri di quota. La sua nascita e la sua storia è strettamente legata al borgo di Calci, che sorge al centro della vallata sottostante. Calci è sempre stato profondamente legato alle vicende della vicina e potente città di Pisa ed a tutte le guerre che la interessarono nel corso dei secoli. La storia documentata degli insediamenti nella zona parte dal 780. Il territorio fu difeso fin da quel tempo da una roccaforte sita nel luogo della futura fortezza, posizione ideale per controllare il fiume Arno e la sua pianura, all'epoca ancora paludosa, fino al mare. Per questo la fortezza della Verruca ha sempre costituito un quasi inespugnabile caposaldo per tutti gli eserciti e le potenze interessate alla conquista del territorio circostante. Molte sono le famose e sanguinose battaglie combattute nel calcesano: nel 1288 fra Guelfi pisani e esercito lucchese, nel 1328 invasione tedesca di Ludovico di Baviera, nel 1363 invasione Fiorentina, nel 1369 invasione delle truppe di Carlo IV di Boemia e nel 1375 di quelle Inglesi di John Hawkwood (Giovanni Acuto). Nel 1402 Pisa fu comprata dai Fiorentini e la Fortezza della Verruca, ultimo baluardo di resistenza, venne espugnata e distrutta per evitare che tornasse ad essere una minaccia. Nel 1503 Pisa insorse nuovamente e la guerra interessò nuovamente la Fortezza. Le truppe fiorentine furono costrette a riconquistare nuovamente la Verruca, fulcro della resistenza nemica. La resa avvenne, non dopo lunghi e sanguinosi scontri, il 18 giugno dello stesso anno e fu il colpo di grazia per le speranze di indipendenza Pisane, infatti la città capitolò definitivamente in mani Fiorentine sei anni dopo. L'aspetto attuale della Fortezza è quello che derivò dai lavori di rafforzamento eseguiti dopo questi fatti bellici. La Verruca, pur essendo un opera molto particolare, è considerata un manufatto disomogeneo e compromissorio a causa delle diverse fasi e dei diversi autori che ne curarono la costruzione. La prima cosa che salta agli occhi è che possiamo considerare le sue mura uno dei pochi esempi di bastionatura eseguita con pietrame sfuso al posto dei caratteristici mattoni in cotto usati all'epoca per questi interventi e qui presenti essenzialmente nel torrione cilindrico di sud-ovest. Le pietre da taglio sono usate solo per gli angoli e in ridotta quantità. In generale si nota che l'intero complesso fu eretto con scarsa cura e senza il solito rispetto delle proporzioni, con una fretta eccessiva dovuta alla necessità di rendere difendibile questo punto nevralgico al fine della definitiva sottomissione dei pisani. Il fronte principale è molto bombato e ha torrioni cilindrici alle due estremità attribuiti all'architetto Luca del Caprina, della scuola del Francione. L'ingresso principale si apre all'estrema sinistra del fronte. Il bastione di nord-ovest, il peggio eseguito, è invece attribuito ad Antonio da Sangallo. La parte più anomala è l'angolo ovest: ha una punta poligonale e possiede il fianco solo dal lato settentrionale. Nell'interno del recinto si trova un roccione affiorante e una palazzina in stato di forte degrado, sicuramente il nucleo più antico della rocca e con una parte che sembra fosse adibita a cappella. Sono ancora ben identificabili numerose feritoie per bocche da fuoco lungo tutto il perimetro. La scarsa qualità della costruzione e i secoli di abbandono hanno fatto si che la Fortezza risulti oggi in una condizione disastrosa, invasa dalla vegetazione e a rischio perenne di ulteriori cedimenti strutturali».
http://www.castellitoscani.com/italian/verruca.htm
Calcinaia (torre degli Upezzinghi)
«Ubicazione torre degli Upezzinghi: via Vittorio Emanuele. Nota: le torri si possono vedere solo dalla strada. A testimonianza degli antichi tempi restano due torri medievali: di una possono ancora osservarsi le vestigia in fondo all’attuale via Torre degli Upezzinghi, mentre la seconda è ancora esistente ed ha conservato il nome di torre degli Upezzinghi. Originariamente facevano parte di un sistema difensivo costituito da quattro torri principali, situate agli angoli di un’area perimetrale di forma quadrilatera, tra loro congiunte da mura di cui è possibile osservare alcuni resti nella zona settentrionale del paese».
http://portale.pisaonline.it/index.php?option=com_content&task=view&id=179&Itemid=107
Caprona (torre degli Upezzinghi o di Caprona)
«Caprona è raggiungibile da Pisa seguendo la strada per Ghezzano. Il paese è uno dei tanti centri alla base dei Monti Pisani, che si innalzano nella pianura creata dall'Arno e rappresentano la naturale separazione tra Pisa e Lucca: per questo Dante dice nella Divina Commedia che "i Pisani veder Lucca non ponno". Secondo alcuni fondata in età romana, Caprona ebbe un castello (documentato dal 1051), situato probabilmente sul colle che domina il paese, forse proprio su quello spuntone roccioso dove oggi è ben visibile la Torre degli Upezzinghi, all'apice di una cava dismessa, sovrastante l'abitato di Caprona, situato nel territorio di Vicopisano. La torre di Caprona è citata da Dante nel XXI canto dell'Inferno, là dove il Poeta descrive la battaglia del 16 agosto 1289 tra Guelfi fiorentini e Ghibellini pisani, alla quale aveva partecipato in occasione dell'attacco a Vicopisano, una delle più importanti roccaforti ghibelline: "così vid’io già temer li fanti / ch’uscivan patteggiati di Caprona / vegendo sé tra nemici cotanti" (Inferno, XXI, 94-96). L'episodio fa riferimento alla paura che i soldati pisani, usciti "patteggiati" ossia dopo aver nogoziato la resa, mostravano di fronte alla numerosa schiera di soldati fiorentini. La Torre odierna non è quella menzionata da Dante, ma ciò che resta del castello che dominava la riva destra dell'Arno, alla confluenza con lo Zambra».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/caprona.htm
«è costituita da varie case coloniche sparse, il cui nucleo più importante presenta edifici di notevole interesse archittetonico ed urbanistico. Si tratta di una piazza su cui si affaccia la Chiesa (con interessanti affreschi ottocenteschi) ed un edificio merlato e turrito, che rammenta l'antico castello mentre a levante, si trova la fattoria, una maestosa villa residenziale del secolo scorso, in stile neoclassico. Casaglia con l'antica Pieve di San Giovanni Battista, fu uno dei castelli compresi nel privilegio che Arrigo VI, nel 1186, accordò a Ildebrando Pannochieschi, vescovo di Volterra. I ruderi riattati dal castello si trovano in cima ad una collina alla destra del fiume Cecina. è quella Casaglia che viene nominata quale estremo confine dell'antico perimetro del territorio pisano, al quale governo i terrazzani delle campagne si ribellarono nel 1345. Il popolo di Casaglia faceva parte del castello di Strido fino alla legge leopoldina sul regolamento amministrativo delle comunità del Granducato. Casaglia intorno al 1700, pervenne alla famiglia Espinassi-Moratti che l'ha sempre conservata».
http://www.tuscany-charming.it/it/localita/montecatinivaldicecina.asp
Casciana Terme (torre Aquisana)
«La torre si può vedere dal cortile dov’è ubicata. Un ruolo importante nella storia di Casciana Terme in epoca medievale è stato svolto dal monastero Camaldolese di Santa Maria di Morrona, oggi chiamato Badia di Morrona. Atti significativi tra l’arcivescovo di Pisa e il vescovo di Volterra, menzionati negli Annali Camaldolesi già dal 1089 e relativi a donazioni o cessioni di beni collocati nei pressi o all’interno di Casciana a favore della Badia, dimostrano con certezza che Casciana Terme fu sede di un castello e di una corte, probabilmente collocati nel punto più alto della cittadina detto Petraia (Aquisana curte). Nonostante l’ubicazione di un Castello in Pietraia non risulti la migliore scelta strategica, considerando che la morfologia del luogo non offre molte difese naturali, vi è la certezza che l’Aquisana curte venne munita di mura e fortificata con torri. Oggi è ancora visibile la Torre Aquisana detta anche della contessa Matilde».
http://portale.pisaonline.it/index.php?option=com_content&task=view&id=185&Itemid=107
Cascina (cinta muraria, torri)
«Come attestato da più documenti del XII-XIII secolo, dopo il Mille Cascina assume un ruolo di rilievo nei rapporti con Pisa sia dal punto di vista economico che strategico. Il borgo ricoprirà la funzione di avamposto fortificato in direzione di Firenze, concepito non solo in senso militare, ma soprattutto come struttura di protezione del territorio agricolo. L'esame della cinta muraria e delle sue vicende storiche testimonia il prevalere nel tempo di quest'ultima funzione. L'impianto della città è desumibile dalla ricostruzione di quattordici rettangoli disposti su due file, orientati nord-sud e ortogonali al letto dell'Arno. La simmetria delle parti è rigorosa: i rettangoli meridionali misurano m. 37.50 x 106 e quelli settentrionali m. 37.50 x 120. La loro disposizione è lungo l'asse viario est-ovest, l'attuale via Garibaldi, per un certo periodo di tempo strada principale del borgo. La prima menzione di una cinta muraria risale al 1269, ed è da mettere in connessione con la parte del sistema difensivo del territorio più vicino alla città. Sulla base di documenti d'archivio sappiamo che nel 1142 il borgo di Cascina, probabilmente già suddiviso in zone militari, si munisce di un castello e di una torre militare. È da presupporre che a presidio di esse, in particolare in corrispondenza degli sbocchi delle strade perpendicolari all'asse viario est-ovest, fossero previste strutture che, in un primo momento di materiale poco consistente (legno), furono progressivamente rinsaldate. La notizia del 1269 deve riferissi ad una prima struttura muraria, non molto elevata, a limite e difesa di tutto il borgo. In essa, come nella precedente fortificazione, dovevano essere state previste delle torri. Agli inizi del XIV secolo risalire lo spostamento della via principale verso sud con la costruzione di una strada più ampia che taglia in due gli isolati meridionali. Negli stessi anni si rafforzano le mura, si consolidano le torri, si apre la piazza d'armi nella zona sud ovest della città; nello stesso luogo si costruisce la rocca, secondo le usanze militari del tempo che ne prevedevano l'edificazione nella parte del borgo più prossima alla città da cui esso dipendeva (Pisa). Tutto ciò come conseguenza delle devastazioni subite da Cascina nel 1292, anno in cui le truppe fiorentine lasciarono in piedi solo la pieve e parte della vecchia torre militare. Da questo momento Cascina assume l'attuale reticolo urbanistico che resterà pressoché intatto fino ai tempi moderni. Nel 1364 la battaglia di Cascina, nel 1370 le scorrerie di Giovanni Acuto e nel 1385 la notizia di altre incursioni delle compagnie di ventura, fanno sì che si decida di riprendere i lavori di ristrutturazione della difesa di Cascina, dando vita ad un sistema difensivo molto avanzato per l'epoca. Si rialzano le mura fino al livello attuale, si rinforza la rocca, si ristrutturano le torri dando loro dislocazione e forma esistenti, si definiscono le due porte: A) porta fiorentina, ad est, a due fornici, ricavata alla base del torrione costruito per proteggere l'accesso alla città; B) porta pisana, ad ovest, ha una collocazione originaria più problematica. Da foto di fine Ottocento, infatti, essa appare a fianco della torre civica, ma durante il restauro di quest'ultima tracce di un possente arco alla sua base, hanno fatto presupporre che la collocazione originaria della porta fosse del tutto analoga a quella fiorentina. Il sistema difensivo così ottenuto, anche per la sua modernità, diviene quello definitivo.
Poco più tardi, dopo la generalizzazione dell'uso delle armi da fuoco, vennero aperte le bocche per le bombardiere. Seguendo il perimetro rettangolare della città, le mura, nella loro stesura definitiva, erano intervallate da dodici torri (escluse le due a difesa delle porte) di cui quattro d'angolo. Tutte le torri erano aperte dalla parte interna ed avevano pianta ad "U", salvo quelle d'angolo che erano invece a pianta pentagonale aperta all'interno. Le pentagone superavano di quattro metri le mura, alte circa m. 7.50, ed avevano le facce di m. 5 e i fianchi di m. 3.20; il quinto lato, vuoto, misurava m. 4.85. Tutte le torri erano composte di due piani con due solai, il primo corrispondeva al corridoio delle mura. L'accesso ai piani era garantito solo da scale mobili. Ad un periodo di poco più tardo risalgono le feritoie a doppia strombatura utilizzate per le bombarde. Nelle parti meglio conservate del perimetro difensivo possono individuarsi tre fasce, anche se non uniformi per tutto il tracciato. Ciò a testimonianza che le mura furono il frutto di un processo costruttivo non certo breve e lineare. Le fondamenta e la prima fascia, alta circa due metri da terra, sono di verrucano sommariamente sbozzato. La seconda fascia alta circa m. 3.50 (5.50 da terra) è di materiale eterogeneo: le pietre sono di dimensioni minori e vi appaiono inserimenti, talora cospicui, di mattoni. La terza fascia di circa due metri è composta di materiale frammentario e di dimensioni minori. L'orlo superiore è segnato da una cornice di mattoni aggettanti che serviva per aumentare l'ampiezza del camminamento. Le torri sono di mattoni. La costruzione è formata da due cortine parallele distanti fra loro cm. 70 e larghe cm. 30. Esse poggiano su un basamento che affonda nel terreno con un gradino, in maniera che la parte più bassa offra una superficie di appoggio più ampia e quindi garantisca una maggiore stabilità. L'intercapedine fra l'una e l'altra cortina è riempita di materiale non lavorato e di scarto, le pietre sono tenute insieme da strati di malta. Lo sviluppo in alto della costruzione era reso possibile dall'uso di ponteggi in legno dell'altezza media di m. 1.50; l'ultimo piano di ponteggi non veniva tolto e serviva da camminamento. La cinta delle mura oggi si presenta molto frammentaria. Distruzioni, manomissioni e ricostruzioni indebite ne hanno completamente modificato la fisionomia originaria. Confrontando le planimetrie di Cascina dal 1820 ad oggi è evidente una sensibile trasformazione non tanto della struttura urbanistica, quanto delle funzioni in essa presenti con la progressiva sostituzione di ampi spazi adibiti ad orti con agglomerati di edifici per abitazioni ed annessi. Per ciò che riguarda le mura è da sottolineare che i maggiori danni subiti risalgono al periodo intercorrente tra la fine dell'Ottocento e la seconda guerra mondiale: porta fiorentina nel 1889 e porta pisana solo pochi anni prima vengono demolite per far posto al passaggio del tram a cavalli. Le torri vengono tamponate ed adibite ad abitazione e le cortine vengono sfruttate come muri d'appoggio per nuove costruzioni o vengono abbassate».
Castel di Nocco (borgo fortificato)
«Se da Buti si percorre la strada che conduce a Vicopisano, dopo un chilometro circa si incontra l’antico borgo fortificato di Castel di Nocco. Il castello prende il suo nome da Nocco Bonfigli, che nel secolo XIV si distinse nella difesa del piccolo borgo e venne edificato forse per sostituirsi alle due rocche che nel Medioevo controllavano la strada che collegava Buti a Vicopisano; Castel di Nocco faceva infatti parte di un più ampio sistema difensivo del territorio: era allineato a levante col castello di Sant’Agata, a ponente con la fortificazione situata alle pendici del Monte Roccali. Di tale fortificazione si vedono oggi solo resti costituiti da cumuli di pietre squadrate. Il paese ha mantenuto le caratteristiche di borgo medievale, anche se delle mura di cinta rimangono solo i sottostanti terrapieni in pietra, che mostrano la planimetria longitudinale dell’antico castello. Tra le rovine della sua chiesa medievale intitolata a San Michele Arcangelo, fu rinvenuta nel secolo XIX una lapide con la scritta Ara Cerasi, che fece supporre la presenza in antico di un tempio di Cerere, dea romana delle messi. Dell’antico edificio religioso sono ancora visibili i muri perimetrali in pietra che racchiudono gli altari laterali in pietra serena e la zona del presbiterio».
http://www.sanmichelebuti.altervista.org/casteldinocco.html
«Forse villaggio di origini etrusche come documentano alcuni reperti archeologici, Castellina fu castello signorile, documentato dal 1276, facente parte della pieve di San Giovanni di Camajano (Castelnuovo della Misericordia). Il castello fu venduto alla Repubblica di Pisa da Ildebrando di Sovana. Nel 1406 si sottomise a Firenze con il resto della campagna pisana. Nel 1628 i Medici la elevarono a feudo granducale col titolo di marchesato concesso a un ramo collaterale degli stessi Medici, la cui estensione andava dal fiume Fine fino a Monte Vaso con il centro di Pomaia. Nel 1860, dopo il plebiscito indetto da Bettino Ricasoli in tutta la Toscana, venne annesso al Regno di Sardegna che, nel 1861, divenne Regno d'Italia. Storicamente ebbe attività eminentemente agricole con la produzione soprattutto di cereali, impoverendo gran parte del suo territorio ricco di foreste di cerri e boschi. All'inizio del XIX secolo fu aperta un cava di alabastro. Situata al centro del borgo la rocca si affacciava verso il mare, ed era costruita sulla roccia viva. Oggi è appena leggibile sotto gli edifici che vi si sono sovrapposti o sono stati costruiti davanti. Probabilmente era corredata da una più ampia cerchia di mura, che sembra di riconoscere nella forma dell’agglomerato che la circonda, e al quale si accede dalla strada attraverso un ampio arco».
http://castelliere.blogspot.it/2016/01/il-castello-di-sabato-16-gennaio.html
CASTELLINA MARITTIMA (ruderi del castello di Dolia o del Terriccio)
«A Levante della fattoria del Terriccio, a circa 800 metri, si trovano le vestigia del castello di Dolia, località menzionata per la prima volta in un documento del 994. Ubicato su un poggio significativamente chiamato Castellaccio a quota 253 m, restano due porzioni appartenenti alle mura perimetrali, mentre sul piano di campagna è possibile seguire tutta la cinta muraria; all'interno sono leggibili alcuni ambienti, uno dei quali conserva i resti di un pavimento in mattoni. Dipendente come il resto del territorio dalle Due Badie di Castellina Marittima, alla fine del XIII secolo fu concesso al vescovo di Pisa, nipote di papa Bonifacio VIII, e da lui trasmesso ai propri congiunti, i conti Caetani, che ne tennero il possesso per cinque secoli. Intanto, venute meno le esigenze militari, il castello veniva abbandonato, ma restava viva l'attività nella villa-fattoria che era sorta a valle, e che è tuttora fiorente».
http://www.ecntoscana.countryeurope.net/jsps/252/Italian_Site/256/Home/270/Il_territorio/844/Colline_Pisane/875/Castellina_M_ma...
Chianni (resti del castello di Montevaso)
«L’antico Castello di Montevaso dominava un tempo le colline tra il torrente Sterza e l’alto corso del fiume Fine. Menzionato per la prima volta in un documento del 30 aprile 780 (Pisa, Archivio Arcivescovile) fu nel corso dei secoli oggetto, per la sua posizione geografica di confine, di continue controversie tra la Diocesi di Pisa e quella di Volterra. Ne fanno fede una serie di documenti, riguardanti vendite di beni e assegnazioni di terre da parte dei due potentati religiosi, che si collocano in un periodo compreso fra il 1150 e il 1199. A partire dall’inizio del XIII secolo anche la Repubblica di Pisa avanzò diritti e privilegi sul Castello e probabilmente fu proprio quest’ultima ad esercitare un’effettiva egemonia su Montevaso fino al 1406, anno del suo abbandono a seguito della caduta in mano fiorentina. Oggi, a quasi sei secoli di distanza da quella data, i tratti della doppia cinta muraria ancora in piedi riescono a dare un’idea di quella che doveva essere l’imponenza e l’estensione del Castello, anche se incuria ed abbandono pregiudicano ogni ipotesi di valorizzazione e di sfruttamento della località a fini turistici. è auspicabile che in un futuro prossimo gli enti interessati e le autorità preposte si attivino perché non vada irrimediabilmente perduta un’importante parte del patrimonio storico-artistico della Valdera» (a cura di Fabio Bonechi).
http://www.quadera.it/chianni/chianni-castello-di-montevaso.php
Collemontanino (ruderi della rocca di Montanino)
«La rocca dista circa 1 km da via del Poggio, nell’omonimo borgo agricolo; la strada che conduce alle rovine è sterrata e poco agibile. Si consiglia di percorrerla a piedi. La possente Rocca, antico fortilizio di cui rimangono solo pochi ruderi, è situata nei pressi di Collemontanino, una frazione ubicata lungo le pendici di un colle posto a sud di Casciana Terme. Il castello assunse importante funzione strategica grazie alla posizione di dominio sui colli a confine tra la Valdera e la Valle di Cascina e per molto tempo rappresentò l’ultima giurisdizione della diocesi lucchese. La strada che conduce all’antica rocca attraversa il piccolo borgo agricolo di Collemontanino, chiamato Poggio, che conserva inalterate le caratteristiche di borgo».
http://portale.pisaonline.it/index.php?option=com_content&task=view&id=189&Itemid=107
«Detta anche Gello delle Colline, deve il nome, per sincope, ad Alessandro di Matteo Cini che acquistò la vasta tenuta durante il potere di Cosimo I, a metà del secolo XVI; in una notifica giudiziaria del 1551 la località è riportata con il nome di Gello di Matteo Cini. La pieve di San Martino in Gello costituì la chiesa più remota della diocesi di Lucca, risalendo la sua documentazione all’anno 764; nel 1260 l’edificio non esisteva più. La zona si presenta di interesse archeologico perché certamente nei dintorni dovevano esistere insediamenti abitativi più antichi. Proprietaria del castello e del mulino, nella prima metà del secolo XIX, era la famiglia pisana dei Rosselmini; ancora oggi il castello si erge con la sua imponenza sull’ampia e verde vallata del fiume Fine, meritandosi il titolo di rocca residenziale fra le più mirabili della provincia».
http://www.cascianaturismo.it/arte-e-cultura/index.php
«Arrampicato sulla collina a trecento metri di altezza, tra il mare e gli Appennini dell’entroterra, Guardistallo è stato una grossa borgata di origine longobarda con castello e cassero ancora esistenti nel 1833, antico feudo sotto la signoria dei Della Gherardesca che nel 1154 ne fecero dono al vescovo di Volterra.Posto sotto il dominio di Pisa, vi si ribellò durante la minaccia portata alla Repubblica pisana da Luchino Visconti. Ridotto all’obbedienza, ne seguì le sorti sino alla vittoria, nel 1406, di Firenze, alla quale giurò fedeltà. Occupato nel 1447 dall’esercito di Alfonso d’Aragona, re di Napoli, fu poco dopo riconquistato dai fiorentini contro i quali partecipò alla sfortunata ribellione condotta da Pisa. Ancora oggi offre non pochi reperti della sua importante storia medievale, come ad esempio i ruderi della rocca, cui si accede attraverso una porta che conserva molti dei suoi caratteri originali. All’interno della rocca sono visibili il tracciato delle mura ed alcune antiche case. Anche il borgo conserva deliziosi angoli di origine medievale inseriti, almeno in parte, nella loro primaria planimetria».
http://portale.pisaonline.it/index.php?option=com_content&task=view&id=204&Itemid=107
Lajatico (ruderi della rocca di Pietracassia)
«La Rocca di Pietracassia domina, ancora oggi, la strada che, risalendo il corso del torrente Sterza, collega direttamente la Valdera con la Valdicecina. Questa strada, oltre ad essere importante per il collegamento tra le due valli era già al tempo degli etruschi la via più comoda per la commercializzazione del rame, che estratto nelle vicine miniere di Montecatini veniva lavorato a Miemo. Non si hanno date certe sull'epoca dell'insediamento nella zona dell'attuale rocca e se qualche struttura vi fosse stata eretta in epoca etrusca o romana per il controllo del territorio minerario. Soltanto uno scavo archeologico potrebbe dirlo, in quanto le prime notizie certe, giunte fino a noi, risalgono al 1028 d.C. ed è indiscutibile che la rocca abbia avuto un ruolo strategicamente importante e delicato trovandosi sul confine tra la Diocesi di Volterra e il Contado di Pisa. La storia di Pietracassia coincide con il periodo di massimo splendore della Repubblica Pisana e i castelli e le Rocche dislocate nel territorio dell'attuale Valdera oltre ad avere un ruolo difensivo e di controllo ospitando le guarnigioni militari, grazie all'ubicazione altamente strategica, erano i capisaldi di un articolato sistema di avvistamento e segnalazione essendo collegati a vista e quindi in comunicazione l'uno con l'altro. In particolare la Rocca di Pietracassia era controllata a vista con gli antichi Castelli di Montevaso, Chianti, Terricciola, Lajatico, Orciatico, Peccioli, Miemo, quindi un punto di controllo ideale per l'intero territorio di confine. Ai tempi della repubblica imperiale Pisana la Rocca di Pietracassa era infatti un avamposto del vescovo di Volterra contro il castello abitativo più importante e più meridionale della Repubblica Pisana: Montevaso. Dal castello di Montevaso dipendeva anche il Castello di Strido, ancora più vicino alla rocca di Pietracassa, mentre quest'ultima era probabilmente collegata ai castelli di Orciatico e di Miemo. Il declino della Rocca, dopo alterne vicende, iniziò dopo il XV secolo quando fu ceduta come merce di scambio, assieme al castello di Orciatico e quello di Lajatico, ai Fiorentini da un'esponente della famiglia pisana Gaetani, in cambio di una somma di denaro e dell'incolumità della sua famiglia, dopo essere stato dichiarato "traditore della Repubblica". Nel 1434 i Fiorentini, divenuti nuovi padroni, ordinarono lo smantellamento di Pietracassia che consistette probabilmente nell'abbattimento del Mastio oltre che nell'abbandono dell'intera struttura. Il non riutilizzo, per le mutate necessità difensive dei nuovi dominatori e la lontananza dai centri abitati, ha permesso alla Rocca di giungere fino a noi senza sostanziali modifiche, se non quelle provocate dall'usura del tempo.
Arroccata su uno sperone di roccia calcarea fessurata, a cui probabilmente deve il nome, è stata costruita utilizzando di pietra estratta da cave della zona, una a grana fine di colore variante dal bianco sporco al giallino, l'altra a grana molto fine di colore variante dal rosato al rosso fegato, quest'ultimo dovuto al deposito di ossidi di ferro. L'abilità delle maestranze nell'edificare la struttura, si può notare sia da un punto di vista tecnico, con la perfetta orizzontalità dei ricorsi dei conci in pietra e con la regolarità dimensionale e di taglio di ogni singolo elemento, sia da un punto di vista estetico, ammirabile nel complessivo effetto cromatico tale da creare un perfetto inserimento della cinta muraria nell'ambiente circostante, creando un efficace effetto di unitarietà ed omogeneità con le rocce naturali. I resti delle strutture cha ancora possiamo ammirare e studiare sono rappresentate dal mastio, la torre più alta, più fortificata e situata nel punto più difficile da espugnare, a cui era affidata l'ultima difesa in caso di assedio, dalla cinta muraria del castello costituita da due torri, una a base quadrata e una, unico caso in Toscana, a base ottagonale e dalla cinta muraria esterna della Rocca a cui si accede attraverso degli scalini appena scolpiti nella roccia. La zona intorno alla Rocca, costituita da terreno alquanto sconnesso, superabile soltanto a piedi e con una certa difficoltà, contribuiva notevolmente ad aumentare le difficoltà di accesso in caso di attacco e impedendo anche l'impiego di qualsiasi sistema rivolto a sfondare le difese del castello. Lo smantellamento della struttura nella prima metà del 1400 fa supporre che non siano mai state impiegate né per l'attacco, né per la difesa, le armi da fuoco, in quanto l'impiego della polvere da sparo si affermi soprattutto nel corso della seconda metà del XV secolo. Le difese del Castello dovettero essere costituite essenzialmente dal tiro piombante e dal tiro ficcante, il primo consisteva nel lanciare dall'alto delle mura, pietre o materiale ustionante come sabbia arroventata e forse pece infuocata , mentre il secondo era effettuato mediante archi e balestre».
http://www.quadera.it/lajatico/lajatico-rocca-di-pietracassia.php
«Un documento storico datato 732 D.C. attesta già dell'esistenza di un castello a Lari sulla collina dove si trova oggi l'attuale costruzione e si trattava, con molta probabilità, di una semplice torre in legno cinta da palizzate. Si deve alla nobile famiglia di origine longobarda degli Upezzinghi, intorno al 1200, la costruzione vera e propria del castello non dissimile a quella attuale anche se, naturalmente, riveduta, restaurata e corretta durante lo svolgere dei secoli. Lari divenne una importante roccaforte di confine della Repubblica di Pisa, anche se la Repubblica Marinara non ebbe mai il completo dominio sulle colline larigiane: Lucca infatti conservò il controllo della giurisdizione ecclesiastica. Nel 1230 gli Upezzinghi si ribellarono a Pisa e si rifugiarono a Lari, uscendone pochi anni più tardi, solo dopo aver trattato le condizioni di pace. Nel 1287 gli Upezzinghi tornarono nuovamente a stabilirvisi in lotta con il governo della Repubblica di Pisa, che li estromise definitivamente nel 1290. Il castello fu conteso tra Pisa, che ne riprese possesso e lo trasformò in Capitanato del Comune, e Firenze che lo sottomise successivamente nel 1400 al suo dominio trasformandolo in Vicariato. In questa sede veniva amministrata la giustizia del territorio oltre che la riscossione delle tasse. Pisa tentò di riconnetterla di nuovo nel suo territorio e nel 1431 il suo esercito guidato da Niccolò Piccinino riconquistò il castello, ma solo per due anni. Le truppe fiorentine, capitanate da Pier Capponi, a seguito di scontri e sanguinose battaglie, conquistarono definitivamente Lari, potenziandone il sistema difensivo. Della struttura risalente al periodo di governo pisano non rimane che un tratto di mura a sud-ovest, nei pressi dell'orto castellano. La struttura attuale venne realizzata dai fiorentini in varie fasi. Il castello divenne quindi la dimora stabile dei Vicari nonchè sede del tribunale, della sala delle torture (dove venivano "interrogati" i detenuti), della sala dove questi venivano giustiziati qualora fossero stati giudicati colpevoli dalla giuria esaminatrice e delle prigioni. Il primo vicario fu Angiolo di Giovanni da Uzzano. I membri delle più nobili famiglie fiorentine (Medici, Pitti, Peruzzi, Strozzi, Degl'Albizzi) ebbero Vicari a Lari. Per tutto il XV secolo si succedettero varie ribellioni al potere mediceo e ogni volta che Pisa si ribellò a Firenze, Lari partecipò attivamente ai tentativi di ristabilire l'autonomia. Per questo il castello fu ripetutamente assediato, ma invano: quello di Lari mantenne fama di castello inespugnabile. Consolidato il potere fiorentino, il territorio del vicariato di Lari venne ampliato e diviso in tre podesterie, con sede in Lari, Palaia, e Peccioli. I Medici rafforzarono ed abbellirono il Castello; vennero intraprese grandi opere commissionate a Francesco da San Gallo e David Fortini. I lavori vennero svolti sotto il vicariato di Iacopo di Bongiovanni Gianfigliazzi e Bartolomeo Capponi. Il cortile del castello fu decorato con stemmi da Andrea e Giovanni della Robbia, e altri artisti dell'epoca. Nel 1530 venne affrescata la "sala dei tormenti" (così veniva chiamata la sala delle torture) e nel 1700 vennero ampliate le prigioni. Nel 1725 il castello è vittima di una frana;, durante la quale perse la vita il figlio del vicario e rimase distrutta la parte esterna del Palazzo dei Vicari. Per i lavori di restauro fu preventivata la cifra di 3000 scudi. Un progetto che prevedeva la ricostruzione di tutto il complesso non venne approvato, per il veto dell'Arcivescovo di Pisa, che vantava ancora diritti di proprieta' sul castello. I lavori, terminati nel 1775, si limitarono alla ricostruzione delle parti distrutte. Sotto il governo francese vennero aboliti i vicariati e le podesterie, ma dal 1814, alla caduta di Napoleone il vicariato fu ricostituito con ampliati poteri: doveva infatti anche far rispettare le disposizioni sanitarie, giudicare l'operato degli ospedali, amministrare le carceri, le scuole, i collegi e i monasteri. Aveva inoltre il potere di condannare chi fosse stato assolto per insufficienza di prove dalla magistratura ordinaria. Nel 1848 vennero soppressi i Vicariati e fu istituita la Pretura. Solo in tempi relativamente recenti, nel 1934, il carcere venne chiuso e cessò la sua attività.
Nel 1970 venne soppressa anche la Pretura ed il castello fu destinato ad abitazione privata sino al 1990. Nel 1991 iniziò l'opera di recupero del maniero da parte del Comune di Lari, attuale proprietario, con l'attivazione di un servizio di visite guidate affiancato da un gruppo di giovani volontari appartenenti all'Associazione Culturale Il Castello. Col tempo sempre più ambienti furono recuperati e aperti al pubblico. Furono inoltre organizzate mostre, conferenze e convegni. Sulla facciata in pietra che dà sul cortile interno, sono da notare i 92 stemmi lasciati dai Vicari che ogni sei mesi si avvicendavano ad amministrare la giustizia, quali rappresentanti del Governo. Gli stemmi sono scolpiti nella pietra ad ornamento del muro esterno del carcere. Nelle stanze del castello sono osservabili gli affreschi dell'epoca e pochi mobili originali. Le prime sale che si visitano sono quella del tribunale dove, fra gli altri, fu processata una donna, Gostanza da Libbiano, accusata di stregoneria (la sua vicenda è ripresa più avanti) e la stanza della cassaforte, dove l'addetto del governo, stabiliva e incassava i tributi. Si prosegue poi verso la sala dei tormenti dove i detenuti venivano condotti per essere torturati o giustiziati. Vicino ad essa si trovano le celle del carcere, anch'esse luogo di tormento per chi avesse avuto la sfortuna di trovarvisi prigioniero. Qui i detenuti avevano a disposizione un tavolaccio di legno sul quale stendersi e un po' di luce filtrava attraverso le inferiate delle finestre posizionate in alto verso il soffitto. Alcune celle avevano delle fosse scavate nel muro con al loro interno un recipiente che serviva a raccogliere i loro bisogni corporali. Altre celle, invece, avevano un'unica latrina in comune. Ma erano le celle dei sotterranei a rasentare l'orrore. Qui finivano i detenuti peggiori, al buio e al freddo di quelle stanzette che erano poi delle vere e proprie nicchie scavate nella pietra fredda e umida e che si allagavano ogni qual volta cadeva la pioggia. Le condizioni in cui vivevano i prigionieri erano veramente inumane e sconfortanti. C'era poi una cella, che anche se non si trovava nel sotterraneo, era comunque, per terribile analogia, simile a quelle ricavate nel sottosuolo. Il detenuto era costretto a restarsene al buio (la finestra alta e con le doppie inferiate era sempre tenuta chiusa da pesanti scuri in legno) e due grosse catene assicurate alla parete gli stringevano le caviglie. Ai detenuti non venivano però risparmiate le funzioni religiose. Essi potevano assistervi attraverso 10 cellette ricavate su di un lato della cappella che si trova nel cortile interno del Castello. Quando fu costruita nel cortile, la cappella sostituì in modo permanente l'altra preesistente all'interno del castello, ancora visitabile ma quasi irriconoscibile. A metà della scalinata di accesso al castello, composta da 95 scalini e che porta alla sommità della rocca, si trovava una cisterna pubblica costruita nel 1448, con gli stemmi dei Pitti e degli Scali, vicari di Lari. Al centro del cortile sorge una bella cisterna dove vengono raccolte le acque piovane dei tetti dei palazzi castellani. In fondo al cortile sorge il Palazzo dei Vicari, con facciata monumentale e ornata di stemmi. Il castello è attualmente sede del Museo Civico Baldinucci, che espone reperti e documenti della storia di Lari. La sua posizione dominante consente una vasta visuale sulla Valdarno, spaziando fino al mare. ...».
http://castelliere.blogspot.it/2012/07/il-castello-di-giovedi-12-luglio.html
Mazzolla (ruderi della rocca di Berignone o Torraccia o castello dei Vescovi)
«...A livello storico il territorio è stato sempre sotto l'influenza di Volterra fin dal periodo etrusco e successivamente durante il dominio di Roma. Nel medioevo nascono il comune e la Diocesi. Quest'ultima ebbe una grossa influenza su tutto il comprensorio. Le note dispute tra famiglie e città coinvolgono ogni angolo della Toscana e anche qui ve ne sono rimaste importanti tracce. Il più significativo sito è costituito dai ruderi della Torraccia detta anche Castello dei Vescovi. Se ne rinvengono tracce già nell'896 allorché venne ceduto in dono da Adalberto, marchese di Toscana, ad Alboino, vescovo di Volterra. Fu da allora la roccaforte dalla quale il potere ecclesiastico dovette sostenere la lunga lotta contro il Comune di Volterra. Più volte i vescovi vi si rifugiarono per evitare rappresaglie, come quando, nel 1266, dopo la vittoria guelfa di Benevento, il vescovo di Volterra si rifugiò in Berignone per sfuggire dall'assalto dei ghibellini residui. Nel 1361 Berignone si ribellò al comune di Volterra, ma fu facilmente riconquistato. Nel 1381 gli stessi abitanti di Berignone decisero di porre sotto la tutela del comune la difesa del loro castello, in quanto era stato occupato dai parenti di Simone dei Fagani di Reggio, vescovo di Volterra. Ne derivarono altre dispute, tra vescovo e Comune, fino alla pace stipulata il 5 febbraio 1382. Nel 1399 il castello fu occupato dai Senesi e, da questo episodio, cominciò la definitiva decadenza della rocca. Oggi non ne rimangono che i ruderi a dominare vasti boschi popolati da ungulati e rapaci».
http://www.fototoscana.it/mostra-gallery.asp?nomegallery=berignone
«Miemo è situato nel comune di Montecatini Val di Cecina (PI), su un versante del poggio di Mela. Il borgo è di origine medioevale, con la Chiesa intitolata a S. Andrea, la fattoria, la bella villa residenziale ed alcune abitazioni. è situato in un punto di importanza strategica sullo spartiacque tra la val di Cecina e la val d'Era. Oggi è ridotto a pochissimi abitanti e l'attività principale è dedicata agli allevamenti di selvaggina come cinghiali, mufloni, caprioli e cervi. Il Repetti riporta che Miemo (Castrum Miemi) ebbe titolo di castello ed ebbe i suoi nobili, "fra i quali la storia ci rammenta un Gualando del fu Saracino, per opera di cui nel 16 novembre dell'anno 1108 fu alienato a Ruggeri vescovo di Volterra la metà del castello e corte di Miemo" Il borgo viene citato per la prima volta nel 1186 allorche il vescovo Ildebrandino Pannocchieschi di Volterra ottiene il castello in privilegio da Arrigo VI. Nel 1225 Pagano vescovo di Volterra rinunziò in favore del Comune al diritto che aveva ereditato dai suoi antecessori; cioè di esigere la metà di alcuni dazi dagli abitanti di Miemo, di Bruciano, di Gabbreto, Montecatini, ecc. La comunità di Miemo, alla fine del secolo XIII, dipendeva totalmente dal governo di Volterra, come si rileva dai libri dell'estimo del territorio volterrano. Ma la dipendenza da Volterra non lasciò Miemo fuori dalle dispute come ci fa intuire una convenzione stabilita il 21 maggio del 1316 fra il Comune di Volterra e quello di Pisa, in conseguenza della battaglia di Montecatini, dopo la quale i Volterrani si obbligarono a demolire le fortificazioni del castello di Miemo e di Gabbreto. Il borgo, nei secoli successivi, subì sicuramente periodi d'abbandono, almeno fino al al Settecento allorché la chiesa e canonica dirute e abbandonate furono riedificate per ordine del Granduca Leopoldo I. Oggi Miemo è un pugno di case in una zona immersa nei boschi, sulla strada provinciale 14».
http://www.fototoscana.it/mostra-gallery.asp?nomegallery=miemo
Montecastelli Pisano (torre dei Pannocchieschi)
«Il piccolo borgo fortificato di Montecastelli Pisano sorge nell'alta valle del fiume Cecina, lontano dalle vie di comunicazione principali, in una zona dominata da vasti boschi. Dalla sua posizione, su una collina di 500 metri che domina profonda gola del torrente Pavone, si hanno ampie vedute di vallate poco popolate che spaziano fino alle Cornate e alla vicina val d'Elsa. Amministrativamente il borgo fa parte del comune di Castelnuovo val di Cecina ed oggi è una frazione in cui abitano poco più di cento abitanti. Ma i resti delle fortificazioni e la bella chiesa ci fanno capire che in passato Montecastelli rivestì nella zona una certa importanza strategica, forse anche per la vicinanza con la poderosa rocca Sillana. La storia: La zona fu abitata in epoca etrusca e romana come testimonia la presenza, a pochi passi dal paese, di una tomba ipogea conosciuta come la buca delle fate. Ma il borgo di Montecastelli nasce nel medioevo, forse ad opera dei longobardi che in questa zona controllavano le vie di accesso alle ricche risorse minerarie. Storicamente il borgo viene nominato per la prima volta in un atto del 1194 in cui l'imperatore Arrigo VI concede alcuni privilegi al vescovo Ildebrando Pannocchieschi e in successivi atti del 1224 da Federico II in favore del vescovo Pagano dei Pannocchieschi. In questi anni si tiene un'accesa disputa sul borgo tra i Vescovi e il comune di Volterra. Con la metà del tredicesimo secolo è il comune a prevalere sulla chiesa. Nel 1319 Montecastelli fece atto di sottomissione a Volterra anche se gli interessi dei vescovi non cessano, come testimonia il possesso di miniere di argento nei pressi del paese. Numerosi atti di questo periodo dimostrano le cessioni di beni di varie famiglie in favore del comune volterrano. Dal 1370 al 1381 il borgo di affido in accomandigia ai Fiorentini. Firenze cerca di riprendere possesso del paese anche nel Quattrocento, ma con scarse fortune. Talvolta a seguito delle dispute si svolsero anche fatti bellici, come nel 1431, quando truppe al seguito di Niccolò Piccinini occuparono il borgo. Passano pochi anni e, nel 1447, Montecastelli si trova assediato dalle truppe di Alfonso d'Aragona, riuscendo però a resistere. Finite le dispute medioevali, con il consolidarsi del potere di Firenze, il borgo perse importanza militare. Nel secolo XVIII finì con l'essere incorporato nella comunità di Castelnuovo val di Cecina a cui ancora oggi appartiene. In questo periodo Montecastelli subisce un lento declino. Oltre all'agricoltura sopravvive con l'attività estrattiva del rame che però cessa definitivamente nel 1941. Da vedere: Il paese conserva un aspetto medievale, con due vie principali parallele, interconnesse da strette stradine e scalinate, le case in pietra grigia addossate le une alle altre. Delle mura del borgo restano alcune tracce alla base della case esterne che ricalcano la cinta, e la porta Bucignana, così nominata perche si apriva in direzione del castello di Gabbro Bucignano. Sulla parte più alta del colle sorge la torre, voluta nel 1215 da Pagano dei Pannocchieschi, di forma quadrata a base leggermente scarpata. Oggi la possente costruzione è parzialmente in rovina e non visitabile. A fianco della torre sorge la bella parrocchiale dei SS. Filippo e Giacomo eretta per volere di Ildebrando Pannocchieschi nel 1186. La chiesa conserva ancora intatta la sua struttura romanica a tre navate con pilastri e capitelli scolpiti. La facciata in conci squadrati presenta tre arcate; nella centrale si apre la porta di accesso. All’interno è presente L’immacolata Concezione ed i Santi Antonio, Biagio, Orsola e Francesco (1585-1588) eseguito da Cosimo Daddi. Sul fianco destro si apre una finestra a sesto acuto sulla cui architrave è scopita una scena di caccia. Abbellisce l'insieme un campanile a base quadrata che va ad affiancare la torre».
http://www.fototoscana.it/mostra-gallery.asp?nomegallery=montecastelli
Montecastello (Villa Torrigiani Malaspina)
«La villa era originariamente di proprietà della famiglia Galletti, per passare poi, nel XVII secolo, ai Franceschi, famiglia del marito di Antonia Galletti. Nel XIX secolo, dopo il matrimonio di Vittoria di Lelio Franceschi con il Marchese Torquato Malaspina, la villa passò ai suoi figli divenendo proprietà Torrigiani Malaspina assumendo la denominazione attuale. Parte integrante della struttura difensiva del borgo medievale di Montecastello, ha subito innumerevoli modifiche nel corso dei secoli diventando residenza nobiliare e centro di un'ampia tenuta. Le stanze sono caratterizzate da un pavimento settecentesco lavorato a terrazzo veneziano. L'edificio comprende una cappella privata, affrescata a trompe-l'œil, e un'elegante chiostra munita di pozzo. La Villa Torrigiani Malaspina è sede dal 1993 del prestigioso Festival internazionale Sete Sóis Sete Luas, presieduto dal Premio Nobel José Saramago...».
http://www.comune.pontedera.pi.it/cultura/chiese-e-palazzi-storici/villa-torrigiani-malaspina
Montecatini Val di Cecina (palazzo Pretorio)
«Scendendo in via delle Torricelle si arriva in Piazza Garibaldi e, girando subito a sinistra, dal muretto si può ammirare la piazza nella sua interezza con la cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, dal bordo quadrato in lastroni di pietra, che degrada verso il basso. Qui si affacciano gli edifici più importanti: il Palazzo Pretorio e la chiesa di San Biagio. ...Il Palazzo Pretorio ospita oggi il Centro di Documentazione del Museo delle Miniere. Fino agli anni Cinquanta è stato sede del Comune, poi trasferito in via Roma. Si tratta di un edificio trecentesco, passato attraverso svariate modifiche, con una bellissima facciata ed un portico a tre colonne in selagite, volte a crociera, archi a tutto sesto. Sulla facciata stemmi e scritte in latino, targhe, una lapide a ricordo dell’ammissione del Granducato di Toscana al Regno d’Italia con riportati i dati del plebiscito ed una tavola con ragguaglio dei pesi e delle misure antiche».
http://www.volterratur.it.cloud.seeweb.it/wp-content/uploads/montecatini-guida-it.pdf
Montecatini Val di Cecina (rocca, torre dei Belforte)
«Alta 28 metri, suddivisi in cinque piani, è una costruzione con base quadrangolare a scarpata, realizzata in selagite: la parte inferiore presenta una bicromia ottenuta con filari alternati di pietra chiara e scura. Le mura hanno uno spessore che varia da oltre tre metri alla base a più di due metri in alto. Tra le aperture situate sui lati, tutte ad arco e disposte in modo asimmetrico, particolare interesse rivestono due oculi strategicamente rivolti, uno verso la Fortezza di Volterra e l’altro verso la Rocca Sillana. La Torre di Montecatini fu costruita nella prima metà del XIV per volontà della famiglia Belforti di Volterra, che ne affidò la realizzazione al mastro di pietre Ghetto da Buriano. Da vari indizi si evince che una precedente versione della torre, probabilmente di dimensioni più ridotte, fosse presente lì dove sorge quella attuale, già nell’XI secolo. La torre faceva parte, probabilmente già nell’XI secolo, di una più vasta opera fortificazione che comprendeva una cinta muraria e alcune torri minori. L’opera dei Belforti a Montecatini si inscrive nella scalata al potere di questa famiglia, che dopo una lunga contesa con la famiglia rivale degli Allegretti, nel 1340 conquistò la signoria di Volterra. La parabola della dinastia si concluse però molto presto: nel 1361 Bocchino Belforti perse l’appoggio di Firenze e venne impiccato dai Volterrani che lo accusavano di aver tradito la città vendendola ai Pisani per 32.000 fiorini. I Belforti furono cacciati, da Volterra che cadde, tra alterne vicende, sotto il controllo fiorentino, e così la torre di Montecatini. Nei secoli successivi la Torre fu anche sede dei capitani inviati dai Comuni di Volterra e di Firenze, appartenne ai Pannocchieschi, agli Inghirami ed ai Rochefort. Nel ‘700 viene descritta come seriamente danneggiata dai fulmini e dall’usura del tempo. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale fu usata dai Montecatinesi come rifugio durante i bombardamenti, venne colpita a più riprese da colpi di cannone (…) e ulteriormente danneggiata, anche se la struttura rimase solida e gli anziani del paese raccontano che fino al restauro è sempre stato possibile, anche se rischioso, arrivare fino in cima. Alla fine degli anni ’60 la torre fu acquistata da Emilio Jesi, un commerciante di caffè (il caffè Jesi), collezionista d’arte contemporanea (la collezione Jesi è nel museo di Brera a Milano) e zio per parte di madre dell’attuale proprietario, il pittore e poeta Daniele Bollea. ...».
http://www.torredeibelforti.com/it/the-tower/
Montopoli in Val d'Arno (resti del castello o Poggio di Rocca)
«I documenti storici parlano per la prima volta del castello di Montopoli nel 1017. ... Il castello di Montopoli conservò grande importanza strategica per quasi tutta l´epoca medioevale. Restò sotto la giurisdizione del vescovo di Lucca fino al 1162, quando fu assegnato dall´imperatore Federico di Svevia alla fedele Pisa ghibellina. Lucca, nemica atavica di Pisa, non accettò lo smacco e si alleò con Firenze, astro nascente della politica toscana. Montopoli si trovò quindi al centro di ripetute ed aspre contese tra Pisa e Firenze, essendo più volte conquistato, perduto e riconquistato. Questa alternanza durò fino al 1349, quando Montopoli si sottomise volontariamente a Firenze, che ne fece sede di un proprio vicariato e di una guarnigione stabile, che si oppose vittoriosamente a nuovi tentativi di conquista, fra cui l´assalto di Castruccio Castracani nel 1328 e la battaglia di San Romano del 1432. Dopo il 1492 Montopoli è coinvolta nelle alterne vicende della discesa in Italia dei francesi di Carlo VIII, della Repubblica Fiorentina, della restaurazione dei Medici. Il principale filo conduttore per la storia del castello in questo periodo continua ad essere il coinvolgimento nella zuffa mai domata fra Firenze e Pisa, che si traduceva anche in colpi di mano ricorrenti, inferti e ricevuti nel circondario più prossimo. Dopo le invasioni spagnole in Italia nel 500, Montopoli si trovò ad affrontare nuove e tremende lotte contro le spaventose epidemie di peste che facevano strage della popolazione riducendola fino a un terzo di quella preesistente. Un succedersi di carestie e pestilenze turbò gravemente il castello anche nel ´600, e dobbiamo arrivare alla seconda metà del ´700, all´avvento dei Lorena nel Granducato di Toscana, per vedere un rifiorire dell´agricoltura, delle industrie e dei commerci. Montopoli affrontò quindi la calata delle truppe di Napoleone, che provocò non piccoli disastri, ma d´altro canto divulgò le nuove idee che avrebbero improntato la storia più recente. Dopo di che Montopoli seguì le sorti del Granducato di Toscana e poi dell´Italia costruita nel Risorgimento. L´800 e la prima parte del ´900 videro i montopolesi all´opera per impiegare al meglio le risorse naturali, e intenti a sviluppare la propria inclinazione all´artigianato e al nascere delle prime industrie "moderne". La vocazione agricola è ancora fondamentale, e le antiche case nobili del Castello vengono trasformate e modernizzate per fungere da abitazione e ufficio per i proprietari terrieri e i professionisti. Molti vecchi palazzi divennero residenze per la villeggiatura di persone di varia provenienza, attirati dalla serenità della campagna, dal clima salutare e dalle acque minerali di cui era dotato il territorio. Si veniva così progressivamente disfacendo il Castello Insigne, che subì il suo danno più recente dagli eventi della seconda guerra mondiale, quando fu abbattuta l´alta torre della rocca di Montopoli».
http://www.montopoli.net/Storia.htm
Montopoli in Val d'Arno (torre di San Matteo)
«La cittadina, per lungo tempo contesa tra Firenze e Pisa, fu una delle roccaforti medievali più prestigiose del Valdarno Inferiore, tanto che Boccaccio la definì "castello insigne". Nonostante la spontanea sottomissione di Montopoli alla Repubblica Fiorentina, avvenuta nel 1349, si pensò di innalzare ugualmente nuove strutture difensive. Nel 1431 Neri Capponi, inviato da Firenze, fece rafforzare la zona occidentale del castello, costruendo anche la torre di San Matteo, ancora oggi emblema significativo della città. L'impaginato architettonico della poderosa sentinella, presenta un massiccio paramento murario, alleggerito in basso dal grande arco d'ingresso, e in alto da una vivace sequenza di archetti a sesto acuto, poggianti su mensole a piramide rovesciata».
http://www.exploro.it/portal/content/?page=place-detail&id=69289&lang=it
Montopoli in Val d'Arno (torre e arco di Castruccio)
«Della cinta muraria medioevale si è conservato l'imponente arco, detto di Castruccio, ai piedi della Rocca, costruito in conci di pietra nella parte bassa e in laterizio in alto: tutte le porte della fortificazione erano munite di antiporto ed erano controllate da torri di guardia. Poco si riconosce oggi della tipologia edilizia delle case-torri medioevali, notevolmente trasformate in epoca successiva, ad eccezione della Torre detta di Castruccio risalente al secolo XIII, mentre risalta la struttura della chiesa, costruita all'interno delle mura castellane».
«Per un certo periodo si è ritenuto che il borgo fosse stato fondato da Matilde di Canossa. La prima documentazione in cui Parlascio viene citato risale al 1193 e riguarda un contratto di vendita. Il suo nome significa “anfiteatro”, definizione che deriva dalla morfologia del territorio, tale da offrire uno dei panorami più suggestivi della provincia pisana. Ancora oggi si scorgono i ruderi dell’antico castello e nelle mura sono visibili le feritoie per le armi da fuoco. Come le altre località della zona, cadde sotto il dominio dei fiorentini nel 1406. Nel 1444 gli Uppezzinghi, signori del borgo, riedificarono la chiesa intitolata ai Santi Quirico e Giulitta nella forma in cui ancora oggi si mostra. La facciata era, in origine, adornata di bacini ceramici, adesso conservati al Museo di San Matteo a Pisa. Nell’interno affreschi, fra i quali il Volto Santo attribuito a Bartolomeo da Ceppato, i Santi Quirico e Giulitta e un busto della Madonna del Latte. Di fianco alla Chiesa una terrazza offre uno straordinario panorama della Toscana centro occidentale, dalle Alpi Apuane a Volterra e sulle colline della Valdera punteggiate di paesi, case sparse, vigne, borghi, campi coltivati. Nell’area immediatamente sovrastante la chiesa, ove sorgeva la rocca, dal 1998 è in corso una campagna di scavi archeologici che hanno portato alla luce numerosi reperti etruschi, testimonianze di insediamento che dal VII secolo a.C. si mantenne sino ai tempi dell’avvenuta diffusione della civiltà greca nel mediterraneo e nel mondo asiatico (ellenismo: 323 a.C. - 31 a.C.). Uno degli obiettivi di maggiore fascino ed interesse scientifico è quello di capire come questo centro, legato alla Pisa Etrusca, presentasse in epoca arcaica, a partire dalla fine del Villanoviano, una ricchezza notevole, testimoniata dai frammenti rinvenuti. Molti di essi appartengono alla cultura pisana, molti sono riferibili ad anfore vinarie etrusche ed orientali, altri a ceramiche di importazione. Oltre a tali ritrovamenti sono emersi vari materiali di periodo medievale, riferibili alla vita del castello, sino agli anni dell’ascesa del dominio fiorentino sull’intero territorio pisano. Alcuni dei reperti sono esposti in vetrine all’interno dello stabilimento termale e presso il Ritrovo del Forestiero».
http://www.cascianaturismo.it/arte-e-cultura/index.php
«Si deve a Cosimo I de' Medici l'idea di costruire a Pisa un arsenale per le navi della potente flotta toscana. Già funzionante intorno al 1540, il nuovo cantiere navale mediceo varò, nel 1546, la prima galera interamente costruita da maestranze locali. L'Arsenale, alla cui realizzazione partecipò anche il Buontalenti, era articolato in otto navate lunghe mediamente 60 metri, alte 8 e larghe circa 10. Faceva parte di un progetto volto a restituire a Pisa l'antico splendore, perso dopo la resa della città ai fiorentini nel 1509. L'istituzione, nel 1562, dell'Ordine di Santo Stefano e il trasferimento nel 1563 del Giardino dei Semplici nella stessa area rientrano in questa ottica. La concorrenza dei cantieri di Livorno e Portoferraio e una mutata politica marittima, tuttavia, ne decretarono presto un lento ma inesorabile declino fino a che, alla metà del secolo XVIII, sotto i Lorena, i locali furono trasformati per accogliere i cavalli del reggimento dei Dragoni. Nell'area restaurata degli Arsenali sono allestite, oggi, alcune esposizioni che presentano una parte degli importanti ritrovamenti, avvenuti a partire dal 1998, di relitti di imbarcazioni e suppellettili rinvenuti nell'antica area portuale etrusca e romana di Pisa, ubicata nella zona della stazione ferroviaria di Pisa-San Rossore. Si tratta di una prima struttura portuale di età arcaica, con i relitti di 19 imbarcazioni di diversa stazza (dalla nave oneraria al barchino fluviale) risalenti ad un periodo compreso tra la fine dell'età ellenistica e l'età tardo antica. Tali scoperte costituiscono un elemento fondamentale nella comprensione delle modalità di trasporto marino nell'antichità tra il V secolo a.C. e il V d.C. Negli Arsenali dei Cavalieri di Santo Stefano è in allestimento il Museo delle Navi, che presenterà i reperti in uno spettacolare apparato espositivo. Concepita come "esposizione in progress", la Mostra delle Navi vorrebbe, infatti, rendere partecipe il visitatore della varie fasi del lavoro di recupero svolto, dallo scavo archeologico, al laboratorio di restauro all'esposizione finale, ma non definitiva, dei materiali».
http://brunelleschi.imss.fi.it/itinerari/luogo/ArsenaliMedicei.html
Pisa (cittadella o fortezza Nuova)
«Posto tra Piazza Guerrazzi e i lungarni Fibonacci e Galilei si trova un ampio giardino fiancheggiato dalle mura e dai bastioni della Cittadella Nuova, fortezza costruita dai Fiorentini non come difesa contro gli assalti esterni a Pisa ma come monito nei confronti dei Pisani a non ribellarsi e baluardo per controllare la città. La fortezza originaria (chiamata Nuova per distinguerla dalla Cittadella più vecchia posta dall’altra parte del fiume), costruita nel 1468 fu distrutta da una rivolta e ricostruita nel 1512 su un progetto dell’architetto fiorentino Giuliano da Sangallo. I bastioni visibili da piazza Toniolo e da via Sangallo presentano ancora le bocche per cannoni e bombarde rivolte contro la città: la Fortezza Nuova fu infatti uno dei primi bastioni militari italiani edificati tenendo conto dell’impiego delle armi da fuoco. Gravemente danneggiata dai bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra mondiale, la Fortezza Nuova e il giardino hanno subito vari restauri, l’ultimo completato nel 2008. L’ampio giardino all’interno è stato realizzato nel XIX secolo da Giovanni Caluri per la famiglia Scotto che acquistò nel 1798 la fortezza da Pietro Leopoldo di Lorena. Il giardino faceva parte del palazzo Scotto-Orsini andato completamente distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. L’interno del Giardino Scotto comprende un parco giochi per bambini, un camminamento lungo le mura delle fortificazioni (in gran parte inaccessibile al pubblico), delle scale, un anfiteatro naturale e un giardino ricco di piante centenarie (il gigantesco platano che sovrasta tutti gli altri alberi fu piantato in occasione di uno spettacolo teatrale di Carlo Goldoni rappresentato al “Verdi”). Il giardino Scotto è un luogo frequentato da studenti, famiglie e turisti per godere di qualche momento di pace nel verde e al riparo dai rumori del traffico e della città».
http://www.lakinzica.it/giardino-scotto-e-cittadella-nuova
Pisa (cittadella Vecchia e torre Guelfa)
«La zona della Tersana medievale (darsena) si sviluppò nel corso del XIII secolo come area cantieristica, in un periodo in cui le vittorie militari e i fiorenti traffici marittimi avevano reso necessario per la città trovare uno spazio adeguato all’intensità delle attività navali. Le sconfitte del secolo successivo e lo stallo dei traffici mercantili, provocano una riconversione dell’area già alla fine del Trecento quando Iacopo d’Appiano trasformò la struttura in fortezza, costruendo la torre di S. Agnese, rafforzandone una preesistente e realizzando la prima merlatura di mattoni. La Tersana, completata nel tempo con le torri Ghibellina, S. Giorgio e dell’Arno (o Degazia a Mare), fu definitivamente consacrata a fortezza dai Fiorentini, padroni di Pisa a partire dal 1406, che apportarono notevoli modifiche: rinforzarono il muro parallelo all’Arno e dotarono di rivellini il Palazzetto sopra la preesistente Porta della Degazia a Mare. Edificarono, inoltre, ex novo la torre Guelfa (o torre della Cittadella): una costruzione di 18m di altezza, oggi fedelmente ricostruita dopo i bombardamenti del 1944. Il nome Guelfa le venne dato in contrapposizione alla torre Ghibellina. Una veduta della Cittadella Vecchia di XV secolo è ammirabile in una pala all’interno della vicina chiesa di S. Nicola. La denominazione Cittadella Vecchia entrò in uso soltanto successivamente, per distinguerla dalla Cittadella Nuova, l’attuale Giardino Scotto, costruita nell’angolo opposto della città a partire dal 1440 e motivo per cui la Cittadella Vecchia fu nuovamente utilizzata come arsenale dalla seconda metà del XV secolo in poi. Nei secoli XVIII e XIX gli ambienti della Cittadella furono adibiti a depositi, stalle e caserme militari. Attualmente ospita un parco pubblico ed in futuro sarà messa in relazione con il Museo delle Navi».
http://www.turismo.pisa.it/it/cultura/dettaglio/Torre-della-Cittadella-e-Cittadella-Vecchia
«I lavori di costruzione della terza cerchia urbana delle mura risalgono al 1155. Le date fornite dagli Annales del Maragone non sono chiare: in qualche tratto i lavori di fortificazione si innestarono su difese preesistenti e sfruttarono una situazione idraulica del territorio che forniva di per se delle difese naturali (il fiume Auser). Le aree urbanizzate intorno alla nuova cerchia di mura erano già state dotate di indispensabili dispositivi di difesa esterna, anche se non erano costituiti da vere strutture murarie. Il primo lotto della costruzione iniziò nel 1155 nella zona che attualmente ospita la Piazza del Duomo. Il motivo non era casuale, perché le mura avevano lo scopo sia di protezione alla Cattedrale ed al futuro Battistero, sia per motivi militari poiché il ponte sull’Auser a nord ovest della città costituiva il punto più vulnerabile. Altre parti di Pisa erano infatti protette da uno sbarramento naturale costituito dall’Auser e dalle paludi. In questa area le mura si presentano differenti dagli altri tratti della cerchia muraria sia nell’impiego dei materiali, sia nell’impostazione edilizia. Si adottò infatti un sistema di costruzione ad andamento verticale anziché longitudinale a fasce sovrapposte. La pietra impiegata fu la panchina, una specie di tufo. Non c’è continuità tra la struttura delle mura e quella delle torri. Il secondo lotto iniziò nel 1156, con la costruzione di difese in legno intorno alla Civitas ed al quartiere di Chinzica, per timore del Barbarossa. Il terzo lotto iniziò, sempre nel 1156, con la costruzione dei tratti di mura da San Zeno alla Porta Calcesana; furono poi scavati i canali che dal Monte Pisano arrivavano fino a San Zeno e servirono per trasportare su barconi le pietre per le mura. Non venne più usata la panchina, bensì un calcare grigiastro proveniente da San Giuliano che fu alzato per la misura di tre "ponti" (il pons era l’unità di misura convenzionale del tempo) più un "ponte" di fondamenta. Le fondazioni e gli strati più bassi sono di materiale scelto, mentre gli strati superiori sono omogenei. Il quarto lotto iniziò nel 1157-58, con la costruzione delle mura lungo l’Auser per un’altezza di tre ponti, uno di fondazione e due di alzato. Il tratto delle nuove mura andava dal ponte di S. Maria al ponte di S. Stefano e dalla Porta del Parlascio, che divenne il baricentro della nuova configurazione urbana, a quella di San Zeno. Il quinto lotto iniziò nel 1158 con la costruzione di tre ponti di mura, uno di fondazione e due di alzato. Il tratto delle nuove mura andava dalla Porta di Spina Alba a Porta Calcesana, dalla Porta del Parlascio al Ponte di S. Stefano e dalla Torre del Leone all’Ospedale di S. Maria. Il sesto lotto iniziò nel 1159 nel lato ovest della Via S. Maria. Il settimo lotto iniziò nel 1161 e rappresentò il collegamento del lato occidentale della città, ossia dal Portello alla Torre dell’Arno. Il materiale impiegato fu una pietra grigio rosata proveniente dalle cave di Asciano».
Bastioni: http://www.stilepisano.it/Pisa_nascosta1.htm - http://it.wikipedia.org/wiki/Bastione_Stampace ss.
Pisa (palazzo dei Cavalieri, palazzo dei Medici, palazzo Reale)
«Il Palazzo dei Cavalieri
sorge nell'omonima piazza - una fra le più belle di Pisa, già foro in epoca
romana - ed è noto anche col nome di Palazzo dei Cavalieri della Carovana.
L’imponente edificio deriva da un rifacimento dell'antico Palazzo degli
Anziani del popolo, realizzato nella seconda metà del Cinquecento, su
disegno del Vasari. Pochi resti dell’antico palazzo si conservano nei
fianchi del nuovo. L'edificio si caratterizza per la grande facciata
leggermente curvilinea, decorata a graffito con segni dello Zodiaco e figure
allegoriche, preceduta da una scalinata a doppia rampa. Nella parte alta
della facciata sei busti di granduchi medicei, in altrettante nicchie,
guardano la piazza sottostante. Qui s’innalza la statua di Cosimo I de’
Medici, realizzata dal fiorentino Francavilla, su disegno del Giambologna.
Palazzo dei Cavalieri è oggi sede della prestigiosa Scuola Normale Superiore
di Pisa.
Palazzo dei Medici. L’edificio - che prima della dominazione medicea
era chiamato Palazzo Vecchio - fu eretto nel Duecento su una costruzione
precedente risalente all'XI secolo. Nel Trecento appartenne ai D'Appiano,
signori di Pisa, e passò ai Medici dal 1446, quando divenne la residenza di
Piero Cosimo il Vecchio. Lorenzo il Magnifico vi soggiornò spesso, insieme
al poeta Poliziano, mentre Carlo VIII vi abitò nel 1494, durante la
ribellione cittadina contro Firenze. In questo palazzo, fu ricevuto Girolamo
Savonarola, in veste d’ambasciatore di Firenze. L'aspetto attuale
dell'edificio si deve ad un intervento della seconda metà dell’Ottocento,
che ne modificò notevolmente la struttura. In particolare, la forma del
palazzo fu riportata agli schemi dell'edilizia pisana del Trecento, fu
costruita la torre d'angolo e variamente esaltate le caratteristiche
architettoniche medievali. La facciata sul Lungarno è costruita in pietra
nella parte inferiore, con un semplice portone sul lato sinistro: il primo
piano è decorato da trifore, il secondo da bifore. Oggi il Palazzo ospita
gli uffici della Prefettura.
Palazzo Reale. Antica residenza dapprima dei Medici, poi dei Lorena
ed infine dei Savoia, il Palazzo Reale di Pisa nacque come sede invernale
della corte medicea, essendo Pisa la seconda capitale del Granducato di
Toscana. L’edificio sorge sul Lungarno Pacinotti. Su progetto del fiorentino
Bernardo Buontalenti, esso fu costruito fra il 1583 ed il 1587, per volere
di Cosimo I de’ Medici. Successivamente fu modificato ed ampliato. In
origine, l’edificio era collegato tramite due cavalcavia alla retrostante
Chiesa di San Nicola (XIII secolo), ove si svolgevano le cerimonie private
della famiglia de' Medici. Palazzo Reale oggi è sede degli uffici della
Soprintendenza ai monumenti e Gallerie. Dal 1989, l’edificio ospita il Museo
Nazionale di Palazzo Reale, che raccoglie sia le opere d’arte delle dinastie
che si sono succedute nel Palazzo, sia opere provenienti da collezioni
private. Sono esposte opere del Bronzino, di Raffaello, di Andrea Boscoli,
di Guido Reni, del Magnasco, di Antonio Canova e di molti altri artisti,
soprattutto del Settecento. Notevoli sono anche i ritratti ufficiali di
corte dei Medici, dei Lorena e dei Savoia, le antiche armature usate nel
tradizionale Gioco del Ponte, la collezione privata di Antonio Ceci e la
ricca collezione di quadri fiamminghi».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/pisa/palazzo-dei-cavalieri - palazzo-dei-medici - palazzo-reale-pisa
«Il Palazzo della Carovana è sede della Scuola Normale Superiore dal 1846 ed è uno dei palazzi storici più famosi della città. Già Palazzo degli Anziani in epoca medioevale (il primo corpo di fabbrica risale al 1286), il palazzo fu ristrutturato da Giorgio Vasari a partire dal 1562, su richiesta del Granduca di Toscana Cosimo I de’Medici. L’edificio fu sede del collegio che educava i Cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano, istituzione militare e monastica fondata nel 1561 dal Granduca per raccogliere la gloriosa eredità marinara dell’antica Repubblica Pisana e combattere le scorrerie di Turchi e infedeli sul Mediterraneo. Il palazzo vasariano presenta all’interno un aspetto conventuale sobrio e austero, in cui spiccano le eleganti sale di rappresentanza (la Sala Azzurra, sede dell’Archivio, la Sala degli Stemmi, la Sala del Gran Priore). All’esterno la Carovana mostra una facciata armonica, elegante e finemente decorata: le finestre scandite da cornici in pietra, i riquadri che ospitano le decorazioni a graffito, il gioco di chiaro-scuro e il risalto plastico di elementi architettonici e scultorei donano all’insieme un aspetto regolare e simmetrico. La decorazione è stata arricchita, tra il 1588 e il 1718, dai ritratti dei granduchi - Cosimo I, Francesco I, Ferdinando I, Cosimo II, Ferdinando II e Cosimo III – che si affacciano da eleganti nicchie sotto le finestre dell’ultimo piano. La scalinata esterna invece, disegnata in chiave neoclassica, fu completata nel 1821. Il Palazzo della Carovana è oggi sede degli uffici della Direzione, degli studi dei docenti e dei ricercatori, oltre che dell’Archivio Storico. Fu concesso in uso perpetuo gratuito alla Normale nel 1934».
http://www.sns.it/scuola/luoghi/sedi/palazzodellacarovana
Pisa (palazzo Pretorio, altri palazzi)
«Palazzo Pretorio si trova a Pisa, sul Lungarno Galilei, nei pressi delle Logge di Banchi e del Ponte di Mezzo. È sede della biblioteca comunale. Edificio d'origine medievale, già sede del Governatore, il Palazzo Pretorio fu oggetto di un crescente interesse verso la fine del Settecento, quando, nell'ottica di un ammodernamento delle sue strutture, fu deciso di dotarlo di una nuova torre civica (1785). Dovendo ospitare anche le carceri, l'Auditore di Governo, la Cancelleria Civile e Criminale, nonché l'Accademia di Belle Arti, all'inizio dell'Ottocento fu indetto un concorso per il suo completo rifacimento, a cui parteciparono Alessandro Gherardesca, Giuseppe Poschi e Giuseppe Martelli. Inizialmente prevalse il progetto di Martelli, ma il disegno fu presto accantonato in favore del più economico progetto elaborato dal Gherardesca, il quale prevedeva la realizzazione di un prospetto di gusto classicheggiante, aperto, verso il centro, mediante un porticato con arcate a tutto sesto. I lavori furono avviati intorno agli anni venti dell'Ottocento, ma nel 1826, a causa del lievitamento dei costi, il completamento dell'opera fu affidato a Giuseppe Caluri e il cantiere fu chiuso nel 1829. Un importante restauro si ebbe dopo il terremoto del 1846, che aveva minato la solidità della torre dell'orologio. Tuttavia l'intera struttura fu gravemente danneggiata durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale: la parte di ponente, assieme alla torre civica, fu sostanzialmente rasa al suolo. La ricostruzione avviata nel dopoguerra apportò alcune importanti modifiche all'assetto del prospetto principale, che fu ricostruito con l'ausilio del calcestruzzo armato: il portico fu esteso su tutta la facciata, mentre la torre dell'orologio fu innalzata con sensibili differenze rispetto al disegno originario».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Pretorio_(Pisa) - Altri palazzi. http://it.wikipedia.org/wiki/Pisa#Architetture_civili
Pisa (porta del Parlascio e altre porte)
«La porta e le mura di Largo Parlascio sono state costruite nel 1157, entro il IV lotto del cantiere delle mura urbane medievali. Porta Parlascio, che prende il nome dal toponimo che indicava l’area a nord-est della città, di probabile origine longobarda, era in asse con la via principale che attraversava la città in direzione nord-sud e si collegava con la via che conduceva a Lucca attraverso un ponte edificato sul fiume Auser, che scorreva immediatamente fuori le mura (oggi non più visibile). L’importanza della porta era sottolineata dalla presenza di mensole decorate a tralci vegetali e dalla dimensione dell’apertura dell’arco, il più grande di tutte le porte cittadine. Le grandi dimensioni resero infatti necessaria una riduzione poco dopo l’edificazione, come testimonia il sottarco in laterizio ancora ben visibile. Porta Parlascio era un accesso fortificato: aveva infatti sui lati esterni due torri in pietra con funzione di controllo e difesa. Uno scavo archeologico condotto nel 1995 sotto la porta ha riportato in luce l’acciottolato stradale originale, costituito da pietre e ciottoli. La porta medievale dopo la prima conquista fiorentina della città, dell’inizio del Quattrocento, fu nuovamente rafforzata con la costruzione di una controporta ad opera di Filippo Brunelleschi. Nel 1543 la struttura medievale fu trasformata in bastione dall’architetto Nanni Unghero, con il baluardo di forma pentagonale ancora conservato, interrompendo definitivamente il transito sotto la porta. Il bastione, oggi in stato di abbandono, è stato utilizzato durante la seconda guerra mondiale come rifugio antiaereo».
http://www.turismo.pisa.it/it/cultura/dettaglio/Mura-e-Porta-del-Parlascio - Altre porte: http://it.wikipedia.org/wiki/Porta_del_Leone e ss.
Pisa (torre del Campano o dei Caciaioli)
«Tra gli edifici medievali lungo Via Calvalca il più famoso è la Torre dei Caciaioli, oggi detta del Campano (dalla campana che a fine Settecento segnala le ore agli universitari): un edificio a pianta quadra con sviluppo verticale il cui lato occidentale è caratterizzato da pilastri e da un arco ogivale sommitale, mentre negli altri prospetti si aprono aperture più piccole a sesto acuto. Procedendo verso est si individuano numerose case-torri: sul lato nord dopo Vicolo Quarantotti una struttura di pieno XII secolo, sempre con pilastri angolari collegati da un arco ogivale, è seguita da un’altra di cui si conservano il pilastro orientale e gli archi in laterizio corrispondenti ai vari solai, che permettono di datare l’edificio al XIII secolo. Sull’altro fronte della via all’angolo con Via del Tidi si trovano un’altra casa-torre a pilastri e in adiacenza ad essa, proseguendo verso est, un grande complesso costituito da almeno tre unità cresciute in “appoggio” fra loro, riferibili al XII e all’inizio del XIII secolo, costituite da pilastri con o senza coronamento superiore. All’angolo con Via del Porton Rosso una dimora realizzata nel pieno Duecento presenta un basamento in pietra sul quale si innalzano pilastri ed archi sommitali in laterizio. Questa zona nel Medioevo si caratterizza per la presenza di numerose chiese e per essere area di circolazione di uomini e di merci, oltre che motivo di attrazione per i ceti medi e alti della popolazione decisi quindi ad investirvi: tale successo è testimoniato dal fatto che fino al XIII secolo certi organi giudiziari, ma anche la dogana del sale, la zecca e la prima sinagoga (la casa dell’Ebreo) vengono ospitati in alcuni edifici della zona. L’area inoltre almeno dal Duecento è zona di mercato data la pratica comune di affittare il pianterreno delle case-torri come botteghe ad artigiani e negozianti».
http://www.turismo.pisa.it/it/cultura/dettaglio/Torre-del-Campano-e-altri-edifici-medievali-00001/
«Come in un grande teatro all’aperto lo straordinario spettacolo di Piazza del Duomo ha come quinta scenica le alte mura medioevali, che ancora oggi racchiudono e preservano gli edifici creando una visione unica. Le fonti storiche confermano che la costruzione delle mura iniziò proprio da questo angolo della città nel 1155, sotto il consolato di Cocco Griffi, e questa scelta fu dettata da due motivi. Primo tra tutti l’importanza che stava acquistando l’area episcopale dove si andava completando l’ampliamento della cattedrale, emblema della rinascita culturale pisana, dove da poco era iniziata la costruzione del battistero e già si prevedeva l’erezione del campanile, la famosa torre pendente. A questo si aggiungeva un motivo di natura militare: infatti, in questo angolo della città attraverso un ponte sull’Auser, il fiume che lambiva il fianco Nord della piazza, entrava in città la strada che collegava Pisa con la Liguria e con i lontani mercati francesi, che costituiva una potenziale via d’accesso per gli eserciti nemici. La costruzione delle mura fu un’impresa che impegnò per circa due secoli la città, al termine dei quali la cinta si estendeva per quasi 7 chilometri, con un’altezza media di 11 metri ed uno spessore di oltre 2; l’opera segnò il massimo sviluppo urbano di Pisa, iniziato sulla spinta del benessere economico, dovuto agli intensi traffici marittimi, che aveva fatto travalicare alla città le ristrette mura alto-medioevali. Il primo tratto di mura, costruito con bozze di panchina livornese (sabbie cementate estratte nei pressi di Livorno), andava dall’angolo Nord-Ovest, occupato dall’alta torre di Santa Maria, detta anche torre sull’Auser, sino alla vicina torre del Leone, cosiddetta dal possente leone in marmo che ancora oggi sovrasta l’omonima porta, e fu costruito per intero nel giro di poco tempo. A contrario, il resto delle mura sarebbe stato costruito in varie fasi come confermano i diversi materiali impiegati. La torre di Santa Maria, che svolgeva un’importante funzione strategica, controllando l’accesso del ponte sottostante, fu rialzata utilizzando un materiale diverso (breccia sedimentaria di Asciano), introdotto a partire dal 1261 nel rialzamento del resto delle mura, ed era collegata con il camminamento delle mura da due stretti portali. Nel 1499, durante il terribile assedio fiorentino, come tutte le altri torri della cinta anche questa fu sbassata all’altezza delle mura e venne rialzata solo intorno alla metà dell’Ottocento, epoca cui risale anche il coronamento merlato in laterizio. La sua apertura al pubblico offre la suggestiva visione dall’alto di una delle piazze più belle del mondo».
http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-scheda/2640/-Torre-di-Santa-Maria.html (a cura di Lucia Casarosa)
Pisa (torre pendente o di Santa Maria Assunta)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Celebre in tutto il mondo, la Torre Pendente deve la sua fama alla sua bellezza e alla sua sorprendente inclinazione (ridotta di 5 gradi dopo lunghi lavori ultimati nel 2001). La costruzione del campanile iniziò nel 1173 ma dovette interrompersi una volta arrivati al terzo piano a causa di un primo cedimento del terreno, di natura alluvionale. L’attribuzione della prima fase di lavori è ancora incerta: secondo la tradizione (Vasari) fu opera di Bonanno Pisano, secondo più recenti studi di Gherardo di Gherardo o ancora del Diotisalvi ma potrebbe avere coinvolto anche altri maestri. I lavori furono proseguiti nel 1275 da Giovanni di Simone, Tommaso Pisano e Giovanni Pisano con il tentativo di correggere la pendenza inclinando i piani successivi in senso opposto. La Torre di Santa Maria Assunta ha continuato ad inclinarsi progressivamente finché negli anni Novanta (1990-2001) importanti lavori di consolidamento ne hanno garantito la staticità e un monitoraggio costante. A pianta circolare e splendente per il marmo bianco che la riveste interamente, la Torre Pendente riprende gli stilemi decorativi di Cattedrale e Battistero, con un primo ordine ad arcate cieche e losanghe e gli altri sei ordini con loggette, coronati dalla cella campanaria con sette campane del 1600-1800. La scala interna a spirale, che consente l’accesso a tutti i piani, è composta di 294 gradini. L’aspetto della Torre Pendente ricorda per certi versi quello di un cannocchiale: non per niente il progetto originale non prevedeva il pavimento (costruito nel XX secolo) che chiude il primo piano e la Torre doveva fungere anche da osservatorio degli astri: quando non c’era il pavimento bastava posizionarsi alla base per vedere e ammirare le stelle anche durante il giorno».
http://www.lakinzica.it/la-torre-pendente-o-la-torre-di-santa-maria-assunta
«Il borgo di Sillano risale all’epoca etrusca, come testimoniano vari ritrovamenti archeologici. La prima notizia dell’insediamento di “Sillano” compare in un documento del X secolo del vescovo di Volterra mentre la prima menzione dell’insediamento fortificato si trova in un documento del 1067 relativo a una vendita di terreni. Probabilmente a questo periodo risale la torre di avvistamento, oggi inglobata nella rocca. Nei secoli successivi la Rocca di “Sillano” subisce molteplici passaggi di proprietà. Nel 1221 entra a far parte della giurisdizione di Volterra; nel XIV secolo diviene feudo della famiglia Petroni di Siena. Il 26 aprile 1386 la Rocca è occupata da Martino Magli da Casole d’Elsa e successivamente viene acquistata dalla Signoria di Firenze. L’11 novembre 1406 i Fiorentini, con la resa di Pisa, cedono il castello ad Andrea di messer Gherardo Gambacorti di Pisa, in ricompensa di servizi resi. Da allora la fortezza resterà sempre sotto la giurisdizione di Firenze. A partire dal XVI secolo inizia la fase di decadenza. Una lettera del 1527 del Capitano di Volterra ai Fiorentini, rivela che la Rocca è ormai sfuggita a ogni controllo diventando rifugio per banditi e delinquenti. Nella seconda metà del Settecento il borgo di Sillano passa alla Comunità di Montecastelli che successivamente, nel 1788, viene unificata con quella di Castelnuovo. Con una delibera del 9 luglio 1873 il Borgo di Sillano passa, attraverso un atto di permuta, dal comune di Castelnuovo a quello di Pomarance. Nel 1850 la rocca era abitata dalla famiglia Acciai che è costretta ad abbandonarla a causa delle continue “ruberie”. Alla fine degli anni ’80 del 1900 la Rocca fu donata al Comune di Pomarance, dalla Famiglia Paladini.
Dalla Rocca la vista spazia a 360° a coprire buona parte del territorio Toscano. L’aspetto attuale è il risultato di molteplici interventi avvenuti nel corso dei secoli, per adeguare l’iniziale fortilizio (XI-XII secolo), all’evoluzione della tecnica militare, culminata nel XV secolo con l’introduzione delle armi da fuoco. A quel periodo risale la realizzazione dell’imponente cortina muraria, a pianta poligonale, dotata di torrette angolari. Intorno alla Rocca si sviluppa il borgo fortificato, le cui mura conservano resti dei due ingressi principali: Porta Volterrana e Porta San Rocco, con numerosi resti di abitazioni nei pressi di Porta San Rocco. L’interno della Rocca appare articolato in una possente torre di avvistamento (guardingo) e tre grandi corpi di fabbrica addossati alle mura che si affacciano su un cortile interno. A sinistra dell’ingresso inglobata, a nord, nel fabbricato A si erge la torre a pianta quadrata, l’edificio più antico dell’originario impianto medievale (XI-XII secolo). L’accesso alla torre avveniva attraverso una porta collocata sul lato Sud ma non rimangono tracce della scala. All’interno mensoloni angolari in pietra, supportavano i piani pavimentali in legno. Lo scavo all’interno della Torre, condotto negli anni ’80 dalla Soprintendenza Archeologica, ha riportato alla luce materiale ceramico, punte di freccia, frammenti di vetro e una spada, esposti in una sala della Mostra Permanente Guerrieri e Artigiani a Pomarance. Una scalinata in pietra conduce nel fabbricato A, probabilmente riservato al capo della guarnigione, e dotato delle comodità indispensabili alla vita quotidiana. Ai lati dell’ingresso sono conservati gli alloggiamenti per le sbarre che la bloccavano dall’interno. Nel fabbricato B, sono visibili alcune “feritoie per arciere” e un “necessario” riutilizzato come “armadio”. L’edificio è suddiviso in tre ambienti, collocati a diversi livelli che presentano ancora resti delle pavimentazioni originarie in cotto. Il fabbricato C è solo parzialmente conservato per il crollo di gran parte della volta. Il grande ambiente, con volte a botte, era suddiviso in tre unità. Al suo interno, sono visibili i resti di un grande forno per alimenti, un’arciera, una nicchia con un condotto di scarico verso l’esterno e quanto rimane di un grande caminetto. Negli edifici B e C l’accesso ai piani superiori avveniva attraverso una scalinata a più rampe realizzata in parte in muratura e in parte in materiale deperibile. I piani superiori non si sono conservati».
http://www.volterratur.it/vieni/arte-cultura/castelli-e-pievi/rocca-sillana
«Il nome Querceto è di etimologia floreale medioevale (VIII-X). Già dall'antichità fu castello molto importante tanto che fornì circa 600 armati al Comune di Volterra, ma che tuttavia subì le vicende di tutte le altre località della zona. Prima cadde sotto l'egemonia dei Vescovi di Volterra, con i diplomi di Enrico VI del 1186 e di Federico II del 1224, in seguito passò sotto il dominio del Comune di Volterra, cui gli abitanti del borgo si sottomisero liberamente il 20 agosto 1252. è però probabile che il Castello di Querceto sia caduto sotto il dominio fiorentino prima di Volterra e degli altri Comuni limitrofi. Nel 1431 venne conquistato dalle truppe del Duca di Milano, comandate da Niccolò Piccinino evidenziando ulteriormente l'importanza militare attribuita alla località. Nel 1447 venne acquistato dalle truppe di Alfonso re d'Aragona e di Napoli, che distrussero per intero le abitazioni, escluso il castello. Fu in questi tempi che iniziò un periodo di decadenza e abbandono che si protrasse fino al 1472, anno in cui risale un altro giuramento degli abitanti di Querceto a Firenze. Fu sotto il dominio Fiorentino che Querceto entrò a far parte del Vicariato della Val di Cecina. è al 1543 che si può far risalire la Signoria degli attuali Conti Ginori. Indubbiamente oggi l'intero borgo offre un eccezionale interesse, non solo per il Castello, ma anche per le sue antiche case e per la sua Chiesa, intitolata a S. Giovanni Battista».
http://www.tuscany-charming.it/it/localita/montecatinivaldicecina.asp
Le foto degli amici di Castelli medievali
Riparbella (ruderi del castello di Strido)
«Fu un importante castello alle sorgenti dello Sterza, di fronte a Miemo e alla rocca di Pietracassa, che diede titolo ai conti, signori di Strido, da cui derivò la dinastia dei Veronesi. Il castello conobbe triste fama a causa dell’intransigenza e ferocia dei suoi dinasti nell’esercitare il proprio dominio sulla strada che da La Sterza conduce in Val di Cecina, passando per Miemo e Canneto. Dopo i conti di Strido, che probabilmente furono costretti a trasferirsi in zone più interne, il castello fu oggetto di frequenti contese tra l’arcivescovo di Pisa e il vescovo di Volterra. Nello scorso secolo era fattoria e sin da allora dell’antico castello non rimanevano che pochi ruderi, i medesimi che si possono trovare ai nostri giorni».
http://www.tuscaning.com/it/openart.php?arteid=625
San Miniato (torre di Federico II)
«Sulla sommità del colle più alto di San Miniato (m.192), a completamento del complesso difensivo della rocca e del castello già intrapresi da Ottone I, Federico II di Svevia, tra il 1217 e il 1223, fece costruire questa torre, simbolo della città e meglio conosciuta come la Rocca di San Miniato. A pianta quadrangolare, era alta circa 37 metri; il suo coronamento originario era costituito da colonne cilindriche di mattoni, sull'esempio dei pinnacoli dei campanili siciliani. Tali caratteristiche, insieme agli archetti ciechi ogivali, testimoniano l'intervento diretto di maestranze normanne nella costruzione della torre. Un'iscrizione posta sulla torre riportava che a sopraintendere alla edificazione della torre era stato il cancelliere imperiale Corrado da Spira. La sua posizione strategica ha consentito, in epoca medievale, di porre un controllo sul transito tra Firenze e Pisa. Fu adibita anche a luogo di detenzione per prigionieri politici ed è quasi certo che vi fu rinchiuso Pier delle Vigne, già fedele segretario dell'imperatore e poi caduto in disgrazia sotto accuse di tradimento o di corruzione. Mantenne la sua funzione di fortezza fino al 1530, quando fu abbandonata e il terreno circostante fu acquistato dall'illustre naturalista Michel Mercati che vi edificò una casa e vi stabilì la propria residenza. Minata e completamente abbattuta dai tedeschi nell'estate del 1944, è stata fedelmente ricostruita nel 1958 per opera dell'arch. Renato Baldi e dell'ing. Emilio Brizzi. Aperta al pubblico, dalla sua sommità si gode un meraviglioso panorama: la vasta pianura dell’Arno, i monti pisani, pistoiesi, fiorentini sovrastati dalla catena appenninica, i colli che da San Gimignano e Volterra degradano verso il mare. Il prato della rocca, oltre che abituale meta di turisti e abitanti dello stesso comune, è teatro, durante tutto il corso dell'anno, di feste folkloristiche suggestive, come la Festa degli Aquiloni e i Fuochi di San Giovanni. Oggi fa parte del Sistema Museale di San Miniato».
http://castelliere.blogspot.it/2012/03/il-castello-di-lunedi-19-marzo.html
«Fu edificata nel 1391 da Giovanni Acuto su di un sistema difensivo preesistente, attestato almeno a partire dal 1313, quando si ha notizia della devastazione di una torre a San Romano per opera dei Ghibellini. Fu poi ristrutturata nel 1431-32 da Neri Capponi a difesa delle incursioni di Niccolò Piccinico. Rovinata ancora dalle armate di Carlo V, fu di nuovo ricostruita nel 1536. Perduta ogni funzione bellica, successivamente la torre divenne proprietà dei Molinelli che la inglobarono in una villa, e da questi passò ai Capponi che, nel 1777, arricchirono e ampliarono l'intero complesso. Dal Capponi la Villa passò successivamente ai Guazzesi, ai Mori Ubaldini e, nel 1860 ai Ridolfi, che promossero vari lavori di abbellimento, culminati nel rialzamento della torre e nell'allestimento di una parte della proprietà della villa a parco. A giudicare da una foto d'epoca la villa aveva un severo assetto parallelepipedo su base a scarpa, aperto sul lato verso il parco da un portico a cinque arcate, mentre la torre, addossata ad un lato della villa ma svettante sui tetti, era conclusa da una fila di merli. Nel corso dell'ultimo conflitto bellico il complesso subì gravissimi danni (fu minato dai tedeschi l'11 luglio 1944), sì che ne sopravvive solo qualche rudere e la parte basamentale della torre».
http://it.wikipedia.org/wiki/San_Romano_(Pisa)#Beni_culturali
«Arroccato sulla propaggine settentrionale del Poggio al Pruno - il rilievo più alto della zona che sovrasta tutta la piana costiera da Follonica a Rosignano -il castello di Sassa si erge a privilegiato punto panoramico sull’intera val di Sterza e su buona parte della media val di Cecina. Sassa regala al visitatore un incanto fatto di quiete, storia e tradizione ancora vividi nel volto e nei ricordi dei suoi pochi abitanti. Sassa è citata come insediamento non fortificato per la prima volta in un documento del 1128 ma già dal 1171 figura nella documentazione scritta pervenuta come castrum, castello, ovvero centro abitato dotato di fortificazioni. L’area della val di Sterza dove si trova Sassa risulta, tuttavia, abitata fin da epoca etrusca, VIII secolo a. C., e continuativamente occupata per l’età romana, alto e basso medievale, fino ai giorni nostri con alcuni momenti di abbandono più o meno prolungati verificatisi nel V secolo a. C. e tra il IV secolo d. C. e la seconda metà dell’anno Mille. Dai primi decenni del XII secolo sorsero nella zona numerosi castelli: un gruppo di costruzioni, tra cui spiccavano per architettura la residenza del Signore e la chiesa castellana, circondato da una cinta muraria assai poderosa. In val di Sterza sono tre quelli tutt’oggi abitati: Querceto, citato come castello nel 1118; la Sassa, corte nel 1128 e castello nel 1171; Canneto, citato come corte nel 1128 e come castello nel 1171. I castelli del nostro territorio, in particolare quelli di Sassa e Querceto, hanno mantenuto intatti solamente alcuni degli edifici medievali, mentre è stato conservato il reticolo di vie strette e tortuose, spesso concentriche. Il paese di Sassa, al quale si giunge prendendo il bivio lungo la S.P. 18 “dei Quattro Comuni”, si sviluppa intorno alla torre medicea, che sorge su uno sperone di roccia affiorante assai elevato. La costruzione presenta una base a pianta leggermente rettangolare, con muro a scarpa che giunge fino alla soglia dell’imponente apertura di ingresso. La struttura edilizia utilizzata per la sua edificazione rimanda chiaramente alle tecniche costruttive in voga a partire dalla seconda metà del Quattrocento, introdotte in seguito all’invenzione delle bombarde e della polvere da sparo; il muro obliquo favoriva l’allontanamento delle palle dei cannoni scagliate contro i bersagli. Il torrione, che fino alla metà del Settecento fu utilizzato per fini militari e difensivi, era circa 8 metri più alto di oggi. Ciò gli conferiva una visuale a lunghissimo raggio, permettendo di giungere con lo sguardo ad oriente oltre la prima fascia collinare che separa Sassa dalla zona oltre Saline di Volterra e ad occidente fino alla val di Fine. La struttura ha subito negli ultimi anni alcuni interventi di restauro consolidativo e ricostruttivo, soprattutto nella parte alta, ed oggi è abitata dai proprietari».
http://www.volterratur.it.cloud.seeweb.it/wp-content/uploads/montecatini-guida-it.pdf
Vecchiano (rocca di Santa Maria in Castello)
«Santa Maria in Castello è un complesso originariamente fortificato che si erge su uno sperone di roccia sopra il paese di Vecchiano, dominando la Valle del Serchio e la piana di Filettole. La prima fortificazione fu edificata alla fine dell’XI secolo, quando Lucca iniziò a invadere la bassa Val di Serchio e i punti nevralgici di confine tra Pisa e Lucca furono dotati di castelli e torri difensive. La più antica testimonianza del Castello di Vecchiano è un documento del 1092 nel quale il vescovo di Pisa Daiberto chiede ad alcune famiglie dei Longobardi pisani di difendere il territorio dalle mire espansionistiche e dai soprusi di alcune casate locali. Grazie alla sua posizione strategica, il castello divenne a partire dal XIII secolo un importante baluardo difensivo durante le guerre tra Pisa e le città guelfe e venne più volte conteso tra Repubblica Pisana, Lucchesi, Fiorentini e persino dai Milanesi, subendo danni e parziali restauri. Con l’avvento del Granducato di Toscana, la rocca perse la sua importanza militare e il patronato del castello venne concesso per via ereditaria ai patrizi pisani Bocca Gaetani, ai quali subentrarono gli Agostini Della Seta ancora oggi proprietari del castello. Dell’intero complesso restano oggi la piccola Chiesa di Santa Maria e dei resti della fortificazione: la metà inferiore della torre, il lato nord del recinto esterno con due basi di bastioni agli angoli est ed ovest, tratti del recinto esterno sud-ovest, l’impianto delle cisterne. La Chiesa fu realizzata nel 1120 dall’unione tra una precedente piccola cappella e la torre del castello, poi abbattuta nel Seicento: sulla parete esterna è ancora ben visibile l’unione tra le diverse mura della cappella e della torre. L’attuale struttura del santuario risale ad un ampliamento databile tra il XVI e il XVII secolo, secondo quanto documentato dai ritrovamenti di mura cinquecentesche nel loggiato e di frammenti di intonaco e pitture all’interno della chiesa. La chiesa ha subito gravi danni durante il secondo conflitto mondiale (vi passava la linea Gotica) ed è stata restaurata grazie all’iniziativa del pievano don Gino Barzacchini e di un comitato cittadino e, successivamente, del Gruppo Archeologico Vecchianese, che dal 1991 si prende attivamente cura del sito. L’ultimo rettore che visse nell’eremo fu Cesare Del Chiocca di Rigoli, nel 1858. S. Maria è diventata Santuario durante il Giubileo del 2000. Purtroppo questo monumento pisano è stato facile preda di saccheggi e atti vandalici. ...».
http://www.lakinzica.it/leremo-di-santa-maria-in-castello-vecchiano
Vicopisano (rocca del Brunelleschi)
«La rocca del Brunelleschi è una colossale fortezza su quattro livelli edificata nel 1435 a seguito della conquista della cittadina pisana da parte dei fiorentini il 16 luglio 1406. Nel 1138 Vicopisano fu definitivamente sotto la giurisdizione del vescovo di Pisa e in più occasioni fu bersaglio di tentativi di autonomia da parte dei vicaresi, che dovettero però soccombere al potere ecclesiastico e poi militare di Pisa. Inizialmente limitato alla sommità del colle, il castello dovette poi espandersi per inglobare i due borghi sorti ai suoi piedi (Maggiore e Maccioni nella carte tardo medievali) divenendo così sul finire del XIII sec. un insediamento di una certa importanza per Pisa, che a partire dalla fine del XII sec. si sostituì al Vescovo pisano nel controllo del castello, che si trovava così legato a doppio filo alle sorti della Repubblica, entrando nelle contese fra guelfi e ghibellini ma anche nelle dispute territoriali fra Pisa, Lucca e successivamente Firenze. I lucchesi tentarono in più occasioni di conquistare l'importante roccaforte, in particolare sembrava che ci fossero riusciti nel 1323 quando però, messo in fuga l'esercito nemico, furono costretti a ritirarsi per la rabbiosa reazione della popolazione a difesa delle proprie case. Esito diverso ebbe però l'attacco dei fiorentini. La città di Vicopisano, difesa da forti mura e protetta dalle acque del Fiume Serezza e dell'Arno, aveva resistito a nove mesi di assedio nei quali si susseguirono assalti condotti con bombarde, catapulte, torri mobili e arieti. Per poterla bombardare meglio durante tutti quei mesi, i fiorentini avevano fatto giungere via terra una nave e l’avevano calata in Arno. La città alla fine si arrese per fame. I fiorentini entrarono così in possesso di un centro sulle rive dell’Arno molto ambito, dal quale dominavano i commerci fluviali e il vicino ramo della Via Francigena controllando i flussi dei pellegrini, dei mercanti e le prospere campagne intorno alle pendici del Monte Pisano. Oggi il corso dei due fiumi è radicalmente cambiato e non scorrono più nei pressi della cittadina.
La costruzione di una rocca che fosse imprendibile fu pensata per rinforzare il territorio appena conquistato e scoraggiare le mire dei vicini, come ad esempio gli eserciti dei Visconti che da Lucca minacciavano la Toscana. Il governo fiorentino commissionò il progetto della nuova opera difensiva al celebre architetto Filippo Brunelleschi, noto anche come ingegnere militare, la cui proposta risultò subito molto innovativa e convincente, attraverso un modello in creta e legno, presentato alla commissione governativa della quale faceva parte anche il giovane condottiero Francesco Sforza. La perfezione geometrica del tracciato e il gioco delle proporzioni fra le singole parti mettono in primo piano il ruolo della geometria – grande tema dell'arte-scienza del Brunelleschi e della cultura umanistica quattrocentesca – come "arma" di difesa. Per realizzare la nuova fortificazione l'abitato di Vicopisano fu pesantemente modificato: le chiese e i palazzi che si trovavano nell’area della sommità del colle di Vico furono in buona parte abbattuti. La rocca del Brunelleschi incorporò nelle nuove strutture la preesistente Torre di S. Maria (del XII secolo), trasformata nel mastio, con i lati lunghi circa 15 metri e una torre angolare nel punto più alto dell'abitato, alta 31 metri. La tipologia della fortezza è ancora medievale, con alte mura merlate poggiate su archetti con piombatoie per gettare pece greca infiammata e olio bollente sugli assalitori. Ma nel complessso difensivo ci sono anche molte innovazioni come l'abbondante uso di ponti levatoi destinati, quando ritirati, ad isolare le varie parti della fortezza nel caso il nemico fosse riuscito a penetrarvi. Per esempio, prima di accedere al cortile della Rocca, si doveva conquistare l’antiporta munita di Ponte levatoio e di fossato. All'interno, in caso di perdita del cortile, i difensori potevano abbattere la scala poggiata su quattro esili archi che collega il cortile col cammino di ronda delle cortine. Se il nemico fosse riuscito a giungere fin sulle cortine, la difesa si sarebbe attestata nella torre: era possibile isolare la torre dal resto della fortificazione ritirando il ponte levatoio che collega il cammino di ronda con l’unico ingresso della stessa. La torre, munita di propria cisterna e deposito di vettovaglie, poteva ancora resistere a lungo. La soluzione più geniale ideata da Brunelleschi è sicuramente il poderoso muraglione merlato che scende dalla Rocca fino ai piedi del Colle, dove termina con l'alta torre del Soccorso (21 metri) edificata nelle vicinanze dell'Arno, che in quel periodo passava proprio sotto le mura di Vicopisano.
Come suggerisce il nome della torre questa opera era destinata a evitare l'isolamento in caso di assedio garantendo l'approvvigionamento di viveri, armi e rinforzi via fiume in caso di assedio. Le barche potevano approdare in una caletta, difesa da fortificazioni oggi scomparse, scaricare uomini e polveri che venivano fatte entrare da uno stretto portello, poi risalivano al secondo piano della torre, per accedere al muraglione e salire alla Rocca. Ma il Brunelleschi aveva pensato a tutto: infatti, se il nemico fosse riuscito a conquistare la Torre del Soccorso e avesse cercato di accedere alla rocca dal muraglione, si sarebbe trovato esposto al tiro d’infilata proveniente dalla Rocca, ma soprattutto avrebbe trovato interrotto il collegamento fra il muraglione e il cammino di ronda delle cortine della Rocca da un'altro ponte levatoio, che apriva un varco di circa tre metri su uno strapiombo di quindici metri. Il destino volle che tutte queste splendide fortificazioni dimostrassero la loro forza proprio contro coloro che ne curarono la costruzione: nel 1495 Pisa e il suo contado si ribellarono ai dominatori fiorentini e gli abitanti di Vicopisano scacciarono questi ultimi dalla città resistendo ai successivi tentativi di riconquista. Ma tre anni dopo la roccaforte tornò in mani fiorentine e vi rimase, seppure fra alterne vicende, sia sotto i Medici che i Lorena. Nei secoli successivi, persa l'importanza bellica, la rocca di Vicopisano fu prima abbandonata e poi proprietà di privati. Oggi è proprietà della famiglia Fehr Walser che dal 1995 ha intrapreso un'importante opera di restauro che ha già dato importanti risultati. La rocca è visitabile a pagamento con guida. Dalla torre, dalla quale un tempo partivano i messaggi di segnalazione per Firenze, si gode un panorama di campi e di colline, in una atmosfera di pace e di serenità. Vicopisano è considerato il prodotto più avanzato dell'architettura militare fiorentina della prima metà del quattrocento anche se possiede un elemento contraddittorio: la 'Torre delle quattro porte' (Torre Lucchese) che anziché le due porte di una normale torre passante ne possiede appunto quattro, una per lato, con grosso svantaggio sia d'ordine statico che difensivo».
http://castelliere.blogspot.it/2012/06/il-castello-di-giovedi-31-maggio.html
Vicopisano (torri, borgo murato)
«Il borgo medievale di Vico Auserissola, sorto sulla sommità di un poggio compreso tra due importanti vie fluviali, l’Arno e l’Auser, è documentato con certezza fin dal secolo X. Attestato per la prima volta come castello nell’anno 975, esso fu nel XII secolo sottoposto al potere dell’arcivescovo di Pisa. Agli inizi del Duecento alla signoria arcivescovile su Vico subentrò il dominio del Comune di Pisa, che considerò il castello, data la sua particolare collocazione strategica al confine del territorio pisano con quelli di Lucca e Firenze, un’importante postazione di controllo militare. Nel 1406, Vicopisano cadde sotto il dominio di Firenze, e poco dopo subì la stessa sorte anche Pisa. Per la sua posizione strategica fu fortificata anche dalla Signoria Fiorentina, che incaricò Filippo Brunelleschi di tale compito. Fu resa poi sede di Vicariato con importanti funzioni amministrative e giudiziarie (Vicariato del Valdarno Inferiore e della Valdiserchio). Le mutate condizioni politiche e l’allontanamento dell’Arno dalle sue mura (sec. XVI) ne decretarono la lenta trasformazione in centro agricolo. L’impianto urbanistico, costituito da un armonico complesso di stratificazioni edilizie, non ha perduto le sue caratteristiche storico-architettoniche e si presenta ancora oggi in buono stato di conservazione, con la presenza di numerose torri e case torri con originaria funzione difensiva o abitativa, tra le quali spicca la Torre della Rocca (1434-1439), i resti della cinta muraria alla base del colle, il muraglione del Soccorso con la Torre del Soccorso (1434-1439), i vicoli, il Palazzo Pretorio (sec XII)) e quello della Cancelleria (Palazzo Comunale). Di rilievo sono inoltre gli edifici religiosi: non solo la Pieve di Santa Maria (sec. XII) e la Via Crucis a Vicopisano, ma anche una serie di insediamenti monastici caratteristici del Monte Pisano fra i quali la Pieve di San Iacopo in Lupeta (sec. XII, ma citata già nel VIII) e i resti dell’Abbazia di San Michele Arcangelo (sec. XI) nelle adiacenze della Fortezza della Verruca (sec. X-XVI)».
http://www.comune.vicopisano.pi.it/borgomurato/borgo.htm
Volterra (case-torri, palazzi)
«Case-Torri Buonparenti.
Si trova fra la via omonima e via Ricciarelli ed è uno dei punti più
caratteristici della città. La casa-torre dei Buonparenti unita
dall’altissimo arco in muratura con il fortilizio dell’Angelario costituiva
il crocevia di Borgo Santa Maria, punto di partenza dell’espansione urbana
in epoca comunale. La casa-torre che in via Ricciarelli (borgo di Santa
Maria) è vicinissima a quella dei Buonparenti apparteneva ai Bonaguidi,
legati in consorteria con i primi.
Case-Torri Toscano.
È un gruppo di torri, alla confluenza di via Matteotti e di pazzetta San
Michele, fatto costruire nel 1250 da Giovanni Toscano tesoriere di Re Renzo
di Sardegna, che fece innalzare da Giroldo da Lugano intorno ad una torre
posta in S. Agnolo una vera e propria dimora magnatizia, come attesta
l’iscrizione scolpita sopra il portone d’ingressso. L’edificio passò in
proprietà ai Rapucci, quindi ai Cafferecci e ai Guarnacci che aggiunsero
alla casa-torre il palazzo seicentesco che si snoda lungo la via di sotto
già via degli Asinari.
Case-Torri Baldinotti.
Anticamente incrociata o quadrivio dei Marchesi il palazzo sulla via Turazza
presenta al piano terra una serie di arcate sormontate da coni in pietra
dove, per la presenza di botteghe nel luogo, venivano fissati i cardini
delle porte che si aprivano sulla strada.
Palazzo Inghirami.
Fu fatto costruire dall’Ammiraglio Jacopo Inghirami nel XVII sec. su disegno
di Gherardo Silvani. Ampie finestre mensolate fanno da cornice al grandioso
portale in bugnato alla cui sommità è il busto bronzeo del grande ammiraglio
vincitore a Bona attribuito al Tacca.
Palazzo Maffei.
Fatto costruire da Monsignor Mario Maffei vescovo di Cavallion le cui
spoglie riposano nel monumento eseguito da G. Angelo Montorsoli in Duomo, fu
compiuto nel 1527 come indica l’iscrizione sotto la cornice del primo piano.
Ampie finestre sormontate da sporgenti timpani triangolari e con altri a
coronamento orizzontale sono riquadrate da solenni marcapiano, da ampie
paraste angolari e dalla gronda sporgente a cassettoni. Il Palazzo divenuto,
nel XVIII sec. proprietà del Guarnacci, fu la prima sede del museo e della
biblioteca che da lui prendono il nome. Secondo una vaga testimonianza del
Vasari, la facciata sarebbe stata dipinta a fresco da Daniele Ricciarelli.
Palazzo Beltrami.
Finestre con arco a tutto sesto, incorniciate da conci in bugnato e da
eleganti marcapiano caratterizzano la facciata cinquecentesca di questo
palazzo, già appartenuto ai Desideri.
Palazzo Lisci (oggi Marchi).
Antico ospedale di Santa Maria, detto di Via Nuova, presenta una facciata la
cui costruzione è riconducibile almeno a due differenti epoche: la parte
inferiore in pietra, con due grandi archi otturati e una iscrizione marmorea
recante il nome dello spedalingo, è databile alla metà del XIII sec. mentre
più recente, XVIII sec., appare la parte superiore a cortina di mattoni.
Palazzo Maffei.
Del XVI sec. e secondo con questo nome, si caratterizza per la torre
angolare inserita nella nuova costruzione rinascimentale, la cui porta
incorniciata da solido bugnato è concordemente attribuita ad Antonio da San
Gallo.
Palazzo Incontri (oggi Viti).
Il caldo colore dell’intonaco che fa da sfondo alle grandi finestre
timpanate e quadrate, ai marcapiano, alle paraste angolari eseguiti col
“panchino” volterrano, rende solenne la facciata di questo palazzo,
assegnato tradizionalmente, all’Ammannati e nel cui interno fu costruito nel
1819 un Teatro su disegno dell’architetto Luigi Campani, cui fu dato il nome
del poeta volterrano Aulo Persio Flacco, raffigurato, nel grande sipario,
nel regno delle muse, dal pittore ottocentesco Nicolò Contestabile.
Palazzo Minucci (oggi Solaini).
Attribuito dalla storiografia locale ad Antonio da San Gallo il Vecchio è
tra i più singolari della città per le limpide e rigorose proporzioni del
prospetto e per il mirabile ed elegante equilibrio architettonico del
cortile nonché per la varietà espressiva dell’impianto distributivo e
decorativo dell’interno. È sede della civica pinacoteca di Volterra».
http://www.comune.volterra.pi.it/cittait/caspalz.html
«Dall’alto della collina la grande Fortezza Medicea domina Volterra. La sua grande mole è visibile da molti chilometri di distanza e caratterizza il profilo del colle su cui è costruita la città. La Fortezza fu costruita nel 1474, esattamente due anni dopo che la città di Firenze aveva conquistato Volterra alla fine di un’aspra guerra per il controllo delle miniere di allume, un importante minerale usato nella lavorazione dei tessuti. Non era destinata soltanto a proteggere la città, ma soprattutto per tenerla sotto controllo e impedire ribellioni. Una parte di essa – il settore più a Est – esisteva già prima del 1474, e costituiva il castello più antico, il Cassero. Questa struttura, che ampliava le difese della città, era destinata a proteggere la zona intorno alla Porta a Selci e fu completata nel 1292. Intorno al 1343 Gualtieri di Brienne, Duca di Atene e signore di Firenze, prese il controllo del Cassero e costruì una nuova torre, dall’altro lato dell’antica Porta a Selci. La torre venne poi unita al Cassero andando a costituire una struttura unica protetta da mura di cinta e fossati. Nel 1430 si dette inizio alla costruzione dello sperone che ancora oggi si trova all’estremità est della Fortezza e che da allora venne definito “la scarpa”, che fu terminato pochi anni dopo, nel 1432. Il termine deriva dalla sua forma, infatti le pareti presentano una pendenza accentuata nella parte inferiore destinata alla difesa contro i colpi dell’artiglieria. Tutto il settore est – quello più antico – è adesso chiamato “Rocca Vecchia” o “Femmina“, mentre la parte nuova, interamente realizzata in pietra, è composta da due parti: il “Mastio” costruito all’estremità ovest, che è formato da una grande torre circolare isolata all’interno e da una cortina muraria a pianta quadrata ai cui angoli sono collocate quattro alte torri circolari. Fra il Mastio e la Rocca Vecchia fu costruita anche una doppia cortina che univa le due rocche e che consentiva al tempo stesso di ricoverare una consistente guarnigione. Le torri e le mura presentano la scarpa e un camminamento sostenuto da beccatelli sporgenti verso l’esterno, che erano destinati alla difesa “piombante”, cioè destinata al lancio dall’alto di pietre ed altro materiale contro gli attaccanti. Questo camminamento fu costruito anche nelle parti più antiche e così l’intero perimetro risulta oggi omogeneo».
http://www.volterratur.it/vieni/terra-degli-etruschi/volterra/la-fortezza-medicea/
«La cinta medievale volterrana
fu edificata nel secolo XIII. Iniziata, al sorgere del secolo durante il
regime consolare, come rifacimento e rafforzamento della muraglia etrusca,
fu proseguita metodicamente fino al 1254, anno in cui i fiorentini imposero
con le armi il costituto popolare e il governo di parte guelfa. Nel 1260 il
regime ghibellino, succeduto a quello guelfo, constatata la vulnerabilità
del sistema difensivo volterrano dovuta al troppo esteso perimetro del
circuito etrusco, ingaggiò quaranta maestri di pietra finché la città non
fosse completamente murata: iniziato nell'autunno del 1260, il lavoro fu
portato a termine nel giro di pochi anni.
Porta all'Arco. Porta etrusca, inserita nel ricorso delle antiche mura del V sec. a.C., deve
senza dubbio la sua conservazione al suo utilizzo nella cinta medievale
cittadina del XIII sec.. La costruzione di questa porta sembra si debba
riferire a tre epoche diverse: i fianchi formati da blocchi rettangolari
come le mure e a queste contemporanei, mentre gli archi, in tufo sembrano
una ricostruzione avvenuta dopo l'assedio di Silla (80-82 a.C.). Di incerta
collocazione le tre teste poste a decorazione dell'esterno, che potrebbero
evocare sacrifici di vite umane nella conservazione di nuove costruzioni, o
un ricordo del costume di affiggere alle porte le teste tagliate dei nemici
vinti. Forse potrebbero rappresentare Giove e i Dioscuri, oppure la Triade
Capitolina, Giove Giunone e Minerva.
Porta a Selci. L'attuale porta, a semplice arco a tutto sesto, fu costruita nel XVI sec. in
sostituzione della più antica, detta anche del Sole, rimasta interrata per
gli ampliamenti della Rocca Vecchia nel XV sec.. Da porta a Selci si
diramavano le strade verso il territorio Senese.
Porta Marcoli. Costruita, forse, nel XIV sec., metteva in diretta comunicazione con il
monastero olivetano di S. Andrea (oggi Seminario) e serviva di comodo
accesso agli agricoltori della campagna circostante.
Porta di Docciola. Costruita nel XIII sec. metteva in comunicazione la città con la vallata
circostante, ricca di acqua e lussureggiante di vegetazione. La porta
conserva le strutture caratteristiche delle porte volterrane del XIII sec.
con un arco interno ed esterno a tutto sesto e con all'interno un arco
ogivale entro cui si svolge un arco ribassato o scemo.
Porta Fiorentina. Detta anticamente di S. Agnolo per la vicina chiesa dedicata all'arcangelo,
offre la stessa struttura architettonica delle porte volterrane, anche se
sono visibili evidenti rimaneggiamenti eseguiti nel XVI sec., quando la
porta, durante l'assedio del 1530, fu colpita nella torre sovrastante dove
era racchiuso un deposito di munizioni. Da questa porta si diparte la via
per Firenze, attraverso l'Era, Castagno, Gambassi, e Castelfiorentino.
Porta San Francesco. Detta anche di Santo Stefano o Pisana, perché attraverso la Val d'Era
portava a Pisa. È l'unica porta che conserva nella volta tracce di affreschi
che, come sappiamo, erano presenti in tutte le porte di accesso alla città.
All'interno, a destra, è scolpita la canna pisana, unità di misura
leggermente più lunga di quella volterrana, scolpita sulle facciate del
Palazzo dei Priori.
Porta San Felice. Costruita da un solo semplice arco a sbarra che si appoggia a due tronchi
disgiunti di mura castellane, anomala rispetto alle altre porte cittadine,
offre insieme alla cappellina del santo con il campanile a vela, e lo sfondo
di orizzonte, che si offre all'infinito verso il mare, un quadro quanto mai
pittoresco rendendolo uno dei luoghi più suggestivi della città.
Porta Diana. Fuori della cinta delle mura medioevali, in direzione della Val d'Era, oltre
il cimitero comunale, si trova quello che rimane di questa porta etrusca. Il
tempo non è riuscito a distruggere la porta che collegava la città con la
principale necropoli etrusca».
http://www.comune.volterra.pi.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/71 - ...IDPagina/167
«La Piazza dei Priori è il centro della città medievale, del cui passato splendore sono testimonianza gli edifici che vi si affacciano. Il più antico è il Palazzo dei Priori, attuale Municipio, opera di Riccardo da Como, le cui fondamenta furono gettate nel 1208 e la cui costruzione fu completata attorno alla metà del XIII secolo. La facciata ha subito nel tempo notevoli rimaneggiamenti: nel 1472, perduta Volterra la libertà comunale, furono abbattuti la loggia e l’arringo e chiuse le due porte di destra che davano accesso all’edificio; si notino le terrecotte e gli stemmi, affissi in memoria dei Commissari che governarono la città, i leoni, simbolo del dominio fiorentino, sui pilastri laterali, e, tra le finestre del piano terra, incisa nel tufo, la misura dell’antico Comune, la “Canna Volterrana“. Mentre le finestre del secondo e terzo piano conservano la primitiva struttura romanica, quelle del primo sono state ritoccate e presentano bifore trilobate sormontate da arco leggermente acuto. L’orologio, che rompe l’uniformità della facciata, è stato aggiunto molto più tardi, come i merli eretti per consolidare il coronamento dell’edificio. L’antica torre terminava alla prima merlatura con un castello in legno a sorreggere la campana ma la scarsa stabilità del castello indusse i Volterrani, dopo il terremoto del 1846, alla costruzione dell’attuale sovrastante struttura in pietra. La porta di ingresso immette nel vestibolo dalla volta a crociera, ornato di stemmi e medaglioni in smalto. Sulla parete della scalinata che sale al primo piano, l’affresco della Crocifissione di Pier Francesco Fiorentino (sec. XV). Sul ripiano della seconda rampa si apre la bella Sala del Consiglio Comunale il cui soffitto, un tempo a travatura in legno, assunse l’attuale struttura a volta a doppia crociera nel 1516. Sulla parete di fondo spicca l’affresco di Iacopo di Cione Orcagna: l’opera, terminata nel 1383 e gravemente danneggiata nel corso dei secoli, è stata trasferita su tela, dando alla luce la sinopia esposta nell’attigua Saletta della Giunta. Al centro dell’affresco è dipinta l’Annunciazione, ai lati quattro figure di Santi: a sinistra Cosma e Damiano, a destra Giusto e Ottaviano. Sulla parete destra una tela, raffigurante le Nozze di Cana, di Donato Mascagni, detto Frate Arsenio (1579-1631). Passati nella Saletta della Giunta, si può ammirare il “Giobbe”, ancora del Mascagni, la “Natività di Maria” di Gian Domenico Ferretti (sec. XVIII), la settecentesca “Adorazione dei Magi” di Ignazio Hugford; da osservare il “San Girolamo”, trasportato in questa sede da una parete della scala del palazzo, che la critica attribuisce a Luca Signorelli. Notevoli due sculture di artisti volterrani contemporanei: il “Vitellino” di Raffaello Consortini e la “Donna Siciliana” di Mino Trafeli».
http://www.volterratur.it/vieni/terra-degli-etruschi/volterra/il-palazzo-dei-priori/
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