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a cura di Vito Ricci
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Le immagini: pag. 1 la scheda bibliografia
Santa Maria di Barsento: la facciata.
Introduzione La chiesa e l’annessa
masseria, che anticamente era un convento, si trovano nel territorio
compreso tra Noci e Putignano in provincia di Bari. Il complesso è
vincolato ai sensi del decreto legislativo 490/99, mentre un territorio
esteso per 1100 ettari è dal 1986 Oasi di protezione. La legge
regionale 19/97 ha inoltre individuato l'area del Barsento come uno dei
futuri parchi naturali regionali. Si tratta di un sito di notevole
interesse storico, artistico, archeologico ed ambientale. In epoca preromana si sviluppò un villaggio, probabilmente di origine messapica, come testimoniato da ritrovamenti archeologici sulla dolina poco distante dalla masseria De Bellis. La stessa origine del toponimo Barsento sarebbe di derivazione messapica: barza (alto) e entum (che è) indicando quindi un insediamento su una zona in altura che consentiva il controllo di una complessa viabilità già sviluppata in passato. Abbiamo testimonianza in un documento del 1040 [1] e in due documenti del 1115 [2] di una via barsentana, che partendo da Bari, e dopo aver attraversato centri importanti come Norba, l'antica Conversano, arrivava a Barsento per poi dirigersi verso l'importante centro urbano di Mottola e di una via tarantina, che partendo da Taranto arrivava a Barsento per poi proseguire per Monopoli. A questi tracciati principali si sovrapponeva un articolato reticolo di strade di origine remota in direzione dell'interno, a dimostrazione della centralità del sito nell'ambito della Murgia sud-orientale. Di epoca romana probabilmente risulta invece la pavimentazione della navata centrale, nascosta da quella attualmente visibile. Nel 1040 [3]
il casale di Barsentum fu distrutto dai Mottolesi assieme a
quello di Casaboli, ma con ogni probabilità fu risparmiata la chiesa.
In quell’anno si era resa vacante la sede episcopale di Mottola per la
morte del vescovo Consalvo Lupis e il duca di questa città, Rainiero de Fumis, pretendeva che venisse affidata a suo fratello Liberto,
arcidiacono. Gli abitanti di Barsento e dei casali vicini si opposero,
perché temevano l’accresciuto potere di casa de Fumis, tanto che si
recarono in segreto dal Papa chiedendo la separazione delle loro chiese
dalla diocesi di Mottola e l’annessione a quella di Conversano. Tali
suppliche furono benevolmente accolte. Il duca Rainiero allora giurò di
vendicarsi e al comando di una colonna di armati assalì di notte il
borgo per punire col ferro e col fuoco gli inermi Barsentini che si
erano ribellati alla volontà episcopale. L’antico casale fu
incendiato, distrutto e ridotto in un cumulo di rovine. Solo la chiesa
in cima al colle fu risparmiata unitamente al piccolo monastero. Invece
Morea [4],
anticipando la distruzione del casale, afferma che Barsento fu
completamente distrutto durante il periodo delle invasioni saracene a
partire dal IX secolo in poi. Nel 1115 tuttavia il sito risultava
nuovamente popolato, come testimoniato da un documento medievale [5].
Dall’iscrizione
presente sulla facciata
si legge parzialmente la data MCC
[...] che indicherebbe l’esistenza di una comunità a Barsento nel XIII
secolo o, se la datazione fosse incompleta, nei secoli successivi. Inoltre
durante dei saggi archeologici sono state rinvenute delle monete del Duecento. Il casale risulta ancora abitato sino al primo quarto del Trecento, con la presenza in loco di un clero, come documentato dal pagamento
della decima nell’anno 1310 alla diocesi di Monopoli da parte di clerici
barsentani e un successivo pagamento nel 1325 a clericis casalis
Barsenti [6].
Aspetti
storici relativi alla fondazione Secondo la tradizione risalente al XVII secolo (precisamente negli scritti di Pompeo Sarnelli, vescovo di Bisceglie) e ripresa nel due secoli più tardi dallo storico locale Pietro Gioia [7], la chiesa di Barsento fu edificata intorno al 591, anche se ciò appare abbastanza inverosimile, con l’interessamento di Tulliano [8] per volere di papa Gregorio Magno, su ispirazione della madre di costui Silvia Anicia, con lo scopo di evangelizzare le genti del posto nel periodo delle invasioni barbariche. La badia, stando a questa tradizione, fu costruita e poi affidata all’ordine monastico fondato da Sant’Equizio; essa fu dedicata al culto di Santa Maria Assunta, più precisamente chiamata Madonna di Barsento. Sulla fondazione di questa chiesa si sono espressi nel corso dei secoli
molti studiosi di vario livello: da storici e tecnici locali sino a
docenti universitari. In un primo tempo in genere si sono sempre
espressi per una datazione risalente al VI secolo. Tra i primi a confutare tale tesi è stato Francesco D’Andria [9],
attualmente docente di Archeologia nell’Ateneo salentino, il quale sostiene che la badia fu edificata
nella seconda metà dell’VIII secolo o nella prima metà del IX, comunque non oltre l’840 quando le
invasioni saracene segnarono la fine della prevalenza longobarda [10],
e la include tra i monumenti di tradizione longobarda riscontrando la
presenza di un elemento autoctono pre-romanico, ossia l’architettura
dei trulli. D’Andria per primo ha cercato di decifrare l’iscrizione
presente sulla facciata della navata destra, incisa su pietra calcarea
(30x33 cm.) interpretandola in questo modo: AB ANN(n)O
I(n)CARNAT(I)ONIS [domini] N(ost)RI IESU CHRISTI MCC[….] SITANA (?) CO(mmun)I Tale iscrizione
probabilmente è un riutilizzo e risalirebbe almeno al Duecento (come si
evince dalla scritta parzialmente leggibile MCC[….]) o, se la
datazione fosse incompleta, ai secoli successivi. Secondo la nostra
opinione le due ultime parole potrebbero essere interpretate come resti
della scritta “Barsitana Communitas” ovvero come indicazione
delle comunità barsentana che avrebbe edificato o ristrutturato la
chiesa in quell’anno purtroppo indecifrabile. Laforgia [11]
ritiene Barsento un edificio preromanico realizzato entro il X secolo, mentre Venditti [12]
la fa risalire al IX. Gioia Bertelli [13],
docente di Archeologia e Storia dell’arte paleocristiana e
altomedievale nell’Università di Bari, nel suo lavoro Prime funzioni benedettine in Terra di Bari mette in discussione la tesi di D’Andria, perché il piccolo protiro
non sembra essere contemporaneo alla costruzione. Ciò è visibile nel
punto in cui si appoggia alla facciata: risulterebbe aggiunto in un
secondo momento quando fu eretto il campanile a vela. Tali modifiche
risalirebbero ai secoli XIV e XV. La Bertelli afferma che la zona
absidale con tre absidi, di cui la centrale presenta una finestrella
quadrata, fa pensare a costruzioni romaniche di tipo rurale, piuttosto
che a costruzioni di epoca longobarda. In un altro lavoro, la
ricercatrice sostiene che l’edificio di Barsento non sia di epoca
altomedievale, ma fu realizzato più tardi fornendo una datazione
intorno al XI-XII secolo [14],
sottolineando che il monumento, ad un attento esame, non presenta alcuna
caratteristica architettonica tale da farlo ritenere una costruzione
realizzata nell’alto Medioevo. Secondo lo studioso
Pietro Tateo [15],
tenendo presente la situazione della Puglia in epoca bizantina, nel VI
secolo, se Barsento fosse esistita allora sarebbe stata costruita secondo i
canoni dell’arte bizantina. Difficilmente i monaci di sant’Equizio sarebbero giunti in Puglia in epoca bizantina, perché
tale istituzione era presente soprattutto in Abruzzo ed ebbe una
dimensione locale. Tateo afferma anche che le absidi appartengono alla
costruzione originaria, smentendo la tesi che sosteneva fossero state
aggiunte in epoca successiva. Ritiene significativa la presenza di un
dipinto di San Michele, santo tenuto in grande considerazione e
venerazione dai longobardi. Questo particolare iconografico
confermerebbe la tesi ipotizzata da D’Andria. Gli architetti di Noci De Pinto, Giacovelli e Montanaro si sono occupati di Barsento dal punto di vista tecnico-architettonico. Costoro mettono in evidenza le linee della prima fase costruttiva del monumento: esso era ad aula unica con tetto a falde inclinate e monoabsidale, corrispondente all’attuale navata centrale. Esaminando il materiale di costruzione, hanno scoperto che parte della facciata primitiva di nord-est fu eseguita con conci di tufo e non in pietra locale. Questo scambio potrebbe confermare l’uso della Barsentana per gli scambi commerciali con Mottola, il cui sottosuolo è interessato dalla presenza di tale materiale. Secondo i tre architetti la chiesa non sarebbe stata costruita in epoca longobarda e considerano l’ampliamento a tre navate realizzato nell’XI sec. Il protiro o pronao viene fatto risalire al XV secolo, così come il campanile a vela posto sulla cuspide della chiesa.
Architettura L'architettura di questa
chiesa è molto interessante oltre che per le sue origini, anche perché
in essa si ravvisano gli elementi costitutivi del trullo, con enorme
anticipo rispetto a quello che è stata la sua diffusione circa un
millennio più tardi. Il suo schema
architettonico è di tipo basilicale di derivazione greco-romana. Sulla
facciata presenta un vistoso e indecifrabile frammento d'iscrizione
d'origine bizantina (secondo alcuni autori) che attesterebbe il periodo
cui la costruzione risale o piuttosto il periodo in cui furono eseguiti
dei restauri e/o ampliamenti. Probabilmente l’epigrafe risulta un
re-impiego di materiale lapideo. Un affresco
bizantineggiante è collocato sul retro dell’altare maggiore ed è
parte integrante del vecchio intonaco ricoprente il catino dell'abside
centrale: rappresenta un'effigie del Redentore fiancheggiato dal Sole e
dalla Luna umanizzati, circondati dal cielo stellato che si adagia su un
fondo di azzurri arabeschi. Questi idoli astrali molto sentiti nel culto
pagano segnano il passaggio dal paganesimo al cristianesimo avvenuto in
seguito alla conversione del popolo longobardo. Cosi pure i due altari
laterali che hanno il tipico aspetto di are pagane appaiono come mense
isolate poste infondo alle absidi, ove il muro si incurva ad “arcovo”
per servire da tribuna al sacerdote. L'interno della basilica
è formato da una navata centrale e due laterali che comunicano tra loro
attraverso archi a sesto leggermente acuto. Le volte a botte hanno
sagoma e struttura analoghe alle sezioni verticali del trullo. Questa
analogia appare ancora più evidente nelle volte delle tre absidi che
anche esternamente ricordano gli “arcovi” trulleschi. Il
prospetto è corredato da un vestibolo che ha la specifica funzione di
accogliere i pellegrini provenienti da zone molto distanti. È corredato
di due lunghi sedili in pietra atti a favorire il riposo e la sosta
degli stessi prima che vengano officiate le funzioni religiose. La
copertura dei tetti a due spioventi è fatta con chiancarelle uguali a
quelle della copertura dei trulli. Esse sono realizzate con pietra
locale appartenenti a rocce stratificate di cui il territorio è molto
ricco. Barsento si presenta con una facciata cuspidata. In origine la chiesa
aveva un'unica navata di m. 13x4,25. Successivamente (XI-XII secolo) fu ampliata con le due navate laterali di m. 13x2,80. La cuspide
centrale é sormontata da un campanile a vela di epoca più recente. I
tetti sono ricoperti di chiancarelle, secondo la tecnica costruttiva
autoctona dei trulli. Il protiro antistante l'ingresso principale é
stato eretto in epoca successiva (XV secolo) e attaccato alla facciata della chiesa. Sul lato nord-est ci sono tre
absidi esterne a quarto di sfera, con tetto semiconico. L'interno é a
tre navate suddivise da due ordini di pilastri con arcate a sesto
ribassato che non trovano corrispondenza con le arcate cieche dei muri
laterali, dove si scarica il peso delle volte. In origine la chiesa era
coperta da capriate lignee e in seguito da volte a botte. Davanti alle
absidi sono collocati altari e mense. L'altare maggiore é stato rifatto
nel Seicento in stile barocco. Sull'altare vi é la tela della Madonna
con Bambino e santi. Dopo il Seicento la chiesa subì numerose
modifiche: al XVIII secolo risalgono le trasformazioni relative
all'innalzamento delle volte e al cambiamento dei profili della
copertura; all'inizio del Settecento furono realizzati due archi di
rinforzo tra la chiesa e la masseria e un rinforzo in un angolo della
chiesa; nel 1741 le originarie capriate lignee furono sostituite dalle
volte attuali e dalla copertura a chiancarelle; nel 1773 furono rifatti
interamente i tetti e la volta che univa la masseria alla chiesa. Emile Bertaux [16],
storico dell’arte francese di inizio Novecento, nella sua opera L’art
dans l’Italie meridionale considera Barsento come la chiesa rurale
che, in modo ancor più sorprendente di altre, attesta l’applicazione
della pratica tradizione delle costruzioni in pietra a secco alle forme
di architettura religiosa. Questa tecnica, secondo il Bertaux, si
riscontra in altri luoghi come l’Irlanda, la Scozia, la costa nord
della Gran Bretagna, dove le coperture delle chiese sono state costruite
allo stesso modo. Lo storico
dell'arte francese accoglie la tesi di Barsento
costruita nel VI secolo ed
è il primo studioso a collocare Barsento nella storia dell’arte
pugliese. Egli afferma che «la chiesa di Saint Kevin a Grandalough in Scozia non è altro che la
navata centrale di Santa Maria di Barsento».
I
risultati di un’indagine archeologica Nel territorio
circostante l’abbazia di Santa Maria di Barsento e all’interno della
stessa chiesa a marzo e ottobre 1998 sono state effettuate delle
ricerche archeologiche [17].
Nei terreni in prossimità
dell’abbazia sono stati rinvenuti resti di strutture murarie, di
abbondante ceramica ad impasto ed intonaco di capanna, nonché di
frammenti di terra sigillata, ritrovati nel terreno superficiale. In
tempi passati erano stato recuperati anche strumenti litici, intonaco di
capanna ed una moneta romana di età imperiale a testimonianza di
un’antica frequentazione del sito. All’interno
dell’edificio sacro sono stati effettuati diversi sondaggi nelle tre
navate; altri sondaggi sono stati condotti all’esterno in prossimità
del protiro. Con tali scavi si voleva, tra l’altro, verificare se
l’edificio in origine era ad un’unica navata poi modificato nel
tempo, come lasciava supporre l’irregolarità dell’impianto a tre
absidi di differente ampiezza. Un primo saggio ha permesso di mettere in luce, pochi centimetri sotto
il basolato attuale, due differenti pavimenti sovrapposti, ambedue in
lastrine irregolari in pietra viva. Il pavimento più antico nelle
navate presentava delle specchiature realizzate con uno spesso battuto a
base di calce. Il pavimento relativo alla successiva fase, realizzato
completamente in pietra, utilizzava anche dei blocchetti di reimpiego,
alcuni dei quali facenti parte di un arco. Nell’area del presbiterio
si scorgono delle tracce di gradini relativi ad una fase precedente;
probabilmente il presbiterio in quella fase doveva aver una quota più
elevata rispetto al resto della chiesa. Nella navata di sinistra è
stata scoperta una tomba a fossa di un bambino, sconvolta, dalla quale
sono stata recuperate alcune monete di epoca medievale (XIII secolo). I sondaggi effettuati sulle murature hanno messo in evidenza che i pilastri della navata di sinistra, di minori dimensioni rispetto ai corrispondenti della navata di destra, risultavano essere stati rinforzati in un secondo momento, invece i pilastri della navata di destra, più grandi, erano stati realizzati in un’unica fase. Dall’esame dei filari di fondazione dei muri esterni della zona absidale si può affermare che la chiesa è nata con un impianto triabsidato, tuttavia non si può escludere che nel corso delle vicende costruttive possa aver avuto una fase a navata. L’incongruità tra pianta della chiesa e volumetrie emergenti lascia ipotizzare una serie di crolli, rinforzi e ricostruzioni parziali dell’edifico che, in base alla tipologia edilizia, può datatasi all’XI-XII secolo. Non è stata individuata alcuna struttura paleocristiana. Durante i saggi condotti sono state anche recuperate alcune
testimonianze erratiche di frequentazioni precedenti: frammenti a
vernice nera, frammenti di lastre calcaree con sopra incise due tabulae
lusoriae “a mulino” ed una moneta dell’XI secolo (follis bizantino). 1 D. Morea, Il Chartularium del monastero di S. Benedetto di Conversano, I, 1892, doc. 50: «via que venit de Cupersano et vadit in Barsento in pars meridiei…». 2 Ivi, doc. 67: «via de Barsento et de via cupa que venit ad Tarento…», e doc. 68: «ipsa via de Barsento… et via barsentana…via cupa que benit de Tarento» che sarebbe identificabile con la via Orientata o con la Tarantina. 6 D. Vendola, Rationes Decimarum Italiane nei secoli XIII e XIV. Apulia-Lucania-Calabria, Studi e testi, 84, 1939, n. 1193 e n. 1294. 8 Il duce Tulliano è citato diverse volte nelle lettere di papa Gregorio Magno. 9 F. D’Andria, Forme rustiche e tradizione colta in due chiese altomedievali pugliesi, in Contributi dell’Istituto di Archeologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, I, 1967, pp. 202-214. 11 F. Laforgia, La millenaria basilica di Barsento, in «L’alveare», numero unico, agosto 1964, pp. 1-6. 13 G. Bertelli, Prime fondazioni benedettine in Terra di Bari: testimonianza archeologiche, Catalogo della Mostra “Insediamenti benedettini in Puglia”, a c. di M.S. Calò Mariani, vol. I, 1981, p. 116. 14 G. Bertelli, Una fondazione prebenedettina: S. Maria di Barsento, in AA. VV., L’esperienza monastica benedettina e la Puglia, 1984, pp. 306-307. 17 M. Carrieri, Noci (Bari). Santa Maria di Barsento, in «Notiziario delle attività di tutela della Soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia», gennaio-dicembre 1998, 1999, pp. 115-117.
G.
Bertelli,
Prime fondazioni benedettine in Terra di Bari: testimonianza
archeologiche, Catalogo della Mostra “Insediamenti benedettini in
Puglia”, a c.
di M.S. Calò Mariani, vol. I, 1981, pp. 113-131. Ead.,
Scheda su S. Maria di Barsento nel Catalogo della mostra “Il
Territorio a sud-est di Bari in età medievale”, 1983, pp. 70-71. Ead.,
Una fondazione prebenedettina: S. Maria di Barsento, in AA. VV., L’esperienza
monastica benedettina e la Puglia, 1984, pp. 301-311. Puglia preromanica dal V secolo agli inizi dell'XI. a cura di Gioia Bertelli; con contributi di Gioia Bertelli e Maria
Falla Castelfranchi; interventi di Paul Arthur et al., 2004. E. Bertaux, L’art dans l’Italie meridionale, 1978. M.
Carrieri, Noci
(Bari). Santa Maria di Barsento,
in «Notiziario
delle attività di tutela della Soprintendenza per i Beni archeologici
della Puglia»,
gennaio-dicembre
1998, 1999, pp. 115-117. F.
D’Andria,
Forme rustiche e tradizione colta in due chiese altomedievali
pugliesi,
in «Contributi
dell’Istituto di Archeologia dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore»,
I, 1967. P.
Gioia, Conferenze istoriche sulla
origine e sui progressi della città di Noci, 1970. F.
Laforgia,
La millenaria basilica di Barsento in L’alveare, n.u., agosto
1964. D.
Morea, Il Chartularium del
monastero di S. Benedetto di Conversano, I, 1892. P.
Tateo,
Origini di Noci,
1992. A.
Venditti,
Architettura a cupola in Puglia,
in «Napoli
Nobilissima»,
IV, 1969. D. Vendola, Rationes Decimarum Italiane nei secoli XIII e XIV. Apulia-Lucania-Calabria, in Studi e testi, 84, 1939.
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©2007
Vito Ricci. Articolo pubblicato
in Italiamedievale.org,
e qui ripubblicato con il consenso dell'autore, che desidera qui ringraziare la prof.ssa Gioia Bertelli, docente di Archeologia e Storia dell’arte paleocristiana e altomedievale nell’Università di Bari, per
averglii segnalato e fornito l’articolo di Miranda Carrieri relativo al resoconto degli scavi archeologici..