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a cura di Stefania Mola
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Esterno della Cattedrale
Diversamente da quanto accade in altri casi, né i documenti, né le cronache antiche, né tanto meno le minuziose ricerche degli storici locali ci informano con certezza dell’epoca di fondazione della cattedrale di Bitonto, situata nel cuore della città antica; l’unico vero documento è l’edificio stesso - generalmente ascritto ai secoli XII-XIII - e, di recente, le novità emerse dal sottosuolo, che fanno di Bitonto un nuovo anello di quella catena che, passando per Bari, Trani, Ruvo, Barletta, ridisegna completamente la mappa della Puglia preromanica. Costruita dunque tra XII e XIII secolo secondo il modello della basilica nicolaiana di Bari, l’attuale cattedrale bitontina ha un’imponente facciata tripartita verticalmente da lesene, aperta da tre portali, quattro finestre bifore ed uno splendido rosone fiancheggiato da animali su colonnine pensili. Il fianco meridionale, affacciato sulla piazza, presenta un elegante loggiato ad esafore su colonnine e capitelli riccamente scolpiti. Conserva all’interno il pulpito firmato nel 1229 dal maestro Nicolaus, fantasiosa e raffinata decorazione realizzata con la tecnica dell’incrostazione connessa alla scultura a rilievo bassissimo: mastici colorati, paste vitree e scaglie di tartaruga, simulando gli effetti dei tessuti preziosi, degli smalti e dell’intaglio, conferiscono all’arredo dell’edificio sacro lo splendore effimero delle suppellettili profane. La storia È del 1089, secondo le fonti, la prima notizia certa dell’esistenza del vescovado bitontino, lo stesso anno in cui il vescovo della città Arnolfo sarebbe intervenuto a Bari alla cerimonia della traslazione delle ossa di san Nicola. Alla figura di questo primo vescovo si associano solitamente almeno un paio di eventi “leggendari”, quali il finanziamento per la costruzione del maggiore edificio di culto da parte di Roberto il Guiscardo nel 1085, ed il fortuito ritrovamento alla fine del secolo scorso di una lastra sepolcrale - oggi non rintracciabile - recante il suo nome, Arnulphus. Se anche ci fosse un fondo di verità in queste notizie, l’unica cosa improbabile risulterebbe una data di fondazione tanto precoce, considerata la stretta relazione che intercorre, dal punto di vista delle novità strutturali, tra la fabbrica bitontina e quella del S. Nicola di Bari. È in questo periodo che Bitonto va assumendo una più definita configurazione urbana, in linea con quanto accadeva un po’ in tutta la Puglia; la popolazione sparsa nel territorio ritorna nel centro che riceve notevole slancio soprattutto dal punto di vista economico. Dunque, la realizzazione della cattedrale è comunque da collocarsi contestualmente alla rinascita della città, non essendo possibile dar credito a quelle tesi che si appigliano alla cronologia, certa e documentata, della suppellettile marmorea, datata in piena età federiciana. Il cantiere duecentesco si innesta infatti su una fabbrica pienamente compiuta nelle sue strutture, perfetta riproposizione in scala ridotta del modello nicolaiano, scelto da Bitonto probabilmente anche per affinità di tipo politico. Il carattere normanno della committenza è sostenuto dalla maggior parte degli storici locali, che fanno riferimento ad un documento del 1098 in cui compare un «Robertus comes filius Guidelmi comitis dominator civitatis Botonti», lo stesso conte Roberto che innalzò le mura cittadine. Un misterioso foglio volante ritrovato tra le pagine di un antico registro della chiesa di S. Silvestro parlerebbe di una fondazione avvenuta nel 1087 e compiuta nel 1095; nel 1114, in occasione della consacrazione della stessa chiesa, si fa riferimento ad una «sedes maioris ecclesiae Botontinae» ma, alla luce di ciò che è emerso dagli scavi recenti, non è facile dire se si tratti già del nuovo edificio. E in ogni caso riuscirebbe difficile pensare che in un lasso di tempo di soli otto anni possa essere stata innalzata l’intera fabbrica anche se, a metà del XII secolo, la struttura di massima della cattedrale doveva essere stata definita, se dobbiamo prestar fede alle iscrizioni funerarie presenti sulla parete absidale, nelle quali compaiono i nomi di due personaggi normanni, Gerardus Comestabulus e Joannes Iudex. L'edificio La sostanziale omogeneità delle strutture e della decorazione più antica della cattedrale consente di individuare una prima campagna di lavori ascrivibile ai decenni centrali del XII secolo. Questo primo cantiere porta avanti, con coerenza ed unità, il progetto mutuato dall’esperienza nicolaiana; entro la fine del XII secolo la fabbrica doveva presentarsi conclusa, completa di torri postiche, arconi sui fianchi per pareggiare la sporgenza del transetto, facciata tripartita ed aperta da tre portali con stipiti intagliati secondo la tradizione pugliese, finestrone absidale semplice. A queste maestranze, sicuramente bitontine e non rintracciabili in altri cantieri coevi, sono da attribuire le decorazioni interne della cripta, nonché - per evidenti affinità tematiche - i capitelli della navata e quelli dei matronei, tutti strutturati prevalentemente secondo lo schema a due zone, con animali accovacciati in corrispondenza degli spigoli o passanti sui fogliami. Ai temi romanzi del pieno XII secolo fa riferimento il famoso capitello raffigurante il volo di Alessandro Magno, il primo della navata a sinistra dell’ingresso, per le evidenti affinità con i mosaici pavimentali di Otranto, Taranto e Trani, dietro al quale potrebbe celarsi anche l’intenzionale allusione, in forma di monito, agli eventi del tempo e al destino delle città ribelli. Gran parte dell’arredo e delle decorazioni, come ad esempio le originarie capriate dipinte, è andato purtroppo disperso a causa dei profondi mutamenti subiti dall’edificio nei secoli successivi. Molti frammenti scampati alle trasformazioni, ai restauri, ai ripristini sono custoditi nel locale museo diocesano: tra questi, i resti del ciborio e dell’altare basilicale, che recano ancora una volta il nome di un vescovo - Domenico - quale probabile committente e sostenitore dell’abbellimento della maggior chiesa della città, e quello del presunto artista - Gualtiero - che, insieme al maestro identificato con il nome di Pollice - autore di una lastra di recinzione presbiteriale preziosamente ornata da motivi decorativi ispirati a tessuti arabo-siculi - contribuisce a rafforzare quell’ipotesi che individua a Bitonto l’esistenza di una scuola, di una bottega o quantomeno di una cerchia di artisti qualificati in grado di affidare il loro nome alle opere, emergendo dalla folta ma pur sempre anonima schiera di abilissimi e comuni scalpellini. Il portale Un cantiere diverso, per modi ed interpretazione delle tematiche proposte dalla committenza, è quello che lavora in facciata, dove - alla fine del XII secolo - al semplice portale centrale originario viene accostato un ricco archivolto poggiante su grifi e colonnine su leoni stilofori sormontato dall’immagine salvifica del pellicano, simbolo di Cristo. Le stesse maestranze adegueranno il finestrone absidale alle forme e allo stile di quello barese (cattedrale), sostituendo alla semplicità originaria un’esuberanza plastica ormai collaudata. Le figurazioni dell’architrave e della lunetta del portale raccontano la Rivelazione, grazie alla quale chi varchi la porta della chiesa varca la porta del Cielo e può godere dei benefici effetti dell’Incarnazione e della vittoria di Cristo sul male ottenuta grazie alla sua Risurrezione. Il programma, imperniato sul poema della salvezza raggiunta attraverso Cristo ed estraneo alla pratica ed alla consuetudine degli scalpellini locali, fu verosimilmente dettato da qualche colto prelato. Nel ciclo dell’Infanzia scolpito sull’architrave viene esaltata la Vergine quale strumento di Redenzione, giacché ogni scena (nell’ordine Annunciazione, Visitazione, Adorazione dei Magi, Presentazione al tempio), riferimento ad un preciso episodio dell’infanzia di Gesù intesa come antefatto della salvezza finale, corrisponde non a caso ad altrettanti momenti in cui la sua divinità viene rivelata, sempre attraverso la presenza di Maria. La chiave di lettura del messaggio salvifico così articolato sta nella lunetta, dove è raffigurata l’Anastasis: la scena illustra quanto avvenne fra la morte di Cristo e il suo ritorno fisico sulla terra, ispirandosi a testi palestinesi e siriani come il Vangelo apocrifo di Nicodemo, poi ripresi da tutti i compilatori medievali. Nella discesa agli inferi Cristo libera le anime dei giusti vissuti prima del Cristianesimo, sciogliendo così la dannazione del peccato originale grazie alla sua passione ed alla sua risurrezione. L'ambone Altra cosa, infine, è quella bottega bitontina che nella prima metà del XIII secolo completa la decorazione plastica esterna del matroneo sud e realizza all’interno la suppellettile marmorea; a queste opere si associano le uniche date sicure di tutta la fabbrica, il 1229 per l’ambone di Nicolaus e il 1240 per il ciborio di Gualtiero da Foggia.
Lastra dell'ambone Sulla lastra triangolare inserita nel parapetto della scala dell’ambone, incorniciata da una fascia decorata ad incrostazione, è raffigurata un’enigmatica scena profana scolpita a bassorilievo, con quattro personaggi in posizione frontale, inquadrati sotto una fila di archetti, uno seduto e tre in piedi, ed un uccello piumato (forse un’aquila) al margine inferiore destro. Tradizionalmente identificati come membri della casata di Svevia, i personaggi potrebbero rappresentare (partendo dalla figura seduta a sinistra) Federico I Barbarossa nell’atto di trasmettere lo scettro ad Enrico VI, e di seguito Federico II ed il figlio Corrado, in una sorta di celebrazione della dinastia; oppure, se la figura seduta fosse femminile (come sembrerebbe a giudicare dalla pettinatura e dal tipo di corona), potrebbe trattarsi addirittura della personificazione della città di Bitonto cui Federico imperatore, il personaggio coronato al centro della composizione, invia attraverso un messaggero lo scettro, simbolo della sua condizione di città regia, e cioè posta sotto l’esclusiva autorità del re. La cripta Si è detto che la cattedrale bitontina volle essere fin dal momento progettuale una perfetta riduzione in scala della basilica di S. Nicola di Bari; una struttura articolata cioè secondo lo schema basilicale a tre navate con colonnato interrotto da pilastri, transetto libero, cripta ad oratorio triabsidata, absidi incluse da muro rettilineo inglobante le torri campanarie, fiancate serrate da arconi ciechi che annullano l’aggetto del transetto. L’unica differenza, dietro ad un progetto così ambizioso, è la mancanza delle reliquie. In un certo senso è assente la motivazione di fondo, quella che giustifica - proprio nei secoli del fervore edilizio e della rinascita delle città sotto l’ala protettrice dei vescovi - la realizzazione di una basilica con il concorso e l’appoggio dell’intera comunità. La cripta a oratorio bitontina, svincolata quindi dalla sua funzione primaria, ci appare molto più semplicemente come un corpo autonomo in cui esercitare rito e liturgia ordinaria, sottoposto all’edificio maggiore solo come struttura; un ambiente sottoposto ma non completamente interrato, almeno in origine, se dobbiamo prestar fede a quanto tramandato dalla storiografia locale, secondo la quale sotto la chiesa esistevano delle botteghe; inoltre tutto il piano stradale esterno alla chiesa fu rialzato solo in tempi recenti, in occasione dei lavori di impianto della fognatura cittadina. La relazione con l’esterno è oggi assicurata da un percorso non corrispondente a quello originario, mentre permane il sistema di accessi mediato dalla chiesa superiore, attraverso le due scalinate laterali. Il sottosuolo Una botola coperta da una lastra trasparente, in corrispondenza della navata centrale verso la facciata, è l’unica possibilità offerta ai curiosi di immaginare la storia più antica della cattedrale. Questo osservatorio privilegiato permette di ammirare una porzione di pavimento a mosaico con la raffigurazione di un grifo alato, relativa ad una struttura tipo torre probabilmente pertinente alla cattedrale preromanica che si estendeva nell’area sottostante la basilica attuale. Di questo precedente edificio di culto, sopravvissuto fino ad almeno l’XI secolo, gli scavi archeologici recenti hanno rivelato tanto l’estensione (m 20x18), quanto la struttura (tre navate divise da pilastri, un’abside) e la decorazione (affreschi, portali e finestre scolpiti con motivi zoomorfi e vegetali - ben 52 conci recuperati), accertando anche che esso si inserì a sua volta su una chiesa ancora più antica: lo dimostrano i numerosi rifacimenti e “rattoppi” del mosaico pavimentale (prevalentemente di età paleocristiana) che continuò ad essere usato anche quando - tra IX e X secolo - venne innalzata la chiesa “sigillata” successivamente dall’edificio attuale. Il grifo alato resta senza dubbio il “pezzo” di migliore qualità anche per il suo invidiabile stato di conservazione: quasi come nuovo, tanto da far pensare che la presunta torre (o quant’altro di pertinente alla chiesa si voglia intendere) sia stata usata pochissimo, giusto il tempo di inaugurare il cantiere della nuova e splendida basilica che ancor oggi possiamo ammirare.
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Vedi anche, nel sito: Pavimenti musivi figurati. Bitonto, Cattedrale (di Luisa Derosa).
Le immagini che corredano questa pagina (ne sono autori Nicola Amato e Sergio Leonardi), sono tratte da volumi di Mario Adda editore, Bari.
©2002 Stefania Mola