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a cura di Stefania Sivo
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Le immagini: pag. 1 la scheda bibliografia
Monopoli, chiesa rupestre dei Santi Andrea e Procopio: la recinzione presbiteriale a templon.
Il casale rupestre e la chiesa subrupe
dedicata ai santi Andrea e Procopio si trovano sulla parete superiore
della lama detta “dell’Assunta”, nella contrada omonima, a
Monopoli. Il casale si presenta come un vero e proprio
villaggio-stazione di sosta lungo una delle vie principali di
comunicazione del tempo, cioè la via Traiana, percorsa e frequentata
non solo da pellegrini ma anche da mercanti e militari.
Il fondo della lama fungeva anticamente da strada principale
dell’insediamento mentre le pareti rocciose ospitarono la popolazione
rurale che si stabilì nelle numerose grotte scavate, formate da uno o
da più vani, adibiti a laboratori, ad abitazione e al culto religioso
come la chiesa dedicata ai santi Andrea e Procopio collocata al centro
dell’abitato.
La scelta di dedicare la chiesa rupestre a questi due santi non è
casuale: san Procopio e sant’Andrea, per le loro vicende personali e
per il culto, nato in Oriente e poi, in seguito ai costanti rapporti
politici, religiosi e artistici tra la Puglia e l’area greco-bizantina,
diffusosi in Occidente, sono legati alla tradizione agiografica sia
latina che bizantina.
Sant’Andrea è un santo apostolo il cui culto si stabilì in Oriente a
partire dal IX secolo per poi diffondersi in Occidente dove la devozione
popolare al santo è testimoniata dalla presenza di molti affreschi sia
nelle chiese pugliesi costruite, che in quelle scavate. San Procopio da Cesarea (dal nome della città in cui avvenne il martirio) è invece un santo militare molto venerato già in epoca alto medievale in Oriente, soprattutto tra le armate bizantine. La diffusione del suo culto in Italia meridionale è probabilmente legata all’arrivo dei contingenti militari bizantini durante la colonizzazione greca avvenuta tra X e XI secolo; successivamente, in epoca normanna (san Procopio è stato collocato dai Normanni tra i santi patroni dello Stato) il culto di san Procopio ebbe fortuna anche tra i crociati, ciò spiega la presenza costante delle immagini del santo lungo gli itinerari pellegrini e crociati in Puglia.
L’escavazione della chiesa può essere inserita nel contesto politico
e militare greco-normanno alla metà dell’XI secolo: la città
di Monopoli, già governata già dal 1041 da un conte normanno, subì
nel 1042 la distruzione per opera del catapano Maniace, inviato in
Italia meridionale per fronteggiare l’offensiva normanna. La
distruzione della città causò la diaspora degli abitanti che si
rifugiarono nelle campagne circostanti dando vita al casale rupestre
lungo la lama dell’Assunta. Di grande interesse per la datazione della chiesa è l’iscrizione incisa sulla facciata, collocata tra la lunetta e una finestrella, in cui il santuario è definito “templum” cioè “chiesa edificata”. La presenza dell’epigrafe dedicatoria dei committenti nella lunetta dell’ingresso principale è una caratteristica dell’architettura rupestre dell’area brindisina; in questo caso l’iscrizione, abbastanza lunga, contiene informazioni importanti per comprendere la genesi costruttiva del santuario: «Hoc templum fabricare fecerunt Johannes, Alfanus, abbas Petrus, Paulus in onore sancti Andree Apostoli et sancti Procopii martyris per manus Joannis diaconis atque magistri et dedicatum est per manus domini Petri archiepiscopo secondo die intrante mense nobember. Hoc scripta fieri fecit Iaquitnus presbyter, filius suprascripti magistri per manus Rodelberti presbiteri». L'iscrizione sulla facciata (XI secolo).
La chiesa fu fatta costruire probabilmente da alcuni abitanti del
casale. Nell’iscrizione vengono citati un certo Giovanni, Alfano,
Pietro e Paolo che ne finanziarono l’escavazione e la decorazione,
mentre il diacono, e maestro costruttore, Giovanni, suo figlio Giacinto
e alcuni chierici greci ne assicurarono l’uso pubblico e la pratica
del culto. La chiesa avrebbe quindi committenza privata e il consenso
per la costruzione fu chiesto allo stesso vescovo Pietro (di cui non si
conosce la provenienza), il quale intervenne personalmente alla
cerimonia della consacrazione.
Si accede nella chiesa attraverso un portale principale che, in
facciata, è affiancato da due porte laterali più piccole, sul modello
delle chiese costruite. I portali laterali hanno la forma arcuata mentre
quello centrale è di forma rettangolare ed è sormontato da una lunetta
a profilo arcuato ribassato, nella quale è graffita una croce greca a
bracci espansi. Al di sopra della lunetta si apre una finestra simile ad
una monofora. A concludere la facciata doveva esserci in origine un
timpano, scavato sempre nella roccia, lievemente cuspidato, ormai
distrutto. Le tracce degli incassi per l’alloggiamento dei perni, ai
lati delle porte, fanno supporre la presenza di porte lignee a chiudere
gli ingressi della chiesa. Il portale centrale veniva adoperato solo in
occasioni speciali come nel caso delle visite episcopali e per le uscite
delle processioni rurali. Il varco principale era preceduto da una
piattaforma rilevata.
La pianta della chiesa è ad aula unica, misura m 5,78 x 5,35, senza
partizioni interne, tranne la zona presbiteriale che è suddivisa in
quattro celle disposte in quadrato e terminante con due absidi gemelle.
All’interno della chiesa, a destra dell’ingresso, c’è un breve
cunicolo, lungo circa 80 cm, attraverso il quale si raggiunge un vano
minore di m 2,40 x 2,70 con soffitto piano e privo di fonte di luce. La
funzione del vano potrebbe essere stata quella di camera sepolcrale dei
committenti del tempio poiché nell’uso bizantino la sepoltura è
vietata nell’area sacra.
Ai lati del nàos (area
destinata ai fedeli) ci sono due piccole nicchie profonde che potrebbero
aver avuto la funzione degli aghiasmata
(cappelle votive dotate di credenza per accogliere le offerte) davanti
alle quali si celebrava la paraklisis
(liturgia in onore dei santi raffigurati, eponimi del santuario).
Il nàos è diviso dal
presbiterio da un templum
(iconostasi litica) a due porte, affiancate da due larghe finestre
laterali, scavate ad ampia lunetta, che ospitavano le icone dipinte.
La zona presbiteriale è bipartita in quanto è suddivisa in due parti:
la prima parte è formata da due celle affiancate che misurano m 5,95 x
1,95 e m 5,85 x 1,45, e che sono separate fra loro da un muretto litico
alto circa 50 cm.
La seconda parte del presbiterio è caratterizzato dal vero e proprio bema
(zona riservata al clero nelle chiese bizantine dove è collocato
l’altare, separata dal nàos dall’iconostasi) a cui sia accede dalle celle, o transetti,
attraverso una seconda recinzione a due varchi. Dal bema si aprono due absidi semicircolari che concludono la chiesa. Il
livello pavimentale del piano originario è sconosciuto a causa della
grande quantità di detriti accumulatasi nel tempo sul piano di
calpestio. La chiesa doveva essere completamente affrescata; oggi purtroppo dei dipinti originari sono rimasti solo dei frammenti lungo le pareti del nàos, mentre sono visibili e in buone condizioni gli affreschi del bema e delle celle presbiteriali. L'affresco con i santi Eligio, Cosma e Damiano (XIII secolo).
Sulle pareti del nàos è
affrescata la figura di san Giorgio il cui culto si diffuse in Occidente
in seguito alle crociate: è rappresentato in assetto da battaglia,
seduto su di un cavallo bianco coperto da un drappo chiaro, impugna
un’asta con la quale colpisce il dragone alato posto in basso al
riquadro. Non indossa l’abito militare bizantino, come vorrebbe
l’iconografia originale, ma un abito militare “all’occidentale”,
impreziosito con delle croci sullo scudo e sul drappo. Questo farebbe
supporre che la committenza dell’opera fosse legata in qualche maniera
alle crociate.
Sulla parete sinistra del nàos
è dipinta la figura di un giovane santo imberbe il cui nome rimane
sconosciuto a causa delle condizioni frammentarie dell’affresco.
Sulle pareti del bema compare
sant'Eligio, un santo normanno molto venerato dai pellegrini. È dipinto
in posizione frontale, olosomo, mentre benedice con la mano destra alla
latina. Indossa l’abito episcopale latino formato dalla mitria bassa,
qui decorata con una T rovesciata, dalla penula a punta (casula
indossata dai preti durante le funzioni liturgiche), dai guanti bianchi,
ma non impugna il bacolo (bastone vescovile). L’uso di questi
attributi iconografici, tipicamente latini, farebbero risalire
l’affresco al XIII secolo. Sant'Eligio è rappresentato tra i simboli
(la cui valenza è apotropaica e taumaturgica) dei maniscalchi,
finanziatori della decorazione parietale della chiesa: i ferri, le
tenaglie, i chiodi e il mulo.
La decorazione sulle pareti del bema
continua con i santi Cosma e Damiano, rappresentati anch’essi con gli
attributi iconografici occidentali, infatti indossano vesti riccamente
decorate e acconciature tipiche della corte angioina di Taranto e
Napoli, e con i santi Pietro e Paolo vestiti entrambi con il mantello e
la tunica e caratterizzati dagli attributi iconografici latini classici:
calvizie e spada per san Paolo e le doppie chiavi per san Pietro. Per
queste caratteristiche gli affreschi sono datati tra XIII e XIV secolo.
Nella zona della cella-transetto compare un’Annunciazione, ridipinta
successivamente rispetto all’affresco originario d’impianto
bizantino, che risalirebbe al XV secolo: l’Angelo e Maria sono stanti
e le loro figure si stagliano su uno sfondo caratterizzato da un
tabernacolo trilobato.
Sempre nella zona del transetto è dipinto san Leonardo, monaco
benedettino e patrono dei prigionieri. Il santo è rappresentato in
posizione frontale, con il tipico abito monastico fornito di cocolla
(sopraveste con cappuccio).
Gli affreschi delle absidi appaiono molto alterati: la Dèesis
(Cristo in trono tra la Vergine e san Giovanni Battista in preghiera)
dipinta in origine è affrescata nell’abside destra ma appare
completamente trasformata rispetto all’originale: la Vergine orante è
stata sostituita da una figura giovanile, mentre il Pantocratore (Dio in
trono, Onnipotente) è stato trasformato nel Padre che sorregge con le
braccia il Figlio in croce secondo l’iconografia occidentale della
Trinità. In basso a sinistra è dipinta una piccola figura, forse il
committente della decorazione pittorica.
Sulla parete dell’abside sinistra compare l’immagine poco leggibile
di una Madonna con Bambino, mentre di particolare interesse appare la
decorazione posta lungo il profilo dell’abside, con racemi (motivo
decorativo che imita i tralci vegetali) bicromi nascenti da un’anfora
di tipo orientale.
La decorazione pittorica della chiesa unisce quindi, in un unico ciclo,
santi appartenenti all’agiografia orientale, come i titolari della
chiesa Andrea e Procopio, e santi il cui culto e devozione appartengono
alla cultura italo-normanna, divulgata in Italia meridionale dai monaci
benedettini e accolta dalla popolazione rurale. Basta pensare che i
santi Eligio, Leonardo, Cosma e Damiano, affrescati nella chiesa di
Monopoli, compaiono anche, per volere dei dominatori normanni, nel duomo
di Monreale a Palermo. La presenza contemporanea sulle pareti della chiesa di santi orientali, santi militari, santi monaci e santi appartenenti all’agiografia occidentale, molto venerati sia dalla popolazione locale che dai pellegrini diretti in Oriente, in sosta a Monopoli, testimoniano la continuità abitativa del sito dall’XI al XV secolo e soprattutto confermano il ruolo di crocevia religioso-artistico e culturale rivestito dai casali e dai santuari rupestri lungo le strade principali come la via Traiana verso Brindisi, e la via Appia verso Taranto. Inoltre lo studio delle chiese rupestri, presenti sul territorio tra Bari e Brindisi, ha rilevato delle caratteristiche comuni importanti: i cicli pittorici presentano, contemporaneamente, elementi iconografici del culto latino e del culto greco (compare sovente l’immagine della Vergine il cui modello di riferimento è la Madonna di Costantinopoli, o san Nicola primo fautore dell’ecumenismo), nella maggior parte dei casi l’impianto delle chiese è a pianta centrale o ad aula unica priva di pilastri ed è presente la recinzione presbiteriale a templon, come nelle chiese bizantino-ortodosse.
Dal punto di vista artistico
conosciamo, attraverso l’epigrafe sulla facciata, solo il nome del
diacono-maestro Giovanni, si ignorano gli autori degli affreschi anche
se la sovrapposizione degli strati pittorici, e le alterazioni
iconografiche apportate al ciclo pittorico in epoche successive, rendono
difficile una lettura chiara dell’apparato decorativo originario della
chiesa Tutti questi elementi non fanno altro che confermare ulteriormente i legami religiosi e culturali che intercorrevano tra la Puglia e l’Oriente in un Medioevo locale, non molto lontano e troppo spesso sminuito, che ha assistito alla coesistenza pacifica e civile di gruppi etnici di diversa provenienza e di diversa fede religiosa.
Chionna A.,
Gli insediamenti rupestri nel territorio
di Fasano, Fasano 1975.
Dell’Aquila F.
-
Messina A.,
Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata,
Bari 1998.
Lavermicocca N.,
Gli insediamenti rupestri del territorio
di Monopoli, Bari 1977.
Lavermicocca N., I sentieri delle grotte dipinte,
Bari 2001.
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