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a cura di Stefania Sivo
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Le immagini: pag. 1 la scheda bibliografia
Fasano, chiesa rupestre di Lama d'Antico (XI-XII secolo): l'ingresso.
Il villaggio e la chiesa rupestre di Lama
d’Antico si trovano nel territorio di Fasano, a poca distanza dal sito
archeologico di Egnazia (l’antica Gnathia),
città di origine romana molto fiorente, dedita ai commerci con l’Oriente e di
cui si ha notizia fino al VI secolo d.C. La città, dotata di due basiliche, di
cui una episcopale, annoverava tra le personalità eminenti il vescovo
Rufentius, noto per aver partecipato ai sinodi convocati a Roma da papa Simmaco
nel 501, 502 e 504 sottoscrivendone gli Atti. Gli
ultimi documenti relativi alla città risalgono al 504, dopo questa data
Egnazia scompare misteriosamente dai documenti e dalle cronache del tempo.
Per capire le cause probabili di questa misteriosa scomparsa è
necessario ricostruire le vicende politico-militari dell’Italia meridionale
nel VI secolo, periodo storico molto complesso a causa di diversi eventi nefasti
per il territorio: la guerra greco-gotica, avvenuta tra il 535 e il 553 d.C. (il
cronista Procopio da Cesarea non cita la città di Egnazia nei suoi scritti), la
discesa dei Longobardi, a partire dal 568, e le prime incursioni arabe a danno
delle coste pugliesi, potrebbero aver contribuito allo spopolamento di alcuni
centri abitati, tra cui Egnazia.
Il villaggio rupestre di Lama d’Antico quindi potrebbe essere sorto
dalla diaspora degli abitanti della città romana che, abbandonate le proprie
case a causa dei continui saccheggi e devastazioni, trovarono rifugio nelle
campagne circostanti, optando per una scelta abitativa economica e rapida, quale
quella del “vivere in grotta”.
In concomitanza con la dominazione bizantina (X-XI secolo) e con la
politica di riorganizzazione territoriale in chorìa, veri e propri villaggi rurali (quindi unità insediative
stabili) popolati da nuclei famigliari di diversa origine etnica, sorge il
villaggio rupestre di Lama d’Antico al cui centro
era collocata la chiesa della comunità, riconoscibile per la facciata maestosa,
in origine completamente affrescata. Purtroppo nessun documento d’archivio è
rimasto a confermare l’esistenza di questo villaggio, ma alla carenza
documentaria sopperisce la pietra con la sua testimonianza di vita vissuta.
Le abitazioni e i laboratori, scavati nella
roccia, lungo la lama, sono molteplici e in alcuni casi anche di grande
dimensione; il ritrovamento di macine testimonia inoltra la presenza di trappeti
per la produzione dell’olio, e di frantoi, indispensabili all’economia
rurale dell’insediamento.
La chiesa, situata al centro di un’ampia
area rurale, caratterizzata da diversi insediamenti, è collocata, in maniera
inusuale rispetto alle altre chiese rupestri, in posizione centrale rispetto
all’abitato e soprattutto nei pressi di quella che doveva essere la strada
principale, situata sul fondo della lama.
È bene ricordare, a tal proposito, che tra
Bari e Brindisi il tratto finale della via Francigena coincideva con la via
Traiana, lungo la quale erano sorti luoghi di culto visitati dai pellegrini in
partenza e in ritorno dalla Terra Santa, e dedicati ai santi, spesso orientali,
e alla Madonna (ricordiamo il culto di san Leucio e san Teodoro a Brindisi, o
quello fortissimo per l’icona della Madonna della Madia a Monopoli e la
Madonna della Fonte a Conversano).
Ma accanto ai santuari di grande importanza sorsero tante altre chiese
minori, sia costruite che scavate lungo le lame e nelle campagne, a sud-est di
Bari (Mola, Polignano, Monopoli, Fasano).
Quindi la chiesa di lama d’Antico (non si
conosce il santo a cui era dedicata) si presentava come una chiesa al centro di
un percorso stradale importante, nei pressi della via Traiana, attraversato
soprattutto da pellegrini diretti in Oriente. La presenza, all’interno della chiesa, della cattedra vescovile, scavata nel tufo, fa supporre che il santuario ricoprisse, nel territorio circostante, l’importantissima funzione di chiesa episcopale. È probabile quindi che il chorepiscopo, cioè il vescovo itinerante addetto all’amministrazione dei sacramenti nei villaggi rurali, visitasse periodicamente la ecclesìa rurale, visto che la chiesa è fornita di un seggio a lui riservato.
La facciata maestosa, caratterizzata da due
varchi e da una finestra, in origine doveva essere completamente affrescata,
purtroppo della decorazione originaria oggi resta soltanto un’immagine
sbiadita di un santo vescovo. Ai lati della facciata si vedono due pozzetti la
cui funzione non è chiara: è probabile che servissero per le abluzioni
di purificazione prima della liturgia, o più
semplicemente per raccogliere l’acqua che scendeva dal piano superiore della
cripta attraverso due incavature nella roccia.
La pianta della chiesa ha come modello di
riferimento un edificio a croce greca contratta di tipo arcaico, tipologia che
ha avuto molta fortuna tra IX e XI secolo nella Grecia meridionale ed insulare:
si tratta di chiese di piccole dimensioni formate solitamente da un unico
ambiente, voltato a botte, caratterizzato dalla contrazione dei bracci laterali
che si riducono ad arconi e dalla presenza della cupola all’incrocio dei
transetti.
Alcuni esempi di chiese murarie con la pianta
a croce greca contratta, datate fra la metà dell’XI secolo e la fine del XII
secolo, sono riscontrabili in Puglia e Basilicata: la chiesetta di San Felice
nel casale di Balsignano (nell’agro di Modugno), Santa Margherita a Bisceglie,
San Vito a Corato e Sant’Angelo al Raparo in Basilicata. La chiesa di Lama
d’Antico, essendo stata scavata e non costruita, appare come l’unico caso in
Puglia a presentare questa tipologia, se pur con delle varianti dettate dalle
esigenze di scavo.
La chiesa presenta infatti una pianta
allungata, di circa m 10,20 x 6,10, formata da due navate di ampiezza diversa
interrotte al centro, in corrispondenza dell’ingresso laterale, da una larga
cupola (ormai scomparsa) il cui tamburo misura m 3,30 x 2,50. La cupola,
perforando il banco roccioso, si rivelava all’esterno con una caratteristica
copertura in embrici (tegole di terracotta), di derivazione bizantina, i cui
frammenti sono stati ritrovati sul piano di calpestio, durante le prime
ispezioni effettuate nella grotta.
Le navate presentano la copertura a volte a
botte, le cui diverse altezze rivelano chiaramente il modello architettonico cui
si è ispirato il progettista della chiesa: gli edifici a croce greca contratta
di tipo arcaico presentano infatti questa variazione delle volte, cioè
risultano diverse per ampiezza e per quota, anche se nella chiesa di Lama
d’Antico manca una navata rispetto all’archetipo. La planimetria basilicale
di Lama d’Antico, unico esempio di chiesa pugliese con volte a botte
differenziate con cupola visibile all’esterno, appare quindi come una chiesa a
croce greca inscritta in un quadrato, mutilata però di parte del transetto
trasversale (che si interrompe all’incrocio con la navata laterale) e di una
navata, quella destra, che per esigenze di escavazione o per cause a noi ignote,
non è stata mai realizzata. Fasano, chiesa rupestre di Lama d'Antico (XI-XII secolo): navata centrale e abside.
Gli ingressi della chiesa sono due, quello
principale è posto sul lato lungo della navata più grande, l’altro immette
direttamente nel bema, illuminando la
zona presbiteriale. Sulla facciata, tra le due porte, è stata scavata una
finestra. Le tre aperture inondano di luce l’interno della chiesa creando un
effetto completamente diverso rispetto alle altre chiese rupestri, buie e
illuminate di solito da una sola fonte di luce.
La cripta, orientata liturgicamente, è
completamente affrescata e sulle pareti è possibile notare il palinsesto
formato da quattro strati di intonaco affrescato corrispondenti a quattro epoche
diverse. Ricostruire il ciclo pittorico del santuario non è cosa semplice,
anche perché gli affreschi rimasti sono poco leggibili e in stato frammentario.
Sulla parete che divide le due navate, in alto, si vede ciò che rimane di una composizione formata da tre figure: a destra c’è la Vergine con il Bambino, ai cui lati del nimbo c’è l’iscrizione IC - XC, mentre al centro compare san Lorenzo, dal volto giovane, con una veste rossa riccamente decorata e con l’iscrizione o αγιos − λαυρεη − τιos ai lati del nimbo giallo. A sinistra è affrescato san Teodoro con barba e veste di color rosso, ai lati del nimbo c’è l’iscrizione Θεoδωρos.
Sulla stessa parete, sull’ultimo arco che
divide le due navate, compare in un riquadro rosso su fondo blu una figura
giovanile, forse un santo diacono: indossa una veste rossa orlata a losanghe
scura con fondo giallo e calzari rossi. Presenta il nimbo di color giallo, la
mano destra è scomparsa mentre la sinistra è ripiegata sul petto ed è coperta
da un panno bianco.
Sulla parete posta tra la parete d’ingresso
e il fondo della navata principale si vede un trittico formato da una prima
figura che
si vede appena, da un santo con barba e capelli
bianchi che porta nella mano destra un bastone e da una terza figura, un santo
vescovo, dai classici abiti episcopali, con barba e capelli scuri, privo però
di mitria (copricapo portato dai vescovi). Con la mano destra impugna il
pastorale mentre con al sinistra regge un libro, sulla cui rilegatura c’è una
croce.
Sulla parete di fronte che separa le due
navate vi è un altro trittico di cui si vedono appena due figure: la prima
figura ha il volto giovanile e indossa abiti riccamente decorati, forse un
diacono, mentre la seconda figura è un santo vescovo con omophòrion (stola ornata di sei croci nere e di frange, indossata
dall’arcivescovo metropolita come simbolo della potestà nella propria
provincia).
All’interno, lungo le pareti che vanno
dall’ingresso fino alla navata più piccola, sono state scavate 23 arcate
cieche affrescate con figure di santi vescovi, il cui stato di conservazione non
è buono a causa della continua esposizione agli agenti atmosferici delle
pitture.
Tutte le arcate erano affrescate ma oggi
restano solo tre figure frammentarie lungo la parete di fronte all’ingresso:
la prima figura ha i capelli e la barba chiari, indossa un omophòrion crocesegnato e un phailònion
(penula indossata dai sacerdoti per la celebrazione) ricamato con cerchi
concentrici rossi e perline bianche e blu. Con la mano destra benedice alla
greca, mentre con la sinistra regge un libro decorato (forse il Vangelo), ai
lati del nimbo giallo l’iscrizione in greco, frammentaria, non permette
l’individuazione del santo raffigurato.
La seconda figura indossa sul capo una mitria
bianca decorata con cerchietti di perline bianche su fondo blu, ha i capelli e
la barba scuri, con la mano destra benedice alla greca mentre la mano sinistra
non è più visibile; indossa un omophòrion
con croci posto sul davanti a forma di T, un phailònion rosso decorato con perline bianche su fondo blu. Ai lati
del nimbo c’è un’iscrizione poco leggibile.
La terza figura, come le precedenti, indossa
abiti episcopali: omophòrion bianco
crocesignato con phailònion decorato
con croci scure e sulla testa, posta obliquamente, porta una mitria piccola. Ha
i capelli e la barba bianchi. Anche in questo caso l’iscrizione è
illeggibile. In corrispondenza delle arcate è stato ricavato un sedile, che corre lungo tutto il perimetro dell’aula, il sintrono, destinato ai fedeli. In direzione dell’ultima arcata, in fondo alla navata minore, su un livello di calpestio più alto, si apre una piccola abside con un altare attaccato al muro ed un sedile a braccioli, è la cattedra del chorepiscopo, separato dagli altri sedili da un muretto litico.
La
cattedra del chorepiscopo.
Il piccolo altare attaccato al muro svolgeva
funzione di diaconico (il diakonikon
è un piano d’appoggio posto solitamente a destra dell’altare
centrale utilizzato per la conservazione del vasellame e dei paramenti sacri
nelle chiese bizantine), mentre nell’abside una
piccola nicchia era usata come protesi (piano
d’appoggio, posto solitamente a sinistra dell’altare, che accoglieva le
offerte del pane e del vino e su cui avevano inizio l’azione liturgica ed i
riti propedeutici alla consacrazione). Una
coppia di incassi arcuati, all’interno del diaconico, doveva accogliere i
dittici per la commemorazione dei defunti e dei viventi da parte del diacono.
A lato della nicchia che fungeva da protesi si
vede una figura femminile con veste blu, mantello scuro e calzari che benedice
alla greca con la mano destra, mentre con la sinistra stringe un rotolo. Dalle
tracce litiche rimaste nella zona presbiteriale, sul piano di calpestio, si è
dedotto che l’altare dell’abside centrale fosse a blocco, o alla greca, cioè
risparmiato nella roccia durante l’escavazione della chiesa. In seguito al
Concilio lateranense del 1215 l’altare a blocco verrà sostituito con
l’altare parietale o alla latina, addossato alla parete absidale. Questo
conferma la datazione della chiesa al X-XI secolo.
Il bema (zona
riservata al clero, dove si celebra la liturgia) è collocato su un piano più
elevato rispetto al piano di calpestio delle due navate ed è separato dal resto
della chiesa da un cenno di muretto che sostituiva l’iconostasi. Nell’abside
restano labili tracce di una Dèesis con
angeli, mentre nella parte superiore dell’arcata, che comprende l’abside, è
affrescata una scena, molto rovinata, di una Teofania: Cristo Pantocratore (Dio
in trono, Onnipotente), tra la Vergine con il Bambino
e san Giovanni Battista, presenta il nimbo crocifero giallo, indossa un manto
rosso ricamato ed i calzari. È in piedi nella mandorla di luce dal fondo chiaro
trapuntato di stelle; benedice alla greca con la mano destra, mentre con la
sinistra sostiene il Vangelo sul quale si riesce a leggere in greco qualche
lettera (forse il passo di san Giovanni VIII, 12: «Di nuovo Gesù parlò loro: “Io sono la luce del mondo; chi segue me
non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce delle tenebre”»).
A destra è affrescata in piedi la Vergine che
regge sul petto il Bambino, lei indossa una veste blu e un maphorion rosso mentre il Bambino, che poggia i piedini su un
cuscino rosso, indossa una veste rossa. Tra la Vergine e il Cristo c’è un
leone nimbato (simbolo dell’evangelista Marco). A sinistra, in piedi, c’è
san Giovanni Battista con nimbo giallo, tunica rossa, manto blu e calzari. Tra
san Giovanni Battista e Cristo compare un bue nimbato (simbolo di san Luca).
Probabilmente sulla parte superiore del riquadro dovevano essere dipinti gli
altri due simboli degli evangelisti (l’aquila per san Giovanni e l’angelo
per san Matteo), ma oggi restano pochissime tracce dell’affresco originario.
Al di sopra dell’abside e della nicchia c’è un’iscrizione in greco di cui
restano poche lettere.
Sugli stipiti della porta che dava accesso al bema
sono scolpite due croci greche.
Sulla parete di fronte all’abside sono
affrescati 5 figure di santi di cui sono riconoscibili solo san Biagio con phailònion
scuro e omophòrion, ai lati del nimbo giallo c’è l’iscrizione in greco
o αγιos
Βλαcιos, e i santi Cosma e Damiano. Le altre due figure
rappresenterebbero un santo vescovo con
barba vestito in abiti episcopali, e un santo giovane
con veste e manto rosso.
Accanto alla chiesa si apre un vano,
anch’esso scavato nella roccia, il cui ingresso era intonacato. La presenza di
una vasca al suo interno fa supporre che la grotta dovesse essere il luogo della
prima chiesa, solo successivamente adibita a battistero.
La chiesa doveva aver avuto una funzione
cemeteriale infatti, al suo interno e nei suoi pressi, sono state rinvenute
delle sepolture che confermano tale ipotesi: nella cripta sono state rinvenute
tre sepolture, una di fronte all’abside e le altre due all’ingresso del
santuario. In una grotta attigua adibita a cappella funeraria sono state
rinvenute due sepolture e sul piano superiore di una cripta sotterranea, scavata
sul lato ovest della chiesa, altre due.
Comune a tutte le sepolture è la direzione in
cui veniva posizionata la testa dei defunti, rivolta sempre verso est.
Il ritrovamento di due monete, una di epoca romana e l’altra datata al
969-976, periodo dell'imperatore
bizantino Giovanni I Zimisce, e frammenti di ceramica dell’alto e del basso Medioevo, confermerebbero la continuità insediativa del sito rupestre
dall’epoca romana al Medioevo.
Chionna
A., Il
villaggio rupestre di Lama d’Antico, Fasano 1973. Chionna
A., Gli
insediamenti rupestri nel territorio di Fasano, Fasano 1975. Dell’Aquila
F.
- Messina A.,
Le chiese rupestri di Puglia e
Basilicata, Bari 1998. Falla
Castelfranchi M., Pittura
monumentale bizantina in Puglia, Milano 1991. Lavermicocca
N., I
sentieri delle grotte dipinte,
Bari 2001. Mongiello
L., Chiese
di Puglia, il fenomeno delle chiese a cupola, Bari 1988.
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©2006 Stefania Sivo, testo e immagini