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a cura di Stefania Mola

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Prospetto

 

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Troia

  

Rosone  Parete laterale sinistra: particolare della decorazione esterna  Parete laterale sinistra: lunetta del portale  

  

Porta bronzea principale (1119)  Particolare della porta bronzea principale: drago  Particolare della porta bronzea principale: maschera leonina reggibattaglio  Particolare della porta bronzea laterale (1127) con l’iscrizione dedicatoria, il vescovo Guglielmo II e altri due vescovi

   

Interno verso l’abside  Interno verso la controfacciata  Particolare del pulpito sullo sfondo del rosone absidale  Pulpito  Particolare scultoreo del pulpito  Particolare scultoreo del pulpito (aquila del leggio)  Particolare del colonnato della navata

  

  

     

LA SCHEDA

Il luogo

Troia è considerata l’erede della città di Aecae, di cui conserva la posizione strategicamente ubicata sull’antica rete viaria. Non fu tuttavia un’eredità “automatica”, bensì una vicenda fatta di decadenze, abbandoni, sopravvivenze silenziose; fino alle soglie del Mille quando, nel luogo della città attuale, si sa di due nuclei abitati, raccolti intorno ad altrettanti conventi, uno basiliano e l’altro benedettino, congiunti da una strada che a buona ragione era denominata “via tra due terre”. Su questa strada, oggi via Umberto I, si articolò in seguito la roccaforte voluta dal catapano Basilio Boiohannes, che nel 1019 rifondò Troia insieme a Fiorentino, Civitate, Dragonara, Tertiveri e Montecorvino, “città di frontiera” poste a difesa del confine settentrionale della regione.

Troia divenne sede vescovile dal 1031, e precocemente mise da parte riti e liturgia greca per diventare uno dei più importanti centri religiosi del Mezzogiorno, legato culturalmente e politicamente alla Chiesa di Roma, fedele ai pontefici ed ostile a sovrani e imperatori. A lungo la città si difese dalla penetrazione normanna che si andava espandendo in tutta la regione, costringendo il Guiscardo a scendere a patti con essa, e a farne uno dei cardini della propria politica nella Puglia settentrionale. Nella posizione più elevata della città Roberto il Guiscardo costruì un castello in concomitanza con la cinta muraria che, insieme alla strada, diede forma alla città, ed importanza alla cattedrale, fondata in quegli anni in posizione baricentrica, in uno spiazzo adiacente la via principale. Intitolata a Santa Maria, l’antica cattedrale doveva essere un edificio di modeste dimensioni, che nella sua muratura reimpiegò una notevole quantità di materiale di riporto.

Note storiche ed architettoniche

Intorno al 1093 Santa Maria subì un ampliamento direttamente legato all’accresciuto peso della città nel quadro politico e militare del Mezzogiorno normanno; una vera e propria rifondazione che la trasformò, nel corso del XII secolo, in un’aula basilicale tripartita da dodici colonne antiche (più una abbinata alla prima di destra) disposte su due filari; le murature, percorse da arcatelle su paraste, si articolarono giocando sulla raffinata alternanza cromatica del calcare e di una pietra verde simile all’arenaria, evocando atmosfere orientali ed analogie con le coeve soluzioni pisane, rafforzate anche dalla presenza di medaglioni intarsiati di gusto islamico che arricchirono all’esterno il fianco orientale della navata.

Questa prima campagna di lavori – impostata dal vescovo Girardo e, dopo il 1106, patrocinata e finanziata dal vescovo Guglielmo II – fu suggellata dalla porta di bronzo firmata da Oderisio da Benevento, collocata sul prospetto principale entro il 1119; forse già Guglielmo mise mano alla costruzione del capocroce (che avrebbe definitivamente inglobato, recuperandone parte dei materiali antichi, la precedente chiesa di S. Maria) così come lascia capire un’epigrafe incisa su un blocco marmoreo nella muratura dello stesso (riecheggiata nei toni encomiastici e nei contenuti dalle parole incise nel registro inferiore della porta) e coincidente con il possibile recupero di parte dell’antico paramento murario.

L’importante presenza ecclesiastica a Troia ed il privilegio di dipendere direttamente dalla Santa Sede, determinò di fatto che il vescovo fosse anche l’indiscussa autorità civile e l’episcopio rappresentasse, per lunghi periodi, il fulcro reale e simbolico della città. La porta bronzea maggiore fu certo concepita e realizzata, oltre che come necessario complemento (da un punto di vista formale) al semplice portale architravato, soprattutto per celebrare il clima trionfale che in quegli anni circondava la nuova cattedrale ed il suo vescovo, importante mediatore tra il papato e i baroni normanni all’interno del quadro della lotta per le investiture.

Nel 1127, a soli otto anni di distanza dall’esecuzione della porta maggiore, lo stesso vescovo gli commissionò la porta laterale, di minori dimensioni e più semplificata rispetto alla precedente, specchio di tempi tormentati e frutto – nella sua sobrietà – di una programmatica scelta di linguaggio che privilegiasse la rapidità di esecuzione e l’efficacia del messaggio da trasmettere: celebrare l’immagine della collettività troiana stretta attorno ai suoi vescovi ancor più nelle avversità e nella crisi.

Nella seconda metà del XII secolo, sulla scia dell’impulso impresso in campo architettonico ed artistico dal vescovo Guglielmo (che resse la diocesi sino al 1141), si crearono le condizioni idoneee all’esecuzione e all’acquisizione di preziosi oggetti e di sontuose suppellettili sacre. 

Uno dei risultati della rinnovata elaborazione artistica e culturale fu l’Exultet 3, rotulo liturgico legato alla veglia pasquale eseguito quasi certamente in città, ma senza un reale rapporto con il rituale, giacché le ricche scene miniate furono tutte disposte nello stesso senso della scrittura.

Altri rotuli di Exultet coevi risultano (al contrario) progettati e realizzati perché al momento della cerimonia pasquale possa istituirsi quel particolare rapporto tra i fedeli e l’ambone, favorito dall’impostazione rovesciata delle immagini rispetto al testo.

L’intento della committenza troiana fu certamente quello di confezionare una sontuosa suppellettile liturgica che (destinata piuttosto all’ostensione pubblica) andasse ad arricchire il Tesoro della cattedrale.

Exultet 3, sezione 7 (Troia, Archivio Capitolare)

Con Guglielmo III, nel 1169, venne realizzato il pulpito, testimonianza preziosa degli scambi culturali tra Capitanata ed Abruzzo, mentre con Gualtieri (a cavallo dei secoli XII e XIII) l’edificio venne ultimato, con la costruzione del capocroce, del braccio sinistro del transetto e l’esecuzione della decorazione esterna dell’abside.

Intanto, la fiera opposizione a Federico II, che nella vicina Lucera stava trasferendo una folta comunità saracena, costò a Troia (più che mai guelfa ed autonomista) il feroce saccheggio del 1229, con la parziale distruzione delle sue mura e delle sue case.

Dopo il 1266 la città, alquanto malridotta e sofferente, rifiorì grazie agli Angioini, che presumibilmente restaurarono l’intera facciata della cattedrale (aprendo il trionfale rosone centrale ad undici raggi)  e realizzarono la copertura costolonata del coro.

Oderisio da Benevento tra tradizione e modernità

Poco si conosce della formazione culturale del fonditore Oderisio da Benevento, artefice mirabile delle porte bronzee della cattedrale troiana ed uno dei massimi protagonisti del primo romanico europeo. L’ampiezza e la modernità dei suoi referenti culturali sono affidate esclusivamente alle due porte troiane, giacché risultano ormai perdute le ante delle chiese di S. Giovanni Battista delle Monache a Capua e quelle di S. Bartolomeo a Benevento, che l’artista aveva firmato e datato nel 1122 e nel 1150-51.

Oggi splendidamente restaurata, la porta maggiore della cattedrale di Troia, costituita da ventotto formelle quadrangolari e venti rettangolari fissate su un supporto ligneo, fu realizzata utilizzando tanto la tecnica dell’agemina, quanto la fusione di pezzi anche a tutto tondo, con un effetto finale (in bilico tra il plastico ed il pittorico) davvero sorprendente. Le immagini occupano i vari registri seguendo una precisa gerarchia che, partendo dal Cristo giudice nella mandorla, si snoda attraverso i santi Pietro e Paolo, il vescovo Guglielmo, due personaggi identificati come Bernardo ed Oderisio ed i santi protettori della città (Secondino, Eleuterio, Ponziano ed Anastasio, rifatti nel Cinquecento), tutti caratterizzati dalla lieve vibrazione cromatica conferita dall’agemina. Il continuo crescendo del ritmo (all’altezza del registro centrale) si fa palpabile nelle croci fogliate a rilievo basso, che con il loro morbido chiaroscuro anticipano i violenti contrasti chiaroscurali delle maschere leonine reggi-maniglia, emergenti da dischi traforati a giorno e, ancor più, dei draghi alati avviluppati come molle pronte a scattare, espressione di massima tensione plastica e punto più alto dell’intera composizione.

Nella porta minore, realizzata in un momento assai particolare per la vita della comunità troiana, Oderisio incise semplicemente ma con grande efficacia la superficie del bronzo, distribuendo sulle ventiquattro formelle le immagini dei vescovi della città, primo fra tutti Guglielmo, e i suoi otto predecessori, non mancando di conferire alle maschere leonine reggi-maniglia del registro centrale (più semplici e sintetiche rispetto a quelle della porta maggiore) il vigore sufficiente a farle emergere, spezzando l’uniformità della composizione.

In un’epoca e in un ambiente culturale e geografico da sempre legato a Costantinopoli, indubbiamente Oderisio dimostrò una grande indipendenza mentale, trasponendo con inusitato fervore nelle porte troiane i segni inequivocabili della grande arte dell’Occidente. Se le aperture in direzione di modelli genericamente definibili come occidentali possono essere ravvisate nella matura definizione plastica delle parti a rilievo (che rimanda senza dubbio alla coeva produzione in bronzo e scolpita dell’Europa romanza), la selvaggia energia emanata dai draghi attorcigliati e dalle maschere leonine rivela inequivocabilmente che la cultura del fonditore beneventano deve essersi nutrita del lato più visionario dell’arte romanica. E se le raffigurazioni antropomorfe ageminate della porta minore (in apparenza maggiormente convenzionali) dal punto di vista tecnico si ricollegano indiscutibilmente alla tradizione bizantina, se ne distaccano tuttavia da quello formale, negando alle figure l’immobilità solenne e ieratica tipicamente orientale. Nelle vitalissime sagome dei santi e dei vescovi troiani, fluttuanti nello spazio quasi a passo di danza, emerge una completa adesione a modi “moderni”, vicini in qualche modo alle coeve espressioni plastiche della Francia di sud-ovest, o alle miniature di area anglo-normanna.

Sono proprio le miniature o i libri di disegni, preziosi e rapidi veicoli di diffusione di certi stilemi e cifre grafiche, che potrebbero spiegare la composita formazione culturale di Oderisio da Benevento, tanto più in una città come Troia, dove si ipotizza l’attività di uno scriptorium e dove si conservano tre preziosi Exultet (quasi certamente confezionati in loco) che potrebbero aver fornito i modelli iconografici all’artefice. Nella definizione di questi elementi la critica recente ha giustamente ricordato il ruolo fondamentale spettato al committente, il vescovo Guglielmo II, ritenuto l’elaboratore del messaggio destinato ad essere eternato dal fonditore. Purtuttavia ulteriori contributi non mancano di sottolineare come Oderisio possa essere considerato non solo un mero esecutore, bensì anche un artefice dotato di straordinarie qualità selettive, in grado di registrare autonomamente ed in “tempo reale” le novità culturali irradiate d’Oltralpe. A questo proposito, senza andare troppo lontano, sono state ricordate le stringenti analogie stilistiche e formali tra la sua opera e la potente espressività di certa miniatura (l’Exultet della Biblioteca Casanatense) e scultura lignea (il Crocifisso di Mirabella Eclano) coeva, ritenute frutti maturi dell’assimilazione degli innesti culturali transalpini nel Mezzogiorno.

    

Da leggere:

M. De Santis, L'anima eroica della Cattedrale di Troia, Foggia 1958;

M. De Santis, La «Civitas Troiana» e la sua cattedrale, Foggia 1976;  

M. Pasculli Ferrara, Troia, in M. Pasculli Ferrara, Arte napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo (dai Documenti dell’Archivio Storico del Banco di Napoli a cura di E. Nappi), Fasano 1983, 2a ediz. 1986, pp. 71-72;  

N. Tomaiuoli, in Restauri in Puglia 1971-1983, Fasano 1983, II, pp. 375-381;  

R. Mastrulli, Elementi di arte barocca nella cattedrale di Troia, Quaderni a cura dell'Istituto Cattolico di Studi universitari e Formazione Popolare della Daunia - Troia, N.S. III, Foggia 1985;  

P. Belli D’Elia, S. Maria Assunta a Troia, in La Puglia [Italia Romanica, 8], Milano 1987, pp. 405-430;  

P. Belli D'Elia, Per la storia di Troia: dalla chiesa di S. Maria alla cattedrale, in «Vetera Christianorum», 25 (1988), f. 2, pp. 605-620;  

A. Cadei, Porta Patet, in Ianua Maior, catalogo della mostra (Benevento 1988), Roma s.d., pp. 12-23;  

P. Belli D'Elia, Le porte della cattedrale di Troia, in Le porte di bronzo dall'antichità al secolo XIII, a cura di S. Salomi, Roma 1990, pp. 341-355;  

M. Pasculli Ferrara, Un S. Anastasio d’argento di Andrea De Blasio e Muzio Nauclerio nella cattedrale di Troia, in «Puglia Daunia» (1994), pp. 21-24;  

P. Belli D'Elia, s.v. Oderisio da Benevento, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, vol. VIII, Roma 1997;  

N. Tomaiuoli, La cattedrale di Troia: i restauri, in Castelli e cattedrali di Puglia a cent’anni dall’Esposizione Nazionale di Torino, catalogo della mostra a cura di C. Gelao e G. Jacobitti, Bari 1999, pp. 405-407;  

R. Gnisci, La cattedrale di Troia: il restauro della porta bronzea, ivi, pp. 409-411;

E. Marcovecchio, Troia, in Itinerari in Puglia fra arte e spiritualità, a cura di M. Pasculli, Roma 2000, pp. 90-91;  

V. Pace, Palinsesto troiano. Peccato giudizio e condanna sulla facciata di una cattedrale pugliese, in Opere e giorni. Studi su mille anni di arte europea dedicati a Max Seidel, a cura di K. Bergdolt e G. Bonsanti, Venezia 2001, pp. 67-72;

S. Mola - M. Pasculli Ferrara, La cattedrale di Troia, in Cattedrali di Puglia. Una storia lunga duemila anni, a cura di C.D. Fonseca, Bari 2001, pp. 63-69.

                

   

   

Le immagini che corredano questa pagina (ne sono autori Nicola Amato e Sergio Leonardi), sono tratte da volumi di Mario Adda editore, Bari.

   

©2002 Stefania Mola

   


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