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a cura di Stefania Mola
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Prospetto della Cattedrale.
Il
contesto Eretta tra XII e XIII secolo sull'area di una più antica chiesa vescovile (le cui tracce cospicue sono state rinvenute al di sotto dell'attuale quota di calpestio), la cattedrale di Ruvo si distingue per il singolare slancio della facciata aperta al centro da un ampio rosone e nella zona inferiore da tre portali. La medesima tensione ascensionale è avvertibile all'interno, modificato in parte rispetto al progetto originario impostato nel XII secolo, che prevedeva la realizzazione di un classico impianto basilicale con l'unica variante dei pilastri cruciformi in luogo delle colonne. Si preferì invece il più moderno schema a matronei (impostati ma mai conclusi) secondo il modello della basilica di S. Nicola a Bari, per il quale le modeste proporzioni complessive dell'edificio assunsero un inconsueto slancio verticale. La vicenda di Ruvo va letta sin dalle origini in relazione al percorso della via Traiana, e senza soluzione di continuità con il suo glorioso passato. Una lunga tradizione sottolinea la sua importanza come centro di sosta o civitas sulla strada proveniente da Benevento, e proprio attraverso questa via il Cristianesimo giunse, alimentando una storia che si spinge anche fin troppo indietro nel tempo. Infatti, secondo la tradizione locale, la città fu precocemente sede di diocesi, grazie al suo passato di municipio romano ed alla figura di san Cleto, ritenuto protovescovo di Ruvo e divenuto poi terzo papa, la cui memoria è da sempre collocata in un ambiente sotterraneo (oggi sottostante la chiesa del Purgatorio), comunemente noto come "cripta di S. Cleto". I
precedenti Con questa tradizione potrebbe essere in relazione la costruzione di un edificio - rinvenuto parzialmente al di sotto della cattedrale attuale, ad una quota inferiore alla basilica protoromanica su cui essa stessa poggia - databile all'età tardoantica e presumibilmente ai primi tempi della formazione della comunità cristiana locale. In virtù della continuità di frequentazione dei luoghi di culto (se di edificio di culto si trattava), e rafforzando ulteriormente la tradizione che vuole Ruvo sede antichissima di un vescovo, su questo primo edificio rappresentativo dell'abitato venne innalzato - in epoca imprecisata, ma comunque entro l'XI secolo - un edificio protoromanico a pianta basilicale, con pilastri circolari e cruciformi affrescati, in tutto simile - per ampiezza e proporzioni - ad una cattedrale. Esso doveva avere un pavimento musivo a grosse tessere bianche, con motivi geometrici disegnati da tessere nere e rosate che, per tecnica esecutiva e schema disegnativo, potrebbe essere stato realizzato nel corso dell'XI secolo. La fondazione di questo edificio meglio si accorderebbe con le teorie di chi, più ragionevolmente, ipotizza la nascita della diocesi tra VI e VII secolo, in concomitanza con le testimonianze relative ad una chiesa detta di S. Giovanni Rotondo, a pianta centrale e dotata di battistero, sorta nell'area meridionale del centro abitato. Dopo san Cleto, una cronotassi non del tutto attendibile annovera altri otto vescovi, giungendo a Giovanni II nel 493, ai tempi delle apparizioni dell'arcangelo Michele al vescovo sipontino Lorenzo. Poi, una vistosissima lacuna. Il primo vescovo ufficiale e storicamente accertato fu un certo Gioacchino de Zoniciis (intorno al 1009), ai tempi in cui la città doveva essere castrum sotto la giurisdizione di Trani e temporaneamente considerata sede vescovile suffraganea di quella città; già nel 1025 - in una bolla papale indirizzata all'arcivescovo barese Bisanzio - Ruvo compare nell'elenco dei castelli dipendenti da Bari. La città venne ricostruita e fortificata dai Normanni, ed unita amministrativamente alla contea di Conversano; i resti del nucleo più antico del suo castello risalirebbero infatti al XII secolo, mentre del sistema di fortificazioni doveva far parte anche quella torre che in seguito avrebbe assunto la funzione di campanile della cattedrale.
Gli scavi sottostanti Una
lunga storia
Probabilmente alla fine del XII secolo, abbattuta la basilica già esistente - forse parzialmente danneggiata da un terremoto - venne fondata l'attuale cattedrale, che sarebbe stata completata nel corso del secolo successivo dopo un tormentato iter costruttivo pieno di ripensamenti ed incertezze. Inizialmente ideato facendo riferimento a modelli cassinesi (quali potevano essere l'antica cattedrale di Bari o la prima versione di quella di Trani), il nuovo edificio fu progettato nelle forme di una basilica a tre navate senza matronei, conclusa da un transetto ad aula unica sotto al quale si sarebbe estesa una cripta a sala. La costruzione sfruttò in parte i sostegni dell'edificio preesistente, del quale seguì l'allineamento e l'orientamento. Nel lungo protrarsi dei lavori, più volte il progetto iniziale fu modificato, dando spazio - tra l'altro - ai matronei (impostati e mai conclusi) che comportarono un notevole e sproporzionato innalzamento della costruzione. La cattedrale, nota per il singolare prospetto a spioventi estremamente inclinati (che conferiscono all'edificio uno slancio particolarissimo), per il portale maggiore dalla ricca decorazione e lo splendido rosone a dodici raggi, costituisce una significativa e fascinosa testimonianza di tutti quegli squilibri, quei ripensamenti, quei dubbi che dovevano tormentare gli operatori locali nel corso delle attività di cantiere, sempre in bilico tra la suggestione dei modelli - in genere appartenti ad un codice linguistico nordico e, in senso lato, europeo - e l'osservanza della tradizione autoctona. Una tradizione radicata e secolare se, ancor oggi, può essere difficile riconoscere la mano degli scalpellini che un secolo fa integrarono le lacune dell'arredo e della decorazione plastica con perfette sostituzioni "in stile". In epoca sveva la città fu feudo a sé e conobbe una certa rinascita culturale ed economica, contraddistinta dal proseguimento dei lavori in cattedrale, con la realizzazione - all'interno - di un ballatoio su mensole sostitutivo dei matronei non praticabili, la decorazione scultorea dei tre portali, nonché la serie di mensole figurate del fianco meridionale esterno, tra le quali trovarono posto suggestioni dell'antico e rimandi alla coeva scultura della porta federiciana di Capua. L’enigma del "Sedente" La tradizione vuole che l'imperatore Federico II sia stato parziale finanziatore del completamento dei lavori, e per questo motivo lo identifica da sempre nell'enigmatica
figurina seduta collocata in una nicchia al di sopra del rosone di facciata. Di oscuro significato - non trattandosi di una figura sacra pur trovandosi in posizione eminente all'interno della logica compositiva del prospetto - il personaggio raffigurato ha talora evocato una figura apocalittica munita del libro dei sette sigilli. Purtuttavia - nello schema iconografico - essa riproduce piuttosto l'immagine di un dotto, molto vicina alla rappresentazione del poeta Virgilio effigiato a Mantova nelle due varianti del Palazzo dei Podestà e del Museo di Palazzo Ducale, secondo un tipo che anticipava quello notissimo del lettore bolognese.
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©2003 Stefania Mola