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a cura di Gianluca Lovreglio

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Veduta frontale

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Taranto  Atrio con veduta esterna dell'antico hospitium (poi refettorio)  Ingresso all'atrio dell'abbazia

 

Cappella settecentesca: particolare dell'altare  Cappella settecentesca: la volta ad ombrello  Chiesa: particolare della volta costolonata  Primo piano: porta e scaletta di accesso alla torre  Primo piano: corridoio con accessi a piccoli locali (celle?)

 

 Primo piano: disimpegno  Primo piano: finestra sul corridoio  Primo piano: vano  con finestra sull'esterno  Refettorio: dipinto murale restaurato  Refettorio: particolare del dipinto murale  

 

Refettorio: particolare del dipinto murale  Atrio visto dall'ambiente che collega la chiesa al refettorio  I silos della raffineria che circonda il complesso monumentale  Portale d'ingresso alla chiesa trecentesca  Finestra cinquecentesca aperta sul refettorio  

 

Particolare di una caditoia  Esterno della chiesa trecentesca  Chiesa angioina con portale in stile durazzesco e stemma degli olivetani  Vasca di raccolta delle acque metoriche provenienti dal toro del muro di cinta dell'antico chiostro

  

  

     

LA SCHEDA

   

Il sito ove sorge il monastero di Santa Maria della Giustizia nei pressi del mare e del fiume Tara è lo stesso che ha ospitato l’hospitium peregrinantium di S. Maria del Mare, fatto costruire nel 1119 per volontà di Costanza d’Altavilla e del figlio Boemondo come ricovero dei crociati e dei pellegrini diretti in Terra Santa.

L’istituzione della Congregazione Olivetana (filiazione dell’Ordine Benedettino) nella città jonica risale invece agli inizi del secolo XIV. Fu nel 1482 che l’arcivescovo Giovanni d’Aragona individuò per gli Olivetani la sede di Santa Maria della Giustizia, nei pressi del fiume Tara, un tempo abitato da monaci greci. Le attività principali della comunità olivetana furono l’agricoltura e l’allevamento, ma i monaci riuscirono a sfruttare anche le risorse del mare.

Gli orti e gli abbeveratoi del Monastero e il vicino fiume rappresentarono però una forte attrazione per le incursioni dei turchi: una delle prime e più violente incursioni subite dalla comunità monastica fu quella del 1520, durante la quale fu rubato il ricco tesoro. Priva di difese, l’abbazia continuò ad essere bersaglio degli assalti pirateschi; particolarmente grave fu quello del 1594, durante il quale il complesso fu parzialmente incendiato.

Nel secolo XVII, a causa delle condizioni di degrado dell’Abbazia, l’Arcivescovo Stella concesse agli Olivetani di trasferirsi in città, nell’Ospizio di S. Francesca Romana, dove furono trasferite le tele e la campana della vecchia sede.

Successivamente trasformati in masseria, i vari ambienti dell’abbazia subirono frazionamenti  e ristrutturazioni, allo scopo di adattarli a ricovero del bestiame, deposito di attrezzi e prodotti. Persino il nome cambiò in Masseria la Giustizia.

A partire dal 1960 il complesso fu inglobato nell’area industriale di Taranto, finendo soffocato dalle cisterne della raffineria e perdendo definitivamente gli originari rapporti non solo con il contesto ambientale, ma persino con la memoria storica e collettiva della cittadinanza.

Intorno al 1970 è stato inserito tra i beni del Demanio e assegnato alla Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici Artistici e Storici della Puglia. A partire dal 1980 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha dato avvio ad un sistematico intervento di restauro del monumento, ormai in via di completamento, che ne ha consentito il totale recupero.

L’impianto dell’abbazia si articola intorno a due vaste aree a pianta quadrangolare. Dalla prima, più piccola, si accede alla chiesa angioina, che presenta una facciata monocuspidata e decorata da rosette a punta di diamante, al convento e a locali di servizio ad unico livello.

La Chiesa, ad unica navata, è suddivisa in due campate coperte da volte a crociera costolonate impostate su gruppi di semicolonne; dall’area presbiteriale, anch’essa con volta a crociera, si accede alla sacrestia che conserva l’originario pavimento in cotto giallo. Sulla parete destra della prima campata, due colonne scanalate impostate su alti basamenti e reggenti una trabeazione aggettante segnano l’accesso alla splendida cappella cinquecentesca, coperta da una volta ad ombrello e decorata da cornici scolpite ad ovuli.

Sulla parete di fondo è collocato l’altare in pietra scolpita e dipinta, sormontato da un dipinto murale. Attraverso uno stretto passaggio ricavato sotto la scala che porta al piano superiore del convento, si accede, internamente, all’androne voltato a botte. Quest’ultimo, disposto lungo l’asse del nucleo originario destinato ad ospizio, consiste in un vasto ambiente rettangolare, con la volta a botte scandita da due serie parallele di nervature trasversali, poggianti su peducci in pietra. Sulla parete di confine con l’androne, il restauro ha consentito il recupero di un affresco, raffigurante il Crocifisso fra l’Addolorata e i Santi Giovanni e Benedetto.

La seconda area, più vasta, doveva accogliere un chiostro o un portico di cui si leggono le tracce delle imposte delle crociere, è chiusa sul Iato ovest dal corpo di fabbrica corrispondente all’originario ospizio dei pellegrini di epoca normanna.

Un ultimo corpo di fabbrica, aperto verso la campagna, forse destinato a luogo di prima accoglienza, presenta un ampio portale di stile durazzesco, con arco ribassato inscritto in un rettangolo bordato da una cornice torica, sormontato dal simbolo dell’Ordine Olivetano.

Al piano superiore dell’abbazia si accede attraverso una scala in carparo che sfocia in un vasto ambiente rettangolare che funge da disimpegno per altri piccoli ambienti, forse le celle, mentre un vano più ampio risulta sovrapposto al presbiterio della chiesa. Attraverso una porta scolpita con motivi a rosette e con lo stemma olivetano, si accede ad una ripida scala che conduce alle coperture della chiesa e ai resti dell’antico campanile. Tutto il complesso è protetto da una muraglia che delimita il perimetro entro il quale si articolano le costruzioni. L’accesso principale è ricavato nella muraglia orientale.

L’intervento di restauro, ormai in fase di completamento, ad oggi interessa l’interno dell’ala nord, primo nucleo dell’insediamento normanno. Il monumento rimane ad oggi in attesa di una utilizzazione.

    

bibliografia:

G. Giovine, De antiquitate et varia Tarentinorum fortuna, Napoli 1589, ed. Graevii-Burmanni, Thesaurus Italiae, XII, 5, Lugduni Batavorum 1793.  

D. L. De Vincentiis, Storia di Taranto, Taranto 1878, rist. Taranto 1983, p. 290.

G. Blandamura, Santa Maria della Giustizia, in «Taras», I, 1926, n. 3-4, pp. 17-26.

G. Blandamura, Santa Maria della Giustizia, in «Taras», II, 1927, n. 1-2, pp. 35-59.

M. Tocci, Problemi di architettura minorità: esemplificazioni in Puglia, in «Bollettino d’arte», XL, 1975, pp. 201-208 (p. 205).

C. D’Angela, Edilizia religiosa a Taranto (secc. V-XIV), in AA.VV., Taranto. La chiesa/le chiese, a cura di C. D. Fonseca, Fasano 1992, pp. 287-311 (pp. 303-305).

P. Massafra, Edilizia religiosa a Taranto (secc. XVI-XVIII), in AA.VV., Taranto. La chiesa/le chiese, a cura di C. D. Fonseca, Fasano 1992, pp. 313-343 (pp. 340-343).

M. Tocci, La storia, in Santa Maria della Giustizia (Ministero per i Beni e le attività culturali – Soprintendenza per i beni Architettonici e per il Paesaggio della Puglia), testi di Augusto Ressa, Michela Tocci, Daniela De Bellis, Taranto 2003 (dall’estratto in brochure).

A. Ressa, Il complesso monumentale, in Santa Maria della Giustizia (Ministero per i Beni e le attività culturali – Soprintendenza per i beni Architettonici e per il Paesaggio della Puglia), testi di Augusto Ressa, Michela Tocci, Daniela De Bellis, Taranto 2003 (dall’estratto in brochure).  

                

   

  

©2003 Gianluca Lovreglio

   


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