a cura di Giuseppina Deligia
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Santa Maria di Uta: la facciata e la fiancata.
La chiesa, sita nelle vicinanze del centro abitato di Uta, secondo la
tradizione era la parrocchia di Uta
sus (superiore) e ancor prima officiata da monaci, generalmente
identificati come vittorini. In realtà il titolo di S. Maria di Uta non è attestato prima del 1363,
quando Pietro IV d’Aragona ne specificò l’appartenenza agli
Ospedalieri gerosolimitani e lo concesse ai Cavalieri di S. Giorgio
del Alfama. Questi però non occuparono mai la chiesa che passò in un secondo tempo
ai Francescani, i quali alla fine del ‘500 la cedettero alla Mensa
Arcivescovile di Cagliari. I paramenti di detta fabbrica sono in conci di media pezzatura in
calcare e arenaria, con inserti in trachite e diversi marmi. La facciata, racchiusa fra due paraste angolari,
è ornata da una teoria di nove archetti pensili a tripla ghiera
sostenuti da mensole variamente decorate, fra cui sono da segnalare
una con protome taurina e l’altra con una testa di muflone, le cui
corna ritorte includono le orecchie e terminano in corrispondenza del
muso. Tale teoria è interrotta al centro dal portale architravato con stipiti
monolitici, capitelli fitomorfi, arco di scarico sopraccigliato a
cunei bicolori nella cui lunetta è visibile una formella con una
ruota in origine intarsiata. La ghiera esterna a nastri intrecciati tempestati di trapanature
dell’arco di scarico tocca per un breve tratto la modanatura
a ornato fitomorfo che divide orizzontalmente la facciata. La navata centrale è sormontata dal frontone timpanato in cui continua
la decorazione ad archetti e s’apre una bifora posta in asse con un
grande campanile a vela con luce a ghiera ogivale. Un attento esame di questa facciata rivela un’anomala asimmetria degli
specchi affiancati al portale; infatti a sinistra le archeggiature
risultano di quattro archetti, mentre a destra se ne contano cinque. Nei lati delle tre navate si ritrova la decorazione ad archetti (quelle
delle navatelle sono a doppia ghiera, mentre quelli dei fianchi alti
sono a tripla); ma, mentre i lati bassi sono divisi in quattro
svecchiature da lesene, quelli alti sono lisci. In ogni lato s’aprono monofore a doppio strombo ed una porta
architravata con lunetta (in cui si ritrova la formella con la ruota
della facciata); quella a nord funzionava da “Porta Santa”. L’abside è divisa da lesene in tre sezioni; nella mediana s’apre
una monofora centinata a doppio strombo. Possiamo a ragione sostenere che il prospetto absidale ha mantenuto
pressoché intatta la fisionomia originaria, essendosi perdute
soltanto le cornici degli spioventi. A documentare l’antica appartenenza della chiesa agli Ospedalieri
gerosolimitani, nella lesena sinistra delle due che tripartiscono
l’abside è incisa la croce di Malta a otto punte. L’interno è diviso in tre navate da otto colonne di spoglio con
capitelli eseguiti ad hoc
che imitano i tipi classici corinzi a foglie d’acanto o d’acqua. Il paramento murario è uniforme per qualità della pietra, con unica
intonazione cromatica che fa risaltare il contrasto, di sicuro
intenzionale, di un concio rachitico rosso scuro alla chiave
dell’arco absidale. Le pareti sono del tutto lisce eccetto quella settentrionale, dove una
larga parasta muore, senza capitello, all’altezza del tetto. Sotto la mensa, rialzata di quattro gradini rispetto al piano di
calpestio dell’aula, sono stati collocati i due leoni che si
trovavano ai lati del frontone della facciata e due capitelli romanici
da stipite. La navata centrale è coperta da capriate lignee, mentre la copertura
(sempre lignea) delle due navatelle è a falde. Il telaio strutturale è dato da zoccolo a scarpa, larghe paraste
d’angolo, lesene di partizione in specchi, archeggiature e cornici
terminali sgusciate. Per il Delogu
(1953, pp. 62 – 66) le differenze fra interno ed esterno è
testimonianza del «divario di
linguaggi» dei costruttori attivi in quest’edificio. A questo punto può dunque supporsi che «appena gettate le fondazioni, collocato l’inizio di qualche pilastro,
e costruito per parte di maestri francesi l’angolo nord-occidentale,
dovette sopraggiungere ed associarsi a quella in discorso una parte
della maestranza attiva a S. Giusta nella quale erano compresi alcuni
arabi. (…) solo allora i lavori dovettero essere ripresi lavorano le
due maestranze fianco a fianco ma ognuna d’esse svolgendo una ben
delimitata parte dei lavori». L’autore propende per una datazione dell’edificio attorno agli anni
’40 del XII secolo, «permettendo
allora di ravvisare nelle parti francesi della chiesa di Uta
l’ultima e certamente la più alta e matura manifestazione
della corrente originatasi con e primitive e pressoché
barbariche forme del S. Efisio di Nora e della chiesa di S. Antioco». Fino all’800 esistevano nelle sue vicinanze delle rovine reputate del
monastero. Nell’aula è emerso il tracciato di due navate absidate a nordest,
riferibili ad una chiesa preesistente, sul cui fianco settentrionale
basa quello dell’impianto a tre navate, con lo stesso orientamento
ma con unica abside. Consiglio vivamente una visita a questa chiesa che mantiene ancor oggi
del tutto intatto il suo fascino cui contribuisce anche la particolare
posizione isolata all’interno di un ampio recinto.
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©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.