FINESTRA
SUL PASSATO: Terra
di Bari. Bitonto e il suo territorio
a cura di Pasquale
Fallacara
In alto, il cippo "Gentile; in basso, il cippo "De Lerma"
Antichi
monoliti situati sulla stessa direttrice, in territorio bitontino, i
cippi “Gentile” e “De Lerma” delimitavano gli antichi confini
dei corpi rustici feudali di Primignano (Palombaio), Mariotto, e Ciliano.
A meno di due chilometri da Bitonto, sulla via che da Palombaio porta a
Mariotto, si apre sulla destra una stretta strada, all’inizio della
quale si trova, sempre a destra, il cippo “Gentile”. Caratterizzato
da un grande e tozzo monolite di colore grigiastro, in parte coperto da
vetusti licheni, esso misura un metro e trenta fuori terra, con una base
di 70x35 cm. Conosciuto erroneamente anche con il nome di “menhir di
Palombaio”, si tratta di un antichissimo menhir, profondamente
conficcato nel terreno, riutilizzato nel tempo come cippo confinario per
delimitare il territorio del feudo di Mariotto, confinante con quello di
Primignano. Infatti esso attualmente è situato proprio al confine tra
le due adiacenti frazioni, e presenta sulla facciata rivolta verso
Palombaio lo stemma araldico della nobile famiglia Gentile (leone d'oro con calze verdi in campo rosso). Tale famiglia
possedeva numerosi feudi, circa 82, tra i quali, in Terra di Bari, quelli di Bitetto, Montrone, Casamassima, Castelluccio, Deliceto, Orlem,
Torricella e Mariotto, quest’ultimo acquisito in quanto imparentati
con il nobile casato dei “Verità”, primi titolari del feudo. Pare che
Guglielmo, nobile normanno ammesso al
seguito di Roberto il Guiscardo,
sia stato il capostipite di tale illustre famiglia. Di tale epoca
ricordiamo i nobili Rinaldo, Gualtiero I, Goffredo e Matteo. Li
ritroviamo impiegati in alte cariche, anche in età aragonese e
asburgica, con Tommaso al servizio di Ferdinando II d’Aragona,
Domenico, stimato giureconsulto, ed Orazio, che partecipò alla campagne
di Cipro e di Malta contro i Turchi, coprendosi di gloria. Con Diego i
Verità raggiunsero grande rinomanza proprio sotto il governo di
Gioacchino Murat. È a questi che si deve tuttavia la bonifica del feudo
di Mariotto e l’insediamento di una colonia di bitontini, che diedero
poi vita all’omonimo villaggio. Sulla stessa stradina rurale, proseguendo
in direzione di Terlizzi, a circa un chilometro è presente il cippo
“De Lerma”. Caratterizzato da un monolite giallastro di dimensioni
ridotte rispetto al precedente, alto circa 90 cm, con base cm 40x25,
costituiva uno dei numerosi cippi confinari situati tutt’intorno al
casino fortificato di “Torre De Lerma”. Infatti
il cippo presenta, sulla facciata rivolta all’esterno, lo stemma
araldico della nobile famiglia “De Lerma”, proprietaria del casino. Tale stemma, caratterizzato da uno scudo inquartato, 1° e 4° di rosso alla croce gigliata d'oro, 2° e 3° d'azzurro ad una luna crescente d'argento, sormontato da corona da nobile,
è anche visibile all'interno del casino sulla facciata del fabbricato più antico. Potentissima famiglia proveniente dalla Spagna, originaria di
“Lerma”, città vicina a Burgos già capitale del Regno di Castiglia,
la ritroviamo a Bitonto nel 1565 registrata tra i nobili fuori piazza.
Essi occuparono numerosi posti di rilievo, sia nella vita civile che in
quella ecclesiastica, con l’arciprete Don Girolamo (1647), con
Giovanni Antonio, archeologo canonico di S. Pietro ed arcivescovo di
Manfredonia (secolo XVII), e con Diego, primo parroco di Santo Spirito.
Quest’ultimo ebbe il titolo di Duca di Castelmezzano e del corpo
rustico di Ciliano, che successivamente prese il nome di “Torre De
Lerma”, trasformatasi in una vasta azienda agricola dopo quella
bonifica delle terre che vennero trasformate da boschive in seminative,
in oliveti e vigneti. Questi due cippi, presentano marcati solchi su ambo i lati, presumibilmente dovuti allo sfregamento delle corde utilizzate dai contadini per legarvi gli animali nelle pause durante l’aratura dei campi. Questi cippi, unitamente agli altri monoliti ed alle altre molteplici strutture rurali presenti nelle nostre campagne, sconosciuti ai più, meriterebbero di essere segnalati tramite l’utilizzo di appositi cartelli identificativi e descrittivi, così da rivalutare questo ricchissimo patrimonio storico-rurale, e da evitare spiacevoli sorprese come la triste fine di Sant’Aneta.
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©200
8 Pasquale Fallacara