FINESTRA
SUL PASSATO: Terra
di Bari. Bitonto e il suo territorio
a cura di Pasquale
Fallacara
Una quercia utilizzata come forca; in basso, impiccagione alla forca
L’antico toponimo presente nel territorio di Santo Spirito, “tenimento” di Bitonto, deriva dalla presenza in loco delle temibili “forche di Pietro”, luogo di esecuzioni capitali. Situate nelle immediate vicinanze della chiesetta di “Santo Spirito”, posizionata tra il “Titolo” e la “Torre di Santo Spirito”, qui venivano mandati ladri e malfattori che subivano la condanna dell’impiccagione «ad ultimum supplicium condemnatis». Citate in antichi documenti (Libro Rosso di Bitonto, doc. XII ), per la loro importanza furono utilizzate come punto di riferimento nella controversia tra l’Università di Bari e Bitonto per la delimitazione dei termini confinari. Il termine ”forca”, deriva dalla somiglianza dei due pali verticali che sostenevano la “traversa”, dove veniva appeso il condannato, all’omonimo attrezzo agricolo dotato di due denti detti “rebbi”. L’impiccagione, che sembra avere origine in Inghilterra, consisteva nel porre al collo del colpevole una robusta corda, detta “cappio”, che successivamente, a seguito di una violenta e fulminea sospensione della vittima nel vuoto, stringendosi causava l'asfissia e la rottura dell'osso del collo, causando in breve la morte, con ulteriore estroflessione dei bulbi oculari e della lingua. Un metodo più sommario per questo tipo di condanna a morte era caratterizzato dall’utilizzo di un grande albero, dotato di grandi e robusti rami, ai quali venivano impiccati più soggetti contemporaneamente. Nel Medioevo un’altra forma di impiccagione consisteva nel legare un cappio al collo del condannato, gettandolo giù da una grande altezza (le mura di un castello, l’alto di una torre, un dirupo, ecc.). A volte, quando il condannato era troppo pesante, non veniva impiccato in quanto, a causa del troppo peso, la testa poteva letteralmente staccarsi. A Bitonto erano presenti
altre forche permanenti, situate nel “Campo di San Leone”, “fuori
Porta Robustina e Porta Pendina”. Tra le varie esecuzioni capitali
ricordiamo: «Venerdì 20 maggio 1490 fu impiccato Angelo di Bitetto, barbiere, il
quale era lenone, ladro e assassino e rubò con certi compagni ad un
armigero di re Ferdinando chiamato Altobello. Fu giustiziato presso la
chiesa diruta di Santo Spirito in riva al mare e carnefice fu
Macciagodalo Illirico, compensato con 10 tari»; «1° agosto 1750, venne impiccato Francesco Castro, chiamato carne
e cavoli, figlio di Mincarello, il quale con i fratelli Pasquale e
Antonio Majenza sulla strada di Ruvo avevano aggredito ed ucciso un
vaticale di olio. I tre vennero impiccati fuori Porta Robustina ed i
loro corpi squartati e fatti a pezzi»; «Giugno 1767, impiccagione di Donato Primavera e Domenico Castro (figlio
di Francesco), accusati di stupro ed omicidio. Le teste, infilzate,
vennero esposte fuori le porte della città a pubblico ludibrio, i corpi
vennero bruciati in un immenso rogo fuori Porta Baresana». A questi macabri spettacoli assisteva, come al solito, una folla avida di curiosi.
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8 Pasquale Fallacara