FINESTRA SUL PASSATO:
Terra di Bari. Bitonto e il suo territorio
a cura di
Pasquale Fallacara
L
a torre del Lupomino. In basso: il palmento.
In basso: particolari della struttura.
In basso, da sinistra: stemma della famiglia Lupis; disegni sulla trasformazione in lupo mannaro.
Vetusta struttura produttiva, situata in agro bitontino in contrada “Lago di Chitro”, su via Palo vecchia, è databile presumibilmente agli inizi del XVII secolo. Immersa tra i nodosi ulivi penduli, un tempo circondata da un esteso vigneto non più esistente, presenta un paramento murario costituito dai classici conci sbozzati a martelletto e posti in opera a corsi regolari. La torre, caratterizzata da un grande ambiente voltato a botte di pianta quadrangolare, dotato di varie nicchie ed un focolare con cappa in muratura, presenta sulla facciata principale un piccolo ingresso incorniciato da stipiti in pietra, mentre sul retro una piccola finestrella a “feritoia” garantisce una sufficiente illuminazione interna. Questo ambiente svolgeva una duplice funzione: alloggio notturno per il custode e deposito di attrezzi agricoli o “cellarium”, ambiente dove venivano conservate botti vinarie di diversa capacità. Addossato al fabbricato vi residua un grande palmento nel quale anticamente vi erano gli ordigni per macinare l’uva, tra cui il caratteristico “torchio”. L’uva, una volta raccolta, veniva scaricata all’interno e pigiata su di un piano più elevato rispetto al pavimento, fornito di appositi canaletti attraverso i quali scorreva il mosto. Quest’ultimo, raccolto in grandi vasche per la fermentazione, veniva successivamente versato in botti lignee. Le vinacce che contenevano ancora mosto, venivano ulteriormente pressate dal torchio fatto girare da animali o da uomini, e dopo questa ulteriore spremitura, venivano mandate alle distillerie per ottenere l’alcol. Riguardo al “topos Lupomino”, vecchie leggende popolari indicano la torre come rifugio notturno di un temuto licantropo (uomo-lupo o lupo mannaro). Creatura mostruosa della mitologia e del folclore secondo la leggenda, il licantropo è un uomo condannato da una maledizione a trasformarsi in un lupo feroce ad ogni plenilunio, capace di trasmettere la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. I bitontini più anziani ricordano angoscianti incontri notturni ravvicinati con “u lpomn” avvenuti non solo in aperta campagna ma anche nel centro abitato. Più verosimilmente il toponimo “Lupomino” potrebbe derivare da “Lupis”, antica famiglia nobile probabilmente in origine proprietaria della torre, presente a Bitonto già dal XVI secolo (Platea dei beni del Convento di San Francesco d’Assisi di Bitonto). In Terra di Bari, nel XII secolo, i “Lupis” (arma: d'azzurro, al lupo al naturale passante su una campagna e sormontato da una stella di 6 raggi doro nel capo) vennero ascritti al patriziato di Giovinazzo e nel 1282 vennero iscritti anche tra le famiglie nobili di Molfetta, qualificati già a quel tempo "antichissimi”. Figura di rilievo nell'originario ceppo giovinazzese fu Bisanzio Lupis, storico e poeta, nato a Giovinazzo nel 1478 e morto ivi nel 1555. Scrisse le "Cronache di Giovinazzo" dalle origini ai suoi tempi, e le "Rime", raccolta di composizioni poetiche che costituiscono una delle prime prove dell'editoria cinquecentesca in Puglia. Nel ramo trasferitosi a Molfetta (BA) si distinsero ancora Padre Domenico Lupis, priore dell'ordine dei Celestini, che fu, nel 1656, creato arcivescovo di Conza, in Campania, confidente e consigliere di Papa Urbano VIII. Verso la fine del Cinquecento vari rami si stabilirono a Bitonto, Gravina, Altamura e successivamente nel resto d’Italia.
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11 Pasquale Fallacara