FINESTRA SUL PASSATO:
Terra di Bari. Bitonto e il suo territorio
a cura di
Pasquale Fallacara
In alto
, il cippo-menhir rinvenuto a Pozzo Pilecchia disteso per terra, così come è riemerso dopo l’aratura. In basso, primo piano della figura scolpita sul menhir.
Qualche anno fa, sul n. 73 degli Studi Bitontini edito dal “Centro Ricerche di Storia ed Arte di Bitonto”, apparve un articolo intitolato Nuovo cippo con iscrizione in agro di Bitonto, a cura di Rocco Sanseverino. Infatti, dopo lunghe ricerche di carattere topografico nell’area nordest e sudest della Provincia di Bari, fra l’altro condotte proprio allo scopo di raccogliere nuovi dati sugli enigmatici monoliti in calcare locale, meglio conosciuti col termine “menhir”, l’autore segnalò con quell’articolo il ritrovamento di un “nuovo” monolito nell’agro bitontino, e precisamente in località Pozzo Pilecchia, emerso dal terreno durante alcune operazioni di aratura. Il pesante monolito, alto 1 metro e 84, e largo 42 centimetri, con una profondità di 20 cm, presentava sulla faccia più liscia un’iscrizione ad incisione, interpretata dal Sanseverino nell’ammonimento in greco “OUJ NU KLAZO” (“non abbattere”), e due figure in bassorilievo che riproducono una “mitra” (copricapo religioso) ed un personaggio nimbato (angelo). Consultando certi vecchi documenti conservati nel Libro Rosso di Bitonto, in specie il fascicolo “Affixione de confini per tutto il territorio de Bitonto, a tempo di re Manfredo, nel anno 1265, fatta da Tafuro de Capua, commissario, con la pesentia de 50 homini”, si viene a sapere che alla fine del XIII secolo, nei pressi del Casale di San Martino, situato fra l’altro nelle strette vicinanze del luogo ove è avvenuto il ritrovamento, fu posto un cippo di confine territoriale tra i possessi di Giovinazzo e Bitonto, la stessa pietra presumibilmente identificabile con quella rinvenuta dal Sanseverino. L’ipotesi avanzata sarebbe avvalorata dall’iscrizione sottostante, più semplicemente letta come “Iovienazo”, e quindi “Giovinazzo”, cittadina riportata nei documenti con diverse varianti (“Iovenazzo”, “Iovinazzo”, “Jovenacio”, “Juvenatium”, “Juvnacem”, “Iuvinacii”, “Giovenazzo” ecc.; ma anche dall’immagine del personaggio nimbato, da ricondursi a San Tommaso, presente del resto anche nello stemma civico di Giovinazzo. L’immagine della “mitra”, forse scolpita successivamente, indicava con tutta probabilità l’appartenenza di quelle terre all’appannaggio del vescovo di Giovinazzo, mons. Bricianos de Ribera, il quale nel 1555 possedeva il Casale di San Martino con tutte le terre limitrofe (cfr. le carte del notaio Francesco De Angeli). Ora, le ipotesi qui avanzate ovviamente possono essere smentite, o al contrario avvalorate, ma solo a seguito di nuovi, bramati studi da effettuarsi direttamente sul monolito. Anche se, purtroppo, le numerose ricognizioni eseguite da chi scrive in compagnia dello storico locale A. Castellano, non hanno dato finora esiti positivi. Un vero peccato. Ma intanto, dove si trova attualmente il monolito? Che fine ha fatto? Chi l’ha visto?
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©200
9 Pasquale Fallacara - Foto di Rocco Sanseverino