FINESTRA
SUL PASSATO: Terra
di Bari. Bitonto e il suo territorio
a cura di Pasquale
Fallacara
Il casale di San Martino, tra Bitonto e Giovinazzo
Sulla Provinciale Giovinazzo-Terlizzi, al confine tra il territorio dei comuni di Giovinazzo e Bitonto, si staglia solitario, nella verde distesa di ulivi penduli, l’antico e maestoso Casale di San Martino. Costruito
presumibilmente su una struttura preesistente e più antica, il casale
di san Martino è databile intorno al XI secolo. Un grande ingresso
arcuato immette all’intero del complesso, così imponente per la sua
notevole mole, disposto com’è intorno a un cortile rettangolare con
alte mura di cinta. All’interno, oltre a vari alloggi, si trovano
numerosi vani, fra cui una grande cucina con focolare e pozzo,
un’ampia stalla con mangiatoia ed abbeveratoio, una torre-vedetta a
base quadrangolare sormontata da una bellissima colombaia, ed una
piccola chiesetta nella quale anticamente si poteva ammirare un bell’altare
dedicato al santo Martino, attualmente distrutto. Questa struttura
religiosa è formata da una sola navata, ed è
caratterizzata dal classico campaniletto a vela, più una piccola
finestrella che funge da punto luce e un piccolo ingresso incorniciato
da stipiti in pietra. Essa fu costruita nel
1124, al limite tra i territori di Bitonto e Giovinazzo così da
segnarne i confini. Infatti nel 1265, nelle sue immediate vicinanze, fu
collocato proprio un cippo di confine territoriale. Documentata
in diversi atti (Carte Martucci Zecca, Libro Rosso
dell’Università di Bitonto, Libro dell’apprezzo, Libro
dei rimedi, ecc.),
la chiesa viene identificata via via con il nome di S. Martino «de
Silvis»,
«de
Villa»,
«de
Murisciano»,
«de
Morigiano»,
«de
Bruscianis».
Nel 1523, è registrato che il «Notaro
Pietro et Cola de Ildaris cedono a D. Geronimo Scaragio certe terre
machiose et seminatorie con un pozzo dentro in loco S. Martino de
Murisciano»,
collocando il casale sulla via «del
monte in Jovenacio».
Accanto a San
Martino, nel XV secolo, sorse la sede estiva del vescovo di Giovinazzo,
che sfruttava la posizione elevata del casale e il suo punto strategica,
che godeva di un’ottima visuale su tutto il territorio circostante. Con
atto del notaio Francesco De Angeli, del 10 dicembre 1555, il nobile
giovinazzese Giacomo Zurlo, dimorante in Napoli, lascia al vescovo di
Giovinazzo mons. Bricianos de Ribera, imparentato con l’Imperatore
Carlo V, «terre,
piscina, edifici, chiesa S. Martino, torre San Martino ed altro, in
cambio di suffragi annuali per l'anima sua e dei suoi famigliari».
Secondo alcuni storici locali, il vescovo, mons. Bricianos, nel 1560,
dopo aver partecipato al concilio di Trento, trasformò la costruzione
in una comoda villa. Nel 1611, un altro prelato, mons. il vescovo Masi, apportò
altri miglioramenti alla
costruzione, fregiando l’ingresso con il proprio stemma araldico (oggi
trafugato). Il vescovo Costantini poi, nel 1840, eseguì lavori di
restauro. Nel
XVI secolo, molti ricchi ebrei si rifugiarono in questo territorio
preferendo le torri-vedetta, considerate più sicure dai feroci assalti
pirateschi. Infatti, in previsione di inaspettate incursioni, costoro
nascondevano i propri oggetti preziosi in impensabili nascondigli. In
quegli anni vari casali purtroppo furono sopraffatti dagli assalitori, i
quali trucidarono gli ebrei che vi si erano rifugiati, facendo perdere
così, per sempre, la memoria di questi ricchi ripostigli segreti.
Alcune leggende popolari narrano di favolosi ritrovamenti, casse ricolme
di tesori nascoste da quei semiti, rinvenute da contadini all’interno
delle torri abbandonate (torre “Cascione “, “Cela”, “Cappavecchia”,
ecc). A
questo casale è legata inoltre la leggenda del “Tesoro di S.
Martino”, riportata dallo storico giovinazzese Saverio Daconto nella
sua pubblicazione Saggio storico sull'antica città di Giovinazzo.
Allo stesso modo, gli fu esposta per iscritto,
da un signore di Giovinazzo, una leggenda raccontata all'anonimo
estensore dal padre, e che a sua volta l'aveva ricevuta dal padre suo.
Tale leggenda narra la vicenda di due personaggi, presumibilmente il
torraro del casale ed un forestiero che era lontano
parente di mons. Bricianos. Il forestiero, dopo aver rinvenuto un antico
incartamento con l’indicazione del tesoro, tosto si reca presso il
casale, e dopo aver convinto il rozzo torraro a cercare, entrati in una
stanza si posizionano nel centro ed iniziano a scavare. Cavato il
pavimento, si presenta la volta di un alto vano sottostante, e
sfondatala i due discendono in un piccolo stanzino, sul muro del quale
vi è dipinto, a terra rossa, un angioletto col braccio teso e con
l’indice della mano ad indicare un punto del pavimento. I due, ripreso
lo nuovamente lo scavo, rinvengono una grande cassa, la quale, dopo la
rottura del coperchio, risulta piena di monete d’argento ed d’oro,
altri oggetti di valore, nonché una
cassettina piena di pietre preziose, che il forestiero, riconoscendola
di maggior valore e di più facile trasporto, decide di tenere per sé,
cedendo tutto il resto all'attonito villano. Quest’ultimo, acceso
dalla vista di tanta ricchezza, invaso dal demone dell’avidità,
decide di tenersi tutto, e senza più pensare assale il forestiero con
il medesimo ferro utilizzato prima per rinvenire tanta ricchezza, e
l’uccide. Dopo aver sotterrato il cadavere e aver caricato il tesoro
su due animali, presumibilmente quelli con i quali soleva arare, torna a
casa e narra l’accaduto al fratello prete, chiamato “Buonuomo”.
Come vuole la tradizione, questi, lungi dal provare orrore
nell’accogliere un omicida col frutto per giunta di un delitto,
lodandolo con la stessa preponderanza che il prete esercita in famiglia,
si impossessa del tesoro da assoluto padrone. Solo leggenda? Da tale fruttuoso rinvenimento è dipesa forse la costruzione, per opera del “Buonuomo“ e certamente inspiegabile altrimenti che con le finanze del sacerdote, del grande convento domenicano, oggi regio Istituto Vittorio Emanuele II, sito nella vicina città di Giovinazzo, la cui imponenza architettonica impressiona qualsiasi visitatore. Negli anni passati, presso questo casale, si svolgevano, tra fuochi d’artificio, i festeggiamenti per San Martino, con larga partecipazione di fedeli provenienti dalle città limitrofe e con la celebrazione di messe alla presenza del vescovo. L'edificio è davvero di notevole pregio architettonico oltre che storico. Esso appartiene alla mensa vescovile di Giovinazzo, ed è stato ceduto in comodato al Comune. Grazie agli attuali lavori di restauro, San Martino ritroverà finalmente la sua monumentale ed antica bellezza.
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©200
7 Pasquale Fallacara