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a cura di Pasquale Fallacara |
La circolarità della chiesa in toponimo Torre Sant’Aneta. In basso: l’attuale stato diruto della chiesa di Sant’Aneta.
In basso: a sinistra, il retro di Sant’Aneta rivela la cupola centrale e uno spiovente dell’edificio originario; a destra: il profilo dell’arco a tutto sesto dell’abside.
Percorrendo la provinciale per Molfetta, in località Sant’Aneta, ci si imbatte nei resti della chiesetta da cui la zona trae la sua denominazione. Se la si osserva con occhio attento, nonostante il grave degrado, Torre Sant’Aneta (XI secolo) presenta ancora il fascino delle sue linee austere, e con un po’ di fantasia è possibile immaginarla nel suo aspetto originario. Pur nel caos dell’abbandono, risalta ancora la parte absidale, con monofora lunata, e parte del transetto, realizzati con conci di pietra calcarea. Da tali resti si può dedurre che Sant’Aneta (presumibilmente, una volgarizzazione di Sant’Agnese) doveva avere impianto a croce, con lati uguali, tipico delle monocupole, ma in questo caso è raro e caratteristico perché si tratta di croce quadrifronte e non allungata, più frequente (ad esempio, l’impianto di Santa Croce di Cagnano, anch’essa sita nell’agro di Bitonto). La chiesetta, centro di culto e meta di pellegrinaggio per le genti delle comunità limitrofe, si rifà a modelli locali di origine bizantina essendo costituita da quelle volte a botte che delimitano uno spazio centrale di forma quadrata, sovrastato da una cupola su tiburio, a sua volta rivestita da una piramide di chiancarelle (piccole lastre in pietra locale, largamente utilizzate nella copertura dei trulli). Annesso al lato frontale destro vi è un pozzo, coperto da un enorme chianca con foro centrale circolare: da esso attingeva acqua l’intera comunità circostante. Quasi certamente, sull’esempio fornito da altre chiesette rurali di simile struttura (ad esempio, il Tempio di Giano, edificio della prima metà del sec. XII, a circa 3 km da Trani), le pareti interne dovevano presentare affreschi bizantineggianti, raffiguranti Sant’Aneta ed altre figure sacre, di cui oggi purtroppo non rimane nulla. La presenza di numerosi frammenti ceramici, di varia datazione, sparsi sul territorio circostante, sta a dimostrare che un tempo il luogo era un piccolo centro di culto, presso cui accorrevano le genti delle località limitrofe per ritrovare ed appagare il proprio senso religioso. L’origine della chiesetta è ignota e la storiografia locale poco o nulla ci dice in proposito. I D’Elia ritengono, secondo un elenco duecentesco, che Sant’Aneta doveva insistere su un antico insediamento apulo, «Malherba, praedium di Valerianum, iuxta Via Melficti», un casale collegato da un’antica strada con quello di Chinisa. Su questa strada infatti, fu rinvenuta nel 1976 la stele di Massio. Nel 1270 essa appare inserita nei registri della Cancelleria Angioina e successivamente descritta «sub vocabulo Sanctae Agnetis extra moenia» in una Santa visita cinquecentesca (“Santa Visita Lopez”). In una scheda analitica, compilata dall’associazione “Terre degli Ulivi”, si legge che nel 1734 venne utilizzata come spezieria e ospedaletto dal generale Montemar, nel corso della famosa battaglia. Il suo declino è da collegare con le invasioni saracene, che resero le campagne poco sicure per la comunità, costringendola a confluire tra le mura cittadine. Sant’Aneta rappresenta uno dei pochi esempi sopravvissuti, nel territorio barese, di “impianto matrice”, dotata cioè di una struttura pura (pianta a croce greca libera, con una sola cupola). Infatti, se si osservano altri impianti analoghi, questi presentano oltre alla struttura matrice, un nucleo in aggiunta. Una caratteristica dunque che testimonia della sua antichità e originalità, andando a costituire così un riferimento essenziale per lo studio di edifici simili. Oggi purtroppo non esiste più nulla di quello che restava ancora in piedi della chiesetta di Santa Aneta, ormai rasa al suolo dalle ruspe.
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©2011 Pasquale Fallacara